Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

8

Una luce fioca passava attraverso le tende del soggiorno, illuminando il triste salotto di casa. Io e Cass stavamo guardando la televisione, sedute sul divano. Non avevo ben chiaro cosa stesse trasmettendo.
La mamma lavorava al computer, come suo solito. Sembrava una giornata come le altre, senza nessuno scopo apparente.
Non so per quale motivo, ma una strana angoscia cominciò a salirmi dallo stomaco, lungo tutto il ventre. Saliva, piano piano, fino ad opprimermi il petto. Mi alzai dal divano e andai al centro della stanza, davanti a Cass e alla mamma.
Tutto all'improvviso sembrò diventare sempre più piccolo, sempre più distante da me.
- Mamma! Cass! Cosa sta succedendo?! - urlavo ma non potevano sentirmi.
Cominciai a correre il più velocemente possibile, cercando di raggiungerle, ma ad ogni passo sembravano allontanarsi sempre di più.
Ad un certo punto qualcuno afferrò con prepotenza il mio polso, l'angoscia non smetteva di tormentarmi. Cominciai a respirare sempre più velocemente. Non avevo il coraggio di voltarmi, ma qualcosa in me conosceva la provenienza di quella mano, così autoritaria e priva di amore.
Qualcosa di estremamente freddo avvolse il mio polso, provocandomi un brivido per tutta la schiena. Sembrava un bracciale, come uno di quelli in metallo.
La persona che aveva ancora il mio braccio in pugno, si avvicinò al mio orecchio.
- Ora saremo legati per sempre, Alison. - potevo percepire il suo sorriso glaciale.
Quando ebbi le forze per voltarmi a guardare, i miei occhi si fermarono in un altro paio, per me familiari. Guardai in basso, vidi il mio braccio imprigionato in un paio di manette. Legato insieme a me però, c'era anche lui.

Mi svegliai di soprassalto, la maglietta era fradicia, così come la fronte.
Appoggiai la mano sul petto, il cuore stava scoppiando. Feci due respiri profondi, come mi aveva insegnato la mamma.
Cominciai a tranquillizzarmi dopo una manciata di minuti. Quando mi guardai attorno riconobbi la mia stanza, era ancora illuminata dalla luce tenue della notte, Kay dormiva beata.
Presi il telefono dal comodino e guardai l'ora, erano le 4:37 del mattino. Appena mi alzai dal letto, il dolore lancinante del ginocchio mi svegliò del tutto.
Tanto valeva farsi una doccia, non sarei comunque riuscita a riaddormentarmi.
Presi silenziosamente degli abiti puliti dall'armadio e mi avviai verso il bagno. Una volta aperta l'acqua mi spogliai.
Prima di entrare mi soffermai allo specchio, sopra al lavandino. Avevo una faccia orribile. Bianca come il latte, le labbra leggermente rosate e gli occhi erano contornati da un ombra scura.
Cercai di riprendermi sotto il getto caldo della doccia, che riuscì a sciogliere solo in parte la tensione che avevo accumulato in questi giorni.
Perché non riuscivo ad avere un po' di pace?
Chiusi gli occhi per un minuto. Volevo cancellare quel senso di oppressione che circondava ancora il polso.

Quando uscì dalla doccia, mi asciugai e mi vestii. Indossai un paio di leggings e una delle mie magliette preferite, era gialla con un piccolo girasole ricamato su entrambe le maniche corte. Io e mia sorella l'avevamo presa prima che io partissi. Ci eravamo ripromesse che l'avremmo indossata ogni qual volta avessimo avuto bisogno dell'altra.
Ma in questo momento, l'unica cosa che potevo fare, era una passeggiata. Dovevo schiarirmi le idee.
Infilai rapidamente le scarpe e presi le chiavi.
Una volta in corridoio, richiusi la porta cercando, di non svegliare Kay. Poi mi diressi verso l'uscita.
L'aria fresca mi pizzicava la pelle, ancora calda dalla doccia. Le stelle splendevano in cielo, regalandomi uno spettacolo stupendo.
Con gesto automatico presi il telefono e scrissi un messaggio a Cass.

Sei sveglia?

Attesi qualche minuto, con la speranza di averla svegliata.

Ora sì.

Missione compiuta.

Hai voglia di chiamare?

Due secondi dopo, il nome di Cass comparve sullo schermo.
- Alison? - la sua voce era ancora arrocchita.
- Ciao sorellina. - un sorriso mi spuntò sul viso. Mi mancava da morire.
- Tutto okay? - chiese lei dubbiosa.
Cominciai a vagabondare per il campus senza una meta precisa. - Sì, più o meno. -
- Avanti, raccontami. - sentì un fruscio e subito dopo un clack. Era il rumore della nostra portafinestra, che dava al giardino. Probabilmente era diretta alla nostra panca a dondolo nera.
- È successo ancora. - dissi timidamente, inconsciamente cominciai a rigirare un ciuffo di capelli tra le dita.
- Incubo? - disse lei con voce comprensiva.
- Sì. -
- Quale questa volta? -
- Manette. - dissi guardando il mio polso.
- Beh, questa volta ti è andata bene. Sbaglio o era da un po' che non ne facevi? -
- Vero, solo che... in questo periodo sono un po' stressata. Te invece? -
- Per ora non ne ho avuti, l'ultimo è stato quando eri ancora qua. - ricordavo quella sera, la sentì urlare da camera mia. Passammo il resto della notte insieme , come facevamo tutte le volte che accadeva una cosa simile.
- Sono felice per te. - ci fu qualche secondo di silenzio.
- Mi manchi, sorellona. - la sua voce si era inclinata leggermente.
- Anche tu e la mamma, mi mancate tantissimo. Resisti, ci vedremo per le vacanze di Natale. - cercai di rassicurarla.
- Lo so, ma non è come averti qua tutti i giorni. - percepivo il suo tipico broncio.
- Ora devo andare, Cass, ci sentiamo in questi giorni. - il sole stava iniziando a sorgere, colorando il cielo di una luce lieve.
- Ciao, Alis. - disse prima di riattaccare la chiamata.

Il resto della giornata trascorse di una lentezza disarmante. Kay non si era fatta viva, doveva studiare per un mucchio di materie arretrate, per questo si era rinchiusa in biblioteca.
Ryan aveva preso un brutto raffreddore, che lo costrinse a letto.
Nataly, invece, aveva dei corsi extra di pittura creativa.
Finita la lunga mattinata, mi ritrovai da sola a vagabondare nei dintorni della scuola. Ero in cerca di un luogo tranquillo in cui mangiare qualcosa, avevo una fame assurda.
Trovai un locale abbastanza carino, da quanto scritto sul menù esposto sulla vetrina, dovevano preparare moltissime varietà di toast.
Quando entrai, il campanellino della porta, attirò l'attenzione della ragazza dietro al bancone. Aveva una camicetta bianca ben abbottonata, con al di sopra un grembiule verde chiaro, con il ricamo del nome del negozio.
- Benvenuta da SandWish! Come posso esserle utile? - il nome era azzeccato, potevi veramente trovare il toast che più desideravi, tra tutte quelle varietà.
- Ciao, mi piacerebbe ordinare qualcosa. - le rivolsi un sorriso cordiale.
- Certo, accomodati pure, verrò a prendere la tua ordinazione. -
Mi avviai verso la saletta accanto, dove si estendevano lunghe file di tavoli.
Cominciai a sfogliare le pagine del menù, con le innumerevoli combinazioni. Era veramente difficile scegliere.
Dopo qualche minuto riapparve la ragazza. Le sue lunghe trecce nere le ricadevano ordinate sulle spalle.
- Sei pronta? - disse lei afferrando il taccuino dalla tasca del grembiule.
- Sì, vorrei un toast con avocado, gamberetti e maionese. -
- Te lo porto subito. - se ne andò rivolgendomi un sorriso radioso.
Quando tornò con l'ordinazione, mi avventai come se non mangiassi da giorni.
Cavolo, era spettacolare.
- Buono, vero? - chiese la ragazza vedendomi così accanita contro quei poveri gamberetti.
- È veramente delizioso. - dissi cercando di trasmettere tutta la mia adorazione.
- Non disturbare i clienti, Meli. - una voce maschile arrivò dalla porta d'entrata.
La ragazza si girò in quella direzione, e appena vide chi era comparso nel suo negozio, sbuffò rumorosamente. - Cosa ci fate qui, voi due? - disse lei, agitando la penna estratta dal grembiule. Non riuscivo a vedere con chi stesse parlando perché il muro intralciava il mio campo visivo. La voce però, era familiare.
- Non posso passare a trovare la mia sorellina? - due figure spuntarono dall'angolo e vennero nella nostra direzione. Erano i ragazzi che, insieme ad Ethan, avevano assistito alla mia caduta.
- No, Chase, non puoi. Solo Shon è il benvenuto. - disse lei puntando la penna nella direzione del ragazzo biondo, che ricambio con una smorfia divertita.
Chase, si avvicinò alla sorella con sguardo minaccioso. In un gesto rapido la bloccò, usando un solo braccio, mentre con l'altra mano, fatta a pugno, cominciò a strofinarle i capelli.
- Dai bambini, basta giocare. Ho fame. - disse Shon accomodandosi a qualche tavolo più in la.
La ragazza si divincolò da lui, assestandogli un pugno al braccio.
Chase non sembrava essersi accorto di me, fino a quando non puntò occasionalmente i suoi occhi nei miei, che assistevano divertiti alla scena.
- Ehi, te devi essere Alison, giusto? - disse lui rivolgendomi un sorriso raggiante. Attirò l'attenzione anche del suo amico.
- Sì. - dissi impacciata.
- È la ragazza dell'altro giorno? - chiese Shon, mentre legava i boccoli in una piccola coda bassa.
- Esattamente. - cercai di nascondere l'imbarazzo dietro al mio enorme panino, che era ormai quasi scomparso.
Perfetto, ero conosciuta come la ragazza spalmata al suolo, come il burro sul pane.
- Spero tu stia bene ora. - disse con un sorriso cordiale, mentre andava a sedersi insieme al suo amico.
Annuì, semplicemente.
Sembravano molto più gentili di Ethan, poco ma sicuro.
Mentre finivo ciò che avevo nel piatto, ascoltai un pezzo della loro conversazione. Non perché lo volessi, ma parlavano a voce esageratamente alta.
- Vuoi sentire le novità, riccioli d'oro? - chiese Chase con sorriso sornione.
- Spara. -
- I genitori di Ethan passeranno qua il fine settimana. -
Shon per poco non si strozzò con la Coca-Cola, che stava sorseggiando tranquillo. - Scherzi, amico? -
- No. Dovevi vedere Ethan questa mattina. Quando è venuto a sapere che sarebbe dovuto andare ad una stupida cena con loro e il rettore, ha dato di matto. - disse lui ridendo.
- Posso immaginare, non dev'essere piacevole come esperienza. Ti ricordi l'ultima volta? Non è finita molto pacificamente tra lui e il padre. -
Avevo capito che i rapporti di Ethan con i suoi genitori non fossero dei migliori, ma non pensavo così pessimi. Ma con il suo carattere, ormai, non mi stupivo più di nulla.

