Capitolo 8. Occhi Sfuggenti
"Killin me now. Killin me now, do you hear me yeah?"
Capitolo 8. Occhi sfuggenti
A me Jay piace come persona. Non provo nient'altro per lui se non che affetto perché mi aiuta a dimenticare.
Ripetei questa frase per la quarta volta mentre mi guardavo allo specchio. Era stata una notte piuttosto movimentata, mi ero rigirato nel letto per più di un'ora prima di riuscire a prendere sonno, perché la mia mente malvagia non faceva altro che creare film su film con protagonisti me e Jay. La cosa bella era che mi accorgevo solo dopo minuti e minuti di ciò che mi stavo immaginando, per cui scuotevo la testa per allontanare quei teatrini ma poi ci ricadevo dopo solo pochi secondi.
Come se non bastasse, una volta addormentato, l'ho sognato: non faceva niente di importante, mi fissava da seduto su una poltroncina a casa mia e non distoglieva mai lo sguardo da me. Ricordo pure che pioveva e i fulmini illuminavano il suo viso ogni lasso di pochi minuti. È stata la prima notte in cui Jungkook non è venuto a farmi visita.
Questo mi ha dato modo di riflettere: possibile che stessi pensando così tanto a Jay da allontanare Jungkook da me? La mia testa era piena di domande e in più mi ritrovavo a sentire degli strani sentimenti dentro il cuore, sentimenti che mi confondevano e non mi facevano chiudere occhio. Jay si era rivelato molto più di un semplice sconosciuto incontrato una volta di troppo in giro. Lui mi capiva, lui mi risollevava dai miei momenti bui.
Ero così preso dai miei pensieri che saltai dalla paura quando il campanello di casa mia rimbombò, in una nota stonata, per tutto l'ingresso. Con i battiti accelerati mi chiesi chi potesse essere a quell'ora del mattino e mi fermai quando il pensiero che potesse trattarsi di Somin, o di Jay, mi attraversò la mente come uno spasmo improvviso. Se era la prima non avrei saputo cosa dire e per dirla tutta mi mancava anche il coraggio di affrontarla, e se era il secondo... beh, ero a torso nudo e il resto del corpo era coperto solo da un'ascigamano. Sarei morto per l'imbarazzo!
Il campanello suonò ancora. Allora mi avvicinai allo spioncino e feci un sospiro di sollievo quando vidi Jimin. Aprii subito la porta e lui, con un sorriso, entrò dentro senza troppi preamboli e raggiunse il salotto.
«Alla buon'ora, Taehyung!»
Disse nel frattempo.
Aveva delle buste in mano che parevano destinate a me. Lo raggiunsi e, dopo aver sbirciato dentro i sacchetti colmi, alzai gli occhi al cielo.
C'era insalata, insalata, insalata, ortaggi di vario genere, insalata, carne di manzo e...
«Brodini di pollo già pronti?» Feci con una smorfia.
Jimin annuì con vigore.
«Sai che se il tuo corpo sta male anche la tua mente ne influisce e viceversa? Ecco perché questa mattina andremo da Yoongi.»
Lo guardai confuso.
Stava mettendo a posto la spesa e mi dava le spalle.
«Yoongi? E chi è?»
«Il mio amico, lo psicologo.»
Per un attimo rimasi interdetto, poi spalancai la bocca.
«Cosa? No!» Alzai la voce.
Iniziai a fare avanti e indietro per la cucina, nel frattempo Jimin mi osservava con le mani sui fianchi, gli occhi pieni di rimprovero.
«Hai detto che saresti andato. È una questione importante, Taehyung. Non capisci che è tutto improvviso e che stai male quando questi ricordi si svegliano dal nulla dentro te? Non puoi controllarlo e se la tua mente non guarisce nemmeno il tuo corpo lo farà!»
«Sì ma io non sono ancora pronto! Non ho mai specificato quando sarei andato.»
«Bene! Si dà il caso che oggi Yoongi sia libero un'oretta e che quindi puoi sfruttare l'occasione»
«Si dà il caso che io non sia ancora pronto a parlare di Jungkook a qualcuno.» Ricalcai indignato.
Jimin fece uno sbuffo.
«Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Vai e ti liberi. Yoongi saprà cosa fare.»
«Ma...»
«Niente ma. Lo faccio per il tuo bene e lo sai. Fila a vestirti e andiamo. Ti accompagno io.»
Nessuna delle scuse che mi sono inventato ha fatto effetto su Jimin. Gli ho detto di star male e avere mal di testa perché avevo bevuto la sera prima insieme a Jay, ma mi ha ignorato chiedendomi perché non fosse stato invitato e informandomi di essersi offeso per questo. Poi ho mentito su in impegno di cui mi ero dimenticato, ma non mi ha creduto e non prestando attenzione alle mie proteste mi ha trascinato verso un edificio nuovo, alto e dalle facciate bianche.
C'era una bella giornata quella mattina, ma stava solo aumentando il mio nervosismo. Mentre seguivo Jimin verso l'interno il sole caldo mi picchiava sulla schiena, facendomi sentire accalorato e tutto sudato. Fu un sollievo entrare nell'ingresso immacolato e profumato: c'era l'aria condizionata accesa e la stanza era fresca e pulita. Le pareti erano vuote e spoglie, come la mia testa in quel momento.
Una ragazza ci diede il buongiorno da dietro una scrivania situata poco più in là della porta: sorrise mostrando l'apparecchio, poi spalancò gli occhi e mi fissò.
«Ciao Taehyung! Ma che ci fai qui?»
