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CAPITOLO OTTO: we all go mad sometimes

Dedicato a chi lotta ogni giorno e trova comunque la forza per sorridere e affrontare un'altra giornata.
siete forti, non mollate

vi lascio qui sotto dei numeri verdi da contattare nel caso sentiste di non farcela. sappiate che vi rialzerete, c'è sempre una luce che vi guida, sempre.

ASK FOR HELP 🩵

TELEFONO AMICO: 02 2327 2327
TELEFONO AZZURRO: 1969
NUMERO PREVENZIONE SUICIDIO: 800 334 343
NUMERO PREVENZIONE DISTURBI ALIMENTARI: 800 180 969
NUMERO VIOLENZA DOMESTICA: 1522
SUPPORTO PSICOLOGICO: 800 833 833
SUPPORTO PSICHIATRICO: 800 274 274
TELEFONO ROSA: 06 375 18282
SUPPORTO PER AUTISMO: 800 031 819

⚠️ TRIGGER WARNING ⚠️
attenzione: il capitolo tratta argomenti sensibili. Se voi o qualcuno di vostra conoscenza si trovasse in una situazione analoga o si trovasse in pericolo, non esitate a chiedere aiuto.

CAPITOLO OTTO: we all go mad sometimes

- your perfume is all that's left of you

Mi osservò attentamente, con le mani infilate in tasca. Il suo sguardo cadde dai miei occhi, al mio viso, a tutto il mio corpo, come se stesse cercando di studiare i miei movimenti e le mie espressioni.

Scoccò la lingua sul palato e gettò il mozzicone della sua sigaretta a terra mentre con nonchalance tentava di spiare dentro casa. Se ne stava fermo lì, la testa piegata di lato e lo sguardo cupo. Mi scrutava attentamente, gli occhi stretti in una fessura.

<<E tu che ci fai qui?>> Chiesi osservando la sua chioma scura e mossa dal vento di gennaio. I suoi occhi color nocciola erano sempre stati in grado di inchiodarmi al suolo, anche se non sapevo l'esatta ragione. Forse era il suo modo di osservarmi, quel modo ambiguo che aveva di fare.
Sembrava essersi rimesso in forma dall'ultima volta che lo avevo visto, nonostante avesse le occhiaie e sembrasse non dormire da giorni esattamente come me. Ma era sempre lui. Aveva sempre quello sguardo che mi raggelava e mi faceva rabbrividire.

<<Non ci vediamo da quanto, un anno? E nemmeno mi dici ciao. Che maleducato.>> Sbottò arricciando il naso. <<Allora? Mi fai entrare o no?>>

Restai immobile a guardare Blake mentre il terrore mi scorreva nelle vene e mi si inerpicava fin dentro le ossa. Il pensiero fisso che fosse venuto a dirmi che, in realtà, lo aveva mandato Eve a dirmi di non cercarla più s'impossessò della mia mente e nel frattempo lui entrava in casa mia con le mani in tasca e lo sguardo quasi del tutto assente.

Blake era stato il mio incubo peggiore. Avevo cercato di essergli amico, di andare oltre al primo impatto, ma c'era sempre stato qualcosa in lui che mi turbava. Ricordavo perfettamente il suo sguardo, il modo che aveva di osservarmi, quasi come se aspettasse che facessi la mossa sbagliata. C'erano state delle occasioni in cui eravamo stati più o meno vicini, in cui avevamo parlato liberamente e in cui mi aveva fatto più o meno da spalla, mentre Eve era ricoverata. C'erano stati momenti in cui avevo pensato fosse degno della mia fiducia, che le sue intenzioni fossero pure e genuine. Mi aveva visto nello stato peggiore, molte volte. Mi aveva visto piangere quando mi avevano comunicato che Eve non migliorava, mi aveva visto arrivare in preda al panico alla telefonata della dottoressa Robins di correre lì perché Eve stava male. Ma mi aveva visto anche fare di tutto per farla ridere. Mi aveva visto addormentarmi sulla sedia accanto a lei e non lasciare il suo capezzale finché non mi cacciavano.
Ma poi qualcosa era cambiato. Avevo capito, ero andato oltre ai suoi sorrisi e alla sua gentilezza, al suo modo di fare sempre amichevole con tutti. Avevo visto il modo in cui guardava Eve, con quella maniera sofferta che mi aveva sempre turbato. Ricordavo il modo in cui li avevo visti ridere insieme e la maniera in cui ci guardava ogni volta che l'accarezzavo o le davo un bacio. Ricordavo come sembrasse l'ombra di Eve, come comparisse magicamente ogni volta che mi trovavo da lei per vederla.

E proprio in quell'istante in cui lo guardavo sfiorare il tavolo della cucina, quella sensazione di forte disagio tornò a pulsarmi nelle vene.
E mi si contorse lo stomaco quando, dopo un profondo respiro, si voltò verso di me e mi guardò dritto negli occhi. Mi sentii congelato e con i piedi inchiodati a terra, quando prese una cornice con una foto mia e di Eve e l'osservò, accarezzando la mia ragazza e i suoi capelli lunghi e mossi. Sorrise, quando vide il suo sorriso luminoso e per un istante la vidi la luce nei suoi occhi che Eve aveva sempre detto avesse. Ciò che non sapeva era che quella luce, la generava lei.

<<Ha sempre avuto questo sorriso che illuminava chiunque l'osservasse.>> Disse abbandonandosi a un sospiro. <<La mia migliore amica scompare e tu nemmeno mi chiami? Grazie Julian, grazie di cuore.>> Disse di nuovo. Incrociò le braccia al petto e mi squadrò da cima a fondo, come se stesse studiando ogni mia singola mossa ed espressione del viso per cercare di capire come mi sentissi o a cosa stessi pensando.

