103- Skulduggery
"Hostage" | Doncaster
Il ragazzo si era presentato, aveva detto di chiamarsi Dalton ed era restato in silenzio per il resto del tempo, seduto a capo tavola.
Quando arrivò l'ora di pranzo, Trishar appoggiò un'enorme busta di carta sopra al tavolo e vi infilò le mani all'interno, cominciando a rovistare, mentre noi andammo a sederci.
Capii cos'avremmo mangiato quando i miei occhi si spostarono dall'immagine del mio amico e si fermarono sulla scritta in rosso, incisa sulla carta: McDonald's.
'Quindi non sei di qui?' La voce timida e simile a quella di una persona pronta a rompere il ghiaccio, richiamò la mia attenzione.
Mi voltai di scatto verso il ragazzo che aveva appena parlato ed una strana dimenticanza su come parlare prese il sopravvento nel mio corpo, facendomi per un attimo aprire la bocca a vuoto.
'Sì, sono nata qui a Doncaster', affermai, agitata, 'ma ho vissuto per qualche anno in America'.
A quelle parole cercai di darmi una regolata: premetti le mie labbra luna contro l'altra e presi un profondo respiro dal mio naso, cercando di sembrare abbastanza rilassata.
'E in quale parte dell'America?' Domandò, interessato.
Quelle domande non mi erano nuove, tanto che avrei potuto rispondere ancor prima che potesse porle.
Ogni persona che incontravo ormai mi chiedeva di dove fossi, forse a causa del mio accento, ed una volta spiegata la cosa si passava alla domanda numero due: in quale parte dell'America?
'Detroit', risposi, preparata.
Il ragazzo spalancò i suoi occhi chiari, 'oh sì, una volta visitammo quelle parti con la mia famiglia!' Esclamò.
Pensai che quasi sicuramente non mi sarebbe importato, così come non mi importava di tutte le persone che se ne uscivano con frasi del genere.
Ma giusti per sciogliere quell'imbarazzo momentaneo e per non sembrare annoiata, inarcai le mie labbra.
'Dalton', Trishar chiamò il suo nome, facendolo scattare nella sua direzione, 'potresti fare meno domande professionali e sembrare simpatico, per piacere?' Gli domandò, mentre le sue labbra carnose ed i tratti del suo viso orientale, tentavano di nascondere un sorriso divertito.
Il ragazzo difronte a me alzò gli occhi al cielo, scosse la testa e tornò a comunicare con me, facendo come se non avesse parlato.
'Quindi tu sei la sorella di Louis', la voce della ragazza, per la seconda volta, interruppe ciò che stava per dirmi, facendomi girare nella sua direzione, non troppo sorpresa.
Ormai anche quella domanda faceva parte del copione; evidentemente Louis conosceva più gente in Inghilterra di quanta potessi immaginare.
E la cosa non mi sorprendeva affatto, considerando che ormai, anche la persona più lontana da me ed impensata, sembrava aver rapporti stretti con mio fratello.
'Uhm...sì', risposi immersa nei miei pensieri, quasi come se mi stessi davvero abituando a quel questionario da parte di tutti, 'lo conosci?' Aggiunsi subito dopo.
'Io non molto bene, ma c'è qualcuno qui che lo conosce molto meglio di me'. La sua risposta però, detta con quel cenno di malizia sulla punta della lingua, mandò a puttane tutte le mie aspettative.
La ragazza di nome Celia, come aveva detto poco prima, spostò la coda dell'occhio verso il ragazzo castano, con l'ovvio motivo di metterlo a disagio: 'vero Dalton?' Lo provocò.
La faccia di quest'ultimo fu indescrivibile.
I suoi occhi dispersi e pieni di voglia di comunicare si trasformarono totalmente, dimostrandosi terrorizzati.
Lo vidi spostare lo sguardo attorno a se, agitato, e dopo essersi preparato abbastanza da poter dare una risposta sensata, tornò a guardarmi:
'Ci ha parlato di te, tempo fa'. Si giustificò, con una falsa decisione.
Il suo annuire una volta finito di parlare, mi lasciò intuire quanto stesse disperatamente cercando di trovare una scusa adatta per non destare sospetti.
I miei occhi si spostarono dal suo volto che, a primo impatto, sembrava tentare ancora di sembrare credibile, e si posarono sulla ragazza dai capelli ramati, 'perciò siete tutti loro amici?' Cercai di fare chiarezza.
Sapevo che probabilmente non erano amici o che ci fosse qualcosa infondo a quella reazione forzata; volevo semplicemente indagare e capire cosa, per l'ennesima volta, qualcuno, mi stava nascondendo.
Celia sembrò aprir bocca ma, prima di parlare troppo presto, aggrottò la sua fronte e si voltò a guardare il suo amico, incerta.
Il ragazzo sembrò evitare totalmente la sua occhiata confusa.
Si rivolse verso di me e sorrise con ancor meno sicurezza, risultando totalmente finto: 'diciamo che...sì, ci parla spesso di te', annuì, forse più a se stesso che a me.
E a quel punto non potei far a meno di evitare del tutto la sua ultima affermazione, voltandomi ed alternando lo sguardo tra tutti, perplessa.
Trishar era la persona sulla quale contavo più di tutti, in quel momento; d'altronde non conoscevo abbastanza bene gli altri due da minacciarli ed obbligarli a farmi dire tutto.
Mentre con Trishar lo avrei fatto, nonostante il nostro rapporto non fosse più quello di una volta, ero così stanca di non sapere mai le cose come stavano che lo avrei quasi attaccato al muro.
Lui però, quando aggrottò la fronte e si voltò poi verso il suo amico con due panini ancora in mano, lasciò passare un minimo spiraglio di speranza nel mio petto.
Forse non ero l'unica in preda ad una crisi isterica.
'Non lo sanno?' Domandò al castano, con un tono di voce già abbastanza stranito.
La voce della ragazza, ancora scossa ed intenta ad osservare i comportamenti di tutti noi, seguì quella di Trishar.
'Credevo che lo sapesse...' Bisbigliò, pentita.
Un inevitabile sospiro scappò dalle labbra di Dalton, i suoi occhi si dispersero nella stanza e le sue labbra svanirono in una fine linea sottile.
Clelia insistette nel guardarlo. 'Potevi dirmi che non lo sapeva...' Si crucciò subito dopo: il dispiacere sembrava colmare totalmente la voce di quella ragazza; quasi come se avesse appena detto la cosa più fuori luogo del mondo, in una situazione del tutto sbagliata.
Il ragazzo dal viso dolce ed ormai a disagio, abbassò lo sguardo al tavolo e grattò la base del suo collo, 'no...Io e Louis non...'
Lasciò la sua frase a metà, senza che io potessi comprendere cosa diavolo ci fosse sotto a tutta quella suspance.
Per un attimo mi venne voglia di saltargli addosso e di tirargli fuori le parole di bocca, a suon di schiaffi.
Non sapevo di cosa si trattasse, anche con il minimo sforzo ed il massimo dell'immaginazione, non ci sarei mai arrivata.
E tutto ciò mi rendeva nervosa, nervosa e curiosa.
E come minimo sarebbe stata una cazzata, come minimo si trattava di qualche stupidaggine ed io avrei tirato un sospiro di sollievo, dopo essermi preparata al peggio.
Non avevo idea di cosa frullasse nelle loro menti, black out totale, zero immaginazione.
'Tu e Louis?' Ripetei le sue ultime parole, tentando di inducetelo a parlare, una volta per tutte.
Il ragazzo alzò il capo ed aprì bocca per parlare: era con le spalle al muro, avevano ormai rivelato qualcosa che prima o poi sarebbe sarebbe dovuto venire a galla e non aveva alternativa.
Ma quando tentò di parlare, probabilmente per giustificarsi con l'ennesima scusa, Trishar lo interruppe.
'Stanno insieme', sbottò.
In quel momento i miei occhi si sbarrarono e il mio petto fu cosparso da quel male e quel senso di soffocamento che, quasi l'ansia non era assolutamente niente in confronto.
Spostai lo sguardo sconcertato sul ragazzo e quest'ultimo stava osservando le mie reazioni, con lì occhi spalancati tanto quanto i miei.
