Chapter 6
If you wanna break these walls down, you're gonna get bruised
Il corridoio era pressoché deserto, e il rumore dei suoi passi pesanti riecheggiava nell'aria fino a occupare tutto lo spazio a disposizione.
Era così infuriato.
Con così tanti pensieri a vorticare in testa e davanti agli occhi da non capire o vedere più nulla, con così tanto frastuono nelle orecchie da non accorgersi nemmeno di quella voce preoccupata che continuava a chiamarlo e a chiedergli di fermarsi.
Dorian avvertì una pressione leggera sulla spalla e si voltò di scatto, furente, scacciando con cattiveria quella mano che aveva solo tentato di raggiungerlo.
- Che vuoi, adesso?! - ringhiò, non appena mise a fuoco l'immagine della ragazza, ancora accecato da una ferocia difficile da domare. - Tornatene in classe. -
- Puoi parlarmi. - si limitò a dire lei in un sussurro dopo aver ponderato la risposta, forse vittima del timore concreto di infastidirlo ancora di più. - E io posso ascoltare. -
- Non voglio parlare. - e scagliò zaino e giacca a terra, con violenza. - Specie non con te. -
Stizzito e nervoso, Dorian si passò una mano a ricacciare indietro i capelli che cadevano sulla fronte. Le diede poi le spalle, per continuare a macinare metri e respirare astio.
Nel giro di poco, si sentì afferrare, di nuovo, ma questa volta per la manica.
A quel punto, la vena sulla tempia iniziò a pulsare.
Invece che allontanare la ragazza, come aveva fatto in tutti i maledetti episodi in cui avevano avuto a che fare l'uno con l'altra, Dorian la spinse contro gli armadietti, sorprendendo entrambi con quel gesto. Le fece sbattere la schiena contro le lamiere fredde e sottili di metallo, poi piantò entrambe le mani a lato della sua testa, bloccandola con l'intero corpo tra sé e la parete.
Le rifilò un'occhiata gelida, di quelle che fanno salire il freddo persino alle ossa.
Forse voleva spaventarla, forse voleva scacciarla una volta per tutte, o forse voleva solo sfogarsi.
La verità era che nemmeno lui sapeva cosa avrebbe fatto.
E l'unica certezza che aveva riguardava quel suo sentirsi profondamente esausto.
- Ti conviene rientrare in classe, questa volta. - sibilò Dorian a labbra serrate, a un soffio dal suo viso e con le dita a sfiorare le ciocche di capelli sfuggite all'acconciatura. - Sokolov potrebbe avere ragione. -
- Sokolov si sbaglia. - si limitò a rispondere lei, nel suo classico tono melodioso. Nonostante gli occhi sbarrati per la sorpresa portata da quella situazione, li teneva ancora ben piantati a fronteggiare quelli grigi di Dorian. - Non sei un teppista. -
- Non puoi saperlo. - la corresse lui, permettendo alla propria rabbia di impregnare ogni fonema. - L'altro giorno, se solo ne avessi avuto la possibilità, avrei fatto vedere a Vasilyev com'è che si usa davvero un coltello. -
- Bugiardo. -
Dorian batté un pugno contro l'armadietto e la bionda serrò le palpebre.
L'eco di quel rumore acuto e stridente rimbombò nelle orecchie di entrambi, occupando l'area per i secondi a venire.
Il ragazzo notò che lo sterno di lei, sotto quel maglioncino pastello, aveva iniziato ad alzarsi e abbassarsi a una velocità più sostenuta, facendola assomigliare quasi a una bestiolina impaurita. E ingabbiata com'era, Dorian pensò che sembrasse proprio un uccellino.
Eppure, non appena tornò a dedicare maggiore attenzione al suo viso, si accorse che i suoi occhi avevano assunto un taglio duro, affilato, tutt'altro che intimorito. Tremendamente distante da quello di una preda.
E il problema più grande, a quel punto, era che Dorian non riusciva più a staccarsi, da quegli occhi: più annegava nel suo sguardo, più sentiva la propria convinzione iniziare ad affievolirsi; nel giro di un battito di ciglia, quell'oro finì per bruciargli le iridi e sciogliergli l'anima, insinuandosi in lui come un veleno lento e stupidamente piacevole.
- Tu sei una persona buona. - le labbra di lei erano rimaste dischiuse in una pausa, dopo aver pronunciato quelle parole, forse per fargliele metabolizzare meglio. - Ma anche tanto, tanto arrabbiata. E questo è ovvio per chiunque ti guardi. -
- E tu mi hai guardato abbastanza a lungo da riuscire a farti un'opinione ben precisa. -
Lei non si mosse.
Si limitò a sostenere il suo sguardo, per nulla toccata da quel tono o dalla sua provocazione.
- Abbastanza a lungo da riuscire a capire quanto ti senti solo. -
Dorian grattò istintivamente le unghie sul metallo, stringendo nel palmo l'aria.
Perché si sentì scivolare, nonostante fosse del tutto immobile e proteso su quel piccolo ed esile corpo. Perché sentì il bisogno impellente di raggiungere un appiglio a cui aggrapparsi, dato che la sensazione di vuoto era la stessa di quando il terreno viene a mancare sotto ai piedi.