Ci misi un minuto buono a ricordarmi che fosse la ragazza con il cagnolino, Sugar, che intavolò una conversazione con me e Jay il giorno in cui lo invitai a fare colazione. Diamine, doveva proprio esserci una persona che mi conosceva lì dallo psicologo? Non era una buona idea andarci, lo sapevo!
«Buongiorno... ehm» balbettai.
Non mi ricordavo il suo nome.
«Jieun. Kang Jieun!» Esclamò un po' in imbarazzo.
Lei si ricordava di me anche solo dopo avermi rivolto semplicemente poche parole, io invece non l'avevo proprio riconosciuta.
«Voi due vi conoscete?» S'intromise Jimin.
«No. Il suo cagnolino si è fissato con Jay una mattina e abbiamo parlato un po'.»
Jieun parve restarci male. Fece un sorriso di circostanza, poi si rivolse a Jimin mentre sistemava un mazzo di carte dentro una bustina trasparente.
«Chi volete vedere?» Domandò in tono basso.
Mi sentivo in colpa, ma era la verità! Non ci conoscevamo, avevamo scambiato solo quattro chiacchiere mentre il piccolo Sugar cercava di accoppiarsi con la gamba di Jay!
«Il dottor Min Yoongi.» Rispose Jimin.
Jieun fece un cenno veloce della testa.
«Avete prenotato una visita?»
«No a dire il vero, ma io e lui siamo amici e mi ha detto che potevamo venire questa mattina durante la sua ora libera.»
Iniziavo a sentirmi veramente nervoso. Continuavo a battere il piede sul pavimento e il mio cuore tremava all'impazzata alla sola idea di parlare di Jungkook e della mia salute mentale.
«Solo un attimo, per favore.»
Si portò la cornetta sull'orecchio, lanciandomi degli sguardi fugaci. Forse avrei dovuto evitare di dire che eravamo dei perfetti sconosciuti davanti a Jimin.
«Dottor Min, ho qui... Ehm, chi è lei?» Chiese a Jimin coprendo con la mano il microfono del cellulare.
«Il dottor Park.»
«Il dottor Park.»
Cercai di distrarmi fissando una macchia impercettibile sul pavimento di marmo bianco. Speravo che Yoongi fosse impegnato e che non potesse riceverci, ma quando Jieun disse velocemente: «prego, vi aspetta all'ultimo piano, la terza porta a destra», sospirai rassegnato.
Jimin mi fece strada. Entrammo in un ascensore pieno di specchi e io iniziai a mangiarmi le unghie mentre i numeri dei piani salivano sul piccolo schermo nero.
«Perchè sei così nervoso?» Domandò.
«Non saprei! Forse perché mi stai costringendo a parlare con uno sconosciuto di una persona di cui non mi ricordo!»
«Appunto, uno sconosciuto. Quindi non ti giudicherà. È un professionista e sa quello che fa. Fidati di me, la tua asma si placherà una volta venuto a capo della questione.»
«Non ho bisogno di uno psicologo per capire che sono stato vittima di un trauma infantile.»
«Ma se dicevi che non era così, quando ti ho detto che magari avevi un trauma!»
Mi diede una pacca sulla schiena ma lo ignorai. Non capivo perché dovessi parlare per forza con qualcuno dei miei problemi! Non aveva senso.
L'ascensore si fermò e le porte si aprirono. Ci ritrovammo in un corridoio dalle pareti blu e quadri colorati, il pavimento bianco e lucido.
C'era odore di igiene e pulito e colonnine con gel igenizzante ogni tre metri. C'erano diverse stanze e la mia ansia aumentò quando superammo le prime due porte e raggiungemmo la terza, che recava una targhetta placcata in plastica nera e lucida con la scritta Dtt. Min Yoongi che spiccava in bianco, in pennellate leggere che sembravano state fatte a mano.
Jimin si fermò proprio davanti a me e allungò il braccio, pronto a bussare. Riuscii a muovermi prima che riuscisse a farlo e gli afferrai il polso con un movimento leggero. Avrebbe potuto liberarsi facilmente dalla mia presa ma Jimin si girò lentamente e mi rivolse uno sguardo preoccupato.
«Non me la sento, Jimin. Ti prego, non...» fui interrotto dalla porta che si spalancò.
Ci si presentò davanti un ragazzo molto giovane, poco più alto di Jimin. Aveva i capelli nerissimi e uno sguardo tagliente. Indossava un paio di jeans chiari, una camicia bianca e una giacca nera e sagomata. Si appoggiò allo stipite con le braccia incrociate e rivolse un sorriso tutto gengive a Jimin, che ricambiò immediatamente. Io invece, alla sue spalle, non stavo più tranquillo. Spostavo il mio peso da un piede all'altro e non riuscivo a smettere di mangiarmi le unghie. Volevo scappare via, ma mi sentivo inchiodato al pavimento scivoloso. I miei occhi erano sfuggenti, ma sentivo lo sguardo di Yoongi addosso nonostante non lo guardassi nemmeno.
«Ehi Jimin! Come stai?» Chiese gentilmente.
«Benissimo grazie! Sono solo stanco, i turni sono sempre più lunghi. Tu invece che mi dici?»
Yoongi alzò le spalle.
«I ragazzi giovani peggiorano. La società distrugge la loro salute mentale e sono pochi quelli coraggiosi che decidono di guarire da ciò che li tormenta. Vorrei che tutti prendessero consapevolezza che lo psicologo non è brutto mostro da temere.» Fece una risatina, ma continuai a fissarmi i piedi.