Terminato il pranzo mi alzai e mi diressi al bancone, dove la ragazza mi attendeva per pagare.
- Scusa per lo spettacolo di prima, è sempre così. - disse lei sorridendo.
- Non ti preoccupare, è stato divertente. - le rivolsi a mia volta un espressione gentile.
- Comunque, io sono Melissa. Puoi anche chiamarmi Meli. - disse porgendomi il resto.
- Io sono Alison, ma puoi chiamarmi Alis. - ci sfuggì una risata.
Prima che potessi uscire dalla porta, Chase spuntò dal muro e richiamò la mia attenzione. Aveva un sorriso furbo sul viso.
- Alison, ci farebbe molto piacere se sabato venissi alla festa a casa di Mike. Non accetto un no. -
Mi colse alla sprovvista. Per quale motivo mi aveva invitata? Non ci eravamo mai parlati prima di cinque minuti fa.
- Non ho idea di chi sia questo Mike. Non saprei come arrivarci. -
- Possiamo andarci insieme. - Meli intervenne nella conversazione.
- Ora non hai più scuse, ci vediamo sabato, Alison. - scomparve dietro al muro.
- Grazie per l'offerta. - dissi rivolgendomi a lei.
- Figurati, ci vediamo qui alle nove. - ci congedammo con un sorriso.

Ethan.

Fino pochi giorni fa, non avrei mai immaginato che questo venerdì sera lo avrei passato in uno stupido aeroporto, al posto di qualche bar. Eppure, eccomi qua. In attesa dell'imminente arrivo della linea proveniente da casa mia.
Non potevano prenotare un dannato taxi? Una limousine? I soldi li hanno, non vedo il motivo per cui dovessi per forza essere io il loro fottuto autista.
Come se non bastasse, il sole che piano piano stava tramontando, mi batteva dritto negli occhi.
- Ethan? - un viso familiare coprì la luce, che mi impediva di vedere. La mamma indossava uno dei suoi soliti abiti, che di sobrio avevano ben poco. Mi stava accecando di più lei con i suoi lustrini e brillantini, che il sole.
- Mamma. - le diedi un abbraccio, ma solo per cortesia. Le rughe della vecchiaia cominciavano a farsi notare, forse papà non le pagava più le punture di botox.
- Eccolo, il mio figlio numero uno. Purtroppo anche l'unico. - una figura imponente si affiancò alla mamma, i capelli ingrigiti di una volta avevano dato spazio ad un colore più ringiovanito.
- Ora tingi i capelli? All'amante piacciono? - il suo sorriso spavaldo si spense.
Il volto della mamma sbiancò per un secondo, mentre quello di mio padre rimase duro come il marmo. Come se io non sapessi delle innumerevoli donne che si scopava.
- Muoviamoci, dobbiamo arrivare all'hotel prima delle sette. - lui mi superò, tirandomi una spallata di avvertimento. Con un ghigno lo superai e li condussi alla macchina.
La mia Audi Q7 nera non aveva mai avuto in programma di scarrozzare i miei genitori e di sicuro non mi sono preso la briga di risistemarla. Se non sbaglio, nel cruscotto dovrebbe esserci ancora un reggiseno, ormai di provenienza ignota.
La faccia schifata di Cornelius, mentre cercava di toccare il meno possibile la felpa abbandonata sul sedile del passeggero anteriore, fu una piccola soddisfazione personale.

