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Capitolo 1 - Tornare indietro

Ethan salutò in fretta e furia l'uomo di mezz'età alla guida del taxi che lo aveva portato fino al limitare di quella piccola cittadina. Non era più abituato ai posti come Silverdale, a tutte quelle piccole case di mattoni grigi, alle tegole sbiadite di terracotta rossa, ai comignoli sbuffanti denso fumo bianco. La vita frenetica e serrata di Londra lo aveva cambiato radicalmente e tornare indietro per lui non era mai stato semplice, soprattutto se non lo faceva di sua spontanea volontà.

Tutto era avvolto nel silenzio, non sembrava neanche ci fossero degli abitanti nei dintorni. Se non fosse stato per il rumore provocato dal vento che gli sferzava il volto con foga, Ethan avrebbe facilmente potuto pensare di aver perso tutti i sensi tranne la vista. Con un movimento veloce delle braccia, si caricò addosso il fardello dei suoi pochi bagagli e cominciò ad attraversare controvento la via principale di quella cittadina del Lancashire.

Nonostante l'aria spostata con forza gli facesse bruciare gli occhi, mentre si chiudeva su sé stesso dentro il suo lungo cappotto beige, Ethan cominciò a guardarsi attorno per tentare di capire quale fosse la struttura del luogo dove era stato costretto a trasferirsi. Proprio sulla strada che falcava a fatica, il paesino convergeva, tagliandosi in decine di vie più strette, tutte cosparse di piccole villette monofamiliari. Ma la vera cosa che Ethan trovava interessante lì attorno era l'enorme quantità di verde che si poteva ammirare. Ogni abitazione aveva il proprio giardino decorato con centinaia di diverse specie di fiori e piante, e quando Ethan gettava lo sguardo aldilà delle poche file di costruzioni, svettavano interi boschi composti da alberi solenni e austeri. Si muovevano al ritmo cadenzato del vento, prima a destra e poi rapidamente a sinistra, piegandosi all'unisono come in una perfetta coreografia. La loro massa indefinita color verde petrolio si stagliava nettamente su quel cielo d'acciaio che minacciava di dare inizio ad una pesante nevicata da un momento all'altro.

Non riuscì più a resistere con gli occhi aperti, così li serrò di colpo e delle lacrime sbucarono frettolosamente dai suoi occhi ambrati, cominciando a correre lungo il solco del suo naso sottile, tagliandogli la pelle diafana. Quelle poche stille si arrestarono solo quando raggiunsero le sue labbra sottili, leggermente socchiuse per permettergli di respirare; il naso gli si era chiuso del tutto per via della temperatura troppo fredda.

Solo allora, quando la bocca gli si riempì del sapore salato del pianto, riuscì a notare l'odore penetrante del mare. Gli sembrò come se lo avesse a pochi passi da sé, come se, per uno strano e improbabile scambio tra fluidi, l'aria e l'acqua si fossero scambiati di posto e il vento non fosse diventato altro che una corrente fredda. Non riusciva a vedere la baia di Morecambe da lì, però sentiva che avrebbe dovuto recarvisi presto, che gli sarebbe piaciuto rivederla dopo tanto tempo.

Più di quindici anni prima era una abitudine per lui e i suoi genitori far visita a sua nonna in quel paese che allora era molto differente da quella Silverdale che vedeva davanti ai suoi occhi. L'affascinante spettacolo della natura che circondava quelle poche case era rimasto immutato, intatto da ogni uomo, ma col tempo nella cittadina erano cambiate molte cose. Erano sorti nuovi negozi, nuovi ristoranti, nuove abitazioni che nella sua memoria non riusciva a ritrovare. La piccola casa a due piani di sua nonna però era rimasta sempre la stessa. Oltre un sottile strato trasparente di lacrime, poteva già ammirarla da lontano e solo in quel momento, ricordandosi i tanti momenti che aveva vissuto in quel giardino durante la sua infanzia, affiorò un po' di nostalgia in lui. Quella stessa nostalgia che non avrebbe mai immaginato di poter provare per un posto così desolato e fin troppo tranquillo, come gli era subito sembrato, a confronto della grande capitale che era Londra.

Lasciò andare sul marciapiede le borse di finta pelle scura che gli stavano dilaniando le mani e le spalle. Dopo un piccolo tonfo, seguito da un suo sonoro sospiro di sollievo, sentì lo stridio della porta d'ingresso che si apriva lentamente. Sulla soglia apparve la bassa figura di un'anziana donnina con uno spesso scialle di lana candida appoggiato sulle spalle. Indossava un cardigan scuro in tono con una gonna color sabbia che le cadeva, quasi come fosse stata disegnata con due sole linee perfettamente parallele, fino alle caviglie. Quando fece sbucare lentamente il suo volto dalla penombra, la luce filtrata del Sole le illuminò con una luce argentea i capelli bianchi, elegantemente ordinati in una crocchia sulla nuca.

Ethan ricordava bene le sembianze di sua nonna Joanne, non le aveva mai dimenticate, non avrebbe mai potuto. Afferrò di nuovo le valige che aveva lasciato per terra e sorpassò velocemente il cancelletto di metallo intrecciato per raggiungerla sulla sommità degli scalini di pietra che portavano fin dentro casa.

"Ciao nonna" le disse Ethan flebilmente, abbozzando un mezzo sorriso. Solo in quel momento si era reso conto di non saper bene cosa avrebbe dovuto dirle.

Lei rispose sorridendogli di cuore, mettendo in mostra interamente il suo lato migliore. Solo dopo un po' disse: "Non dai neanche un bacio alla tua vecchia nonnina?"

Allora Ethan si abbassò su di lei e la abbracciò, permettendo al suo sorriso di completarsi, per poi stamparle un bacio sulla guancia morbida e decorata da decine di profondi segni del tempo.

"Adesso posso farti entrare!" Esclamò sua nonna, interrompendo l'abbraccio.

Ethan ridacchiando richiuse la porta di legno massiccio scuro alle sue spalle, affacciandosi sul soggiorno che ricordava bene. Si sfilò il lungo cappotto infreddolito che aveva ancora indosso, per poi appenderlo all'attaccapanni di plastica bianca che era ancora lì nel suo angolo. Dopo tutto quel tempo, lo ricordava ancora perfettamente, come se lo avesse sempre avuto nei suoi pensieri. La poltrona rivestita di stoffa rossa che sua nonna adorava era sempre la stessa e anche l'odore intricato di fiori, di tè al bergamotto e di pasticcini al burro era rimasto identico al modo in cui il suo cervello lo aveva registrato. Gli sembrava come se stesse facendo un viaggio nel passato o nei suoi ricordi più remoti.

"Che fai lì in piedi? Vieni qui a darmi una mano ad accendere il fuoco piuttosto" gli disse sua nonna, guardandolo con gli occhi e la mente persi nel vuoto.

"Sì, subito" le rispose in fretta Ethan, risvegliandosi di colpo dai suoi sogni ad occhi aperti.

Joanne si fece da parte, raccogliendo le due borse che Ethan aveva depositato accanto al portaombrelli di metallo, mentre lui separava due ciocchi di legno dalla catasta in cui erano stati riposti accanto all'angusto camino. Accarezzò brevemente i cerchi scuri lungo i quali i tronchi erano stati tagliati, per poi gettare quei pezzi di legno sui carboni lasciati dai loro precedenti tra le fiamme. Rimase incantato per un po' ad osservare come la loro luce sfavillante rossa ed arancione riversasse ombre lunghe e cupe su ogni cosa che toccasse; ai suoi occhi sembrava perfetto che fossero proprio le cose più luminose alle volte a generare le ombre più scure. Solo dopo una manciata di minuti spesi a riflettere, si accorse che nel mentre sua nonna aveva già avuto il tempo di trascinare silenziosamente fin su al primo piano le due valige stracolme delle sue cose.

Dopo aver salito a due a due gli scricchiolanti gradini di legno dell'unica rampa di scale che lo divideva dal piano superiore, trovò sua nonna nell'ultima stanza del corridoio. Ethan rimase sbalordito dal fatto che avesse già quasi finito di svuotare le sue borse in quel misero lasso di tempo che era trascorso. Anche la sua instancabilità non era cambiata di una virgola.

"Nonna, ma che stai facendo?" Le chiese, gettando del tutto il suo peso contro lo stipite della porta, quasi come se fosse addirittura stanco per lei.

"Nulla, ho solo messo a posto le tue cose. Il tuo letto l'avevo già fatto prima, perciò non è che avessi molto altro da fare" rispose Joanne dopo avergli sorriso.

"Ma erano pesanti e non sono venuto qui per sfruttarti, sia chiaro."

Joanne si voltò lentamente per guardarlo negli occhi, lasciando momentaneamente qualche libro sul letto della stanza degli ospiti. "Lo so bene perché sei qui, tesoro mio, comunque non preoccuparti, non mi stai mica sfruttando, sono io che voglio farlo."

"D'accordo, allora non posso fermarti. Però almeno fatti aiutare, no?" Provò a domandare Ethan, avvicinandosi e allungando le braccia in sua direzione.

"No, assolutamente, non ne ho bisogno. Faccio da me, ché mi sbrigo prima. Piuttosto, potresti farmi un po' di spesa, visto che ancora non sono uscita di casa oggi. Ti va?"

"Certo che mi va, dopo tutto questo" rispose suo nipote, aprendo le braccia ad indicare tutto ciò che era attorno a loro.

"Allora fai tu, mi fido" disse Joanne, riprendendo subito ad infilare i libri di Ethan nella scaffalatura appesa al muro color panna. "Hai bisogno di soldi?" Gli chiese subito dopo, bloccandosi ancora e guardandolo negli occhi, quasi preoccupata di essere sembrata scortese qualche secondo prima.

"No, ne ho abbastanza. Allora vado?"

"Sì, sì, così intanto io finisco qui."

Ethan non era abituato nemmeno lontanamente a tutte quelle premure, tutte quelle attenzioni. Era ancora frastornato, ma infilò di nuovo le maniche del suo cappotto beige e girò il pomello di metallo freddo per potersi riaffacciare sulla strada semideserta. Il vento tornò in breve a schiaffeggiarlo e solo allora Ethan si ricordò di un buon motivo che avrebbe potuto aver trovato per non uscire ancora di casa.

Fece in modo di raggiungere in fretta il supermercato più vicino che aveva intravisto nel tragitto per raggiungere casa di Joanne e quando si riuscì ad adattare alla tiepida atmosfera del negozio, non poté fare a meno di trascorrere quanto più tempo possibile lì, riuscendo a riscaldarsi a dovere. Acquistò una bottiglia di vino rosso non troppo costosa, un po' di frutta e dell'insalata già pronta, insieme a tutto il necessario per preparare del pollo arrosto per due persone; sembrava quasi come se sentisse la voglia inaspettata di festeggiare, non sapendo bene neanche per quale strano motivo. Salutò con un sorriso sbilenco la decisamente poco solare commessa all'uscita del negozio e tornò a casa di sua nonna ancora una volta carico di un peso notevole per braccio. Quantomeno il vento si era leggermente placato nel frattempo, forse impietosito dalla sua goffaggine nella corsa, così non dovette accelerare ancora una volta il passo per scansare il rischio di una bronchite. Sulla via del ritorno infatti, una piccola struttura che non aveva ancora notato riuscì a catturare la sua attenzione, facendogli ripromettere di chiedere a sua nonna maggiori informazioni al riguardo.

Colpì un paio di volte il gracchiante batacchio dorato facendo risuonare all'interno il clangore metallico che aveva prodotto attraverso il legno della porta.

"Arrivo" rispose Joanne ad alta voce, per poi far riecheggiare i suoi passi svelti fino all'ingresso che si stagliò subito dopo davanti agli occhi di Ethan.

"Eccoti qui, mi chiedevo che fine avessi fatto" gli disse sua nonna, mentre il ragazzo raggiungeva la piccola cucina al piano terra per posare i due sacchetti della spesa.

"Sì, scusa, ho perso tempo" gli rispose con un sospiro. "A proposito, ho notato sulla strada l'insegna di una biblioteca pubblica, credo. Non sapevo ce ne fosse una qui."

"Certo che c'è, sempre se non l'hanno chiusa ultimamente. Sai, ci andavo spesso fino a qualche anno fa, poi ho cominciato a lavorare all'uncinetto e ho ridato vita al giardino sul retro che era davvero in condizioni pessime, quindi non sono tanto aggiornata sulle novità del paese." Joanne si lasciò sprofondare sulla sua cara vecchia poltrona che ancora non dava segni di cedimento, per poi cominciare a ridacchiare tra sé e sé. "Ovvio che non sapevi ci fosse. Ti è sempre piaciuta la lettura, ma ad otto anni, addirittura andare in biblioteca mi sembra precoce, no?" Lo guardò con occhi pieni di gioia, come se si trovasse di fronte ad uno spettacolo che aveva tanto atteso.

"Già, anche questo è vero" assentì Ethan, sorridendo per quello spirito ancora giovane che trovava dentro sua nonna.

Solo allora, osservando come magicamente le ombre del caminetto scavassero ancora più a fondo le rughe sul suo piccolo volto, Ethan capì che di tempo ne era passato, e anche molto, ma nonostante ciò, sua nonna era rimasta sempre la stessa, nonostante il triste disfacimento dei corpi. Come d'altronde ogni oggetto che la circondava lì e perfino la sua stessa casa, quell'intera città, erano solo provati dalla sopportazione di molti più anni, ma erano ancora del tutto vivi nell'animo.

"Preparo la cena, nonna" le comunicò Ethan, quando capì che si era lasciato andare un'altra volta nei suoi pensieri.

"No, ti prego, lascia stare, faccio io dopo" rispose sua nonna con un'espressione contrariata in volto, provando già ad alzarsi di fretta dalla sua poltrona.

"Ho detto che faccio io e lasciamela fare una cosa, hai fatto tutto tu oggi" disse ridendo Ethan.

Joanne lo guardò per qualche secondo in segno di approvazione e si lasciò andare di nuovo contro lo schienale rosso. Ethan, quasi contento di aver ricevuto per una volta il beneplacito della padrona di casa, cominciò a tirar fuori dalle buste di plastica tutto ciò che aveva comprato per riporlo più o meno dove pensava fosse più giusto tra i molti pensili e cassetti. Solo per un momento gettò di nuovo lo sguardo verso il soggiorno, riuscendo a godersi la scena di sua nonna che, dopo meno di due minuti in cui aveva chiuso gli occhi per riposarsi, si era già freneticamente rimessa a cercare qualcosa che la tenesse occupata, trovandolo in un gomitolo e due piccoli ferri che pescò da una cesta di feltro accanto alla poltrona.

Ethan pensò che forse avrebbe dovuto preoccuparsi per l'iperattività della sua unica nonna, ritrovabile in egual misura solo in un bambino, ma lì per lì gli venne piuttosto da sorridere guardando l'espressione entusiasta che faceva rilucere il suo viso quando qualcosa la teneva impegnata. Forse lì sarebbe riuscito a ritrovare qualcosa che gli ricordasse casa.

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