Non appena incrociai il suo sguardo, lo vidi sussultare e spostare il suo sul tavolo, mentre le sue labbra quasi tremavano dalla paura.
'Cioè...t-tu è mio fratello siete...' Lo indicai senza il mio volere, mentre la mia voce spezzata sembrava non voler collaborare.
'Gay', mormorò, alzando appena il capo.
La sua risposta mi fece sobbalzare; non era affatto quello ciò che intendevo dire.
Non ero sconcertata per quello, per il fatto che a mio fratello piacessero i ragazzi; e non volevo nemmeno che lo pensasse sinceramente.
Ciò che mi aveva lasciata senza parole e a corto d'aria era il fatto che, un pranzo a casa di Trishar e qualche ora senza di lui, ed avevo scoperto cose che mi nascondeva letteralmente da chissà quanto tempo.
'No!' Mi ripresi subito, strillando imbarazzata, 'dico, siete fidanzati', gesticolai ed annuii, aspettandomi una conferma.
Il ragazzo mi assecondò, spaurito: alzò le sopracciglia ed anche lui annuì, sconcertato da come improvvisamente mi ritrovai a strillare.
Uno strano verso scappò dalle mie labbra, mentre un tenero sorriso si dipinse sul mio volto.
Poteva quasi sembrare il sorriso di un'adolescente difronte alle smancerie delle coppie più discusse di qualche serie tv.
Improvvisamente il mio cervello sembrò ricollegarsi completamente alla mia bocca e alle mie ormai incontrollate azioni.
Scossi lievemente la testa e mi portai una mano sul petto, 'scusa se ti ho messo a disagio', mi ricomposi.
'Oh no, non c'è alcun problema', il ragazzo intervenne con rapidità, portando una mano dietro alla sua testa, 'sono abituato a reazioni peggiori', mi rassicurò.
Se stava cercando di non farmi sentire in colpa per esser sembrata una pazza davanti a tutti; beh, non ci stava riuscendo.
'No, davvero, scusa ma mio fratello non mi ha mai detto niente e come al solito finisco per fare queste figure', risi, amareggiata.
Non potevo credere che mio fratello mi stesse nascondendo una cosa del genere; non tanto perché mi interessasse sapere da chi fosse attratto, ma per come lo stava facendo.
Il suo non aver mai detto qualcosa di sospetto, la sua sfrontatezza nel tenermi nascoste le cose e il fantastico modo in cui ci era riuscito alla perfezione...
Improvvisamente mi sembrava di non conoscerlo più abbastanza.
Sapevo che poteva sembrare una cosa difficile da dire o ad affrontare, in Inghilterra e con la propria famiglia.
Potevo comprendere il fatto che, probabilmente, per un ragazzo come Louis, sarebbe stato complicato persino ammetterlo a se stesso.
Ma, insomma; in qualche modo credevo che il nostro rapporto fosse molto più aperto, molto più di quello con i nostri genitori e con Trishar, almeno.
'Bee?' La voce di Trishar mi riscosse dai tanti pensieri e mi fece scattare, facendomi notare che stavo fissando le mie gambe da ormai qualche minuto, in silenzio.
Alzai lo sguardo a lui e lo trovai chinato verso di me, con le sue braccia tese e due panini impacchettati tra le mani.
Di tutta risposta li afferrai e li portai velocemente sotto ai miei occhi, cercando così si rimediare e di sembrare poco traumatizzata dal fatto che mio fratello, detto in pochissime parole, mi mentiva chissà da quanti anni.
'Va tutto bene?' Mi chiese.
Il tono premuroso della sua voce sembrava quello di mio padre quando, da piccola, piangevo per qualche stupidaggine e lui voleva assicurarsi che fosse tutto apposto.
'Si, non preoccuparti', sorrisi ed annuii, cercando così di non fare la millesima figura della cretina, in una sola giornata.
Trishar sembrò darmi una rapida ed intenza occhiata, una di quelle poco fidate; dopodiché tornò a fare quel che stava facendo poco prima, nonché distribuire cibo ad il resto delle persone.
***
Per il resto del tempo che passai insieme a loro, cercai di non sembrare troppo suscettibile o dispersa nei miei pensieri.
