Capitolo 6. Temporali estivi
"Portami dove vuoi, basta sia lontano da me."
Capitolo 6. Temporali estivi
Un tuono accompagnò la porta che si aprì trillando impercettibilmente, accogliendoci in una caffetteria dall'aria gentile e pulita. Era ancora molto presto per cui c'erano veramente pochi tavoli occupati, per lo più da persone solitarie intente a consumare una colazione veloce prima di scappare a lavoro o a scuola. Una leggera musichetta riempiva lo spazio e l'odore di dolci e bevande zuccherate rendeva quel posto più confortevole che mai.
Forse avrei dovuto rilassarmi, fermare le mie mani che tremavano, abbassare il volume del cuore che batteva veramente troppo forte, riempire il vuoto del mio stomaco pieno di ansia con la prima cosa che mi capitava a tiro, ma Jay mi camminava a fianco e io non volevo fare nulla di strano che lo portasse a pensare di stare in compagnia di un pazzo nevrotico.
Istintivamente i miei piedi mi portarono in uno dei posti a sedere più lontani dalla folla, anche se di folla non ce n'era proprio, e mi accomodai nel divanetto all'angolo che mi nascondeva dagli occhi degli altri. Jay si sedette di fronte a me e posò sul tavolino di legno il cellulare, le chiavi di casa, il portafoglio e una bottiglietta di disinfettante che mi fecero sorridere spontaneamente. Lui era germofobico, d'altronde.
Tutto di lui mi affascinava: i suoi movimenti, il modo in cui si scrocchiò le ossa delle mani, come si spostava i capelli da davanti gli occhi, il battito delle palpebre leggermente assonnate, come si vestiva. Erano strani i miei sentimenti, incomprensibili.
Forse lo fissai troppo intensamente, perché lui fece una risatina divertita mentre si sistemava il codino. In imbarazzo distolsi lo sguardo, affogandolo dentro il menù di carta color fragola. Stavo aspettando si togliesse la mascherina ma non si era ancora deciso a farlo e nell'impazienza mi ero scordato di distogliergli la mia attenzione di dosso.
Jay si schiarì la gola con un piccolo colpo di tosse. Stava per dire qualcosa ma fummo interrotti dall' abbaiare di un cane che scodinzolò proprio nella nostra direzione e guardò con i suoi occhietti vispi il mio accompagnatore. Vidi Jay illuminarsi mentre si abbassava ad accarezzarlo gentilmente. Era il ragazzo perfetto a quanto pareva. Quello che ama gli animali, che sorride dagli occhi, che ti parla dal cuore. Sarebbe stato veramente strano se non avesse avuto una ragazza e un nervo da qualche parte dentro di me si mosse alla sola idea, ma mi ripresi immediatamente. Facevo pensieri strani in quegli ultimi tempi.
Lo osservai con meraviglia e mi distrassi solo quando una voce alta e acuta disse:
«Sugar! Vieni subito qui»
Una ragazza corse verso di noi e s'inchinò educatamente. Aveva i capelli lunghissimi, neri come la notte, lisci e lucidi. Sembrava appena uscita da una di quelle pubblicità da shampoo. Indossava un paio di occhiali da vista e un vestitino a fiori colorato. In una mano teneva stretto il guinzaglio del cane, nell'altra un ombrello bianco. Mi rivolse un sorriso tutto apparecchio, fissandomi per alcuni secondi con interesse. Guardai altrove e forse le diedi l'impressione di essermi infastidito perché si affrettò a richiamare l'attenzione del suo cane.
«Scusami tanto! Di solito Sugar non si comporta così!» Disse a Jay mentre attaccava il guinzaglio, poi si rivolse al cane e aggiunse «lascia stare il ragazzo!»
Ma Sugar, il volpino bianco e soffice come una nuvola di zucchero filato, non ne voleva proprio sapere di lasciare perdere i jeans scuri di Jay.
«Forse sente solo l'odore del mio cane.» Rispose lui e il tono con cui le si rivolse mi fece corrucciare le sopracciglia. Non era il solito tono tranquillo e gentile di Jay, era più freddo, meno cordiale.
E lei non se ne accorse, forse perché non lo conosceva, e nemmeno io lo conoscevo poi così tanto, ma quello non era lo stesso Jay che mi aveva consigliato dolcemente il ramen piccante, né lo stesso che mi aveva chiesto quale strumento avessi comprato per prenderne spunto.
«Oh, è molto probabile» rispose lei con un sorriso argentato.
