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Capitolo 2 - In biblioteca

Aprì e richiuse gli occhi più volte nell'arco di mezz'ora, tentando in vano di riprendere sonno. Era una bella mattina quella che era appena cominciata a Silverdale; il vento e le nuvole scure della giornata precedente non erano altro che un ricordo come tanti altri. Dalla finestra della sua camera, Ethan riusciva a vedere dei piccoli gruppetti di passeri di città volteggiare nell'aria quieta e tiepida. Anche se a malincuore, scostò di colpo le coperte pesanti che ricoprivano il letto e il suo corpo e appoggiò i piedi nudi per terra. Dopo qualche sbadiglio interrotto da un paio di lievi brividi che gli corsero lungo la schiena ossuta e un veloce passaggio nel bagno del piano superiore, Ethan rivestendosi già poteva sentire sua nonna armeggiare freneticamente tra i fornelli in cucina, cosa che gli fece solo storcere il naso per quanto fosse implacabile già dalle prime ore della mattina. Non aveva per nulla preso da lei; lui appena sveglio non sentiva nelle gambe neanche la forza sufficiente a scendere la breve rampa di scale che portava al pian terreno.

"Dormito bene?" Gli chiese subito Joanne con un'aria 'eccessivamente' arzilla non appena lo vide.

Ethan le poggiò un bacio sulla guancia. "Bene, grazie nonna" rispose gettandosi a peso morto su una delle sedie intorno al tavolo rotondo nel soggiorno.

"Cosa hai pensato di fare oggi, tesoro?" Gli domandò versandogli del tè fumante e ambrato in una tazza che aveva fatto quasi comparire dal nulla sotto i suoi occhi.

"Avevo intenzione di dare un'occhiata a quella biblioteca di cui avevamo parlato ieri sera."

"Ah, ecco, giusto."

"Sempre se non hai bisogno di una mano d'aiuto per qualcosa, nonna" si preoccupò Ethan, risvegliandosi pian piano da quello che aveva tutta l'aria d'essere stato più un letargo che una breve dormita.

Joanne cominciò vistosamente a scuotere la testa mentre scoperchiava una scatola di latta contenente biscotti di diverse forme e misure.

"Non badare a me, vai pure, ce la faccio benissimo da sola, come sempre" lo rassicurò sua nonna con un semplice e caldo sorriso.

Anche Ethan sorrise quando Joanne accese la radio nella cucina lì accanto per ascoltare le notizie del giorno; neanche in quel frangente aveva abbandonato le sue perpetue abitudini. Mangiò tutt'altro che controvoglia un paio di biscotti al burro, naturalmente fatti in casa, sorseggiando pazientemente dalla tazza bollente. Gli sovvenne in mente che il modo in cui sua nonna preparava il tè fosse praticamente unico, irriproducibile. Nonostante lei sostenesse di non fare nulla di più che versare della banale acqua calda in una teiera con delle comunissime foglie di tè al suo interno, Ethan avrebbe potuto riconoscere quale tazza fosse stata preparata da lei tra mille altre contenenti lo stesso esatto tipo di bevanda. Da piccolo pensava fosse qualcosa di magico e, per certi versi, poteva continuare ancora a crederci.

In breve, andandosi man mano raffreddando, Ethan ebbe vuotato la tazza e, traendo un profondo respiro di sollievo, sentendosi quasi rinato, ringiovanito, si diresse verso la porta d'ingresso. Prima di varcarla, indossò il suo cappotto e salutò sua nonna di sfuggita, non volendo distrarla dallo studio meticoloso di una ricetta che sicuramente aveva intenzione di mettere in atto per il pranzo.

Non si aspettava di trovare un posto del genere quando entrò nella biblioteca. Poteva dire di averlo solo sognato quell'insieme estremamente delicato di carta e legno. Decine di scuri scaffali lunghi e profondi si alternavano a tavoli e sedie di legno massiccio in una sala decisamente più ampia di quello che aveva potuto intuire sbirciando l'interno oltre i vetri opachi delle porte d'accesso. E poi c'erano loro, i padroni di casa, i libri, a riempire tutto l'ambiente con le loro forme e dimensioni più disparate. Catturava davvero lo sguardo e la mente ammirare quella polverosa ed infinita distesa di intricata conoscenza. Tra i tanti volumi, una sola sedia era occupata da un ragazzo con un berretto di lana calato sulla testa ed un giornale sciupato e slabbrato tra le mani. Sembrava decisamente assorto ed Ethan quasi inconsciamente cominciò ad avvicinarsi a lui, incuriosito da cosa stesse esaminando con così profonda attenzione, ma una voce lo frenò di colpo. Si voltò di scatto verso la sua sinistra e vide dietro un bancone consunto un uomo di mezz'età con i capelli leggermente brizzolati fargli cenno di raggiungerlo.