Soprattutto per Dalton che, da quando la situazione aveva preso la piega sbagliata per colpa di una banalissima domanda, era molto silenzioso ed imbarazzato dalla mia presenza.
Mi parlava, sì, ma a differenza di prima che lui stesso aveva rotto il ghiaccio, parlava a monosillabi.
Non volevo che si sentisse a disagio per una cosa così stupida; d'altronde l'unico vero problema sarebbe stato chiedere spiegazioni a Louis...per il resto, che mio fratello frequentasse donne o uomini, non era affatto un mio problema.
Per questo mi concentrai a loro, ai miei quasi nuovi amici, e scherzammo insieme, censurando totalmente in fatto che avessi appena scoperto qualcosa che probabilmente mai avrei immaginato.
Celia era una ragazza simpatica, solare e non troppo vanitosa da accertarsi avere la completa attenzione addosso.
Era semplice ed a volte silenziosa, proprio come me. Ma nello stesso tempo sapeva divertirsi e stare insieme agli amici, senza alcun problema.
Dalton, oltre che al ragazzo di mio fratello, era anche un tipo molto serio e sulle sue.
Non era affatto scontroso, era gentile ed educato ma, a differenza di molti ragazzi della sua età, sembrava essere uno di quei tipi che domani il gruppo, tentando di tenerlo nei limiti.
Ad esempio, spesso avevo notato che lo prendevano scherzosamente in giro, cercando di farlo sgarrare e di farlo andare fuori dalle righe.
Mentre lui tentava di assecondarli e, nello stesso tempo, non sembrare troppo altezzoso.
Trishar era il solito, non aveva un carattere definibile con pochissimi aggettivi ma non era male.
Era un ragazzo con il quale potevi parlare di tutto, scherzate e sentirti al tuo agio.
Mi ero divertita, quella mattinata passò rapidamente e quando mi ritrovai a varcare la soglia di quella casa, a mio stupore, potei rendermi conto di quanto fosse stato bello passare del tempo con loro.
Non dico che avrei preferito restare a lungo, dopotutto eravamo rimasti insieme per abbastanza tempo; ma d'altra parte, se non fossero passate già sei ore, sarei restata senza alcun ripensamento.
***
Rinchiusi il portone d'ingresso con un violento tonfo e mi tolsi il leggero giubbetto che avevo portato dietro, ignara del freddo che faceva là fuori.
Inoltre, i miei jeans strappati alle ginocchia non aiutavano affatto, nonostante avessi aggiunto una maglia a maniche lunghe e piuttosto pesate.
Afferrai le mie braccia e passai le mani lungo di esse, cercando di riscaldarmi.
Sorvolando il freddo, se avevo deciso di non pensare troppo a ciò che avevo scoperto e a come affrontare la cosa; beh, quasi un'ora di tragitto per tornare a casa non mi aveva aiutata affatto.
Come avrei potuto distaccare il mio cervello da quelle cose, sapendo di dover passare del tempo seduta in metropolitana, in silenzio, e mentre infreddolita camminavo lungo i marciapiedi?
Sbuffai e mi resi conto che, come sempre nella mia via, ero davvero pessima nel gestire le cose nel mio cervello.
Camminai con un passo spedito verso il soggiorno, calcolando che, una volta presa la coperta di pile che tenevo sempre appallottolata ai piedi del divano, sarei andata a letto e sarei restata lì, ad aspettare il ritorno di qualcuno.
***
Era notte fonda, la luna sorse lenta ed inaspettata nel cielo, colpendo in pieno il mio volto assonnato.
La sua luce illuminava parte della mia stanza, permettendomi di intravedere il giusto indispensabile per non cadere dal letto e schiantarmi a terra, intontita.
Mi rigirai sul materasso e sbattei rapidamente le ciglia, cercando di focalizzare la forte luce biancastra della mia sveglia: erano circa le tre, non riuscii a leggere bene le altre cifre e, onestamente, nemmeno persi tempo a farlo.
Sbuffai e tornai distesa sul letto a pancia in sopra.
Ero sveglia nel pieno della notte, senza alcun motivo o causa; avevo aperto gli occhi di scatto, quasi come se la luna riuscisse ad infastidire il mio sonno più dei raggi penetranti del sole.
Probabilmente avevo fame, considerando che non avevo fatto cena e che i miei genitori mi avevano lasciata dormire, senza alcuna preoccupazione.
Non li vedevo infatti dal giorno prima, da quando avevo lasciato casa per raggiungere quella di Trishar; così come con Louis che, come se sapesse di cosa ero venuta a conoscenza, sembrava stesse giocando ad evitarmi il più possibile.
In ogni caso, per qualche assurdo motivo, il mio cervello sembrava essere lucido ed attivo tanto quanto il mio corpo; brutto segno per qualcuno che aveva tutte le più motivate intenzioni di rimettersi a dormire.
Decisi di chiudere gli occhi e di smetterla una volta per tutta di andare conto me stessa e di riflettere sempre sulle stesse, stressanti cose.
Presi un profondo respiro dal naso e tentai di rilassarmi sotto al calore delle coperte, concentrandomi al solo e leggero suono dell'orologio.
I secondi passavano lentamente, inesorabilmente, l'uno dopo l'altro e senza alcun risultato.
Era tutto inutile; tutto fottutamente inutile!
Non riuscivo a spegnere quella persistente lampadina nella mia testa e a scollegarmi completamente, tornando così in quel mondo più semplice e gradevole; il mondo dei sogni.
Colpii il materasso vuoto e freddo accanto a me, innervosita, e provai a cambiare posizione nel letto, per l'ennesima volta.
Ma sapevo che il sonno non sarebbe arrivato, mi conoscevo abbastanza bene per sapere che nemmeno uno dei più grandi miracoli mi avrebbe aiutata a chiudere occhio.
Non era la prima volta che succedeva.
Non ero solita dare la completa colpa di qualcosa a qualcuno; spesso quando abitavo in America mi capitava di passare intere notti a fissare le macchine dalla soglia della mia finestra, fino all'alba.
Ma in Inghilterra era diverso. Mentre in America erano rare le volte in cui vedevo sorgere il sole, da quando la mia vita era cambiata e tutto attorno a me si era fatto complicato, per me era raro passare un'intera notte senza spalancare gli occhi.
Alla fine, decisi di alzarmi.
Normalmente, quando non riesco a dormire, piuttosto che uscire e fare qualche passo all'interno della casa, continuo a fissare qualche angolo oscuro nella mia stanza, in silenzio.
In realtà, anche se a volte poteva sembrare l'esatto opposto, io odiavo il silenzio.
Mi spingeva a pensare, farmi domande, ricordare, incolparmi e persino odiarmi per colpa di qualcosa di davvero ridicolo.
E siccome sapevo benissimo su cosa sarebbe stata ferma la mia mente, nel caso fossi rimasta lì, decisi di stringermi in quei pochissimi abiti che avevo addosso e di girare per la casa, evitando di torturarmi ancora.
Stava piovendo fuori, non era il tempo ideale per una passeggiata all'esterno, per questo abbassai con cautela la maniglia della mia camera e sbirciai il corridoio, assicurandomi che le porte fossero tutte chiuse e che tutti stessero dormendo.
La camera dei miei genitori era chiusa e dall'interno non riuscii ad udire altro che il costante russare di mio padre.
Mi chiedevo spesso come mia madre fosse in grado di dormire e di non soffocarlo con un cuscino, piuttosto.
Ad un tratto, non appena spostai lo sguardo sulla porta che conduceva alla camera di mio fratello per assicurarmi che anche lui stesse tranquillamente riposando; un rumore attirò la mia attenzione. Un rumore non troppo forte, un rumore che se soltanto fossi ancora nella mia camera, mai avrei udito.
Il cuore nel mio petto, sussultò letteralmente.
Potei giurare di aver perso qualche anno di vita quando, la calma ed il silenzio che avvolgeva la nostra casa, fu interrotto da quell'inaspettato suono.
Sbarrai gli occhi e, senza alcun preavviso, andai a fissare il fondo del corridoio, dove la porta di vetro mi divideva dal soggiorno e portava alle altre stanze.
E infondo, proprio dalla cucina, una luce forte illuminava l'intera stanza, distinguendosi dal resto della casa.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro