Chapter 11
Throw me in the deep end, watch me drown
Probabilmente, Dorian non aveva mai avuto una guida più sportiva di quella.
Non appena superato il vialetto di casa aveva smesso di rispettare qualunque limite di velocità, pigiando sull'acceleratore anche quando doveva affrontare curve e attraversamenti pedonali, indipendentemente da quello che poteva essere lo stato dell'asfalto. E una volta giunto a destinazione nemmeno l'aveva spenta, l'auto, ma l'aveva lasciata proprio di fronte alla porta del locale, ancora in moto e con le quattro frecce attive.
Aveva avuto il cuore in gola per tutto il tempo del tragitto e, anche ora che stava finalmente rientrando, il suo sesto senso gli impediva di rilassarsi.
Ma, in una situazione come quella, in quale modo sarebbe mai riuscito a stare tranquillo?
Elyza era rimasta a casa con Dimitri, mentre lui era stato mandato a zonzo per vestire i panni dell'allegro fattorino.
Che, di certo, di allegro non aveva proprio un cazzo.
Prese una curva a gomito a una tale velocità da sentire gli pneumatici fischiare sulla strada, e forse una parte delle gomme rimase addirittura sull'asfalto durante la manovra. Stava correndo come un pazzo su quella maledetta ferraglia per cercare di rientrare il prima possibile, perché una vocina subdola ma lungimirante continuava a ripetergli di aver fatto una grandissima stronzata a lasciarli soli.
Non si fidava di Dimitri.
Non che ci fossero mai stati episodi di quel tipo di violenza, ma il modo in cui guardava Elyza, il fatto che chiedesse sempre di lei e che si isolasse in bagno ogni volta che la ragazza usciva dalla porta di casa non faceva altro che orchestrargli nel cervello un quadretto rivoltante, in grado di fargli tremare vene e polsi.
A ogni dosso, le pizze sul sedile del passeggero oscillavano e trasalivano, come se anche loro condividessero le sue stesse ansie. Dorian non sapeva nemmeno che cosa ci fosse, in quei cartoni. Igor, vedendo la sua faccia sconvolta, gli aveva preparato le pizze in fretta e furia, come sempre senza porre domande e, probabilmente, facendogli pure lo sconto.
Avrebbe dovuto davvero ringraziarlo, prima o poi.
In una manciata di minuti riuscì ad essere a casa. Parcheggiò alla bell'e meglio e, una volta afferrata la cena con una mano, calpestò la piccola aiuola brulla che si sforzava di voler essere chiamata giardino.
Si piazzò davanti alla porta e infilò la chiave nella toppa.
Ma questa non entrò.
O meglio, lo fece, ma solo fino a metà.
- Cazzo. -
Con le dita formicolanti estrasse l'oggettino in metallo e se lo rigirò tra le dita, nervoso, poi fece un nuovo tentativo.
Niente di diverso.
Il cuore cominciò a doppiare i battiti.
A giudicare dalla corsa smorzata della chiave, l'ipotesi più probabile era che dall'altra parte della toppa ce ne fosse infilata già un'altra. E il cervello di Dorian si rifiutava categoricamente di credere che fosse per via di una semplice coincidenza.
Sentì le mani gelide.
Riprovò ancora, con più vigore, spingendola e provando a insistere sulla serratura, con l'idea di far cadere il mazzo dall'altro lato. Agli scarsi e medesimi risultati tese un orecchio, ma quello che riuscì a percepire fu solo un groviglio di suoni attutiti e indistinguibili. Il tono delle voci, però, sembrava essere concitato e acceso.
Lasciò perdere le chiavi e bussò, le nocche battute con insistenza contro il legno scuro e invecchiato. Nulla in risposta, se non un'agitazione improvvisa proveniente dall'altro lato.
Bussò una, due, tre volte, limitando al minimo i secondi intercorsi tra un tentativo e l'altro.
Ci fu un grido, o qualcosa di molto simile ad esso, poi il rumore di un oggetto fracassato a terra.
Dorian, sempre più pallido, sentiva il passo dei propri incubi peggiori dietro le spalle.
Si liberò dei cartoni in malo modo, lasciandoli cadere a terra.
Urlò contro la porta, una mano ancora intenta a picchiare il legno con il palmo, l'altra a tentare di spingere la chiave nella toppa.
Fece un passo indietro, e preso dalla disperazione assestò un calcio al di sotto della serratura.
Del tutto inutile.
Percepì le dita intirizzite e le tempie bollenti, mentre un cerchio alla testa sfocava i contorni di tutto ciò che gli si parava davanti agli occhi.
Si guardò intorno, il panico sempre più vivo che traboccava dal centro delle iridi, bucandole come uno spillo.
Tremava.
Tremava per la paura.
Poche volte aveva saggiato l'intensità di quel terrore, e l'ultima era stata quando Dimitri aveva assestato a Gavril uno schiaffo così forte da spingerlo in fondo alle scale, facendolo carambolare per i gradini: lì, Dorian aveva seriamente temuto che suo fratello non avrebbe mai più riaperto gli occhi. E se poi ripensava alla giustificazione dell'uomo, ovvero che quello fosse l'unico modo sensato di far sparire le voci che il più piccolo aveva in testa, si ritrovava ad aggiungere anche una rabbia cieca al groppone che gli teneva annodata la gola.
Riesumare quel ricordo, ovviamente, non aveva fatto altro che peggiorare la sua agitazione.
Un brivido freddo gli accapponò la pelle, passando per le braccia fino ad arrivare a divorargli la schiena. Dorian si passò le mani tra i capelli, frustrato e impotente, posando lo sguardo a destra e sinistra in cerca di una soluzione.
- Bratishka! -
Un singhiozzo accompagnò quella voce squillante.
Il ragazzo puntò gli occhi verso l'alto e scorse Gavril alla finestra della sua camera, con il volto stravolto dalle lacrime e le guance arrossate; vederlo in quello stato gli provocò una stretta allo stomaco e gli pizzicò gli occhi, facendogli temere in maniera concreta di averci messo davvero troppo tempo.
- Non so cosa fare... - Gavril tirò su con il naso, passandosi la manica sulle ciglia. - P-papà urla, e-e Liz è con lui, e... -
- Andrà tutto bene, adesso ci pensa il tuo fratellone, okay? - si sforzò di sorridergli, ma percepì gli angoli della bocca tremolare in modo pericolosamente instabile. - Devi solo farmi un favore, Gave: devi venire giù e aprirmi la porta. -
- Non posso! - il piccolo si premette con forza le mani sul viso, annacquando sempre di più il tessuto che gli copriva oltre metà palmo. - N-non voglio andare di sotto, io ho... -
- Lo so che hai paura. - asserì Dorian, tenendo a freno quell'urgenza di entrare che gli scalpitava nel petto. - Anche io ce l'ho. -
Gavril, come sconvolto dalla sua ammissione, a quel punto sgranò gli occhioni. - Ma tu sei il fratellone! Tu non hai mai paura! -
Dorian piegò le labbra in un sorriso agrodolce: come poteva spiegare a un bambino di appena tredici anni che era proprio lui la fonte del suo coraggio?
- Sei tu l'eroe della famiglia, Gave. Lo sei sempre stato. -
L'espressione sorpresa sul volto di Gavril si aprì e migliorò di colpo. Come un balsamo lenitivo, quelle parole riuscirono a fare breccia anche nel cuore del più piccolo, infondendogli una ventata di intraprendenza.
- Devo solo aprire la porta? - chiese, con la voce permeata da un ultimo velo di titubanza.
- Solo aprire la porta. - confermò lui, forte per entrambi.
Dopo qualche istante, Dorian lo vide muovere un cenno affermativo con la testa.
Così ci vollero un paio di minuti.
Forse di più, o forse di meno: la percezione del tempo era lungi dall'essere consistente.
Ciò che era indubbio, era che il cuore aveva preso a martellare come un pazzo non appena Gavril si era allontanato dalla finestra, smaniando battiti furenti con una tale irruenza da minacciare di mandargli in frantumi la gabbia toracica.
Dorian non sapeva più a quale parte delle proprie paure avrebbe dovuto dare ascolto.
Davanti agli occhi, un canale immaginario specializzato in cronaca nera continuava a vomitare le immagini orripilanti di quella che poteva essere la situazione, vagliando con precisione tutti i casi peggiori che la mente riusciva a partorire. Dorian tentò in tutti i modi di non cedere al panico, ma quegli ultimi istanti di tensione misero i nervi davvero a dura prova, rendendo quei minuti i più difficili e duraturi della sua esistenza.
E, sotto sotto, temeva di scoprire la verità.
Finalmente, il pomello si decise a ruotare, scavalcando le sue ansie e conquistando la priorità su tutto il resto. Gli occhioni di Gavril fecero capolino dal minuscolo spiraglio aperto, così Dorian si affrettò ad entrare in casa, chiudendo subito la porta dietro di sé.
Come mise un piede all'interno, le grida provenienti dalla cucina si fecero più chiare e distinguibili.
Affilò lo sguardo in direzione dell'altra stanza, mentre ancora stringeva Gavril fra le braccia in un abbraccio soffocante e grato allo stesso tempo, mormorandogli dei complimenti e invitandolo poi a tornare in camera. Il fratello minore aumentò la presa su di lui, contrario all'idea di separarsi, ma Dorian riuscì comunque a convincerlo.
Non appena il più piccolo sparì oltre le scale, al sicuro, Dorian si fiondò sulla cucina.
*
Elyza era incastrata tra Dimitri e la parete.
Teneva il viso rivolto verso sinistra, gli occhi bassi e le mani arpionate ai propri avambracci. Continuava a fissare a terra, nel punto preciso in cui il piatto che stava prendendo dalla credenza si era sfracellato sul pavimento non appena l'uomo l'aveva afferrata per le spalle per poi ingabbiarla in quell'angolino della cucina.
Tremava, Elyza.
Tremava in maniera quasi impercettibile.
- Guarda che l'ho fatto io, sai? - sghignazzò Dimitri contro il suo volto, inondandola di un odore acre di alcool. - E la copia non sarà mai come l'originale. - sogghignò, estasiato dalla sagacità delle proprie parole, compiacendosi mentre portava le dita ad accarezzarle il fianco in un gesto ostinato.
- Mi lasci. - mormorò la ragazza, ancora impietrita contro il muro, con la lingua che a stento riusciva a concretizzare i fonemi.
- Se lui ti piace, devo piacerti per forza anche io. L'ho avuto a sedici anni, sai? Non c'è nemmeno troppa differenza di età... - passò il naso lungo il profilo del suo collo, inspirando il suo profumo come fosse quello di un fiore raro. - Io e lui siamo uguali. -
Lei rabbrividì, disgustata e impaurita, sia per le parole, sia per le dita di Dimitri che avevano iniziato a insinuarsi al di sotto del proprio maglioncino. - Dorian non potrebbe essere più diverso. - contestò, inorridita da quel paragone, da quel gesto, e da tutto ciò che quell'uomo confermava di essere.
Lui le afferrò il viso, stringendo le guance tra indice e pollice per obbligarla a guardarlo. - Sei molto più carina quando stai zitta e non abbai. - incrementò la pressione, facendole sporgere le labbra fino a che non si schiusero. - Non c'è bisogno di fare la dura, tanto ho visto come mi guardi. Tu non sei qui per Dorian, sei qui per me. - passò il pollice a sfregare l'arco di cupido, spingendole il dito dentro la bocca con insistenza.
Elyza glielo lasciò fare, docile.
Ma solo per morderlo così forte da volerglielo staccare.
Gli incisivi premettero contro la carne fino a che non la lacerarono, e il sapore metallico e ferroso del sangue che si posò sulla lingua le fece venire il voltastomaco.
- Puttana! -
Dimitri, in un ringhio, ritirò la mano con uno scatto, e nell'istante successivo la calò contro il suo viso con brutale irruenza, producendo uno schiocco sordo sulla sua guancia. Elyza sbarrò gli occhi, con quella fitta di dolore che la privava del respiro e che riverberava in tutto il corpo. Un rivolo di sangue le impiastricciò il mento, colando dallo spacco sul labbro.
- Te l'ha detto, vero? Quel rifiuto di mio figlio ti ha detto che sono stato io a picchiarlo. È per questo che ora ti comporti così? -
La schiacciò contro la parete, premendo il corpo contro il suo.
Elyza non riuscì nemmeno a rispondere.
Le era impossibile muovere un muscolo, e a malapena era in grado di pensare.
Aveva la mente completamente in panne.
Non aveva idea di come poter uscire da quella situazione.
Sentiva tutto il peso di quell'uomo su di sé, le sue mani che vagavano smaniose sul ventre e sul petto, la barba incolta che le graffiava le guance.
La paura le aveva stordito le orecchie e paralizzato i movimenti.
Ma una voce, nella testa, continuava a implorarla di reagire.
Di andarsene, di trovare un modo, qualunque modo.
Una soluzione qualsiasi, pur di togliersi di lì, pur di sbarazzarsi di Dimitri.
E lei voleva ascoltarla, quella voce.
Lo voleva davvero, con tutta se stessa.
Ma sembrava non riuscire a fare nulla di concreto per salvarsi.
- Lo so che mi vuoi, Liz. I tuoi occhi parlano per te. -
I suoi occhi esprimevano solo paura, terrore, angoscia, ansia e impotenza.
Dimitri spinse il bacino in avanti, strusciandosi contro di lei, mentre la mano risaliva per posarsi sul suo seno.
Lei, con lo stomaco sottosopra, riuscì solo a implorarlo di smettere.
Non si era nemmeno accorta di aver iniziato a singhiozzare.
- Sssh, piccola... - le dita di Dimitri si strinsero attorno al tessuto del reggiseno, tirandolo verso il basso. - Andrà tutto bene, sarà fantastico, vedrai. Non devi ascoltare mio figlio, non devi avere paura di me... -
Elyza, in una supplica a vuoto, si lasciò sfuggire dalle labbra il nome di Dorian.
Serrò le palpebre, sentendo i capogiri cominciare a privarla dell'orientamento.
Davvero sarebbe dovuta andare così?
I singhiozzi si erano zittiti, tramutandosi in un pianto silenzioso a rigarle le guance pallide, mentre le mani sudice di quell'uomo tentavano in tutti i modi di sostituirsi ai ricordi felici di quel pomeriggio, rubandole pezzetti di pelle.
Elyza era innamorata di Dorian, ne era certa, anche se per il momento aveva preferito non dirglielo.
Lo aveva capito nel momento esatto in cui gli occhi si erano persi nei suoi, quel giorno in classe, quando aveva identificato in quel grigio lo stesso colore di tutta la tristezza e la solitudine che si portava appresso da quando aveva capito che la parola "famiglia" non era necessariamente sinonimo di "amore".
Le era bastato davvero poco, per comprendere la sua anima.
Lui aveva bisogno di un appiglio, di un'altura da cui respirare nuovo ossigeno.
Lei aveva bisogno di una speranza, di un motivo per cui valesse la pena continuare a stare al mondo.
Erano fatti per stare assieme, erano uno la metà perfetta su cui poteva incastrarsi l'altra, e proprio in quello stesso giorno ne aveva avuto ulteriore conferma.
Dorian era davvero tutto quello che le mancava, tutto quello di cui aveva bisogno.
E lei era pronta a fare ogni cosa in suo potere pur di renderlo felice, pur di restituirgli l'equivalente di quell'incredibile favore.
Quindi serrò i palmi a pugno.
No, Dimitri non le avrebbe portato via quell'agognato momento di pura gioia.
No, lei non gli avrebbe permesso di contaminare così il proprio futuro.
Elyza aprì gli occhi, pronta a reagire.
Ma, all'improvviso, tutto il peso che la opprimeva contro la parete fu spazzato via.
Dorian aveva afferrato il padre per la camicia, scaraventandolo con forza sul pavimento.
__♡_________♡_________♡__
Ciao, fiorellini! ~
...quanti di voi vorrebbero uccidermi, in questo momento?
Il capitolo è piuttosto intenso, di certo abbiamo raggiunto un bel picco emotivo, arrivati a questo punto della storia.
È stato molto difficile scriverlo, nonostante avessi le idee chiare, perché data la mia lacrimuccia facile e la mia empatia over 9000 mi sono dovuta fermare più volte durante la stesura. Ma sembra proprio che le cose vogliano migliorare, proprio qui sul finale, giusto?
...giusto...?
Ad ogni modo, spero di non aver urtato troppo la sensibilità di nessuno.
E, come sempre, sentitevi liberi di dire tutto ciò che pensate!
Consiglio spassionato: io i fazzoletti li terrei a portata di mano anche per il prossimo e ultimo capitolo.
♡
Ci vediamo con il Capitolo 12 Giovedì 15 Dicembre!
~ Juliet
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro