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CAPITOLO 4 - Non c'è un motivo al mondo

Teh è tornato subito a scuola, il giorno dopo l'esame; finché non usciranno i risultati non può mollare la presa. Però ha passato tutta la mattinata a infastidire Tarn, nel banco accanto al suo,  cosa che fa spesso per farsi notare da lei, che a dire il vero l'ha notato già da parecchio.

Nella pausa trovano sempre il modo di restare qualche minuto in aula da soli e ognuno dei due è convinto che quelle manovre siano merito proprio. 

Tarn sta disegnando; non fa che disegnare, per l'esame di ammissione ad architettura. «Sono sempre troppo lenta» si lamenta, senza staccare la matita dal foglio. «Una lumaca: non riesco mai a finire in meno di due ore.»

«Forse dovresti distrarti un po', staccare...» le risponde Teh ammiccando. «Ti farebbe molto bene avere un ragazzo. Uno davvero intelligente e molto carino» aggiunge, con un sorriso affettato che mette in mostra i denti e le mani a incorniciarsi il volto.

Tarn alza lo sguardo e gli sorride. «Umile, soprattutto. Ci stai provando, per caso?»

Teh ride, stavolta sul serio, con lei non è quasi mai in imbarazzo. «Sono due anni che ci provo. Ma tu non mi dai mai nessuna soddisfazione.»

Lei sbuffa di finta esasperazione. «Ti pare il momento di procurarsi una distrazione? L'esame ordinario è fra quattro mesi! E io devo passarlo, a ogni costo.»

Teh le fa un applauso di incoraggiamento e le manda cuoricini con le dita, come  gli idol.

Tarn scuote il capo e riprende a disegnare, sorridendo suo malgrado. Pensa che Teh sia un po' imbranato e parecchio sdolcinato, ma incredibilmente carino e in fondo sincero. Solo, non è proprio il momento giusto per innamorarsi. O per ammettere di essersi innamorata. Un po'.

A Teh piace molto guardarla mentre è assorta. Tarn è bellissima. Trova belli il suo viso, le sue labbra, i suoi capelli lunghi e scuri, il suo corpo un po' acerbo. Tutte cose a cui pensa molto spesso. Così come pensa spesso a quello che succederà fra loro quando si metteranno insieme, il che, ritiene, accadrà molto presto. Però Tarn non gli interessa solo per la sua bellezza, non sprecherebbe mai il suo tempo prezioso con una ragazza con cui può solo andare a letto. Tarn è una forte e lui la rispetta sul serio: è simpatica, è intelligente, è volitiva. Esattamente il genere di fidanzata che ha sempre saputo di voler avere accanto. E di meritarsi.

«Pensi davvero che ti distrarrei così tanto?» le domanda, grattando col dito il bordo del quaderno di lei.

Tarn volta il viso e lo guarda negli occhi. «Ti ho detto che ti avrei dato una risposta dopo l'esame di ammissione. Fino ad allora lasciami stare!»

«Manca un secolo!»

«Magari mancasse un secolo, arriverei preparata!»

A Teh sfugge un piccolo sbuffo, che Tarn coglie e archivia immediatamente. «Ma nessuno dice che tu debba stare lì ad aspettarmi come un eremita. Se trovi un'altra che ti piace di più, puoi sempre...»

«Impossibile. Finché io piaccio a te... ti piaccio vero? Ti piaccio ancora?»

Tarn tace e si finge concentrata sul suo schizzo. Anche i muri della scuola sanno quanto lui le piaccia.

«Finché ti piaccio, ti aspetterò» dice Teh. E ci crede veramente. Crede che ne valga la pena e vuole farlo.

Se Teh sapesse riconoscerlo, capirebbe che quello di Tarn è già un sorriso di resa. Se fosse meno ingenuo, potrebbe baciarla adesso. Ma non lo fa. Chiude il libro di scatto, invece, e si mette a scrutarla. «Però non devi stancarti troppo. Mi sembri a pezzi, quante ore hai dormito stanotte?»

Tarn sospira «Tre e qualcosa. Ho la sveglia alle quattro di mattina, perché se mi metto a studiare a fine giornata sono stanca e non combino granché. Ecco, se vuoi essermi utile, metti anche tu la sveglia alle quattro e fammi compagnia.»

Teh strabuzza gli occhi e crolla con la fronte sul banco, Tarn ride, anche se sotto sotto ci aveva un po' sperato.

«Sei matta, Tarn. Finirai per ammalarti, senza qualcuno che badi a te. A questo servirebbe un fidanzato...»

Tarn lo minaccia con la matita e Teh alza le braccia in alto, in segno di resa. «Ok, ok. Niente fidanzato. Ma cerca di non esagerare.»

«Senti chi parla... ti sei ammazzato per l'accesso diretto.»

La determinazione è la qualità che più ammirano uno dell'altra.

Tarn cancella un tratto con la gomma e soffia via i residui. «Quando escono i risultati?»

«Fra un paio di settimane.»

«Nel frattempo?»

«Nel frattempo mi organizzo col piano B.»

«Punterai sul cinese per l'esame ordinario?»

Teh annuisce con la testa. Le lingue straniere sono la scelta migliore per la facoltà di arte. «Farò anche un corso supplementare, di pomeriggio. Inizio oggi.»

«Un corso supplementare? Ma non ne hai bisogno!»

Teh alza le spalle, sedere sugli allori non è mai stato il suo stile. «C'è sempre bisogno di tenersi in esercizio. E poi è vicino casa mia. Ci saranno anche tutti i miei vecchi compagni di scuola.»

Tarn ferma di scatto la matita. Non sa bene cosa l'abbia colpita di quell'ultima frase. Ha sentito vibrare un'emozione autentica che l'ha messa in allarme, ma non è stata in grado di classificarla. «Quindi vedrai anche quel tuo famoso amico...»

«Sì, credo proprio che ci sarà anche lui.» 

La storia del sedere sugli allori è una misera bugia di copertura. Il vero motivo per cui Teh si è iscritto a un corso di cui non ha alcun bisogno è rivedere Oh-aew.  E anche Tarn l'ha capito.

***

Quando scende dal motorino, facendosi schermo al sole con la mano, Teh individua subito i tre amici di un tempo, fermi su un lato del cortile. Li identifica per sottrazione, perché nessuno di loro è Oh-aew.

Si salutano con l'impaccio di chi ricerca con affanno la confidenza di un tempo e vorrebbe ripristinarla in una manciata di secondi. Teh pensa che non sono cambiati poi molto e gli altri pensano lo stesso di lui. Ovviamente, tutti si sbagliano.

«Che c'è, amico? Ti sei dimenticato tutto il cinese che sapevi?» lo prende in giro Phil.

«Sono qui per fare il gradasso» risponde Teh con una gran pacca sulla schiena.

«Ho sentito che hai provato l'accesso diretto...» chiede Mod.

«Mn, sì. Come lo sai?»

Mod si passa una mano fra i capelli e schiocca la lingua. «La mia ragazza frequenta la tua scuola.»

«La tua ragazza, ma davvero...»

Ridono, si spintonano, si prendono in giro. A Bangkok forse è tutto molto diverso, ma a Phuket, all'ultimo anno, le ragazze sono ancora un argomento che scatena ilarità, oltre che un forsennato interesse.

Teh si guarda intorno. E' bello rivederli, ma non è per loro che si trova lì.

«Cerchi Oh-aew?» gli chiede Kai, che è sempre stato molto diretto. «E' già dentro» aggiunge, indicando col pollice la porta aperta alle loro spalle.

Entrano tutti insieme. Nell'aula ci sono tre file di vecchie sedie con il banco incorporato e una dozzina di ragazzi che chiacchierano in gruppetti sparsi.

Proprio lì davanti due parlano fitto e ridacchiano, le teste vicine, le parole ridotte a sussurri. Uno dei due, quello che si trova di fronte, Teh non lo conosce, anche se porta la divisa della sua vecchia scuola. E' un tizio qualsiasi, di cui non gli importa nulla. L'altro ragazzo è di spalle, seduto sopra il banco. Di lui gli importa moltissimo.

«Oh-aew?» lo chiama Kai.

Oh si volta, lentamente, con cautela, come se intuisse un pericolo alle sue spalle.

Il sipario si apre: Teh questa scena l'ha provata nella sua testa centinaia di volte, con centinaia di copioni diversi, tanto per essere pronto a ogni evenienza. Dalla stretta di mano all'abbraccio convulso, è preparato a ogni possibile approccio.

Ha commesso un errore, però. Ha dato per scontato che esista un unico finale possibile: una facile riconciliazione.

E perché non dovrebbero riconciliarsi? Era un litigio stupido e sono passati secoli. Erano due mocciosi, e ora sono grandi, quasi adulti, probabilmente studieranno insieme i prossimi quattro anni. Non c'è un motivo al mondo per non tornare a essere amici.

Oh-aew si è voltato. Il pericolo che aveva alle spalle è esattamente quello che temeva e che si aspettava.

Incrociano gli sguardi e il tempo decide di fermarsi qualche istante. Del resto, nessuno avrebbe il coraggio di dire o di fare alcunché, tanto vale che tutto resti sospeso e il mondo smetta di girare.

Così si sente Oh, con lo stomaco contratto dall'inerzia della rotazione del pianeta. Ha la nausea. Vorrebbe scendere. Credeva di essersi lasciato tutto alle spalle, di poter ignorare Teh semplicemente fregandosene della sua presenza. E invece si accorge che lo detesta ancora. Che le sue parole sono ancora vive, che bruciano ancora. Quando cambia il tempo, le vecchie cicatrici si infiammano. Persino gli arti amputati fanno male.

Teh è molto cambiato, ma nel suo viso Oh può ancora rintracciare tutti i tratti dell'infanzia; uno a uno scopre di portarli scolpiti nella memoria, come in uno specchio, come se quel viso fosse il proprio. La cosa gli dà ai nervi e sospira forte di di collera.

Anche Teh sospira. Il primo tentativo di sorriso gli si è gelato sulle labbra. Sulla punta della lingua gli si affollano un milione di battute, di tutti quei copioni inutili.

Quel che vorrebbe fare è afferrare Oh-aew per la camicia e scuoterlo, per cancellargli l'espressione che ha in faccia. Vorrebbe trascinarlo di forza in una stanza chiusa e dirgli tutto. Rovesciargli addosso tre anni di parole. Chiedere scusa, dire grazie, ricordare, promettere. Recuperare o ripartire da zero. Quel che invece riesce a fare è la figura del cretino. Sa di avere gli occhi sbarrati, le labbra socchiuse e l'espressione idiota. Sa che si sta asciugando le mani sui pantaloni per un nervosismo assurdo e imbarazzante.

A quasi diciotto anni, Teh si sente inerme e sprovveduto come se ne avesse ancora quattordici. Eppure quello che ha di fronte non è più un bambino. Gli occhi sono gli stessi, come il neo sullo zigomo, le labbra carnose, il naso, ma l'adolescenza ha ridisegnato quei tratti in un volto di inquietante bellezza, lasciando intatta una vena d'innocenza incompiuta. Gran bel lavoro.

«Ciao» dice Teh, e il tempo riprende a scorrere senza preavviso, il mondo a girare vorticosamente. Qualcuno gli presenta  il tizio sconosciuto, che ha seguito la scena con esplicito interesse e una certa perplessità. Si chiama Bas, e ha l'aria di uno tranquillo e per bene, ma anche sveglio.

Oh-aew non dice una parola, si limita a fissare Teh con uno sguardo gelido e ostile. Si siede meglio nel banco e occupa quello a fianco con lo zaino.

Teh marcia a testa bassa verso l'ultima sedia della fila. La lezione è solo un lanciare occhiate oblique verso sinistra, macerarsi di domande e masticare delusione.

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