<<D'accordo, ora basta.>> Annunciai allargando le braccia e avvicinandomi a lui. Lo presi per il braccio e lo accompagnai alla porta, anzi lo trascinai per lo più perché lui non ne voleva sapere di andarsene. <<Ciao Blake, è stato un piacere. Breve ma intenso. Grazie della visita! Addio Blake.>>

Blake strinse gli occhi a fessura e piegò la testa di lato, infastidito e disturbato. Posò una mano sulla porta e la richiuse. Le sopracciglia corrugate e lo sguardo cupo continuavano a raggelarmi e farmi mancare il respiro. Mi chiesi cosa trovasse in lui Eve, cosa le trasmettesse tutta la fiducia che gli dava.

<<Julian, sono serio.>> Esclamò. <<Voglio sapere di Eve.>>

<<Anche io lo sono.>> Replicai sarcastico. <<Sono contento di vedere che stai meglio, ma dovresti andartene adesso. Sul serio.>>

Blake mi prese per il polso e lo strinse, con forza. Mi guardò con gli occhi lucidi e le labbra tremanti, era sul punto di piangere. Sembrava la stessa persona che avevo visto nei primi mesi di Eve al centro, quel ragazzo che non sapeva dove trovare la forza per rialzarsi ma in qualche modo lo faceva lo stesso. Quella persona che si aggrappava alla speranza che un giorno Eve si rialzasse, e pregava insieme a me. Sembrava il ragazzo che lottava per la sua vita e che soffriva così tanto da non riuscire nemmeno più a respirare senza qualcuno che gli ricordasse come si faceva. Ciò che non aveva mai capito era che quel qualcuno non poteva essere Eve, non avrebbe mai potuto esserlo. Perché anche lei non sapeva più come rimettere insieme la sua vita, perché anche lei stava soffrendo come mai le era successo e cercava di rialzarsi e tornare a vivere.

<<Julian, per favore.>> Mi supplicò. <<Non sono venuto qui per litigare, ne tanto meno per mettermi a discutere in un momento come questo. Sono qui perché voglio sapere cosa sta succedendo e lo voglio sapere da te.>>

Sospirai, frustrato e combattuto. Ma alla fine, lasciai la maniglia della porta e lo intimai a sedersi. Non sapevo se raccontare esattamente ogni cosa, se dirgli che le avevo chiesto di sposarmi e che lei avesse accettato. Non mi fidavo di lui, non pensavo potesse esserci una ragione per la quale iniziare a farlo nuovamente, ma il suo sguardo perso e la sua disperazione la percepivo sulla pelle. Per cui, mi misi una mano sul cuore e gli offrii un caffè.

<<Come lo hai saputo?>> Gli chiesi arricciando il naso.

Blake fece un amaro sorriso e sollevò le sopracciglia osservandomi. <<Me lo stai chiedendo sul serio o mi stai prendendo in giro? È su tutti i notiziari Julian, anche quelli non locali. Persino sui social. E ci sono giornalisti fuori da casa tua che attendono che tu esca, come avvoltoi in cerca di notizie da dare in pasto all'opinione pubblica. Giornalisti dai quali per giunta sono dovuto fuggire perché continuavano a fare domande alle quali, anche volendo, non avrei potuto rispondere.>>

Inspirai profondamente e distolsi lo sguardo. Era vero, c'erano piantonati giornalisti in attesa di notizie fuori da casa a quasi tutte le ore della giornata. Mi ero ritrovato a dover telefono alla polizia pregandoli di farli allontanare. I miei amici non riuscivano a entrare e uscire da casa senza essere fermati e, purtroppo, valeva anche per me.

Avrei dovuto immaginare che anche non volendo la notizia sarebbe arrivata a Blake. Il fatto era che da quando avevo denunciato la scomparsa di Eve non avevo più voluto accendere la televisione e non avevo più voluto leggere un singolo giornale. Avevo ricevuto telefonate e messaggi da persone che frequentavano il college insieme a lei e a me, ma non avevo risposto a nessuno. Avevo ricevuto messaggi sui social, commenti sotto le foto, ma non mi ero mai soffermato a pensare a quanto la notizia potesse avere fatto il giro del mondo, praticamente. E a quel punto, allora, mi chiesi per quale ragione non l'avessero ancora trovata, perché se il mondo era a conoscenza dell'enorme perdita che aveva subito lei non era ancora tornata a casa.

<<I notiziari, giusto, non ci avevo pensato scusami.>> Tossicchiai. <<Qualcuno che guarda la televisione esiste ancora.>> Sospirai e gli allungai la sua tazza di caffè, mentre mi mettevo a sedere al suo fianco. <<Inizia con il dirmi da quanto tempo aveva ricominciato a stare male e per quale ragione non me lo hai detto.>>

Blake rimase di stucco a quell'affermazione, quasi fosse sorpreso dalla mia domanda. Sembrava confuso, anche se non mi seppi spiegare la ragione. <<Lei non...>> Lasciò la frase in sospeso e prese un respiro profondo. Quando vide che avevo sollevato le sopracciglia e non avevo intenzione di smuovermi o parlare finché non avesse risposto, si decise a riprendere fiato e parlare. <<Mi ha chiesto di non parlarne e di mantenere il segreto. L'ho supplicata di parlarne con te, ma non ne voleva sapere. Non faceva altro che ripetere quanto steste bene, di recente, quanto vedesse la tua gioia e quanto la rendesse felice. E che proprio per questa ragione non voleva darti preoccupazioni o rovinare tutto.>>

Strinsi il pugno e i denti, mordendomi l'interno guancia nel tentativo di non mettermi a urlare. <<Quindi è vero, ha avuto una ricaduta...>>

Blake, con gli occhi lucidi, distolse lo sguardo e lo rivolse altrove. Mi chiesi dove fosse andato con la mente, se anche lui stesse ricordando quella parte di Eve divorata da una malattia così distruttiva da privarla di ogni cosa bella della vita, anche del respiro stesso. E poi mi chiesi come abbia potuto non accorgermi. Ero stato uno stupido, al
punto tale che non mi ero reso conto che aveva smesso di mangiare nuovamente.

<<Aveva ricominciato...>> Blake deglutì rumorosamente, come se gli provocasse un dolore immenso. <<Aveva di nuovo pensieri intrusivi.>> Mi spiegò. <<Mi ha telefonato, un pomeriggio di qualche mese fa, piangendo disperata. Mi ha detto che si sentiva in colpa per aver mangiato così tanto. Le ho chiesto cosa avesse mangiato e se tu fossi in casa, se ci fosse qualcuno lì con lei, per aiutarla. Ma era da sola. Mi ha chiuso il telefono in faccia qualche minuto dopo, dicendo che avrei dovuto lasciare perdere perché non era nulla di importante. L'ho richiamata varie volte, ma non ha mai risposto. Così sono venuto qui, mi sono spaventato. Ricordo che la porta era socchiusa e quando sono entrato c'era così tanto silenzio che mi sono venuti i brividi. L'ho trovata seduta a terra davanti al frigorifero. Piangeva, era accucciata e abbracciava se stessa, a terra e piangeva. Aveva una felpa nera con il cappuccio, stringeva in mano un barattolo di burro di arachidi e non faceva altro che piangere. Continuava a ripetere il tuo nome, a dire che ti avrebbe deluso, che ti avrebbe causato preoccupazioni, che ti avrebbe distrutto la vita di nuovo. E continuava a chiedermi perché, cosa avesse fatto di male e perché tornasse sempre allo stesso punto. Così, dopo averla tranquillizzata, l'ho convinta a parlare con la dottoressa Robins e l'ho accompagnata da lei. Ma non sono riuscito a convincerla a parlare con te. Era convinta di potersela cavare da sola.>>

Scoccai la lingua sul palato e annuii con un sorriso dolce amaro. Eve era sempre stata quel tipo di persona che pur di non causare preoccupazioni alle persone che amava tentava in ogni modo di rialzarsi da sola. Era sempre stata convinta di potersela cavare da sola, ma se c'era una cosa che ancora non aveva capito era che la forza stava anche nel chiedere aiuto quando ci si rendeva conto di non potercela fare senza qualcuno a stringerti la mano.

<<Non ti è venuto in mente che da sola non ce l'avrebbe fatta?>> Domandai irritato. Strinsi la tazzina fra le mani, con forza, fino a vedere le nocche diventare bianche.

<<Tu la sottovaluti, Julian.>> Replicò Blake incrociando le braccia al petto.

<<Io la conosco, Blake. Non penso che sia una persona debole ma l'ultima volta che ha promesso che ce l'avrebbe fatta e che ha chiesto di non essere messa sotto pressione da me e dai suoi amici, a fine estate l'ho portata in pronto soccorso e da lì è stata ricoverata per un anno e mezzo. Quindi, Blake, io conosco la mia ragazza e ti posso assicurare che fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Soprattutto quando si tratta di questo.>> Sbottai. <<Dato che la reputi la tua migliore amica, avresti dovuto chiamarmi. Le sarei stato accanto come ho sempre fatto. Ma tu sei un'egoista, hai pensato solo a te stesso e a sentirla vicina. Hai pensato solo al fatto che si fosse confidata con te invece che con me e ne sei stato fiero. Eri fiero del fatto che avesse scelto te e non me. Perché è sempre stato così. Dietro la tua facciata da angelo c'è la persona che è sempre stata innamorata persa di Eve e che ha pregato in ginocchio che mi lasciasse. Tu ci hai sempre sperato Blake e non dire che non è vero. Hai taciuto sulla sua ricaduta perché speravi che scegliesse te e scegliesse di restare accanto a te. Ma ti svelo un segreto, Eve sceglierà sempre me. Sempre e per sempre.>> Ormai avevo perso la pazienza. Non riuscivo più a tacere. Mi sentivo bruciare di rabbia e non c'era niente che potessi fare per tacere ancora. Lo avevo fatto per troppo tempo, troppo a lungo, tutto per lei. Avevo tentato in ogni modo di ingoiare il groppo che stringeva la mia gola ogni volta che Eve pronunciava il suo nome. Ma questa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non ce la facevo più. Ero un fiume in piena, accecato dalla rabbia.

<<Julian!>> La voce di Landon mi raggiunse forte e chiara e lo vidi scendere le scale di corsa con Matthew dietro di lui. <<Adesso basta.>>

<<Ciao Blake.>> Esclamò Matthew. <<È da un po' che non ci si vede.>> Lo osservò intensamente da cima a fondo mentre lui, dal canto suo, aveva abbassato lo sguardo e si era alzato in piedi.

Blake mi venne incontro e si fermò a pochi centimetri dal mio viso, con le lacrime agli occhi. <<Ti sbagli.>> Sussurrò. <<Non ho mai desiderato altro che la sua felicità, anche se implicava guardarla sorridere con qualcun altro. Tu non sai niente, non ne sai proprio nulla di ciò che mi lega a Eve. Tu lì non c'eri, non hai visto ciò che ho visto io e non hai vissuto ciò che abbiamo vissuto noi. Io le devo la vita, Julian. Tutta la mia vita, la devo a lei. Sono uscito da quel posto del cazzo, grazie a lei. È stata l'unica persona a offrirmi il suo aiuto, ed è stata la mia unica amica. Quindi sì, io ho sempre amato Eve e lo farò sempre. E sì, so che sceglierà sempre te perché ho visto quanto la rendi felice. Ma non sono la persona che credi. Tu non mi conosci e non hai mai voluto farlo. Invece che farti aiutare da una persona in più hai scelto di farmi la guerra per pura gelosia che, lasciatelo dire, è basata sul nulla.>> Fece un passo indietro e si diresse verso la porta. <<Grazie del caffè.>>

Lo osservai uscire e sbattere la porta con un tonfo sordo. Sentii la rabbia scemare piano piano ed essere sostituita dal senso di colpa e dal doloroso ricordo di Eve con la flebo attaccata al braccio. Ricordai Blake al suo fianco che le stringeva la mano e sonnecchiava con la testa posata sul materasso. E ricordavo lei, che non aveva più nemmeno la forza per sorridermi quando mi vedeva. Quanto era stata vicina alla morte, ancora mi venivano i brividi al solo pensiero. Avevo sempre saputo che Blake fosse innamorato di Eve, che tutto ciò che aveva fatto e faceva per lei era mosso dall'amore che provava. E nei primi periodi, in realtà, ero contento che avesse qualcuno al suo fianco quando uno di noi ragazzi non c'era. Ma poi quando iniziai a notare di più i piccoli gesti, la gioia di sapere che aveva un amico era stata sostituita dalla paura. La paura che lui potesse essere la persona che le avrebbe salvato la vita, perché era lì al suo fianco, viveva con lei e accanto a lei. Io no. Io non potevo. Ed ero stato terrorizzato, paralizzato dalla paura.

<<Ora comprendi la ragione per cui non facciamo altro che ripetere che ti devi dare una calmata?>> Fu Landon il primo a parlare e a rompere il silenzio. <<Anche a me non è mai piaciuto e ho sempre compreso e sostenuto la tua frustrazione. Ma ti sembrava il momento per tirare fuori l'argomento?>>

<<Sono stato zitto per troppo.>> Risposi. <<Mi dispiace ma il filtro bocca - cervello ha smesso di funzionare quando è apparso a casa mia proprio poco la scomparsa di Eve.>>

<<Tranquillo, ce ne siamo accorti. Tu sai che la considera la sua migliore amica.>> Landon sembrava star cercando di mantenere la lucidità il più possibile. Io l'avevo persa, fin da quando il panico si era nutrito di me nel momento in cui mi ero reso conto che lei non c'era più. <<Perché trovi strano che sia venuto a cercarti? Sarebbe stato strano il contrario, Jules. Cerca di ragionare un attimo per favore. Non trarre le tue conclusioni da solo.>>

<<Ma io non...>> Non ebbi tempo di terminare la frase perché Landon alzò le spalle in segno di resa e si voltò a prendere una sigaretta, ma Matthew mi si parò davanti e mi osservò parecchio contrariato.

<<Cosa staresti insinuando?>> Aveva le sopracciglia sollevate e lo sguardo scavato dalla confusione. Sembrava avermi letto nel pensiero e sembrava stranito dal fatto che potessi credere che fosse una coincidenza quasi perfetta.

<<Non sto insinuando proprio nulla. È solo una strana coincidenza, non trovate?>> Dissi soltanto.

Ma prima che loro potessero rispondere presi la giacca e le chiavi della macchina, diretto fuori di lì il prima possibile. Mi sentivo soffocare. Da tutto, da tutti. Mi mancava il respiro, credevo fossi sul punto di esplodere.

<<Julian dove stai andando?>> Urlò Landon sulla soglia della porta. <<Stai perdendo la testa! Torna qui!>>

<<Devo schiarirmi le idee, non ce la faccio più.>>

Mi chiusi la porta alle spalle e lasciai i miei migliori amici lì ad osservarmi senza più sapere nemmeno sapere che cosa dire o fare. Mi rendevo conto di quanto dovesse essere frustrante per loro, ma io non ce la facevo più. Nel vano tentativo di prendere una boccata d'aria mi ritrovavo costantemente senza respiro.

Ci trovavamo davanti al centro psichiatrico in cui Eve era stata ricoverata. Scarlett era al mio fianco con il fumo fra le labbra, osservava la porta d'ingresso mordicchiandosi il labbro e con le lacrime agli occhi. I suoi capelli rossi svolazzavano nel vento e i suoi vispi occhi verde smeraldo erano immersi nei ricordi, probabilmente. Tutte quelle volte in cui eravamo stati in quel posto solo per strappare un sorriso a Eve, per distrarla un po' e fare una passeggiata nei giardini, per guardare la televisione con lei. Ma anche per avere la sua testa appoggiata alla spalla e accarezzarla mentre piangeva e restava in silenzio. Erano stati i mesi più duri delle nostre vite, così duri che il solo ricordo faceva venire da piangere.

<<Non avrei mai pensato di rivedere questo posto tanto presto.>> Sussurrò mentre spegneva ciò che rimaneva della sua sigaretta e infilava le mani nelle tasche.

<<Non avrei mai più voluto venire qui, onestamente.>> Replicai tossicchiando e che attendendo il padre di Eve chiudesse la chiamata con Sophie per entrare.

Avevo telefonato a entrambi quando avevo creduto fosse il momento di prendere posizione e fare una mossa. Pete era stato dalla polizia e li aveva sollecitati in toni anche poco pacifici, da ciò che mi era parso di capire. Aveva chiesto informazioni e se ci fossero novità, ma loro non avevano ancora in mano nulla. Avevano analizzato il suo telefono e avevano chiesto di interrogare le persone con cui era stata più in contatto gli ultimi giorni prima di sparire. Nonostante fossi stato io stesso a denunciarne la scomparsa, avevano chiesto di me a Pete. Gli avevano detto che mi sarebbe arrivata una comunicazione di convocazione per interrogatorio, oppure sarebbero venuti a cercarmi direttamente di persona. Avevano anche detto che avrebbero intensificato le ricerche e che avrebbero utilizzato ogni mezzo a loro disposizione, ma ancora nulla.