In maniera del tutto inaspettata, fu lei stessa ad offrirglielo, quel sostegno.
Sciolse la maschera di serietà che aveva indossato per il tempo di quella breve conversazione e in uno slancio gli allacciò le braccia dietro al collo, invitandolo ad affondare il viso sulla propria spalla.
- È okay. - mormorò flebile, con le labbra quasi appoggiate al lobo dell'orecchio. - Qui è okay. -
Si era messa addirittura in punta di piedi pur di attirarlo più a sé, pur di spingere il proprio corpo contro il suo.
E Dorian non aveva la più pallida idea di cosa stesse davvero succedendo.
Non sapeva come reagire, non riusciva nemmeno a pensare, a mettere in fila le idee. Aveva gli occhi spalancati a fissare il metallo degli armadietti, mentre quel piccolo esserino cercava di avvilupparsi attorno al suo corpo, stringendolo con tutta la forza che aveva. Il cuore aveva preso a martellargli nel petto a una velocità talmente sostenuta da credere che lei stessa potesse sentirlo, attraverso quella vecchia maglietta davvero troppo sottile per un clima così freddo. Ma il tepore che emanava, dal sentore impossibilmente familiare, riusciva a sopperire a quella mancanza, diventando qualcosa di cui non avrebbe più voluto privarsi.
Quella ragazza era riuscita a sorprenderlo, un'altra volta.
A mandare in frantumi qualunque suo stupido muro, nonostante tutti i tentativi di tenerla a distanza.
- Non devi dire niente, se non vuoi. - aggiunse lei in un soffio.
Dorian si ritrovò a nascondere lo sguardo nell'incavo del suo collo, inerme, solleticandole la pelle con le ciglia.
Nemmeno si accorse di quando le proprie braccia abbandonarono la loro posizione per avvinghiarsi alla vita stretta di quel corpicino caldo, o di quando le dita affondarono nella morbidezza di quel maglione dal colore discutibile. Lo fecero e basta, in autonomia, senza che il cervello potesse avere voce in capitolo. Come se quella fosse la conclusione migliore al loro scambio teso di battute, se non addirittura l'unica possibile.
E, per tutta la durata di quell'istante, Dorian si sentì legittimato a respirare.
A lasciare andare tutto. Ad appoggiarsi a quella figura esile. A inalare il profumo magnifico di quei capelli sempre intrecciati.
Come se, per la prima volta, la solitudine che gli pesava sulle spalle da tutta la vita avesse finalmente deciso di alleggerirsi. Come se, per la prima volta, potesse smettere di pensare allo schifo che era costretto a sopportare pur di mantenere viva l'idea di portare via suo fratello da quell'incubo che erano costretti a chiamare casa.
Dorian rimase immobile e non disse una parola.
Né su Dimitri, né su Gavril, né su quella vita così difficile da condurre.
Si lasciò cullare da quelle braccia, tenendo stretta a sé quella ragazza ostinata e caparbia, cingendola con un'intensità tale da fargli aprire gli occhi su quanta paura gli facesse davvero l'idea di tornare a essere solo. Se fino a quel momento aveva tentato di allontanarla, ora provava solo un profondo timore che potesse scomparire, assieme a quell'improvvisa ma ormai vitale sensazione di sollievo.
E si diede dello stupido per essere stato così freddo, distaccato e cieco, così stupido per aver schivato con ogni briciola del proprio essere l'eventualità che lei potesse vederlo con occhi diversi.
Ed era stato talmente stupido e arrogante da non averle nemmeno mai chiesto il nome.
- N-non... - Dorian a stento riconobbe la propria voce. Si inumidì le labbra e scaldò la gola, senza però sciogliere l'abbraccio e senza spostare la fronte dalla sua spalla. - Non so... -
- Elyza. - e anche se non poteva vederla, immaginò che stesse sorridendo. - Elyza Violet Parker. Ma tu puoi chiamarmi Liz. -
*
Rimasero stretti in quell'abbraccio per un tempo che parve infinito. Poi, qualcuno del personale docenti passò di lì e ricordò loro che si trovavano in un'università privata, una delle migliori del Paese, e che certe effusioni erano da considerarsi estremamente fuori luogo. Così furono costretti a sciogliere quell'intreccio, non senza una dose abbondante di imbarazzo da parte di entrambi, e si limitarono a sedere per terra, con la schiena appoggiata agli armadietti.
- Così ti sei giocata l'esercitazione di oggi. -
Elyza si strinse nelle spalle. - Chiederò al professor Sokolov di farcela recuperare. -
- Tu forse potrai anche farlo, ma io... - Dorian guardò altrove, sbuffando. - Dubito che potrò tornare presto a partecipare alla sua lezione. O a quella di qualunque altro docente. -
- Puoi stare tranquillo per la tua borsa di studio. Non possono togliertela così, non hai fatto niente di male. -
Il ragazzo inclinò la testa e aggrottò la fronte. - Come fai a sapere della borsa di studio? -
- Ho i miei metodi. - e sorrise, un po' enigmatica, lasciando intravedere una fossetta leggera al lato della bocca. - Tu non sei un tipo facile da avvicinare. -
- Stalker. - la punzecchiò, nonostante quella rivelazione gli facesse molto più piacere di quanto non volesse ammettere. - Guarda che se peggiori mi rivolgo alla polizia: il fatto che sei carina non è mica un'attenuante. -
Lei aggrottò la fronte e gonfiò le guance, mentre un velo di imbarazzo si impossessava dei suoi zigomi. - Mi piace guardare le persone... -
A quelle parole, Dorian si lasciò travolgere da una sonora, sincera risata. - Forse faresti meglio a dire che sei brava a capire e interpretare i loro comportamenti. -
- È la stessa cosa! - esclamò, alzando la voce di un tono. - Il russo è una lingua difficile. -
- È vero... - ammise, senza riuscire a smettere di sorridere e osservare le sue guance paonazze. - Però te la cavi già molto bene. -
E quando lei cambiò espressione, regalandogli il migliore dei suoi sorrisi, Dorian si sentì sciogliere.
Ci mise un po' a riprendersi e gli ci volle una buona dose di autocontrollo per evitare di sporgersi su di lei e intrappolare quelle labbra in un bacio. O, ancora meglio, di compiere qualsiasi altro gesto che fornisse una motivazione ben più valida all'accusa di "effusioni fuori luogo".
"Fantastico: prima non volevo nemmeno rivolgerle la parola e adesso penso già a quanto vorrei portarmela a letto. I miei complimenti, Volkov, anche oggi confermata l'accelerazione da zero a cento", si passò una mano sul viso e svuotò i polmoni in un lungo sospiro.
- È tutto okay? -
Dorian annuì. - Stavo solo pensando che non ti ho ringraziata, per... prima, in classe. -
Lei sorrise e si strinse nelle spalle. - All'inizio non volevo farlo, perché ero ancora arrabbiata con te, per via di Viktor. -
- Viktor? - domandò, aggrottando la fronte.
- Viktor. - confermò lei. - Quello che hai chiamato "mio amico". -
- Ooh. - nella mente di Dorian apparve vivida l'immagine dell'energumeno che cercava di abbordarla in corridoio. Comprensibilmente, si sentì un vero stronzo per averla trattata così male e per averla rispedita da lui dopo l'episodio della sciarpa. Si chiese anche se, alla fine, fossero davvero usciti insieme, e per questo si ritrovò con un fastidioso peso sul petto. - Quel Viktor. -
- Già. - fece lei, allungando l'ultima sillaba. - Ma, sai... il problema è che anche tu sei carino, e nel tuo caso è proprio un'attenuante. Quindi, anche se ero arrabbiata, ho dovuto aiutarti. -
Dorian si chiese se "dovuto" fosse davvero il termine adatto per quella frase, o se in realtà intendesse qualcosa con un'inflessione meno stringente e più volontaria, come "deciso". Il discorso sull'attenuante, però, fece passare tutto in secondo piano.
- Come hai fatto a capire che... -
- ...Non leggi bene da lontano? - completò lei al posto suo. - Come dici tu, forse è proprio perché sono una brava stalker. - e sogghignò, questa volta scegliendo accuratamente le parole da usare.
Dorian rimase per un attimo interdetto: quasi vent'anni che Vladimir lo conosceva e non si era mai accorto di nulla, mentre a quella ragazza era bastato frequentare qualche lezione insieme per intuire una cosa del genere. Non ne aveva mai parlato con nessuno, un po' perché aveva problemi ben più grandi da gestire, ma soprattutto perché gli mancavano i soldi per procurarsi un paio di occhiali da vista decenti. Seguire le lezioni dalle prime file, quando non arrivava in ritardo, era un'alternativa piuttosto economica.
- Dorian? -
- Mh? -
Prima gli regalò un sorriso timido, poi si fece coraggio e allungò la punta delle dita a sfiorargli il livido vicino all'occhio. - Vorrei... aiutarti. -
Il ragazzo serrò le labbra e irrigidì la mascella, intuendo al volo a cosa si stesse riferendo. - Quello che hai fatto prima è già abbastanza. - si alzò da terra, senza nemmeno darle il tempo di ribattere, poi si voltò a tenderle una mano. - Andiamo? -
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Ciao, fiorellini! ~
Finalmente il capitolo 6 segna una svolta.
Non so dirvi come mai, ma sono particolarmente affezionata a questa parte.
Dorian è riuscito a smettere di fare il cane rabbioso, e, gracias a dios, la signorina Parker ha un nomeeee! Abbastanza scontato quale fosse, per chi ha letto UV, ma chi è a digiuno da quei fatti magari si stava facendo due domande xD.
Siate sinceri: quanti di voi si aspettavano un bacio, in questa scena?
Ammetto che fin dall'inizio l'ho immaginata così: con Dorian che sbrocca male e con Elyza che spegne la miccia grazie ad un abbraccio.
Siamo a metà percorso, da qui in avanti le cose prenderanno una piega un po' più drammatica (ma sempre graduale).
♡
Ci vediamo con il Capitolo 7 Sabato 3 Dicembre!
~ Juliet
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