107- The car
"Hostage" | Doncaster
Rinchiusi l'anta dell'armadio dove, fino a qualche ora prima, giacevano gli abiti di Zayn e tutte le cose che tempo prima aveva portato a casa mia, con l'idea di passare del tempo da me.
Vedere quello spazio vuoto non era una delle peggiori cose della mia vita; presumibilmente, in un'altra situazione e con altri pensieri in testa, l'avrei considerata una cosa rattristante. Ma nelle circostanze in cui mi trovavo in quel momento, avevo ben altro di cui preoccuparmi e per il quale deprimermi.
Camminai nella mia camera con distrazione ed andai poi a sedermi sul bordo del letto, annoiata.
Afferrai il mio telefono da sopra il comodino e lo rigirai più volte tra le mie mani, pensando a cosa fare e a come distaccarmi da quei tantissimi pensieri.
In quel momento avevo bisogno di distrarmi, di pensare a qualcosa di ben solido e di non soffermarmi ai ricordi, a ciò che era successo.
Mi conoscevo abbastanza bene da sapere che, anche nel caso avessi deciso di dedicarmi ad altro, come ad esempio alla lettura, sarei finita per scorrere ripetutamente gli occhi tra le numerose righe e a non concentrarmi su niente, se non sulle parole di Zayn.
Sbloccai lo schermo del telefono e restai in silenzio per qualche istante, a riflettere. Pensai a cosa fare, chi chiamare, come restare ferma alle mie decisioni e quindi a non torturarmi la mente con le solite discussioni.
'Trishar?' Chiamai il suo nome non appena quel ripetitivi suono venne interrotto dal silenzio e da alcuni strani movimenti dall'altra parte della cornetta.
'Sono Celia, sei Bee giusto?'
Il mio sopracciglio si alzò istintivamente quando, al posto della conosciuta voce di Trishar, rispose quella docile e tentennante della ragazza.
Rimasi per qualche secondo in silenzio e le mie dita strinsero automaticamente il telefono: 'uhm...sì sono io', risposi rapidamente, cercando di non sembrare stranita all'idea di dover parlare con lei.
Tuttavia, se soltanto il lato maligno della mia mente avesse evitato di farsi domande ambigue, la trovavo una ragazza anche piuttosto simpatica.
'Scusa ma Trishar si è allontanato con Dalton e non ho idea di dove siano finiti', si giustificò, imbarazzata.
Forse non ero l'unica ad avere parte del cervello tendente a fare cattive supposizioni.
'Oh, non c'è problema', la rassicurai subito, ridacchiando.
Dall'altra parte udii una leggera risatina e subito dopo, quasi come per porre fine a quella strana sensazione che si era calata tra noi due, cambiò radicalmente discorso.
'Sei in ritardo?' Domandò.
'Cosa?'
Compresi il suo tentativo di sviare quel fastidioso imbarazzo ma onestamente, porre domande a caso non era poi così intelligente.
'No dico, hai avuto qualche contrattempo o...' Esitò per qualche secondo prima di parlare ancora, lasciò la sua frase a metà e sembrò riflettere su cosa dire: 'insomma, ho risposto perchè ho letto il tuo nome e credevo stessi chiamando per avvisarci', farfugliò.
'Ma sono in ritardo per che cosa?' Una risatina scappò involontariamente dalle mie labbra, alla mia domanda.
'Per raggiungerci, no?' Il suo tono risuonò talmente ovvio che per qualche secondo restai in silenzio, dispersa.
Un fortissimo nodo salì alla mia gola e i miei occhi si sbarrarono mentre, con terrore, cercavo di riassumere le mie ultime giornate e di ricordare tutti i miei impegni.
Non potevo aver dimenticato qualcosa, tuttavia la mia vita non sembrava essere poi così tanto movimentata.
Infatti, dopo aver perso qualche secondo a riflettere e ad assicurarmi di non aver fatto un'altra delle mie fantastiche figure, tirai un sospiro di sollievo.
'Non so di cosa stai parlando...' Risposi.
'Ma...ma io credevo che Louis te lo avesse detto'
Il nome di mio fratello, nelle sue parole, mi lasciò piuttosto perplessa.
Non a caso, se soltanto pochissimi istanti prima mi stessi convincendo del fatto che Clelia avesse confuso qualcosa, a quel punto capii che no, in realtà non era lei quella ad aver sbagliato.
Cercai subito di approfondire, provando così a capire cosa il mio adorato fratellino, per l'ennesima volta, non mi avesse raccontato: 'detto cosa?'
'Trishar ha organizzato una piccola festa tra noi e proprio oggi ha chiamato tuo fratello per dirgli di invitare anche te', spiegò.
'Ah...' I miei occhi si abbassarono al pavimento e contemporaneamente, un lacerante dolore trafisse il mio petto.
'Credo che si sia dimenticato...' Mentii.
Mentii e lo feci più per me che per lei.
Non mi importava dirle che in realtà il nostro rapporto stava andando in frantumi, giorno dopo giorno.
Avrei potuto urlarglielo, farglielo sapere in qualche modo.
Ma semplicemente, in quel momento, dire una menzogna serviva soltanto a me stessa per concludere quella conversazione e non scoppiare a piangere come una cretina.
Perché sì, ammettere ad alta voce che mio fratello stava facendo di tutto pur di starmi lontano e tenermi alla larga dalla sua vita, faceva male, più male di quanto credessi.
Ma quando pensai di chiudere così la chiamata, affrettandomi a trovare un modo per liquidarla al più presto, la sua voce disse qualcosa che attirò decisamente la mia attenzione.
'Quindi è strano anche con te?'
Le mie dita presero l'angolo della felpa che avevo addosso e giocherellarono con la lampo, silenziosamente.
'In che senso?' Approfondii.
'Oggi abbiamo dovuto chiamarlo con il privato per farci rispondere', raccontò. La sua voce sembrava quella di qualcuno che mai si sarebbe aspettato di dire determinate cose.
E, in tutta onestà, conoscendo Louis da una vita e credendo di poter immaginare ogni sua singola mossa, mi sorpresi anche io.
Okay, avevamo litigato, probabilmente avrebbe preso le distanze da sua sorella ed avrebbe ridotto il nostro rapporto in miseria, ma i suoi amici? Il suo ragazzo?
'Potrebbe essere un brutto periodo per lui...' Pensai ad alta voce, non riuscendo ad immaginare altro.
E in parte poteva sembrare qualcosa di buono in mezzo alle tantissime cose negative che mi circondavano.
Seppur fosse egoista da parte mia, pensarlo; beh, mi faceva piacere sapere che non avesse nulla contro di me e volesse soltanto isolarsi dal mondo intero.
'No, in realtà non lo sembrava fino a ieri', osservò la ragazza.
Quel minimo di speranza che, con o senza il mio volere, aveva sollevato il mio petto; svanì all'istante.
Tutto tornò come qualche istante prima, a quando l'unica causa di tutto ero soltanto io e nessun altro.
'Ah...' Sospirai.
'Oggi non rispondeva nemmeno alle chiamate di Dalton', aggiunse.
Quelle parole riportarono la mia mente alla sera prima, alla nostra discussione, a ciò che avevo gridato con tutto il fiato, furiosa.
Il mio cuore sembrò indolenzirsi al solo ricordo della mia freddezza nei suoi confronti, pentito.
Non mi piaceva rivedere nella mia mente quelle bruttissime immagini, tantomeno gradivo sapere di avergli fatto male a tal punto di allontanarlo dal suo ragazzo.
'Merda', imprecai.
'Cosa?' Mi chiese.
La sua voce colma di smarrimento riportò il mio cervello alla realtà e mi fece notare che, come in tutte le occasioni meno opportune, avevo espresso ad alta voce le mie emozioni.
Alzai gli occhi al cielo e mollai un colpo sulla mia gamba, innervosita, 'no no, niente, oggi non l'ho visto nemmeno io', borbottai, sviando il discorso.
'Dovremmo preoccuparci?'
La sua domanda non mi allarmò affatto, tutt'altro; in un altro momento sarei andata in panico e già da subito mi sarei immaginata centinaia di scene drammatiche con mio fratello di mezzo, in bilico tra la vita e la morte.
Ma in quel caso, uno strano sbuffo scappò dalle mie labbra e sul mio voltò si manifestò una smorfia di superficialità: 'nah...mia madre l'ha visto uscire con qualcuno stamattina e penso voglia soltanto isolarsi dopo aver avuto una discussione con me'.
'Oh, avete litigato?' Sembrò dispiaciuta dalla mia affermazione.
Le mie spalle si alzarono automaticamente alla sua domanda, proprio come se lei fosse lì e volessi dimostrare a tutti i costi che no, non mi importava. 'Se lo si può definire così...' borbottai.
Il mio cuore si strinse alle mie stesse parole, pronto a rinnegare tutte le mie stupidissime convinzioni sul fatto che Louis fosse l'ultimo dei miei pensieri.
Aprire quel discorso era stata davvero una delle peggiori idee della mia vita; fu come girare la maniglia di una stanza stracolma di roba e cercare in tutti i modi di non far aprire la porta.
Ecco, la porta potevo benissimo accomunarla alla mia bocca, la tantissima roba all'interno alle troppe cose che mi tenevo dentro ormai da un po' e la maniglia era quel dannatissimo discorso che avevamo intrapreso. Un discorso capace di non fermarmi, capace di tentarmi e di far crescere in me quell'innato senso di sbottare tutto quel che avevo dentro.
'Senti'. Di colpo chiusi i miei occhi e presi un profondo respiro, obbligandomi a respingere tutte le mie più incontrollabili frustrazioni, 'ti va se ne parliamo non appena vi raggiungo?'
'Ovvio che sì, quindi verrai!?' Chiese entusiasta.
'Se posso farmi accompagnare da qualcuno...perché no?'
'Certo che puoi!' Esclamò subito, 'siamo poco distanti da Doncaster, in un parco che Trishar conosce molto bene e...'
Quando Celia prese a descrivere il posto, tutto sembrò coincidere perfettamente a quello che la mia mente aveva immaginato sin da subito, a quando aveva pronunciato la parola parco.
Per questo non la lasciai finire e, impaziente di sapere se le mie supposizioni fossero giuste, intervenni: 'c'è un fiume?' Le chiesi-
'Sì, un fiume e tantissime, tantissime zanzare!' Si lamentò, sbuffando sonoramente.
'So dove siete', ammiccai.
'Come...' la interruppi in tempo, prima che potesse chiedermi qualcosa di scontato: 'venivo lì con Trishar, da piccola', raccontai con nostalgia, sorridendo appena.
'Oh sì, Trishar adora questo posto', confermò, forse con un cenno di seccatura.
'Posso portare con me un amico?'
'Come vuoi, non penso sia un problema', affermò con disinvoltura.
'Allora ci vediamo lì', conclusi.
***
Eravamo in macchina, per strada da ben venti minuti.
Quel posto non era troppo distante da casa mia, ricordavo che da piccola, quando mi accompagnavano, trascorrevo al massimo cinque minuti in macchina, prima di arrivare.
Era un parco abbandonato, uno di quei posti dove nel giro di qualche mese la gente smette di andare e che, destinato alla rovina, resta deserto ed inanimato.
Ricordavo perfettamente quella stradina bianca, ricoperta dalla ghiaia, che conduceva all'entrata, a dove tutte le volte trovavo Trishar e il suo frisbee.
Ma passare di lì dopo così tanti anni e con la responsabilità ricordare tutto il tragitto, seppur lo avessi fatto davvero tante volte, non risultò una delle cose più semplici della mia vita.
Lo sentii lamentarsi distrattamente per la decima volta di seguito, probabilmente tentando di ricevere una mia risposta o una qualsiasi affermazione capace di rassicurarlo.
Si guardò per la milionesima volta allo specchietto e lo sentii borbottare qualcosa, maledicendosi per l'assurda idea di accontentarmi e quindi venire con me dai miei amici.
Per il resto, viaggio trascorse in silenzio: Harry che tamburellava le dita sul volante con in mente chissà quale motivetto snervante e qualche sbuffo ogni tanto, probabilmente causato dalla sua ansia.
Io invece avevo la testa appoggiata al finestrino e gli occhi che ogni tanto si muovevano veloci dalla strada al profilo concentrato di Harry, illuminato a intervalli dalle luci delle auto che viaggiavano in senso opposto.
Le sue labbra sembravano morbide quando restava in silenzio a masticare la sua chewing-gum, concentrato, con le sopracciglia leggermente aggrottate.
La sua pelle era chiara e letteralmente omogenea, senza alcuna imperfezione o accenno di barba.
Forse i suoi nei, quelli che aveva lungo il suo sollo e poco distanti dalla sua macella. Beh, quelli erano l'unica cosa che sembravano rendere Harry reale perché, ai miei occhi, quel ragazzo, quella sera, non aveva nulla fuori posto se non qualche ciocca di capelli.
Ma anche quest'ultimi, che quella sera erano tirati indietro ma lasciati comunque un po' sbarazzini, sembravano perfettamente apposto, così come il suo naso.
Mi ritrovai quasi ipnotizzata ad osservarlo, a paragonare il suo volto a quello di Zayn, a riflettere su quanto diversi quei fratelli potessero essere, seppur l'unica cosa che li distinguevano erano le loro mamme.
La pelle leggermente più scura ed occidentale di Zayn, non aveva niente a che vedere con quella bianca e dai tratti inglesi di Harry.
Così come con i lunghi capelli del riccio, del tutto differenti da quelli corti e neri come la pece, di Zayn.
E sarei potuta restare in quella situazione ancora per ore ed ore, in silenzio a fissarlo e ad elencare altre migliaia di differenze tra i due, lasciandomi distrarre soltanto dai movimenti meccanici di Harry che accelerava, frenava e cambiava marcia.
Ma d'improvviso, sussultai quando lui parlò.
'Questa è stata una pessima idea'.
Buttai la testa all'indietro contro il sedile e sbuffai, concentrando i miei occhi sul tetto della macchina.
'Sai Harry...' Richiamai improvvisamente la sua attenzione con un tono provocante e pronto a tappargli definitivamente la bocca, 'è stata una pessima idea anche rinchiudermi in casa di Zayn', gli feci notare.
'Tu conoscevi Zayn'. Lo sentii rispondere prontamente, senza fare una mossa.
'Conoscevo Zayn ma ritrovarmi intrappolata a casa sua ad aspettarlo, non è stato divertente', risposi prontamente, tenendo testa alle sue affermazioni.
Inoltre, dover continuare a spiegare quella cosa mi stava irritando più del dovuto.
Okay, come aveva detto io e Zayn ci conoscevamo più che bene; ma ciò non significava che farmi trovare nel suo appartamento, senza alcun preavviso, fosse stata una cosa carina ed eccitante.
In fine, dalle labbra di Harry scappò un profondo sospiro e, senza dilungarsi troppo, rispose: 'okay, hai ragione'.
Me la diede vinta; ma la sua voce non era quella di qualcuno che contro i propri voleri, cedeva e finiva per dar ragione a qualcuno pur di azzittirlo.
Sembrava aver concluso che il realtà era davvero lui quello dalla parte del torto e, di conseguenza, mi assecondò.
Restammo in silenzio per un breve tratto di strada: le nocche di Harry erano sbiancate a causa della forza con la quale stringeva il volante e il suo sguardo, come poco prima, era costantemente rivolto alla strada e ogni tanto, al piccolo schermo alla sua sinistra, quello del navigatore.
Mi piaceva render l'atmosfera ancor più tesa e snervante agli occhi di Harry; soprattutto per vendicarmi di quello che era stato il suo piano e quello di Liam, qualche giorno prima.
Ma in qualche modo, più il tempo passava e la strada scorreva sotto ai nostri occhi, più in me crescevano i sensi di colpa, assieme alla soddisfazione di fargliela pagare.
Non mi dispiaceva fargli provare un minimo dell'imbarazzo che avevo provato io, quel giorno, a causa sua e del suo amico; ma d'altra parte potevo benissimo comprendere quale fosse il suo stato d'animo in quell'esatto momento, e ciò mi disturbava.
Tuttavia, soltanto poco tempo prima, anche io mi ero ritrovata a suonare il campanello della casa di Trishar con le mani tremolanti ed un enorme nodo alla gola.
Per delle persone come me non era semplice far nuove conoscenza, da un momento all'altro: e nonostante Harry fosse un ragazzo solare e spesso simpatico, sotto quel punto di vista era uguale a me.
DI colpo mi voltai nella sua direzione e lasciai perdere quella che era la mia tantissima voglia di riscattarmi: 'vuoi parlare?' Domandai, osservando attentamente l'espressione sul suo volto.
Lo vidi soltanto aggrottare la fronte e voltarsi rapidamente, lanciandomi una fugace e confusa occhiata.
'Non lo stiamo facendo? Rispose con smarrimento, tornando a guardare la strada.
Non mi aspettai minimamente la sua risposta; a dire il vero, come sempre quando parlavo, davo per scontato che la persona al mio fianco comprendesse ciò che volessi dire, come se fosse nella mia mente.
Per questo restai a bocca aperta, con lo sguardo fermo sul suo viso ed incerta su cosa dire.
'N-no, voglio dire...vuoi che ti distragga?' Gesticolai, seppur Harry non mi degnasse di uno sguardo.
Il mio disagio nel rispondergli però, sembrò piacere particolarmente al riccio che, come se appagato dal mio calo di convinzione, inarcò un lato della sua bocca.
'Proviamo', mi concesse, con un tono di sfida.
Nello stesso tempo, una sua mano si mosse dal volante ed arrivò alla sua testa, dove intrecciò le dita tra i suoi capelli e spostò i ricci dalla sua fronte.
'Uhm...okay', affermai distratta, voltandomi a guardare fuori dal finestrino.
Fissai per qualche secondo il panorama correre là fuori: il cielo scuro e le tantissime luci che illuminavano l'orizzonte.
Tutto sembrava bellissimo, ogni cosa là fuori richiamava la mia attenzione come mai aveva fatto prima; molto probabilmente perché avevo appena proposto ad Harry qualcosa che non avrei potuto affrontare e, quello che potevo vedere oltre al vetro, era tutto ciò che mi permetteva di sviare la sua attenzione.
'Hai mai avuto una ragazza?' Quella fu la prima domanda che mi passò in mente e, non poter vedere il suo volto, incitò maggiormente la mia bocca a parlare.
In realtà me lo ero sempre chiesta: in parte per il suo stile particolare, in parte per il suo carattere, e poi perché non lo avevo mai sentito parlare di qualcuna o di una sua presunta uscita.
'Una ragazza seria?' Domandò con più precisione.
Annuii lievemente, senza valutare affatto l'idea di voltarmi ed affrontare una conversazione con lui faccia a faccia.
Harry perse qualche istante in silenzio, forse per riflettere, e quello non era affatto un buon segno.
Dopo un po', sembrò aver ragionato abbastanza e lo sentii muoversi accanto a me, per cambiare marcia: 'non ricordo di aver mai scopato con la stessa persona per due volte di fila', rispose superficialmente.
I miei occhi si sbarrarono automaticamente alle sue parole.
Come se non avessi mai provato disagio nei suoi confronti ed fossimo amici da una vita, scattai nella sua direzione: 'oh dio, è così che definite se una relazione è seria, voi uomini?' Pensai di strillare, ma riuscii comunque a controllare almeno il mio tono pur di evitare eventuali incidenti.
La mia domanda e il mio improvviso cambio d'umore però, sembrò non sorprendere particolarmente Harry che alzò con leggerezza le spalle: 'io sì', ammise.
Subito dopo aver cambiato nuovamente marcia, portò la mano alla radio e premette il pulsante di accensione, con sventatezza: 'se si va a letto con la stessa ragazza per troppe volte, o ha delle ottime capacità o si è cotti', spiegò la sua teoria con naturalezza.
Battei rapidamente le ciglia. 'Wow'. Quella fu l'unica parola ad uscirmi di bocca, una volta ascoltata la sua opinione piuttosto scioccante.
Non che avessi una concezione tutta mia sugli uomini, sapevo che gran parte di essi fossero più interessati al sesso che ad una relazione seria e che, in qualche modo, la loro idea sulle cose fosse sempre fuori dal normale; ma onestamente non mi aspettavo quel ragionamento.
Tornai ad appoggiare la testa contro il finestrino e portai le braccia al petto, stringendomi nel caldo del mio cappotto e cercando così di scappare all'umidità e al freddo dell'autunno.
Poco dopo, la voce di Chris Martin prese parte nel silenzio scomodo di quel tragitto verso il parco, il parco che molto probabilmente non avremmo mai raggiunto se il navigatore non si fosse deciso a collaborare.
E quando pensai che finalmente mi sarei potuta dedicare alla canzone in sottofondo e prendermi una pausa, la voce di Harry mi fece scattare nella sua direzione: 'se te lo stai chiedendo, sì, anche Zayn la pensa come me'.
'Non me lo stavo chiedendo', lo freddai subito, distogliendo poi lo sguardo da lui.
'Sicura?'
'Certo', risposi con convinzione, lanciandogli un'occhiataccia con la coda dell'occhio.
Harry decise stranamente di non prolungare troppo quella discussione e infatti, come se non avesse detto niente, fece uno strano verso di disapprovazione e cambiò completamente argomento: 'piuttosto, come mai quella domanda?'
'È stata la prima a venirmi in mente', mi giustificai, alzando le spalle.
'Oh, okay'.
Inutile negare che non appena ci fu un attimo di tregua dalle sue insistenti domande, il mio cervello si proiettò esclusivamente a Zayn, alla domanda che se soltanto Harry non avesse parlato, mai mi sarei posta.
'Credi che quella di Zayn fosse soltanto una cotta?' Il mio capo si voltò istintivamente nella direzione del riccio, senza vergogna e con serietà, con un tono abbastanza preoccupato da farmi pena da sola.
'una cotta?' ripeté, scettico.
Le sue labbra sembravano trattenere un sorriso divertito: lo vidi alzare un sopracciglio e rivolgermi una rapida occhiata: 'una cotta?' ripeté, scettico.
Morsi nervosamente il mio interno guancia ed annuii rapidamente, invitandolo a darmi una risposta immediata e ad evitare eventuali prolungamenti.
Harry fece una risatina, 'quello è proprio bruciato', scherzò.
***
Harry parcheggiò la sua macchina a pochissimi metri da dove, quando eravamo piccoli ed ancora molto uniti, io e Trishar passavamo il nostro tempo a giocare.
Erano anni che non mettevo piede in quel posto, in mezzo alla natura e al rilassante silenzio della campagna.
In realtà, se soltanto Trishar non avesse organizzato una festa proprio lì, mai avrei pensato di ritornare a visitare quel luogo, un giorno, da quasi diciannovenne.
Il vento riecheggiava leggero tra i miei lunghi capelli ed attraverso i tantissimi indumenti che avevo addosso pur di scappare dal freddo.
Ma nonostante il giubbetto ricoprisse la felpa che avevo addosso e il top che avevo messo poche ore prima, potevo comunque percepire il gelido dell'autunno penetrarmi attraverso le ossa, rabbrividendo il mio corpo.
In realtà sì, non mi ero sforzata molto a cambiarmi o a rendermi presentabile per passare del tempo con delle persone: avevo semplicemente aggiunto un cappotto e sostituito i pantaloni di tuta con quelli più adatti ad un'uscita, in jeans.
Intrecciai le braccia al petto per l'ennesima volta e feci qualche passo tra l'erba fitta e poco curata di quel luogo, schiacciandola sotto ai miei piedi.
'Hai la faccia di qualcuno che sta congelando'. Sentii dire alle mie spalle, dalla bassa e pacata voce di Harry.
In seguito alle sue parole, Harry si lasciò scappare una risatina e, nemmeno il tempo di voltarmi per apprezzare il suo sarcasmo, che qualcosa si posò sopra alla mia testa e coprì gran parte della mia visuale, lasciandomi al buio.
Afferrai di scatto ciò che aveva appena coperto i miei occhi e capii immediatamente di cosa si trattasse, non appena percepii il cotone sotto alle mie dita.
'Una cuffia?' Domandai, aggrottando la fronte e scoprendo i miei occhi da quest'ultima, voltandomi leggermente alle mie spalle.
Un cordiale sorriso scappò involontariamente dalle mie labbra, come per ringraziarlo.
Lui, alzando le spalle, infilò le mani nelle grandi tasche del suo lungo giubbetto, lasciandomi intendere che non avesse altro con se.
D'altronde potevo considerarlo un bel gesto, paragonandolo a quello inesistente di suo fratello, al nostro primo incontro.
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