Ad ogni modo in realtà, essendo io ed Eve coppia di fatto da tanti anni, avevo accesso alle informazioni personalmente e i medici con me avevano parlato più volte spiegandomi la situazione, anche quando Eve era ricoverata. Avevo spiegato a suo padre e sua madre che avevamo letto il suo diario e ciò che avevamo scoperto. Sophie si era ritrovata a piangere sulla mia spalla, con il cuore a pezzi, facendomi intendere che ne lei ne suo marito erano al corrente della situazione. Così, dopo aver deciso di andare al centro con Scarlett, Pete si era offerto di venire insieme a noi e desiderava spiegare la situazione ai medici.

<<Julian?>> Mi chiamò Scarlett. <<Sono stata una pessima amica con lei?>>

La sua domanda mi lasciò a bocca asciutta per diversi istanti, mentre il mio cuore si spezzava sempre un po' di più. La sua scomparsa aveva generato una catena di sensi di colpa in ognuno di noi. Era un continuo esaminare i fatti, ogni singolo evento avvenuto negli ultimi periodi per capire. Eppure, invece che credere che non fosse colpa nostra, eravamo soltanto colmi di dubbi, tristezza e dolore. Per noi, era come se avessimo potuto fare qualcosa per evitare che accadesse.

<<Sei la migliore amica che lei possa avere, Scarlett.>> Le dissi. Le misi le mani sulle spalle e le imposi di guardarmi negli occhi, nonostante lei stesse piangendo e odiasse farlo davanti a qualcuno. Aveva sempre voluto farsi vedere forte, mostrarci il bicchiere mezzo pieno e il lato positivo di ogni cosa. Negli anni, dopo ciò che aveva passato, era diventata quel tipo di persona che non faceva altro che ripetere che per ogni problema esisteva una soluzione, più o meno semplice, ma esisteva. Non demordeva, mai. Le difficoltà esistevano per essere risolte, il dolore per renderti più forte, ogni nodo per essere sciolto.

Ma in quel momento, mentre i suoi occhi verdi erano immersi nei miei, la vedevo vacillare come non accadeva da tempo. La sua positività si stava lentamente spegnendo come una candela, ed io mi sentii impotente a riguardo. Mi sentivo nella stessa maniera e mi spezzava il cuore sapere che non c'era nulla che potessi fare per impedire che accadesse.

<<Allora perché io mi sento come se non fosse così?>> Continuò facendo un passo indietro. <<La specializzazione mi ha portato via tanto tempo e lo farà ancora. Ho perso di vista il quadro generale. Se fossi stata più presente, me ne sarei sicuramente resa conto. Se mi fossi fatta vedere un po' di più, invece che venire da voi per dormire al suo fianco due ore e vederla prima del turno successivo forse...>>

<<Se pensi che essere più presenti avrebbe impedito che tutto questo accadesse, allora io e Sophie dovremmo andare all'inferno immediatamente.>> Pete s'intromise nella conversazione. Aveva le mani in tasca e un sorriso amaro e triste si era dipinto sul suo viso. Percepivo la tristezza e il dolore per ciò che stava accadendo, come lui percepiva la nostra.

<<Viviamo in due stati differenti da anni.>> Spiegò. <<Fisicamente non eravamo presenti nemmeno quando è stata ricoverata in questo posto. Comprendo come ti senti, molto più di ciò che credi. Quando Julian ci ha chiamati, anni fa, per comunicarci che aveva portato in pronto soccorso Eve in piena notte il mondo mi è crollato addosso. Ho pensato e riflettuto su ogni singola cosa che ho fatto dalla nascita di mia figlia fino a quel momento, domandandomi cosa avessi sbagliato e se fosse stata una mia azione a portarle tutta quella sofferenza. Mi sono fatto esami di coscienza infiniti, sono rimasto in silenzio per mesi, persino con mia moglie. Quando venivo a trovarla mi sentivo ogni volta peggio della precedente ed ero così terrorizzato dall'idea di perdere mia figlia e dall'idea che fosse colpa mia che ho smesso di pensare lucidamente e mi sono fatto pilotare dalla paura, allontanandomi da lei e da Sophie. Poi qualcosa è cambiato, non so dire bene cosa e in quale momento preciso. Ma un giorno sono venuto qui con Julian e l'ho sentita ridere. Ho visto nei suoi occhi che la mia bambina era ancora lì e che stava provando a lottare con le unghie e con i denti per riavere la sua vita. Anche se c'era chi pensava solo che si stesse arrendendo. Quel giorno, mi ha abbracciato così forte, come mai in vita sua aveva fatto. Mi ha ringraziato, ha detto che mi amava e che le dispiaceva. Lì ho capito. Ci sono cose che non possiamo controllare, per quanto ci si possa impegnare e fare del proprio meglio per stare accanto alle persone che amiamo. A volte bisogna lasciare che il destino faccia il suo corso e renderci conto che non possiamo sempre controllare tutto. Il fatto che tu lavori sodo per venti ore al giorno non ti rende colpevole di ciò che è accaduto e non ti rende una pessima amica. Anche se non lavorassi, sarebbe successo lo stesso. Non colpevolizzarti, Scarlett. Io non so cosa sia accaduto quella notte e non so se nei giorni precedenti le fosse successo qualcosa che ha taciuto di sua spontanea volontà. Non so se se ne sia andata volontariamente o se qualcuno le abbia fatto del male. Ma a questo punto, credetemi, spero tanto nella prima ipotesi. So che voglio scoprire cosa le è successo e che smuoverò mari e monti per farlo, anche se fossi costretto a diventare io stesso membro della polizia. Se poi scopriremo che se n'è andata volontariamente per una sua scelta, la lascerò andare promettendo che di qualsiasi cosa lei abbia bisogno la porta di casa sarà sempre aperta per lei. Ma ora, cercare un colpevole in noi stessi non farà altro che peggiorare la situazione e farci crollare. Quindi, e mi riferisco soprattutto a te Julian, basta farlo. Trova la forza per non mollare perché sono sicuro che lei non vorrebbe vedere nessuno di noi crollare a picco in questo modo. Ora entriamo e parliamo con la dottoressa Robins, chiediamo informazioni e vediamo cosa riusciamo a scoprire. Passo dopo passo ricostruiamo questo puzzle.>>

Riuscii soltanto ad annuire, in risposta a Pete. Non sapevo cosa ci avrebbe potuto dire la dottoressa, se ci dicesse qualcosa che potesse essere utile a ritrovare Eve. Per la verità, avevo paura che potesse dirci che in realtà sarebbe stato lecito credere che se potesse attentare alla sua vita, oppure che l'ipotesi dell'allontanamento volontario da parte della polizia sia stata lecita.

<<Forza Jules, andiamo.>> Scarlett mi richiamò e quando alzai lo sguardo la trovai con la mano tesa verso di me e l'accenno di un sorriso colmo di compassione. Era così triste in quei giorni, a tal punto che si era chiusa in sé e non parlava con nessuno da giorni. Mi spezzava il cuore. Scarlett aveva sempre definito Eve come il suo sole. Per lei, era il sole. Eve era la sua persona preferita al mondo, da sempre, ed era il suo punto fermo. Il suo rifugio, la sua spalla, la sorella che nessuna delle due aveva mai avuto. Si erano trovate, si erano scelte, si erano rimaste accanto in ogni singolo istante da quando i loro destini si erano incrociati. Da allora nessuna delle due aveva vissuto nulla senza l'altra, che fossero esperienze belle o brutte, calamità naturali e uragani o momenti di pura gioia e felicità. Li avevano vissuti tutti insieme. Persino quando succedeva che mi cacciasse dal mio stesso letto, buttandomi a terra, solo per dormire insieme alla sua amica e restare in silenzio, a ma faceva una tenerezza immensa e inspiegabile. Non avevo mai visto due amiche con un legame indissolubile come il loro. <<Qualsiasi cosa dirà, l'affronteremo insieme.>>

<<Julian, signor Morgan, Scarlett...>> L'infermiera all'accettazione ci salutò cordialmente e con un amaro sorriso. Dopo tutti i mesi passati a entrare e uscire da quel posto per Eve, ormai tutti avevano imparato a conoscerci. La Robins spesse volte mi offriva dei caffè e mi domandava come mi sentissi, soprattutto quando il panico mi invadeva e io non riuscivo a capire cosa fare per aiutare la mia ragazza. Sapeva quanto mi sentissi inutile, quanto spesso volte non sapessi cosa dire. <<In circostanze normali vi chiederei cosa ci fate qui. Vorrei solo che sappiate quanto mi dispiace. Immagino vogliate parlare con la dottoressa Robins.>> L'infermiera Caroline aveva posato carta e penna e stava già componendo il numero del cerca persone della dottoressa.

<<Grazie, Caroline.>> Le dissi con un groppo in gola.

<<Andate pure, vi aspetta.>> Continuò. I suoi capelli color mogano erano legati in una crocchia perfetta. Mi osservava con gli occhi colmi di compassione e una mano posata sul petto. <<Julian se avessi bisogno di qualcosa lo sai che noi...>>

<<Sto bene.>> Sbottai con le mani in tasca. <<Io sto bene. Apprezzo molto e ti ringrazio, ma sto bene.>>

Quante bugie. Avrei voluto sparire in realtà. Avrei voluto trovare Eve e portarla via, da qualsiasi fosse la realtà che l'aveva portata alla sua ricaduta. Andare in un posto e non lasciarla mai più. Sembrava che i ricordi non mi bastassero, sembrava che il tempo vissuto con lei non fosse sufficiente per poter continuare a vivere con il pensiero che non potevo sapere se sarebbe mai tornata a casa. 

Trovammo la dottoressa fuori dal suo studio. Tolse gli occhiali e, dopo avermi osservato per diversi istanti, infilò le mani in tasca e mi posò una mano sulla spalla.

<<Ciao, Julian.>> Mi disse. <<Avrei preferito incontrarti di nuovo in circostanze differenti. Signor Morgan, Scarlett.>>

<<Ciao.>> Replicai. <<Mi scuso per l'improvvisata ma io avevo la necessità di venire a parlare con lei.>> Proseguii.

<<Vi va di sedervi con me e farmi compagnia per un caffè? Ho un'ora di buco fra una seduta e l'altra.>> Ci invitò lei.

Vidi Pete annuire e indicargli di fare strada. Probabilmente non ricordava più come ci si arrivava alla mensa, ma io si. Passavo in quel posto ogni weekend, per non lasciare sola Eve. E durante la settimana venivo quando l'università me lo permetteva. Il resto del tempo a rotazione, veniva uno dei ragazzi. Cercavamo di non lasciarla sola. Nel periodo in cui le visite le erano concesse.

<<Grazie per la sua disponibilità.>> Le disse mentre si accomodava sulla sedia. <<So che la polizia è già stata qui e sa già tutto ciò che deve sapere, ma pensavo che forse sarebbe stato meglio parlarne direttamente io e lei di persona.>>

<<Ha fatto benissimo, signor Morgan. E sono disponibile a qualsiasi cosa voi necessitiate anche in futuro. Se la polizia dovesse aver bisogno di altre informazioni, non esitate a contattarci.>> Affermò lei cordialmente. Era sempre stata la donna più dolce e disponibile mai conosciuta in tutta la mia vita. La delicatezza che aveva nel trattare i suoi pazienti e i loro parenti mi aveva sempre affascinato e fatto una tenerezza immensa.

<<Sappiamo della ricaduta di Eve, dottoressa.>> Scarlett ruppe il suo silenzio, con le lacrime agli occhi. Si portò una mano sul viso e asciugò le timide lacrime che le stavano rigando le guance senza sosta. <<Sappiamo che non voleva che ne venissimo a conoscenza e sappiamo che è stato Blake a convincerla a tornare qui.>>

<<Era tornata perché era stata molto male dopo una cena.>> Ci spiegò. <<Mi aveva chiamata al telefono, qualche giorno prima. Mi aveva chiesto se fosse preoccupante il fatto che dal lunedì di quella settimana fino a quel giorno avesse fatto due ore di palestra al giorno. Mi aveva confessato che si stava allenando duramente perché in quei giorni stava mangiando, a detta sua, più del dovuto. Aveva inoltre manifestato quella sensazione di malessere che aveva avuto nei confronti di se stessa durante il ricovero, perciò io non me la sono assolutamente sentita di sottovalutare la cosa. Le ho consigliato di parlare con te, Julian, di richiedere il tuo aiuto. L'esercizio che faceva era troppo. Lei mangiava sì, non aveva smesso di farlo e forse è per questa ragione che non avete notato i sintomi nuovamente. Era esattamente quello che voleva. Ma faceva anche le scale in continuazione mentre studiava. E andava a correre ogni giorno. E faceva continuamente addominali su addominali, controllando le calorie che ingeriva e mirando a bruciarle tutte. Perciò, quello che mangiava lei lo voleva smaltire. Era quello il suo obiettivo. Non era una ricaduta diventata così preoccupante da dover tornare qui, ero convinta dopo averla sentita al telefono, e dopo il grido di aiuto che aveva fatto ne ero ancora più convinta. Blake è arrivato a lei in un modo in cui nessuno qui dentro era riuscito a fare, la sua vicinanza l'ha davvero spronata. Ero contenta che l'avesse chiamato per chiedergli aiuto. Ma mi dispiace per voi e per il fatto che non abbia voluto parlarne anche con voi. Sono convinta che sia perché non volesse farvi preoccupare, ma mi dispiace tanto comunque.>> Concluse poi.

Tirai su con il naso e mi posai i palmi delle mani sugli occhi, premendo con forza e trattenendo il respiro. <<Mi dispiace io...>> Quando però la mano di Scarlett si posò sulla mia spalla e la strinse, i singhiozzi mi invasero.

<<È tutto okay Julian, non ti preoccupare.>> Scarlett posò la testa sulla mia spalla e mi accarezzò dolcemente. Mi cullava quasi.

<<Quante volte è stata qui nell'ultimo periodo?>> Domandò Pete.

<<A fare le sedute ci veniva a cadenza regolare, una volta alla settimana. Quando poi è stata male dopo aver mangiato ha ritenuto opportuno aumentare a due.>> Spiegò.

<<Come diavolo ho fatto a non accorgermene, ma che cosa avevo in testa.>> Ero sopraffatto da tutto quanto, credevo di stare impazzendo.

<<Julian, non sai quanto mi dispiace. Le ho sempre detto espressamente che fosse il caso di parlarne almeno con te, credimi. Non ho potuto fare nulla. Non potevo chiamarti e non potevo contattare nessuno di voi, l'aveva espressamente chiesto. Mi dispiace, non potevo violare il segreto professionale.>> Tentava di giustificarsi, ma in realtà non aveva nulla per cui farlo. Aveva soltanto svolto il suo lavoro.

<<Ma Blake lo sapeva.>> Scarlett storse il naso e chiuse gli occhi, posando il suo caffè sul tavolo e inspirando profondamente.

<<Il rapporto fra lui ed Eve è quel tipo di rapporto che ha tenuto a galla entrambi in un momento delicato in cui avevano estremamente bisogno di aiuto. Di qualcuno simile a loro che potesse anche solo vagamente comprendere ciò che stavano affrontando. Con questo non intendo dire che Eve non avesse legami importanti prima, ma è un legame affettivo diverso. Eve ha trovato un appoggio in lui e in questo posto e questo le ha permesso di rialzarsi. Tanto che quando lui ha avuto bisogno di lei, Eve c'è sempre stata.>> Ci informò in seguito. <<Blake è una persona molto particolare, ma vi posso assicurare che vuole un gran bene a Eve. Le avrebbe dato la vita.>>

<<È sempre stato questo il problema. Lui era innamorato di lei, dottoressa. E lei lo ha sempre saputo. Al punto che era diventato quasi impossibile vederla e stare qui con lei, senza Blake insieme a noi. Era ossessionato da Eve.>> Sbottai io dopo le sue parole.

Il pensiero di sapere che lui era stata una delle ragioni per cui lei era tornata a sorridere e vivere fuori di lì, mi divorava l'anima.

<<Cosa intende dire quando dice che lei c'è sempre stata per Blake?>> Chiese Pete battendo le palpebre e incrociando le braccia al petto.

<<Quando Eve è uscita ma lui è rimasto qui, veniva regolarmente a trovarlo. Quasi tutte le settimane. Il giorno delle sue dimissioni è stata lei a venirlo a prendere e a riportalo a casa. Credevo ne foste al corrente.>> Disse la dottoressa Robins.

<<No.>> Replicai con il respiro incastrato in gola e il cuore che batteva all'impazzata. <<No io...>> Inspirai profondamente e mi presi la testa fra le mani, senza nemmeno sapere che cosa dire. <<Io non ne sapevo nulla.>>

Pete deglutì rumorosamente e piegò la testa di lato, confuso e frastornato quanto me e Scarlett. <<Ho solo un'ultima domanda e la prego di essere il più sincera possibile con me. Eve era tornata in terapia perché non stava bene, fino a qui ci siamo. Io però vorrei sapere quanto lei, sua psicoterapeuta da anni, ritenga possibili o meglio valide, le teorie della polizia. È possibile che mia figlia si sia allontanata di sua spontanea volontà o che si sia tolta la vita?>> Domandò.

Alla sua domanda, sia io che Scarlett, ci voltammo a guardarlo di scatto. Per quanto valeva me, io non ero certo di voler sapere la risposta. Ero terrorizzato dall'idea che potesse essere realmente ciò che era accaduto. Il pensiero che lei fosse là fuori e che avesse scelto di sua spontanea volontà di lasciare tutto e andarsene, mi impediva di chiudere gli occhi, di respirare, di pensare lucidamente. Mi rifiutavo di credere che potesse esserci anche la minima possibilità che lei avesse scelto di lasciare la sua vita per costruirne un'altra senza nemmeno pensarci e dire addio. Dopo aver accettato di sposarmi. Dopo aver passato la notte con me su quella spiaggia, dopo aver fatto l'amore in quella maniera sofferta e colma di emozioni.

<<Non è possibile.>> Scattai subito in piedi facendo strisciare la sedia e allontanandomi da tutti e tre. Intervenni prima che la Robins potesse rispondere. <<Lo ripeterò all'infinito: non ci credo, non è possibile.>>

<<Julian...>> Pete mi osservò con il viso riempito solo dalla compassione e, forse, dal senso di colpa. <<Julian io credo che, purtroppo, in questa situazione ogni singolo dettaglio sia importante. E ogni ipotesi sia da prendere in considerazione, anche se difficile da credere. Comprendo il tuo dolore, ma...>>

<<Ma niente!>> Gridai. <<Ma niente, cazzo. Come potete anche solo pensare che una persona che un minuto prima fa progetti sul suo futuro, stabili e duraturi, possa il minuto dopo scegliere di andarsene? Mi rifiuto. Mi rifiuto di crederlo. Ha accettato di sposarmi, se avesse voluto andarsene perché avrebbe dovuto farlo?>>

<<Per non destare sospetti, Julian.>> Rispose lui. <<Magari quell'ultima notte è stata il suo modo per dire addio. Renderti felice per l'ultima volta è stata il suo modo per salutarti. Sappiamo quanto Eve non sia mai stata brava a dire addio.>>

<<Ma tu chi diavolo sei?>> Non ci vedevo più dalla rabbia, stavo esplodendo come un vulcano. Ogni fibra del mio corpo bruciava, ero completamente accecato. Erano giorni che nella mia mente si ripetevano i nostri ultimi istanti insieme, le sue ultime parole e l'ultima volta in cui l'avevo guardata negli occhi. Ed ero certo che fosse stata felice. Ero sicuro del suo amore, era la mia unica certezza e lo era sempre stata. <<Ma tu la conosci tua figlia?>>

<<Jules...>> Fu Scarlett a intervenire a tirarmi per il polso in quel momento. Soprattutto perché senza rendermene conto ero a pochi centimetri dal viso di Pete. <<Julian ora basta. Hai bisogno di riposare.>>

<<Non ho bisogno di riposare Scarlett!>> Ero così esasperato che, ormai, per ogni emozione che provavo la reazione diretta e istintiva erano le lacrime. Il pianto. I singhiozzi. L'attacco di panico. <<Ho bisogno di risposte. Ho bisogno di Eve, a casa. Mi rifiuto di credere a tutto questo, lo capisci? Il solo pensiero che lei possa essersene andata e possa essersi tolta la vita dopo quella notte, mi toglie il respiro. Lo capisci questo o no?>>

Calò il silenzio. La dottoressa Robins schiuse le labbra per dire qualcosa, ma quando mi guardò negli occhi e percepì tutta la mia disperazione la richiuse e distolse lo sguardo.

<<Mi dispiace così tanto, Julian.>> Scarlett mi strinse fra le braccia, con forza. Sentii le sue lacrime bagnare l'incavo del mio collo. I suoi singhiozzi silenziosi mi corrodevano l'anima. Più passavano i minuti, più la situazione sfuggiva di mano a tutti quanti.

Pete, invece, scelse il silenzio come reazione.

Lo squillo del mio cellulare ruppe il gelo che si era creato. Per un breve istante sperai di leggere il nome di Eve, ma in fondo al mio cuore sapevo che non sarebbe stato così. Infatti, lo estrassi dalla tasca e lessi il nome di Landon. <<Landon, che succede?>>

<<Julian devi tornare subito a casa.>> Disse soltanto, forte e chiaro. <<Immediatamente anche.>>

<<Sono al centro psichiatrico dove era ricoverata Eve. Il tempo di fare la strada e arrivo, una mezz'ora. Ma perché? Cosa succede?>> Stavo già camminando fuori dall'edificio con il padre di Eve e Scarlett dietro di me.

<<La polizia è qui e ti cerca. Torna a casa, adesso. Ti stanno aspettando.>> Chiuse la chiamata e mi lasciò così, senza aggiungere altro. Mi ritrovai, di nuovo, con il panico in petto e la mente annebbiata dal caos.

Spazio psychoilary;

hello everyone,
i swear i'm still alive (maybe....)

come state? mi scuso estremamente per il ritardo nell'aggiornamento, ho avuto giornate migliori e periodi nettamente migliori.

detto questo, mi auguro che non vi siate dimenticat di Julian ed Eve 👀

cosa ne pensate di questi piccoli dettagli che stanno venendo a galla piano piano?

fatemi sapere 😮‍💨

a presto (promesso ci proverò)

baci
ila
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