Il viaggio non durò molto, ma quando arrivammo al lussuoso hotel, il sole era già calato.
- Domani sera, alle otto, al Blue Diamond. Arriva puntuale. - mio padre mi congedò con sguardo minaccioso. Conosceva bene il mio vizio dell'arrivare in ritardo agli appuntamenti, e di quanto mi piacesse farli aspettare.

La sera dopo, non si prospettava una delle più divertenti.
La camicia bianca stringeva i muscoli delle braccia in un modo in cui non ero più abituato. La giacchetta nera, in tessuto pregiato, apparteneva a mio padre, ma non avrei indossato i pantaloni del completo nemmeno se mi avessero pagato. Non avevo nessuna intenzione di farmi strizzare le palle durante tutta la cena.
Il ristorante era visibile anche da un chilometro di distanza, con le luci a led blu che illuminavano tutta la facciata principale. Era impossibile sbagliarsi.
I tavoli erano occupati principalmente da uomini e donne di un certo rango sociale. Sicuramente non avevano problemi di soldi.
L'interno del locale era illuminato da un enorme lampadario centrale, i cristalli penzolanti luccicavano sotto quel bagliore.
Il nostro tavolo era uno tra quelli in fondo alla stanza, sopra il rialzo in vetro. Mi accorsi solo dopo qualche minuto, che dei pesci rossi stavano circolando indisturbati sotto i nostri piedi.
Non so perché, ma qualcosa portò la mia mente ad Alison. Probabilmente le sarebbe piaciuto mangiare sopra ad una vasca di pesciolini. Ad ogni modo, non ci sarebbe mai stata occasione di scoprirlo, dal momento che mi odiava.
- Complimenti, sei riuscito ad essere qua per l'orario stabilito. Le mie congratulazioni. - disse il rettore, scambiando uno sorriso complice con mio padre.
- Il suo completo color fumo si intona perfettamente ai capelli invecchiati, Signor Lanford. - rivolsi uno sguardo compiaciuto all'uomo brizzolato seduto di fronte a me. Il sorriso sulla sua bocca vacillò visibilmente, per poco mia madre non si strozzò con il vino.
- Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare la nostra cena. Sono grato tu sia qui Thomas. - mio padre diede inizio alle procedure per leccare il culo al suo amico, così che possano rimanere buoni amici.
O più semplicemente, per poter ottenere anche il prossimo anno lo sconto delle metà sulla retta per il College.
- È sempre un piacere poter rivedere te e Wanda. - rispose lui soffermandosi soprattutto sul nome di mia madre. Vidi lei trattenere un sorriso. Disgustosi.
Nel frattempo arrivarono alcune pietanze dall'aspetto indecifrabile.
- Ora veniamo a noi, Ethan. È giunta l'ora di parlare di affari. - mio padre mi colse di sorpresa. Sentì lo sguardo di tutti e tre piombare su di me, come un macigno.
- A quale proposito? - mi appoggiai allo schienale della sedia e incrociai le braccia al petto. Un pesciolino vagante attirò la mia attenzione.
- Mi sto organizzando per poterti inserire nell'azienda di famiglia. Thomas, questa sera, è qui anche per parlarti di un tuo eventuale trasferimento al Linfield College, a McMinnville. Non è molto distante dalla sede principale dei nostri uffici. - il gelo polare congelò la mia faccia.
- Cosa cazzo stai blaterando. - il respiro cominciava a farsi sempre più affannoso. Il sangue a ribollire nelle vene.
- Non rivolgerti in questo modo a tuo padre! - mia madre mi fulminò con lo sguardo. Potevo vedere i suoi capelli ramati drizzarsi sulla testa.
- Cosa cazzo ti fa pensare che io voglia seguire te nella tua fottuta azienda di merda? Dammi un solo valido motivo per cui dovrei farlo. - appoggiai entrambi i gomiti sulla morbida tovaglia bianca.
- Questo lavoro mi sta portando grandi entrate, è tuo compito mandare avanti il lavoro per cui tuo padre ha investito soldi e anni della sua vita. -
Una risata sguaiata uscì dalla mia bocca, attirando l'attenzione di altri commensali.
- Non ho intenzione di stare ad ascoltare altre puttanate. Non sono venuto qua per farmi prendere per il culo da voi. Sono qua per starvi il più lontano possibile. - mi alzai dal tavolo, e con passo slanciato schivai i camerieri che viaggiavano ad alta velocità per tutta la sala.
Oltrepassai la porta, sotto gli occhi sprezzanti di quella che poteva essere definita la mia famiglia.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro