CAPITOLO 29 - L'unico che può
Il fatto che Oh-aew sia sparito dai social, più ancora delle sue ripetute assenze a scuola, preoccupa Bas seriamente. Che si sia fatto da parte, che ancora faccia male, non significa che non gli importi più di Oh. E comunque si preoccuperebbe allo stesso modo anche se fossero soltanto amici. Magari in quel caso non si sarebbe spinto fino ad andare al resort a controllare di persona. Ma era una cosa che andava fatta.
Anche Teh è sparito dalle lezioni di cinese del pomeriggio. Il che non sarebbe per niente strano da parte di uno che è già entrato all'università e fra pochi giorni firmerà l'ammissione, peccato che abbia smesso di frequentare all'improvviso proprio quando anche Oh ha iniziato a latitare.
Non ci vuole un genio per dedurre che sia successo qualcosa fra di loro, lo hanno capito tutti. Niente di buono, purtroppo. Bas lo prenderebbe volentieri a calci quello stronzo di Teh, ma molto più che di farla pagare a lui, gli importa di come sia messo Oh-aew.
Quando Oh gli va incontro, nel patio del resort, Bas si accorge subito che i suoi occhi stanno scrutando la spiaggia e il giardino, in cerca di qualcun altro, che però non c'è.
«Sei venuto da solo?» gli chiede Oh.
E' sincero, è diretto. E' dolce. E' anche bellissimo. A Bas tornano in mente tutti insieme i motivi per cui pensava, e pensa ancora, che sarebbe meraviglioso poterlo amare e basta.
«Sì, da solo» conferma, dondolando le gambe. Si è seduto sul parapetto di pietra della terrazza assolata, armato solo del suo sorriso affabile e degli appunti di scuola. Oh è poco distante, in piedi, appoggiato al muro, giusto al confine fra l'ombra delle stanze e la pioggia di luce che c'è fuori.
Lo sguardo che accoglie quella risposta contiene tutta la tristezza del mondo. Oh la indossa con dignità, come un abito vaporoso, che si gonfia a seconda di dove tira il vento dei pensieri. Se sfiorano Teh, la tristezza diventa liquida e si affaccia negli occhi.
«Devi tornare a scuola» dice Bas, con una tale gentilezza nella voce che lo fa sembrare più un invito che una necessità. «Ti passo a prendere al molo, come al solito, ti accompagno dove vuoi, basta che tu mi scriva.»
Oh non reagisce. Guarda Bas come se quelle parole non avessero un vero significato, come se l'idea di andare a scuola o di accettare un passaggio fossero del tutto aliene.
«Ci manchi» prosegue Bas. «Manchi a tutti noi. Tanto.»
«Sei gentile, Bas. Ma non devi preoccuparti per me» risponde Oh, mesto e pacato. «Non voglio farti perdere tempo. Torna a casa, hai da studiare per l'esame.»
«Certo, lo so» sorride Bas. Le gambe che dondolano senza posa sono l'unico segno visibile del suo nervosismo, dell'impotenza che si sente addosso. «Ma tu? Anche tu hai l'esame.»
Gli occhi di Oh-aew diventano umidi, distanti, dominati, oltre che dalla tristezza, anche da una rassegnazione strisciante, che gli si ferma in gola e lo costringe a deglutire. Continua a guardare lontano, come se le parole che pronuncia le leggesse su un gobbo nascosto fra le nuvole.
«Sto pensando di lasciar perdere» ammette. «Comincerò a lavorare qui al resort.»
Bas scende dal parapetto e si avvicina qualche passo. «Ma... hai sempre voluto entrare alla facoltà di arte drammatica, fare l'attore. Non puoi mollare così!»
Oh-aew abbassa lo sguardo. Come potrebbe mai spiegare che ostinarsi dietro a un sogno che non era neppure veramente suo, ora farebbe soltanto più male? Nel grigio uniforme che lo riempie tutto, dal cuore ai pensieri, non c'è alcuno spazio per una felicità futura, per un progetto, per nient'altro che non sia banale sopravvivenza. Lo sforzo di stare al mondo.