Sapevo che Jimin mi stava guardando. Yoongi aveva centrato in pieno il punto delicato della situazione e adesso il mio migliore amico mi avrebbe riempito ancora di più di ramanzine e rimproveri.
«Hai ragione.» Rispose Jimin, dopodiché ci fu qualche secondo di silenzio.
Trovai il coraggio di alzare gli occhi e sentii le guance prendermi fuoco, inesorabilmente, quando vidi entrambi i ragazzi guardarmi con curiosità.
«Sei tu Taehyung?» Chiese Yoongi.
Avrei detto volentieri di no, ma Jimin avrebbe smontato il mio teatrino in men di due secondi, quindi annuii e mi sentii di piombo quando Yoongi, spostandosi dall'ingresso per farmi entrare, mi fece segno di seguirlo e io mi trascinai verso l'interno dell'ufficio.
«Aspetto qui fuori, Taehyung» disse Jimin ma lo ignorai. Ero furioso.
Yoongi chiuse la porta e a passi leggeri camminò verso la poltroncina in pelle nera situata dietro un'ampia scrivania. A disagio mi affrettai a prendere posto sull'altra e iniziai a torcermi le mani mentre mi guardavo attorno: le mura erano di un piacevole colore tortora, i bordi neri. C'era una sedia a dondolo in un angolo della stanza, adagiata su un tappeto che sembrava fatto di nuvole. Una finestra lasciava entrare il sole di quella giornata calda e particolarmente luminosa e da lì intravedevo il cielo azzurro e limpido. Un delicato odore di menta assorbiva l'ufficio e il tutto rendeva quel posto accogliente, anche se avrei preferito essere altrove...
«Partirei dalle informazioni basilari.» La voce di Yoongi mi distrasse.
In silenzio lo guardai mentre incrociava le mani sulla scrivania e mi rivolgeva un sorrisino gentile. C'era un quadernino aperto e alcune belle penne sistemate ordinatamente sul piano di legno. Un telefono bianco si trovava alla sua destra e diversi oggettini antistress rendevano la scrivania sobria un po' più colorata.
«Io sono il dottore Min Yoongi e ti accompagnerò in questo percorso verso la guarigione.»
Lo guardai. Non ci sarei tornato una seconda volta, né la terza, né la quarta. Preferivo risolvere i miei problemi da solo piuttosto che farmi aiutare da uno strizzacervelli con cui non mi andava di parlare.
«Guarigione?»
Ripetei con la gola secca.
Lui annuì con un leggero movimento.
«Sì. Jimin mi ha detto che soffri di attacchi di panico e ansia da stress. Si direbbe un trauma infantile.»
«Jimin ti ha raccontato della mia salute mentale?» Domandai indignato.
Yoongi annuì di nuovo.
«Non mi ha detto nulla sulla natura dei tuoi attacchi di panico. Quella è un'informazione personale che solo tu puoi rivelarmi. Di te so solo che sei nell'esercito.»
«Jimin ha parlato più del necessario. Non so cosa si aspetti da me, ma non ho intenzione di stare qui a parlare del mio passato. Nemmeno me ne ricordo bene, non ha senso.»
Yoongi sbatté le palpebre, poi si alzò e raggiunse un piccolo frigorifero bianco da cui tirò fuori una caraffa di acqua fresca, infine prese due bicchieri e tornò indietro.
«Sai che una mente malata influisce anche sul corpo? Fino a quando non guarirai qui» e s'indicò la testa con un dito bianco e lungo, «non guarirai nemmeno qui.» Si toccò il cuore con un palmo e poi riempì i due bicchieri con l'acqua e me ne passò uno.
«Vi siete messi d'accordo per dirmi le stesse cose? Jimin ha quasi detto lo stesso questa mattina.»
«Siamo medici. Sappiamo come funzionano queste cose» Sorrise.
Rimasi in silenzio, fissando una penna nera con delle scritte in rosso. Yoongi non sembrava così male, ma che cosa dovevo raccontargli? Mi ricordavo ancora molto poco e per di più il solo pensiero mi faceva mancare l'aria.
«Tutto quello che dirai resterà qui dentro. Cosa temi? Nessuno verrà a sapere i tuoi segreti.» Disse appoggiando il viso su una mano.
«Non è questo il problema.»
Il respiro stava iniziando già a diventare più corto.
«Allora cosa c'è? Ti farà stare bene parlarne. Io sono qui per aiutarti, non di certo per metterti più problemi in testa.»
Forse raccontargli un po' la situazione mi avrebbe aiutato, anche se temevo ancora di sentire la terribile sensazione dei miei polmoni riempirsi d'acqua e soffocarmi.
«Non è semplice.» Annaspai.
Le mie mani cercarono il bicchiere e ne ingurgitai tutto il contenuto. Yoongi lo riempì di nuovo quando lo riposai sulla scrivania, i suoi occhi indagavano in silenzio.
«Faremo poco a poco. Partiremo con la prima volta che l'asma si è presentata. Poi ci fermeremo e sarai tu decidere se tornare qui o meno. Ma devi provare prima di fare una scelta.»
«Non so se ce la faccio.»
Lo guardai. Mi veniva già da piangere e inconsciamente desiderai che Jay fosse lì insieme a me a stringermi la mano.
«È successo dopo un incubo. Due settimane fa, era appena iniziato il mio congedo dal militare.»
Yoongi scrisse veloce sul quaderno, sembrava non volesse perdersi alcun passaggio.
«E cosa hai sognato? Credi che il tuo mestiere abbia influenzato questo sogno?» Domandò.
Feci spallucce. Non ne avevo proprio idea.
«Non lo so, ma quel sogno... ha aperto le porte a un turbinio di ricordi rimossi dalla mia mente. È stata una strana sensazione.»