"Salve, sono Thomas, cosa posso fare per aiutarla?" Chiese in tono sciatto e con un'espressione deprimente sul volto, come se avesse ripetuto già centinaia di altre volte quella stessa frase.

"Vorrei semplicemente dare un'occhiata... magari prendere qualche libro in prestito" rispose Ethan tentennando, essendo stato colto di sorpresa.

A quelle parole, al contrario, il bibliotecario non si fece per nulla trovare impreparato ed estrasse in men che non si dica un modulo vuoto da una pila di fogli identici senza neanche guardare dove stesse mettendo le mani, per poi ruotarlo verso di lui insieme ad una biro.

"Se vuole prendere in prestito qualcosa, dovrà compilare questo in ogni sua parte" gli disse, ancora una volta senza alcun entusiasmo.

Ethan sbuffò, domandandosi perché proprio quel giorno chiunque, addirittura chi lavorava evidentemente controvoglia, si ritrovava comunque ad essere più reattivo e sveglio di lui. Cominciò a riempire di informazioni apparentemente inutili quell'altrettanto apparentemente futile modulo, quando avrebbe voluto semplicemente perdersi tra ben altri fogli di carta e sopprimere almeno qualcuno dei soffocanti pensieri che lo assillavano da giorni.

Per fortuna in breve si ritrovò con un piccolo libretto recitante il suo nome per esteso tra le mani infreddolite e poté ritornare a badare a ciò per cui era andato fin lì. Cominciò a vagare a passi grandi tra le diverse sezioni della biblioteca senza una precisa meta, come se fosse in preda ad un essere estraneo, come se stesse quasi chiedendo il permesso a quel luogo sovrannaturale di toccare qualcosa che non apparteneva a lui. Dopo un po' di minuti passati a girovagare in quel modo alquanto bizzarro, si ritrovò nuovamente al punto di partenza, ma questa volta venne unicamente attratto dal reparto dedicato alla poesia. Quasi fosse un piccolo atto di un rituale ben più grande e complesso, fece delicatamente scorrere due polpastrelli sui dorsi di quei volumi piccoli e grandi contenti tutta la poetica umana a partire dai grandi Omero, Virgilio e Ovidio fino ai più moderni Whitman, Dickinson e García Lorca. Aveva da sempre adorato quei geni della letteratura di ogni tempo e, in un certo senso, provava anche una sorta di invidia nei loro confronti, avendo voluto scriverle di proprio pugno tutte quelle opere grandiose capaci di condensare in poche parole miriadi di concetti e di infondere emozioni tanto profonde e accorate quanto sconcertanti e stupefacenti. Stranamente però, in quel frangente, Ethan non volle arrendersi nelle braccia familiari dei suoi grandi maestri, quanto invece scelse di sfidare la sorte lasciandosi andare in un oceano inesplorato; sfilò dalla fila composta un piccolo volume praticamente nuovo intitolato "Urlo" e scritto da Allen Ginsberg. Si prospettava una lettura interessante e, man mano che si avvicinava al tavolo più vicino per approfondirla, sentiva dentro di lui crescere la curiosità come non gli capitava da tempo.

Peccato che, proprio quando fece per poggiarsi su una sedia e aprire il volumetto davanti al suo naso, il bibliotecario venne fuori in fretta e furia dal retrobottega e ruppe tutta la magia del momento nella maniera più brutale e da insensibile possibile. Gli intimò di trovarsi un altro tavolo perché proprio da quello e in quel preciso istante avrebbe dovuto cominciare le pulizie della giornata. Dal momento che non voleva sentir ragione e sembrava già abbastanza alterato di suo, Ethan decise di mollare la presa e cambiare posto, nonostante fosse estremamente riluttante a farlo. Cercò pace nell'unica fetta di biblioteca dove l'aveva intravista fin dall'inizio, sperando in qualche modo di farsi scudo da quel Thomas con qualcuno apparentemente avvezzo a quel genere di maltrattamenti. Si avvicinò sommessamente a quel ragazzo che sembrava riuscire a tenere tutto il resto del mondo fuori dalla sua testa con quel suo cappellino di lana e, altrettanto flebilmente gli domandò se per lui fosse un problema che si sedesse al suo stesso tavolo. Fin da quando Ethan aveva messo piede lì dentro, quel ragazzo non aveva mai neanche per sbaglio alzato lo sguardo dai suoi sparpagliati incartamenti, perciò quando fece scorrere rapidissimamente gli occhi su di lui, Ethan rimase per un attimo interdetto, stupito da quanto colore potesse contenere il suo volto rispetto a quell'imperturbabile atmosfera grigia e polverosa che li circondava. Il blu che gli parve illuminare la scena, riverberato dal suo copricapo dello stesso colore, lo rapì a tal punto che non riuscì neanche bene a comprendere quale fosse stata la rapida risposta che aveva ricevuto in quel mentre. Quasi sperando in un consenso, si sedette di fronte a lui ancora leggermente frastornato, pur non riuscendo bene ancora a capire perché. Per ritornare con i piedi per terra decise di imitare quel ragazzo dagli occhi azzurri, immergendosi anche lui finalmente nella sua tanto desiderata lettura.

Dopo aver scorso frettolosamente una poco interessante prefazione, Ethan davvero rimase a lungo preda di quel mistico e alienante poema moderno, inno di un'intera generazione di artisti e persone comuni, messe crudamente a nudo in poche pagine. Era complicato, contorto, quasi fantastico, ma a lui piaceva ed era evidente dal modo in cui fissava quei sottodimensionati fogli di carta, riducendo gli occhi a due sottili fessure, senza neanche accorgersi di essere osservato dal suo vicino.

"Anche a me è piaciuto molto quel libro" commentò quasi distrattamente il ragazzo, "è illuminante" conclusero all'unisono.

"Lo voglio già rileggere" aggiunse Ethan con un mezzo sorriso, ritrovandosi di nuovo colpito da quella vaga confusione mentale. Dovette abbassare gli occhi per provare a controllarsi in qualche modo.

"Scusa, non volevo disturbarti" disse il ragazzo, sembrando sinceramente preoccupato.

"No, non preoccuparti, anzi forse sono io che ti ho distratto dal tuo lavoro."

"Ma no, affatto, e poi una pausa mi serviva; sono già un paio d'ore che vado avanti."

Ethan avrebbe voluto finalmente dare voce all'opinione che aveva maturato fino a quel punto sulla reattività mattutina della gente, ma si interruppe quando vide lo sguardo di quel ragazzo spostarsi fulmineo oltre le sue spalle. Allora si voltò anche lui, cercandone il motivo, e notò che dal nulla e in assoluto silenzio era comparso a pochi passi da loro il bibliotecario con un secchio, una spugna e una scopa per le mani, intento a fissarli in maniera alquanto inquietante, aspettando chissà cosa.

"È già ora Thomas?" Gli chiese il ragazzo per nulla turbato, quando Ethan aveva già preso a guardarlo in cagnesco.

Quello gli rispose solo con un affermativo cenno del capo ed Ethan imitò di getto il suo dirimpettaio che si era appena alzato in piedi senza neanche pensarci.

"Che succede?" Gli chiese, non capendo davvero cosa stesse capitando.

"Nulla, vieni con me" ricevette semplicemente come risposta da quel misterioso ragazzo, cosa che lo rese ancora più confuso, se possibile.

Ethan allora appoggiò in fretta e furia la copia di "Urlo" vicino al mucchio di scartoffie sul tavolo e si trascinò fuori dal calore della biblioteca per battagliare ancora una volta col penetrante ed insostenibile freddo di Silverdale, che anche senza vento rimaneva comunque troppo poco calda per i suoi gusti e le sue abitudini. Infatti, una volta rientrati al chiuso in un bar poco lontano da lì, Ethan, ancor prima di sedersi ad un tavolino, cominciò fin da subito a strofinarsi avidamente le mani fra loro per scrollarsi di dosso tutto il freddo che aveva accumulato.

"Io sono Blue, comunque" gli comunicò il ragazzo che si ritrovava di nuovo seduto di fronte a lui, porgendogli una mano.

Ethan gliela strinse e trovandola inaspettatamente più calda della sua, provò quasi l'istinto di non lasciarla più andare. "Certo, dovevo immaginarlo" commentò ridendo sommessamente. "Io sono Ethan, piacere" concluse restituendogli finalmente il suo arto.

Blue si mostrò perplesso inizialmente, ma poi capì e sorrise anche lui. "È per gli occhi, vero?"

"Già, ma anche per il cappello... e la tracolla" rispose Ethan continuando a ridacchiare.

"Penso che sia tutto collegato, altrimenti non mi avrebbero chiamato così per nessun motivo, no?"

"Giusto," riprese Ethan, "ma posso chiederti una cosa?"

Blue annuì lentamente, mentre sfogliava la carta dei tè.

"Quel tipo in biblioteca si comporta sempre così?"

"Ah, non farci caso, è solo un po' maniacale. Non ha mai letto in vita sua, ma almeno è capace a tenere sempre tutto pulito e in ordine. Solo per darti un'idea: ad orari fissi ogni giorno pulisce l'intera biblioteca, altrimenti non riesce a stare tranquillo" gli spiegò Blue, guardandolo di tanto in tanto.

"Ma così non fa scappare la gente?"

"Sì, peccato che non si vedesse nessuno oltre me da tempo immemore. Comunque non è il mio caso, anzi a me è utile, lo uso come promemoria per andare a fare colazione. A proposito, vuoi qualcosa?" Gli chiese mentre alzava un dito per chiamare l'attenzione di un cameriere.

"No, sono a posto, grazie" gli rispose Ethan. Trovò piacevole parlare con Blue perché, nonostante non lo conoscesse affatto, sembrava come se ci fosse qualcosa di particolare nel tono e nel timbro della sua voce.

"Okay" disse semplicemente prima di enunciare il suo ordine al cameriere che si era avvicinato a loro.

"Sai," riprese poi Blue quando si fu nuovamente allontanato, "io passo in biblioteca praticamente ogni mattina, non solo per i libri, ma anche per l'archivio del giornale locale. Sto scartabellando giorno per giorno ogni copia dei quotidiani degli ultimi vent'anni alla ricerca di... qualcosa." Sembrò tentennare per un attimo, ma sentendosi incalzato con lo sguardo, proseguì. "Non capiresti, dovrei cominciare dal principio."

"Io non ho impegni, sempre che tu ne abbia voglia" disse Ethan.

"D'accordo" parve accettare di buon grado. "Io sono cresciuto qui a Silverdale. Mi è sempre piaciuta l'architettura, ho sempre ammirato a bocca aperta, fin da piccolo, la chiesa di St. John, per esempio, imponente, in perfetto stile neogotico inglese di fine '800, costruita interamente con la pietra calcarea della cava di Trowbarrow, quella qui vicino. Oppure quella casatorre poco fuori città, non so se hai presente?"

"Più o meno, non vengo qui da molto tempo, intendi quella in rovina tra Silverdale e Arnside, no? Comunque, la chiesa la ricordo bene."

"Ad ogni modo, puoi ben capire come ho finito per studiare queste cose all'università di Lancaster fino a poco tempo fa, quando sono ritornato qui" continuò Blue, per poi interrompersi a causa dell'arrivo della sua colazione.

Ethan gli lasciò il tempo per sistemarsi, ma poi impaziente e sempre più incuriosito dalla persona che aveva di fronte, chiese: "E quindi stai facendo delle ricerche in campo artistico sulla città? Stai scrivendo un saggio?"

"Sì e no, sto in effetti cercando maggiori informazioni su un edificio qui nei dintorni, ma non è una struttura qualunque, anzi sembra che nessuno ne sappia nulla e presenta troppi punti interrogativi, troppi dettagli contrastanti. Per me è un mistero."

"Per esempio?"

"Lo stato di conservazione, la semplicità architettonica, lo fanno sembrare estremamente antico, quasi medievale o giù di lì, ma allo stesso tempo, alcuni dettagli, i materiali e le tecniche di costruzione impiegati sembrano estremamente più moderni. Non riesco proprio ad arrivare a nulla, anche perché non viene citato in nessun documento ufficiale tanto d'epoca quanto contemporaneo. Ora sto cercando alcune testimonianze, più o meno recenti."

Ethan aveva capito che Blue non volesse scendere troppo nei dettagli, come se volesse tentare ancora in qualche modo di non dar via del tutto le sue ricerche. Non poteva biasimarlo, era poco meno di uno sconosciuto per lui, ma allo stesso tempo non riusciva più a tenere a freno la sua curiosità e avrebbe voluto saperne decisamente molto di più.

Blue però tagliò corto ancor prima che gli ponesse un'altra domanda. "Ma lasciamo perdere, non voglio annoiarti con queste cose. So benissimo che a ben poche persone una storia del genere farebbe drizzare le orecchie come succede a me e credimi, vorrei continuare a raccontartela," disse lanciando rapidamente lo sguardo al suo orologio da polso, "ma ora devo proprio andare. Ripasso in biblioteca a prendere le scartoffie e poi scappo, ti dispiace?"

"D'accordo, non preoccuparti, anch'io ho un paio di commissioni da fare, ma ti accompagno comunque. Anch'io ho lasciato lì Ginsberg" rispose Ethan rapidamente seguendo Blue verso l'uscita.

"Bene" disse semplicemente Blue, riponendo il resto del conto nel suo portamonete.

Rimasero relativamente silenziosi per l'intero tragitto e, nonostante la sua brevità, Ethan riuscì comunque ad intuire che ci fosse qualcosa che rimbalzava nella mente di Blue, anche se non si decideva a tirarla fuori lì. Per questo, quando si ritrovarono nuovamente all'aria aperta, davanti all'ingresso della biblioteca, non poté resistere all'impulso di porgli l'ennesima domanda probabilmente troppo azzardata.

"A che pensi?" Rimase anche lui sul vago. Senza rendersene nemmeno conto, concentrato com'era su tutt'altro, riprese la via che lo conduceva a casa e Blue lo seguì come d'istinto.

"No, è solo che... Perdona la sfacciataggine, ma mi sembra di averti già conosciuto o almeno incontrato da qualche parte prima d'ora. Non riesco a ricordare dove né quando, però" snocciolò Blue senza quasi neanche prendere fiato; solo allora Ethan notò che quella era la prima volta che aveva perso quella innaturale compostezza che si ha con gli estranei. Lui non l'aveva mai posseduta in vita sua ad ogni modo.

"Non saprei proprio. A me non sembra però, sinceramente" rispose leggermente imbarazzato.

"Giusto, non preoccuparti, è una cosa stupida."

Ad Ethan quasi dispiacque il modo in cui Blue avesse liquidato il suo stesso pensiero, ma davvero non aveva mai avuto quell'impressione, né prima, né tantomeno dopo che gliel'avesse fatto notare. Avendo lui adesso quello stesso sballottante pensiero nella mente, non si era reso conto che Blue si fosse fermato qualche passo più indietro.

"Anche tu vai di qui?" Gli chiese Blue, quando Ethan si voltò a cercarlo.

"Sì, abito qui vicino. Vuoi..."

Senza lasciargli nemmeno il tempo di finire, Blue recuperò quel poco spazio che li distanziava e semplicemente gli fece capire che avrebbero proseguito insieme. Quel silenzio immotivatamente imbarazzante ricadde ancora una volta su di loro come fosse un drappo di stoffa pesante che si dovettero trascinare dietro per alcune centinaia di metri, finché non fu Ethan a fermarsi, una volta raggiunto il numero 2 di Cove Drive.

"Io sono arrivato. Grazie di avermi accompagnato" disse un po' impacciatamente, abbozzando un sorriso.

"Di nulla. Ero di strada, letteralmente. Ci vediamo allora" lo salutò Blue, accompagnando le parole con un gesto di saluto.

Ethan annuì e rimase qualche secondo fermo senza sapere cos'altro fare. Blue a quel punto riprese la via e procedette verso la curva in fondo la strada. Ethan si voltò per entrare, ma poi prese fiato e aggiunse da lontano in direzione del suo berretto azzurro: "Se dovessi fare in tempo, forse domattina passo di nuovo in biblioteca. Ci vediamo lì." Ancora una volta rimase quasi ipnotizzato da quello sguardo ceruleo che Blue gli rivolse da sopra le spalle quando si voltò a guardarlo.

Quando rientrò a casa, Ethan venne risvegliato dai suoi pensieri solo grazie alla voce di sua nonna che si levava solitaria dalla cucina. L'intera casa era in silenzio e Joanne non sembrava avesse ospiti, perciò Ethan a metà tra perplesso e preoccupato si avvicinò a lei per capire a chi si stesse rivolgendo. Solo quando la vide avvinghiata alla cornetta celeste polvere di un telefono fisso d'altri tempi ed intenta a rigirarsi tra le dita il cavo bianco spiralato, capì.

"Allora è confermato, ci vediamo domani con le altre. Ciao, ciao" concluse frettolosamente sua nonna quando vide il nipote, quasi come se fosse stata colta in flagranza di reato.

"Ciao, nonna," la salutò sorridendo Ethan, "ma non mi dire che sono ancora le tue stesse amiche di allora?"

"Certo, non sono mica morte!" Gli rispose sua nonna ridacchiando e dandogli un bonario colpetto sul fianco.

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