«Perché hai cambiato idea?» domanda Bas. «Cosa ti è successo?»
Bas è preoccupato, premuroso, sincero. Oh lo guarda e non trova in lui nessun vero difetto. Nessuna malizia, nessun opportunismo. Nessuna ostinazione, nessuna soverchiante mania di controllo, nessuna presunzione di sapere o di essere qualcosa di più che se stesso.
«Posso aiutarti?» chiede ancora Bas, che non si arrende ai silenzi.
Oh-aew non vorrebbe condividerlo con nessuno, quel peso. Vuole affondare da solo, sempre più in basso, verso un fondo che sente di non aver ancora toccato. Se alza lo sguardo vede già scomparire la luce in superficie, mentre l'abisso lo risucchia. Persino la voce di Bas giunge attutita, da un mondo di sopra che non gli appartiene più.
«Sai che puoi confidarti con me. Sono sempre pronto ad ascoltarti.»
Passerà. Ti aiuterò. Andrà bene.
«Mandami un messaggio, chiamami. Io ci sono sempre, per te» prosegue Bas.
Fidati. Ti voglio bene.
Le parole non parlate hanno più potere delle parole vere, perché non è semplice aria quella che attraversano. Fanno vibrare altre materie, suonano su altre corde e il loro percorso è più diretto, da un cuore a un altro, senza intermediari. Con Bas poi, questo canale che supera i sensi è spalancato, da sempre.
Oh-aew sente improvvisamente il peso della solitudine più di quello della disperazione. E si sente stanco. Esausto.
E Bas è così dolce, così onesto. Ed è così giovane: Oh ha la strana sensazione di essere cresciuto all'improvviso, in quel dolore, come un bambino dopo una sfebbrata. Accarezza i capelli morbidi di Bas e gli appoggia una mano sulla spalla, con una sorta di gesto di rassicurazione, abbinato a un sorriso condiscendente, in cui convivono amarezza e gratitudine. Nel mezzo di quei marosi Oh ha anche guadagnato una certezza: che mai nella vita commetterà l'errore di sottovalutare i sentimenti altrui, di ignorarli, di lasciarseli scivolare addosso come se non fossero rivolti a lui. Perché sono preziosi. Perché sentire implica sempre una responsabilità.
A Bas quell'espressione matura e rassegnata fa paura. «Ti prego, dimmi cosa c'è che non va.»
Oh sospira, le sue dita tamburellano inquiete sulla spalla dell'amico. «Va tutto bene. Non devi preoccuparti. Ce la farò a lavorare qui, non sarà così male.»
Bas non si fa ingannare neanche per un attimo, cerca lo sguardo di Oh, lo scandaglia, si toglie dalla spalla quella mano bugiarda. «Ehi, ma che dici? Che è successo? Con me puoi sfogarti.»
E' una voce tranquilla, pacata, un invito a condividere senza forzare. C'è in Bas una tale aura di forza e gentilezza, un inscalfibile equilibrio, una promessa di sollievo, di soluzione a tutte le contraddizioni di Oh.
«Non ce la faccio più» confessa Oh, a mezza voce, brutalmente sincero, le labbra che tremano e gli occhi già pieni di lacrime. «Io... non so più per cosa andare avanti.»
Lo sguardo del suo interlocutore non vacilla neanche per un attimo. Resta colmo di fiducia e di amicizia, pronto a raccogliere il dolore.
Oh continua: «Vorrei solo che questo periodo passasse in fretta.» Lo dice senza eccessi, senza facili disperazioni, senza picchi emotivi. Il pianto sgorga come conseguenza, non come causa di quelle parole. «Perché dobbiamo nascere per soffrire?»
Bas non ama tergiversare e pensa che Oh non ne abbia bisogno. «Stiamo parlando di Teh, vero?»
E' su quel nome che scoppiano i singhiozzi. Oh non riesce neanche a sentirlo senza che tutto dentro di lui si ribelli, come una nausea interiore, un improvviso vuoto di pressione.
L'abbraccio di Bas è un rifugio, una risposta all'assenza, un conforto, una speranza. Il suo affetto illumina e scalda, ma non brucia mai.
«Va tutto bene» sussurra Bas. «Non piangere, Oh, va tutto bene.»
Restano abbracciati il tempo che serve a Oh per ritrovarsi, per assorbire le lacrime. Quando si staccano, Bas gli prende le mani. «Ricordati che tu ce l'hai un obiettivo» dice. «E' passare l'esame.» Una breve, solida stretta delle dita rinforza e sottolinea ogni concetto. «Anche se adesso ti senti demotivato, ti posso aiutare io. Permettimi di aiutarti.»
Ci sono io. Ti aiuto io.
Le parole magiche non funzionano più. O forse non hanno mai funzionato, se non è Teh a pronunciarle, se non c'è dentro la sua luce.
Bas riconosce una sconfitta, quando la vede. Neanche contro l'assenza di Teh riesce a vincere. Gli resta fra le dita la forma ancora tiepida di quell'abbraccio, mentre fissa la schiena di Oh-aew, che sparisce dentro casa. Infine, ha scelto ancora l'ombra.
***
In quei giorni la vita di Teh è andata avanti con una sorta di pilota automatico. Un'entità senza nome che indossa con disinvoltura le sue sembianze e lo spinge avanti su un binario che non si vede, ma c'è. Dorme, si sveglia, mangia, beve, espleta le sue funzioni corporali, parla senza sapere bene cosa stia dicendo, sorride, perfino. A furia di ripetere a se stesso che va tutto bene, che non occorre crederci per andare avanti, che non è cambiato niente, prima o poi diventerà tutto vero. E sarà passato.
Con questo spirito si trova a scendere le scale all'alba, in divisa scolastica, il giorno della conferma delle ammissioni. In mano stringe il biglietto d'aereo andata e ritorno in giornata per Bangkok che Hoon gli ha regalato, ed è pronto a sorbirsi senza proteste le inutili raccomandazioni di sua madre.
E' tutto ben definito, ordinato, prevedibile, rassicurante. Per questo il pilota automatico funziona bene. Per questo, smette di funzionare quando i suoi amici, tutti e quattro, o meglio tre più Bas, gli si parano davanti all'improvviso.
«Ciao Teh» saluta Mod, abbozzando un sorriso non del tutto credibile.
«Ehi! Che ci fate tutti qui a quest'ora?» domanda Teh, già sulla difensiva, perché loro sono in quattro e lui è da solo: due schieramenti impari divisi a metà dal chiavistello della grata del ristorante, una simmetria simbolica con tante implicazioni sottili e detestabili.
«Volevamo salutarti, prima che partissi per Bangkok» spiega Kai.
Stanno tutti sorridendo concilianti, tranne Bas, che è in prima fila, più avanti di tutti. La sua espressione è seria, mentre i suoi occhi intelligenti restano puntati su Teh.
«Grazie ragazzi ma... non dovevate disturbarvi. Sto via solo poche ore. Torno già stasera.»
Kai e Phil annuiscono, Mod continua a sorridere come se quel sorriso glielo avessero incollato alla faccia. Cala dall'alto un silenzio fasullo, carico di tutte le parole che avrebbero da dirgli, ma non osano. Lo sguardo di Bas diventa implorante, quello degli altri rimane incerto.
Teh si arrende, con un sorrisetto rassegnato. «L'ho capito che dovete dirmi qualcosa. Sputate il rospo, dai.»
E' Mod a parlare per primo; Kai e Phil si voltano a guardarlo, Bas rivolge lo sguardo a terra. «E' da più di una settimana che Oh-aew non si fa vivo. Non viene a scuola, e nemmeno a lezione di cinese.»
Teh non riesce a crederci. Sono lì da lui per che motivo? Non sono loro gli amici di Oh? Non è su di loro che dovrebbe poter contare? «E perché non avete provato a convincerlo?»
«Abbiamo tentato di tutto. Ma non risponde alle chiamate, e neppure ai messaggi» dice Phil.
«Era disperato» ammette Bas, con una sofferenza visibile. «Sono andato apposta al resort per parlarci di persona. Era veramente uno straccio.»
Ed è tutta colpa tua. Stronzo.
«Ha deciso di rinunciare all'esame» prosegue Bas, con voce dura. «Comincerà a lavorare al resort.»
Teh affronta incredulo quelle parole. Ha ripetuto a se stesso per giorni interi che Oh-aew stava benissimo. Che se non chiamava e non si faceva sentire voleva dire che non ne aveva bisogno. Che il suo aiuto non lo voleva più. Che è stato lui, dopotutto, a voltargli le spalle. «Ha detto proprio così? Che non farà l'esame?»
Bas annuisce. Prende un respiro, pensa alla tristezza sul viso di Oh e decide che per lui ne vale la pena. Di tutto, anche di umiliarsi, anche di supplicare. «Non potresti parlarci tu, Teh?»
«Non sappiamo cosa è successo fra di voi» s'intromette Kai. «Ma davvero, dovresti chiamarlo. Provaci, almeno. Sei l'unico che può aiutarlo a tirarsi su.»
Sei l'unico.
***
Oh-aew non risponde.
Teh prova a chiamarlo ancora e ancora, decine di volte, prima del decollo e dopo l'atterraggio, durante il viaggio in taxi e una volta sceso. Ma dopo due squilli la chiamata si chiude. Il silenzio è assordante, come il tanfo basso e persistente del senso di colpa.
Senza Teh a spronarlo, Oh ha mollato la presa.
E sta sbagliando tutto. Perché quello che c'è - o non c'è - fra di loro, quello che si è rotto, solo il tempo può aggiustarlo. E' ciò in cui Teh ha creduto fermamente, l'essenza del suo pilota automatico: che le follie di questi ultimi mesi, lo sforzo doveroso e scomodo di crescere, i sentimenti in subbuglio, le tensioni, i desideri fuori scala, si ricomporranno da soli, si assesteranno, troveranno una via per la normalità, scanditi dagli eventi: l'esame, l'ammissione, una nuova città, una nuova vita. Insieme.
Insieme.
Insieme, altrimenti nulla avrebbe senso, perché Teh non riesce a vedere altro sbocco, per la loro amicizia, che quello che ha sempre voluto, sempre cercato: quattro meravigliosi anni di studio fianco a fianco, inseguendo, ancora e sempre, lo stesso sogno, costruendo il futuro. E' lì che devono arrivare, non importa per quale via.
Mentre scorre i post su instagram di Oh-aew, si ritrova davanti la foto scattata al promontorio: le facce super felici, la promessa di tornare lì insieme, di correre affiancati. Le cose importanti gli stanno sfuggendo fra le dita. Eppure, al se stesso che in quella foto stringe i pugni sfidando la vita, era sembrato tutto così vero.
Teh prova questa strana sensazione, come di non avere più un centro. Di non avere un perno interiore, di aggirarsi alla deriva dentro se stesso, girando in tondo, come uno scemo. E si sente sia tradito che traditore, sia vittima che aguzzino. Colpevole e innocente insieme, di tutti e di nessun reato.
Che significa essere lì da solo? Che senso ha? Che senso avrà fra qualche mese, quando inizieranno i corsi?
Le contraddizioni lo divorano, mentre sale i gradini di fronte all'università di Anastart con angoscia crescente, e va incontro al futuro senza alcuna speranza.
Che senso avrà sognare fra quelle quattro mura, se Oh-aew il sogno lo ha buttato via e si sta lasciando morire di tristezza nel resort?
La facoltà, con le sue ampie vetrate, il suo viavai di studenti, è una bestia onirica ostile, dal grande corpo bianco e luminoso, pronta a divorarlo, a masticarlo, a digerirlo.
Ma Teh sale i gradini, apre le porte, nonostante tutto il binario esiste ancora sotto i suoi piedi e qualche cosa lo spinge in avanti.
«Vi faremo firmare per la conferma» dice una tizia anonima, che dev'essere una professoressa. Forse si è presentata, ma a Teh di lei non interessa niente. «Dovete solo compilare inserendo le vostre generalità, il numero del documento e la firma. E' una formalità» li rassicura. «Dopodiché, verranno qui alcuni degli studenti più grandi e vi racconteranno della loro esperienza nello scambio culturale con la Cina, così potrete conoscervi.»
La parola Cina crea nella mente di Teh onde anomale di ricordi, che superano tutte le barriere. Le flashcard, la voce di Oh che ripete il significato, la notte dentro la barca, quando il profumo di cocco ha smesso di appartenere al cocco ed è diventato profumo di casa, di pelle, di capelli, di dita avide e gentili. E' diventato sete. E calore.
«Forse dovremmo aspettare ancora un po' prima di farli firmare. Sono solo nove, ne manca uno» dice una voce esitante.
«Non possiamo aspettare all'infinito; se non si presenta, dovremo chiamare quelli in lista d'attesa» risponde la professoressa.
Lista d'attesa. Nella mente di Teh si compone il momento esatto di quella telefonata. E' successo solo poche settimane prima, ma è un tempo che sembra dilatato e anomalo: si trvavano sul terrazzo di casa sua quando hanno comunicato a Oh-aew di essere il primo in lista d'attesa, e lui ha esultato e festeggiato una notizia che, all'atto pratico, a Teh sembrava non significare nulla. Chi mai rinuncerebbe?
E ora sono solo nove. Che fine ha fatto il decimo nome dell'elenco? Perché non è arrivato addirittura in anticipo, come tutti gli altri?
Teh ricorda benissimo quando sono comparsi quei dieci nomi sullo schermo del telefono. Il sollievo e poi la delusione, per il nome che mancava. E' stato il giorno della loro riconciliazione, il primo passo di una nuova convergenza dei loro sentieri. Deve pur significare qualcosa quel perdersi e poi ritrovarsi.
Forse il destino è ancora dalla loro parte, con quel decimo studente mancante. Forse c'è speranza.
Teh fissa la porta dell'aula, che resta chiusa, mentre i minuti passano. Ha lo stomaco serrato, il respiro pesante, la testa che scoppia.
«Cominciamo, allora» dice la professoressa, con uno sguardo all'orologio. «Siete pronti, ragazzi?»
L'assistente inizia a girare fra i banchi con i fogli dell'ammissione in mano, facendoli compilare e firmare da ciascun ragazzo. «Congratulazioni» si complimenta con ciascuno, quando tocca a lui.
Teh si sente divorato dall'ansia. Deglutisce, tamburella con le dita, molleggia sulle punte dei piedi. Continua a voltarsi verso la porta, a gettare sguardi avidi all'orologio attaccato al muro. Vorrebbe che il tempo corresse e invece arranca, un istante dopo l'altro, lentissimi e inutili.
Più ci pensa e più quella della lista d'attesa gli sembra una soluzione perfetta, la migliore possibile. Teh si immagina la telefonata, lo sguardo di Oh che si ravviva all'improvviso, il sorriso che si accende, la sua fiducia nell'imponderabile ripagata, le sue obiezioni spazzate via insieme alla tristezza.
Ma il tempo rallenta ancora e i suoi sensi si acuiscono. Può udire il rumore della penna a sfera contro il foglio, mentre la ragazza dietro di lui firma, il flusso dell'inchiostro che scivola sulla pagina e si fissa nella trama della carta. Il volo di un moscone, il fruscio del cotone delle divise, eco distorte di voci lontane. La lancetta dell'orologio vibra a ogni secondo che si lascia alle spalle.
«Krittakorn» annuncia l'assistente; Teh fatica a riconoscere il proprio cognome. «Signore, entro che ora bisogna arrivare per la conferma?» chiede, senza tendere le mani come hanno fatto tutti gli altri.
«Entro le undici e mezzo.»
Lo schermo del telefono grida undici e venticinque minuti, il foglio da compilare e firmare atterra di fronte a Teh da altezze vertiginose.
Teh fissa la riga con i puntini, impugna la penna e aspetta. Sarà passato un altro minuto? Saranno già le undici e ventisei? Aspetta, aspetta, come se dovesse ricordarsi cosa scrivere, come se non fosse lì in quei pochi caratteri il punto d'arrivo di un percorso costruito in una vita. Un momento fatale, sospeso nell'attesa.
Perché una persona convocata alle dieci e trenta dovrebbe arrivare con un'ora di ritardo? Non verrà più.
Solo tre minuti. E' fatta. Potrebbe anche firmare, ormai.
Mentre formula questo pensiero e inclina la penna, la porta si spalanca ed entra una ragazza trafelata, con un borsone e una lunghissima treccia scura. Una ragazza carina e terrorizzata da quel ritardo che può costarle il futuro. «Chiedo scusa» dice ad alta voce, con un accenno di inchino. «Mi dispiace tanto, sono mortificata, ma mia madre si era persa.»
Teh si volta a guardarla e la odia.
Senza attenuanti, senza mezzi termini; detesta la ragazza, la treccia, la madre che si è persa, ma non abbastanza. Aveva detestato il suo nome sulla lista, perché era l'ultimo, quello che si era preso il posto di Oh. E ora la detesta in carne e ossa.
«Non preoccuparti, sei ancora in tempo. Accomodati pure» le risponde l'assistente, benevolo. La ragazza sorride di sollievo e prende posto, mentre il rancore di Teh aumenta a dismisura, covato da una rabbiosa delusione.
E adesso?
Teh si rigira la penna fra le dita.
E adesso che succede? Adesso nessuna telefonata per Oh-aew, nessun sorriso, nessun sollievo, nessuna speranza.
Nessun futuro.
Come può aiutarlo adesso? Oh non gli risponde neanche, ha rinunciato, si è arreso. Non farà l'esame.
«Per favore, dovresti firmare» lo esorta gentilmente la professoressa.
Teh impugna la penna.
Se firmasse, lui sarebbe dentro e Oh fuori. Lui andrebbe avanti e Oh si fermerebbe, a metà strada verso il promontorio, sfinito e scoraggiato, senza fiato, senza nessuno che lo prenda per mano e lo faccia rialzare.
Come potrebbe firmare se non ricorda neanche il proprio nome? Ha in testa solo Oh. Il suo profumo, i suoi occhi enormi, il suo profilo stagliato nei colori dell'aurora. L'odore del suo corpo, il sapore delle sue labbra e delle sue lacrime.
Tu da quando?
Da sempre.
Oh che si fa inseguire sulla sabbia e fra le stanze del resort, Oh che si fa raggiungere dietro il paravento. Oh che coglie gli ibischi con innocenza e con la stessa innocenza li calpesta. Oh che esibisce la sua bellezza ingiusta e paradossale senza pudore. Oh che si abbandona fra le sue braccia. Oh che lo trascina sotto il pelo dell'acqua, in un mondo senza regole, dove i respiri passano da un'anima all'altra e ci si mantiene in vita a vicenda.
Le lacrime di Oh, le sue parole tenere che si schiantano contro il muro di vergogna che Teh prova per se stesso. Il rumore del cuore di Oh-aew che si spezza fra le sue dita, esercitando solo una piccolissima pressione.
Da sempre. Anche se è sbagliato.
E quindi adesso? Adesso che Oh non vuole parlargli? Adesso che Oh vuole gettarsi via? Glielo lascerà fare?
Sei l'unico che può aiutarlo.
E' tutta colpa sua. Questo dicevano gli occhi di Bas poche ore fa. Un'accusa nascosta nel tono supplice, ma chiarissima. Un'accusa scritta nero su bianco sopra questo foglio. Un'accusa vera, giusta. Come può rimediare?
Se ora firmasse, sarebbe tutto finito.
Se ora firmasse, gli volterebbe le spalle.
Se ora firmasse, dopo avergli spezzato il cuore, gli ruberebbe anche l'ultimo sogno.
Cosa può dargli in cambio?
L'altare dei sentimenti negati è immenso, candido, sulle pareti porta incise paure, esitazioni, bugie, tormenti, lunghissime greche di lacrime e rimpianti.
Da sempre.
La riga con i puntini riempie tutto il campo visivo di Teh, gigantesca e minacciosa, e lui la fissa, lo sguardo impenetrabile, le rughe addensate sulla fronte, le labbra corrucciate, la penna sollevata a mezz'aria.
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