Yoongi annuiva mente trascriveva ogni cosa sulle pagine immacolate dell'agendina.
«E cosa hai sognato di preciso? Una persona? Un avvenimento?»
Rimasi un attimo in silenzio. Mi sembrava di star galleggiando in un mare di ansia e disperazione e sarebbe bastato veramente poco a farmi affondare, vittima dei miei stessi sentimenti.
«Ho sognato Jungkook.»
Sputai fuori e quel nome uscì dalla mia bocca in un sussurro affannato. Stavo già iniziando a respirare male.
«Jungkook? Che tipo di relazione c'era tra voi due? È un parente, un amico?»
«Era il mio migliore amico. Non lo vedo da diciassette anni e... non mi ricordavo di lui, almeno fino a due settimane fa. L'ho sognato e all'improvviso mi sono ricordato.»
La mia voce tremava.
Yoongi rimase fermo e zitto. Forse stava elaborando qualcosa da dire e giocò con la penna mentre ci pensava, assorto in chissà quale teoria da psicologo riguardante la mente dell'uomo. Non credevo che lui poteva aiutarmi, le parole non guariscono dai traumi e lui mi stava rivolgendo sono un mucchio di lettere messe insieme e lasciate lì, a ondeggiare sulla mia ansia.
«Dov'è Jungkook?» Chiese interessato.
Feci una risatina disperata.
«Non lo so. È stato rapito e non c'è traccia di lui da diciassette anni.»
Silenzio di nuovo. Il mio petto non reggeva più, quindi mi alzai e feci avanti e indietro davanti gli occhi di Yoongi, che mi scrutavano come da dietro un velo. Nonostante la finestra fosse aperta non riuscivo a respirare.
«La questione è questa. Ogni volta che il mio cervello sblocca un ricordo su di lui i miei polmoni smettono di funzionare. E non so come definirlo, non so perché sento questo costante senso di colpa che mi preme sul cuore. Per questo non volevo venire, perché non so cosa raccontare, cosa dire, come spiegare quello che sento. Ho preso le distanze da una persona che ho amato per tanto tempo e sono confuso nei riguardi di un'altra perché non so cosa diamine mi sta accadendo. E sa cosa? Ho dato la colpa allo stress, ma la verità è che Jimin mi stressa dalla mattina alla sera eppure non ho mai pensato una volta soltanto di prendere le distanze da lui, o almeno finora perché dopo avermi costretto a venire qui non so nemmeno se rivolgergli più la parola.»
Parlai così velocemente che, non appena conclusi il mio discorso, imboccai l'aria a enormi cucchiaiate.
«Respira» Yoongi si mise in piedi e mi raggiunse mentre cercavo di inalare più aria possibile, il petto che faceva su e giù velocemente.
Mi mise una mano sulla schiena e lentamente accompagnò i miei movimenti mentre con le mani mimava la lentezza che dovevo replicare per riacquisire il controllo di me.
«Sì, così. Taehyung, sono sicuro che sei abbastanza grande da sapere che è una situazione anomala la tua» aggiunse quando riuscii a calmarmi un po'.
Mi porse l'ennesimo bicchiere d'acqua, quella volta lo rifiutai.
«Non ce la faccio a parlare di lui. Lo vede, no? Entro nel panico appena ci penso soltanto»
«Questo accade perché non sappiamo ancora la base da cui partire per iniziare la guarigione. Vedi, le ferite dell'anima sono invisibili ma molto spesso fanno più male di quelle incise sulla pelle. Essendo invisibili ai nostri occhi, ciò che possiamo adoperare per risanarle sono processi più lenti che richiedono tempo e sopratutto molta pazienza» mi disse.
«Tempo e pazienza che non ho» ribadii secco e alterato. Volevo andarmene via, rifugiarmi tra le parenti caldi e confortanti della mia stanza.
«I traumi infantili sono esperienze negative che influiscono molto sulla vita di una persona, Taehyung» si appoggiò sulla scrivania e mi guardava con assoluta attenzione, «se non accetti di farti aiutare la situazione potrebbe progressivamente peggiorare. So che a volte è molto difficile fidarsi di qualcuno, ma prima prendi consapevolezza della realtà e prima starai meglio.»
Abbassai gli occhi. Aveva ragione, ma che avrei dovuto fare? Mi veniva l'ansia se pensavo di parlare ancora di Jungkook e rischiare di perdere ancora la capacità di respirare.
«È più forte di me. Ho paura di soffocare all'idea di rivivere altri ricordi dolorosi. La prego, non mi va» sussurrai in lacrime.
Yoongi annuì. Si spostò dalla scrivania e raggiunse la poltrona per potersi sedere.
«Posso andare adesso?» Aggiunsi stringendomi le tempie.
Mi era venuto anche mal di testa.
«Prima che tu vada prendi questo» mi porse un bigliettino da visita con su scritto il suo numero di telefono.
«Devi essere seguito. Spero tu possa fare la scelta giusta per te e per chi ti vuole bene»
«Non credo tornerò» dissi pungente.
Yoongi fece un sorriso gentile.
«Chiama se hai bisogno di sfogarti. Io sono come un diario segreto, niente e nessuno saprà i tuoi segreti da me»
Non lo salutai quando uscii come una furia dall'ufficio, né aspettai Jimin. Mi precipitai giù per le scale e corsi a rotta di collo verso l'uscita di quel maledetto posto.
«Yah, Taehyung!» Sentii Jimin urlare, ma ignorai la sua voce.
L'unica cosa che volevo era raggiungere al più presto l'aria aperta. Non salutai nemmeno Jieun quando raggiunsi il piano terra, scappai subito fuori e, facendo grossi respiri, cercai di calmarmi. Avevo bisogno di riprendermi, perché sentivo l'ansia incombere da tutte le parti. Feci avanti e indietro lungo la panchina, le macchine mi sfrecciavano davanti come fulmini. Jungkook doveva allontanarsi subito dalla mia mente o l'asma mi avrebbe sopraffatto. Strinsi nella mano l'inalatore, quasi rischiai di romperlo ma solo così mi sentivo al sicuro.
«Taehyung, va tutto bene?»
Jimin mi raggiunse e prendendomi il braccio cercò di farmi rilassare, ma troppo arrabbiato mi liberai dalla sua presa e gli rivolsi lo sguardo più tagliente che la mia espressione permetteva. Probabilmente stavo esagerando, Jimin l'aveva fatto per il mio bene ma in quel momento l'unica cosa che mi avrebbe fatto sentire un po' meglio era sfogarmi
«No, non va bene per niente!» Alzai la voce.
Jungkook non voleva andare via dalla mia mente.
«Calmati, respira e...»
«Calmarmi? Respirare? Hai detto due cose ridicole nello stesso momento! Non ci volevo venire qui in questo stupido posto, ma mi hai costretto e adesso non so cosa fare per calmarmi! C'è un buco qui nel mio petto, che si è appena spalancato ancora di più! Dovevo decidere io quando sarei stato pronto, non tu!»
Una lacrima mi rigò la guancia. Il senso di colpa bussò immediatamente sul mio petto quando incontrai gli occhi severi e delusi di Jimin su di me, ma cercai di ignorare anche lui. Jimin non aveva colpe, lo sapevo, ma i nervi rischiavano di scoppiarmi e dare sfogo alle mie frustrazioni mi liberava la testa dai ricordi.
«Taehyung sono un medico e ancora di più il tuo migliore amico. Cosa vuoi che faccia? Che ti guardi mentre ti consumi, vittima dei tuoi traumi passati? L'unico modo che conosco per aiutarti è questo: parlare con un professionista, uno psicologo che ti può aiutare a guarire! Ma se resti chiuso dentro la tua gabbia d'oro, come puoi sperare che i miei metodi funzionino?»
Era alterato ma comprensivo allo stesso tempo.
Infondo lui mi conosceva meglio di chiunque altro e mi capiva anche se a volte ero io a non capire lui.
«La mia gabbia d'oro mi sta proteggendo! E tu... tu non potrai distruggerla. La mia zona di confort sta facendo il suo lavoro, non ho bisogno di uno strizzacervelli!»
«E quali progressi stai facendo? Perché io sinceramente non ne vedo nessuno. L'asma sta peggiorando, il tuo rapporto sociale sta venendo a meno. Resti chiuso in casa e passi il tuo tempo solo con uno sconosciuto di cui non sai un bel niente. Cosa speri, Taehyung? Che quel Jay possa essere Jungkook? Sei fuori strada. Lui non è Jungkook nemmeno lontanamente. Ti stai solo attaccando ai tuoi sentimenti, non sai ammettere che Jay ti piace e preferisci mentire dicendo che ti fa stare bene solo perché in qualche modo allevia i tuoi dolori.»
Bingo, aveva appena scoperto un nervo particolarmente delicato, i miei sentimenti mei riguardi di Jay. Sentii le guance prendere subito calore e le gambe tremarmi alla sola possibilità che tutte le parole di Jimin fossero vere. E mi arrabbiai, mi arrabbiai tantissimo perché la sola idea che lui conoscesse i miei dubbi su quanto provassi per Jay mi faceva sentire ridicolo e sporco.
«Tu non sai niente di me.» Dissi a denti stretti.
Jimin fece un sorrisino a mezza bocca.
«So abbastanza da sapere che ho ragione su quanto ho detto. Ti sei innamorato dell'idea malsana che ti ha dato uno sconosciuto ma se non ti svegli ora potresti restarci deluso e sarà troppo tardi.»
«Jay e io siamo solo amici. Stai dicendo un mucchio di stronzate.»
«Amici? Guardati! Quando mai sei arrossito per una persona che consideri solo un amico? Continui a mentire ed è proprio per questo motivo che non fai progressi.»
Jimin fece un passo in avanti, io invece uno indietro letteralmente. Mi sentivo uno stupido. Jimin mi stava facendo sentire uno stupido.
«Sei proprio un pessimo amico. Non voglio più vederti.» Risposi e senza dargli modo di replicare corsi via.
Non sapevo esattamente dove stavo andando, l'importante era che scappassi lontano da Jimin, lontano dalla verità scomoda che mi aveva sputato in faccia con astio e antipatia. Ero in imbarazzo, confuso. Io non sapevo cosa provavo per Jay, ma quello che Jimin aveva detto possedeva un senso enorme e lo odiai. Lo odiai perché mi faceva sentire nudo.
Avevo gli occhi bagnati dalle lacrime e il cuore che non smetteva di battere forte. Tutte queste reazioni mi stavano facendo impazzire. Sul serio mi piaceva un ragazzo, per di più uno sconosciuto? La testa mi sarebbe scoppiata a furia di ficcarci dentro pensieri e paranoie di ogni tipo.
Avevo litigato con Jimin perché, per il mio bene, mi aveva portato dallo psicologo e adesso mi sentivo uno stronzo senza cuore. Si potevano sopportare tutte queste cose in una volta sola?
Mi rifugiai all'interno di un negozio alimentare e per fortuna c'erano pochissime persone. Presi del ramen istantaneo, senza farci caso uno di quelli piccanti, e lo preparai lì utilizzando il microonde sistemato in un angolo dell'enorme stanza.
Quando fu pronto lo portai in uno dei pochi tavoli situati davanti alle vetrate nel negozio e, nel silenzio più totale, senza nemmeno avere fame, mangiai. Stavo cercando solo di distrarmi, di non pensare, ma a ogni boccone la lingua mi pizzicava e non faceva altro che ricordarmi di Jay.
Mi sentivo triste e vuoto. Volevo capire cosa mi stava succedendo ma peggioravo solo la situazione comportandomi in quella maniera. Io e Jimin non avevamo mai litigato, non in quel modo. E sebbene volessi fare pace con lui, sebbene fossi nel torto, non riuscivo ad accettare il fatto che mi avesse costretto a parlarne con Yoongi, che gli avesse spiattellato dei miei problemi di salute. E poi... il modo in cui mi aveva detto di Jay, dei miei sentimenti per lui... mi facevano sentire scoperto. Doveva proprio farmi sapere che avesse capito quello che mi stava succedendo?
«Ramen piccante? Ti ricordavo tutto zucchero e daisik» Disse una voce dietro di me.
Mi voltai immediatamente e spalancai gli occhi quando incontrai quelli di Bogum, un vecchio amico di quando ero piccolo. Forse perché ero disperato, forse perché avevo bisogno di un po' di affetto, mi misi in piedi e lo abbracciai forte. Lui era tra i bambini che giocavano con me quando vivevo mel mio vecchio quartiere. Ricordo che si trasferì poco dopo la scomparsa di Jungkook e non avevo più visto nemmeno lui.
Eravamo parecchio legati anche se, a volte, si arrabbiava con me perché preferivo passare un po' più tempo con l'ultimo arrivato del gruppo.
«Ehi, ma da quando sei qui a Seoul?» Domandai rimettendomi seduto sulla sedia.
Parlare con lui forse mi avrebbe distratto, anche se temevo che uscisse il discorso di Jungkook dal nulla.
«Qualche giorno. Non sei cambiato per nulla, Taehyung! Ti ho riconosciuto immediatamente quando sono passato qui davanti il negozio.» Rispose sedendosi accanto a me.
«Nemmeno tu sei cambiato, anche se sono passati diciassette anni da quando ti sei trasferito a Daegu.»
Misi da parte il ramen, tanto nemmeno mi piaceva.
«Già! Sono passati veramente così tanti anni?» Fece una risatina.
«E cosa fai adesso? Starai molto a Seoul?»
Bogum alzò le spalle, scivolando un po' dalla sedia.
«Non molto. Qualche settimana, a dire il vero. Sono venuto trovare i miei nonni paterni, poi tornerò a casa per riprendere gli studi. Sai, mi sono iscritto all'università di legge!»
«Veramente? E chi l'avrebbe mai detto! Non volevi mai tornare a casa a fare i compiti quando eravamo piccoli. Tua madre ti doveva sgridare in continuazione.»
Ricordai con un sorriso sincero.
Stava funzionando, Bogum mi distraeva da Jimin e tutto il resto.
«Sì! Ma sono cambiato con il tempo. Adesso sono uno studioso universitario che si sta preparando a essere avvocato!»
«Non mi dire.»
Ridemmo di gusto. Forse era proprio questo di cui avevo bisogno, parlare, sfogarmi, distrarre la testa dai continui pensieri su Jungkook.
«Ti ricordi quanto eravamo spensierati da piccoli? Niente responsabilità, niente stress.» Aggiunse fissando un punto indefinito fuori dalla vetrata.
«Sì. E pensare che giocavamo spesso a fare i militari e adesso lo sono davvero» risposi senza pensare.
Bogum mi diede una pacca sulla schiena.
«Sei nell'esercito?»
«Sì»
«Scelta alquanto sconsiderata»
Per un attimo pensai a Jay, ma mi ripresi subito. Non dovevo pensarci, non in quel momento almeno.
«Sì, lo so.»
«Tu e Jungkook amavate giocare a fare i militari. Noi altri provavamo a convincervi a giocare in un altro modo, ma voi non ne volevate mai sapere nulla.» Aggiunse.
Ecco, aveva fatto il nome di Jungkook. Il mio cuore ebbe un leggero spasmo, quasi caddi dalla sedia. Forse dovevo aspettarmelo che Koo uscisse prima o poi fuori dalla sua bocca, ma speravo che capisse quanto fosse delicato parlare di lui con me anche se di certo non poteva saperlo.
«Ah si, è vero» la mia bocca era asciutta, i miei occhi sfuggenti di nuovo.
«Eravamo piccoli e a volte l'ho odiato veramente. È arrivato per ultimo e ha portato via la tua amicizia. Ti ricordi quando abbiamo litigato così forte, che i nostri genitori hanno dovuto costringerci a fare pace? Non ci siamo parlati per due settimane.»
L'aria stava iniziando a diventare pesante. No, non mi ricordavo e sinceramente avevo anche paura di farlo. Ormai temevo l'asma più di ogni altra cosa e temevo anche che Jungkook spuntasse di nuovo, arrabbiato con me per chissà quale motivo.
Cercai l'inalatore dentro la tasca dei jeans e lo strinsi. "Respira, respira" mi ripetevo in testa.
«No io non ricordo. Ho cancellato il passato dalle mia memoria.» Annaspai.
Bogum fece una faccia strana, forse perché stavo cercando di incanalare quanta più aria possibile così che se l'attacco di panico mi avesse colto alla sprovvista avrei avuto una riserva d'ossigeno pronta ad aiutarmi. Stavo dando i numeri forse, ma sentivo il cuore scoppiarmi.
«Beh sì. È stato orribile, la sua scomparsa deve averti fatto stare molto male. A proposito, non sono mai state trovate delle tracce? Sono stato lontano da Seoul per troppo tempo»
Ebbi la sensazione che qualcosa avesse appena chiuso la mia gola con una forza spropositata, come se due mani enormi avessero deciso di togliermi la vita soffocandomi.
«No, io non so niente...» stavo sudando, le orecchie mi fischiavano.
All'improvviso, nella mia mente, si accese un nuovo ricordo: io e Bogum eravamo sul prato, quello davanti casa mia. Jungkook aveva proposto di giocare a fare i militari e io avevo acconsentito, Bogum invece era contrariato. Voleva fare una partita di calcio ma Koo era più piccolo e non avrebbe potuto starci dietro. Ho cercato di convincere Bogum a giocare più tardi, ma lui si arrabbiò, spinse Jungkook a terra e scappò via. Koo pianse per mezz'ora. Si era sbucciato le mani e gli bruciavano.
«Spero tu possa perdonarmi un giorno, comunque» aggiunse.
Mi portai una mano sul petto, stava arrivando l'asma. Era vicina.
«Per cosa?» Sussurrai.
Bogum mi guardò.
«Per quello che ho detto il giorno in cui Jungkook è sparito. Ho detto che finalmente la nostra vita sarebbe tornata alla normalità...»
Espirai. Espirai ancora una volta.
«Po... Possiamo smettere di...» l'aria non arrivò più nei miei polmoni.
Con le mani tremanti tirai fuori l'inalatore, nel frattempo Bogum mi mise una mano sulla spalla.
«Ehi, va tutto bene?»
Lo ignorai. Mi portai l'inalatore in bocca, ispirai e... 3...2...1... Espirai. Il battito si regolarizzò, le orecchie piano a piano tornarono a sentire normalmente i suoni.
«Taehyung, tutto bene? Che diamine è successo? Soffri d'asma?» Chiese tutto di fretta e preoccupato.
Mi scoppiava la testa ma adesso respiravo.
«Sì, asma da stress» risposi.
Mi misi in piedi e iniziai a raccogliere le mie cose. Non volevo stare un minuto di più in sua compagnia.
«Te ne vai? Se vuoi ti do un passaggio» chiese seguendo con gli occhi i miei movimenti.
«No, no. Camminare mi farà bene. Prenderò un po' d'aria»
Forse stavo esagerando. Era stata una cosa detta da bambini quando è normale litigare, eppure non potevo accettare il fatto che avesse detto veramente che le nostre vite sarebbero tornate alla normalità con la scomparsa di Jungkook. E poi era frustrante non ricordarsi di niente... Avevo bisogno di stare da solo. Quella giornata si stava rivelando un vero stress.
«Ma sei sicuro?» Domandò ancora, nel frattempo stavo già camminando verso l'uscita del negozio.
«Sì»
Non lo salutai quando scappai fuori, sulle strade piene di veicoli che mi sfrecciavano a poca distanza mentre strisciavo verso casa mia. Delle lacrime calde mi rigavano le guance e sebbene mi sentissi un po' meglio grazie all'inalatore, le gambe continuavano a tremarmi, la testa a dolere e il cuore a battere fortissimo.
Quella scena non ne voleva sapere di andare via dalla mia mente. Era un loop continuo di Jungkook che cadeva a terra e si sbucciava i palmi e Bogum che ripeteva all'infinito "le nostre vite torneranno alla normalità adesso che Jungkook è scomparso."
I suoi occhi, il modo in cui lo aveva detto... Non riuscivo a perdonarglielo sebbene l'avesse detto an otto anni.
Non guardai nessuno in faccia mentre camminavo a testa bassa sul marciapiede stipato di gente. Stavo piangendo e non ci tenevo a farmi vedere in quel modo, ma andai a sbattere contro qualcuno e istintivamente alzai gli occhi, per sentirmi tremare quando incontrai un paio di occhi scuri come la notte in un viso nascosto dalla mascherina di stoffa nera. Se solo avesse avuto il coraggio di camminare per le strade affollate senza coprirsi la faccia molte persone si sarebbero innamorate di lui, ma era un bene che avesse deciso di mostrarsi solo a me.
«Taehyung!» Esclamò.
Mi fissava preoccupato, non era da tutti i giorni incontrare una persona che si conosce piangere in mezzo alla strada mentre cammina da solo con la testa bassa e le gambe instabili.
In quel preciso momento le parole di Jimin tornarono indietro come un boomerang e le guance presero colore incontrollatamente. Distolsi lo sguardo e mi asciugai le guance con le braccia scoperte. Tutto in una volta mi sentivo così energico da poter spaccare il mondo intero, ma allo stesso tempo avevo ancora voglia di piangere.
Jay rimase in silenzio mentre io guardavo un punto indefinito del cielo azzurro. Delle nuvole grigie stavano arrivando all'orizzonte, presagivano un temporale particolarmente violento e io sperai piovesse in quello stesso momento così sarei stato costretto a correre verso casa senza rivolgere una sola parola a Jay... Anche se il mio cuore mi stava supplicando di guardarlo e dirgli qualcosa.
Non ebbi nemmeno il tempo di formulare il pensiero che lui, inaspettatamente, mi prese la mano e iniziò a trascinarmi verso una meta ancora a me sconosciuta. Guardai le nostre dita con il cuore che tamburellava forte sul mio petto, una strana euforia, da qualche parte dentro di me, mi stava facendo sentire felice e spensierato, come se tutti i problemi potessero sparire al solo tocco gentile delle mani calde di Jay.
Non disse una parola mentre camminava davanti a me. Le persone ci stavano guardando ma non m'importava granchè. Con lui mi sentivo al sicuro e visto che a ogni passo mi aggiustava il cuore non potei fare altro che godermi quel momento. E avanzammo ancora. Strinse forte la mia mano mentre girava l'angolo di una stradina in salita e in quel momento mi accorsi che mi stava accompagnando a casa. Si ricordava dove abitassi, nonostante ci fosse stato solo una volta. Perché si comportava in quel modo? Mi faceva sentire confuso, mi faceva sentire come una persona innamorata.
Si fermò davanti il portone di casa mia e finalmente, voltandosi, mi guardò dritto negli occhi. Si tolse la mascherina e la posò dentro la tasca della giacca, poi lasciò la mia mano per asciugarmi, con i pollici, gli occhi che erano incollati ai suoi.
«Perchè stai piangendo?» Domandò amorevolmente.
Sperai che mi abbracciasse, ma rimase lì fermo a passarmi le dita sulla guance che non smettevano di bagnarsi.
Non sapevo nemmeno cosa dire ora che eravamo da soli. Per quale motivo stavo piangendo? Per Jimin? Per Jungkook? Per i ricordi spiacevoli che Bogum mi aveva costretto a ripercorrere?
«Non voglio essere invasivo e se non vuoi dirmi nulla lo capirò, però adesso calmati e fai un sorriso. Non mi piace vederti così.» Aggiunse.
"Ti prego, smettila di comportarti come se i tuoi sentimenti sono uguali ai miei" pensai, ma non ebbi il coraggio di dirlo così scossi la testa e strozzai, con scarso successo, un singhiozzo.
«Se vuoi saliamo a casa tua. Ci mettiamo comodi e parliamo, anche di qualcosa a caso, basta che smetti di piangere, va bene?» Disse ancora.
Acconsentii. Gli dissi il codice di sblocco visto che le mie mani tremavano e lasciai che fosse lui a guidare me verso casa mia. Ogni tanto mi rivolgeva uno sguardo veloce mentre salivamo le scale e, quando finalmente fummo nel mio salotto, ci sedemmo sul divano. Jay tirò fuori un pacco di fazzoletti dalla tasca e me ne passò uno.
«Vuoi fare qualcosa di particolare? Non so, guardare la TV o parlare di quanto è formidabile incontrarsi in continuazione?» Fece una risatina che contagiò anche la mia. Era vero, dopo tutto.
«Oh, hai riso!» Aggiunse.
«Grazie Jay.» Dissi io.
Il ragazzo mi guardò con un cipiglio sulla fronte. «Per cosa?»
«Per essere qui. Io e Jimin abbiamo litigato e ultimamente non sto passando un periodo bellissimo.»
«Oh... non credevo che tu e Jimin poteste litigare. È colpa sua se sei ridotto in questo stato?»
Annuii. Forse. O forse no. Forse si erano mischiate troppe cose insieme.
«Forse sto solo esagerando.» Risposi.
«Se così fosse non avresti litigato con lui. Non so Taehyung, a me non piace quel Jimin... E il fatto che ti abbia fatto piangere contribuisce a renderlo un mediocre seoulliano qualunque. Non merita le tue lacrime.»
«Ma Jimin è un bravo ragazzo. È colpa mia, lo sto facendo passare per quello che non è.»
Mi alzai, non so a quale scopo. Non riuscivo a stare fermo per via dei nervi e Jay che mi parlava in quel modo non aiutava. Sapevo benissimo che non si trovasse a suo agio insieme ad altre persone, ma non era il momento giusto per aumentare l'astio che mi provocava la litigata con il mio migliore amico. Camminai a passi veloci verso la cucina, volevo prendermi dell'acqua e distrarmi pochi minuti da Jay, ma lui ebbe la brillante idea di seguirmi.
Mi afferrò un polso e tirandomi all'indietro mi fece voltare a guardarlo negli occhi. Mi sentii febbricitante tutto in una volta, per cui distolsi lo sguardo ma lui non me lo permise. Posò un dito sotto al mio mento e mi costrinse a guardarlo.
«C-che cosa stai facendo?» Balbettai.
Era troppo vicino per i miei gusti.
«Non lo so. Mi è venuto spontaneo.»
Lasciò il mio mento e fece scivolare la mano al suo fianco. Deglutire era una fatica e faceva un caldo bestiale in quel momento.
«Comunque non piangere più, ok? Non ne vale mai la pena» aggiunse facendo un passo indietro.
Le sue pupille si stavano dilatando poco a poco e le guance rosate avevano quasi raggiunto la tonalità del rosso rubino. Cercò la mascherina dentro la tasca dei jeans, la mise e indietreggiò ulteriormente.
«Ci vediamo Taehyung» disse in fine, andando via.
Rimasi lì da solo, con il batticuore e una confusione assurda in testa. Ma che diamine gli era preso? Possibile fosse confuso tanto quanto me?
Non mi seppi dare una risposta concreta, ma quando mi buttai sul divano e il silenzio iniziò a fischiare dentro le mie orecchie, l'unica cosa che riuscii a fare fu afferrare il diario segreto che mi aveva regalato Jimin e scriverci dentro la mia giornata. Non trascurai nessun dettaglio, nessuna emozione. Volevo ricordarmene per paura che un altro trauma mi cancelasse di nuovo i ricordi.
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