Jay fece i grattini a Sugar dietro l'orecchio destro, aveva le mani piene di vene e piccoli taglietti procurati chissà come. Magari era un amante di giardinaggio! Mi divertii a immaginarmelo mentre raccoglieva rose spinose, senza guanti e sorridente come un bambino. Sorridente come Jungkook, ma scacciai via quel pensiero. Dovevo smetterla di vedere in lui Koo solo perché mi faceva stare bene...
La ragazza mi rivolse un'altra occhiata timida mentre cercava di staccare il suo cane dalla coscia di Jay.
«Comunque io mi chiamo Jieun.» Aggiunse facendo un sorriso a entrambi, ma Jay continuava a giocare con Sugar ed io mi sentivo al quanto a disagio.
Nessuno dei due rispose infatti, ma quando la ragazza mi guardò una volta ancora mi affrettai a dirle il mio. Jay rimase in silenzio, nonostante Jieun aspettasse di sapere anche il suo di nome.
«Va bene, adesso basta Sugar, andiamo. Lascia stare ehm... L'amico di Taehyung.» Disse il mio nome con le guance rosate, poi si scusò una volta ancora e trascinò via il cane.
«Quindi, anche tu hai un cane?» Chiesi a Jay non appena fummo di nuovo da soli.
Il ragazzo fece un cenno, scivolando velocemente lo sguardo sul menù.
«Sì, l'unico a tenermi compagnia a Seoul. Se non l'avessi capito mi sono trasferito qui non meno di un mese fa. Non conosco praticamente nessuno.» Jay si stiracchiò.
«Oh, effettivamente la tua faccia non mi è sembrata familiare quando ci siamo incontrati la prima volta. Non che l'abbia ancora vista, dopo tutto» scherzai, facendo un sorriso che, per fortuna, coinvolse anche lui.
Dopo i modi freddi con cui si era rivolto a Jieun temevo che fosse infastidito per qualcosa, ma era tornato a essere il solito Jay gentile e misterioso.
«Perdona la mia ipocondria allora. Seoul è molto affollata» disse grattandosi il collo.
Feci spallucce. Morivo dalla voglia di vedere il suo viso e invitarlo a fare colazione insieme a me era l'occasione buona per fargli togliere quella dannata mascherina nera.
«Ognuno ha le sue ossessioni.» Risposi.
«E le tue quali sono?»
«Le mie?»
Ci pensai sù.
E le mie quali erano, a parte i continui pensieri rivolti a Jungkook e a dove fosse finito diciassette anni prima?
«Non credo di averne» aggiunsi giocando una bustina di zucchero.
«Nemmeno la fissa per le caffatterie colorate e piene di zucchero?» Domandò divertito.
«Ehi, non sono una mia fissa! Mi piacciono semplicemente le cose dolci»
«Bleh! Lo zucchero fa venire il diabete, lo sai?»
«È proprio vero allora che sei ipocondriaco.» Lo battibeccai ridendo.
«Pensavi fosse una bugia?»
Un cameriere, alto e giovane, venne a prendere le nostre ordinazioni. Presi una ciambella piena di glassa al cioccolato e un frappuccino con panna, spezie e ulteriore cioccolato, mentre Jay prese...
«Non ti smentisci. Una tazza di cioccolata fondente? È un obbrobrio!» scherzai mentre il cameriere si allontanava.
Jay rise.
«Lo zucchero è un obbrobrio! Fa malissimo, fa ingrassare e ti alza il valore della glicemia nel sangue. Fossi in Jimin ti farei fare una dieta sana e nutriente.»
«Ci ha già provato ma con scarso successo. L'ultima volta che è venuto a casa mia e ha visto il ramen piccante in dispensa gli è venuto un colpo. Avevo anche la febbre in quell'occasione, quindi è corso subito a comprarmi del cibo sano nel negozio alimentare più vicino.»
«Si direbbe un ottimo amico, questo Jimin.»
Ecco, un'altra volta il suo tono sembrava cambiare, più freddo. Forse era solo la mia impressione, eppure notavo la calorosità abbandonare i suoi occhi per la seconda volta apparentemente senza motivo. Apparentemente, perché non sapevo cosa gli passasse per quella mente.
«Beh, è il mio migliore amico per un motivo dopotutto.»
«Migliore amico. Si, sembra quel tipo di persona.» Inclinò la testa.
Non aveva ancora tolto la mascherina.
«Comunque tu da dove vieni? Il tuo accento è diverso. Sei del sud?»
«Sì certo!» Jay parve agitarsi al suono di quella parola.
«Di dove, di preciso? Hai detto che ti sei trasferito, ma non mi hai detto da dove. Busan? Daegu? Ulsan?»
Jay parve tranquillizzarsi. Appoggiò la faccia sulla mano e mi scrutò interessato.
«È importante saperlo? Adesso sto qui a Seoul.»
«È un modo per conoscerci. Hai detto che non hai amici qui e a me farebbe piacere esserlo.» Alzai le spalle.
Avevo detto qualcosa di sbagliato? Jay non sembrava interessato a dirmi nulla sul suo conto, ma dopo un minuto esatto di silenzio, uno sbadiglio e una profonda occhiata, sospirò.
«Changwon. Vengo da lì»
«Oh! È molto vicino a Busan... Il tuo accento è proprio del sud.» Scherzai per alleggerire la tensione.
Ma Jay sembrava sereno nuovamente. Gli occhi scuri erano stelle giganti e nebulose.
Ma aveva detto Busan. Busan. Busan. Tutto si ricollegava a Jungkook, non lo facevo di proposito e non appena ci pensavo il respiro si fermava per poi ripartire velocemente. Non abbastanza da farmi venire un attacco di panico ma tanto da farmi sentire il petto vuoto.
«Sì, ci passavo le vacanze estive a Busan. I miei nonni materni stavano lì.» Aggiunse guardandomi dritto nell'anima.
«Ti sei trasferito con i tuoi genitori?» Chiesi incuriosito.
Avevo una certa fame, ma il cameriere non si era ancora deciso a portarci le nostre cose. E avevo anche fretta! Una volta arrivata la cioccolata Jay si sarebbe tolto la mascherina, così avrei potuto vedere il suo viso...
«No, i miei sono morti in un incidente un anno fa.»
Ci fu un momento in cui sentii solo il tintinnare delle posate e delle tazze che un ragazzo, al bancone, stava lavando. Mi raggelai a quella confessione, sentendomi subito inopportuno e in colpa.
«Scusa Jay! Non avrei dovuto chiederti nulla, io...» mi affrettai a dire, ma lui stava sorridendo dagli occhi, ancora una volta.
«Fa nulla. Parlarne mi fa bene, e poi ci stiamo conoscendo in fin dei conti.»
«Sì ma avrei dovuto essere meno invasivo.»
«Non lo sei stato. Mi sei sembrato solo interessato alla mia vita.»
Scrollò le spalle con un movimento leggero ma io non mi mossi, né proferii parola. Quella confessione fu del tutto inaspettata e improvvisa, come i temporali estivi che, in quel momento stesso, stavano facendo tremare le vetrate della caffetteria.
«Taehyung, veramente! Sono stato io a volertelo dire. Avrei potuto mentire o dirti semplicemente che sono venuto da solo e basta.» Si mosse appena.
Pensavo stesse per mettere la mano sulla mia, ma quella cambiò traiettoria e afferrò la bottiglietta di disinfettante. Se ne versò qualche goccia sul palmo, che poi sfregò contro l'altro. Nel frattempo, finalmente, la cioccolata fondente di Jay, la mia ciambella e il frappuccino arrivarono. Il cameriere si scusò con noi per il tempo impiegato a portarci da mangiare, poi scomparve dietro in bancone.
Nonostante la confessione spiazzante di Jay ero in fermento! Mi sentivo ancora in colpa, ma adesso i miei pensieri erano attratti da Jay e le mani che stavano per tirare via quella dannata mascherina nera quando... Il suo cellulare squillò e lui si fermò. Prese il telefono e dopo essersi scusato si allontanò con il cellulare incollato all'orecchio.
«Dovevano telefonarti proprio adesso?» Dissi a me stesso, giocando con la cannuccia della mia bevanda zuccherata.
Mi domandai chi l'avesse chiamato. Aveva detto di non avere amici e che i genitori erano morti. Magari aveva la fidanzata a Changwon o qualche amico di lì. Fatto sta che la mia curiosità mi stava uccidendo e le mie gambe tremavano letteralmente mentre lui tornava indietro e riprendeva posto sulla sedia lasciata vuota.
«È tutto ok?» Chiesi bevendo un sorso di frappuccino.
Jay alzò le spalle.
«Sì, diciamo. Qualche giorno fa ho fatto un colloquio per un posto di lavoro in un negozio di strumenti e adesso vuole rivedermi per un ulteriore confronto.»
«Oh... Devi andare adesso?» Chiesi deluso.
Jay annuì.
«Questa sera sono libero però. Potremmo andare a bere qualcosa e, non so, continuare questa conoscenza. Non ci siamo detti molto su di noi, quindi se ti va stasera usciamo. Spero tu possa perdonarmi per adesso, devo proprio scappare.»
«Questa sera sono liberissimo.» Risposi prontamente.
Jay sorrise, poi chiese un bicchiere d'asporto per la sua cioccolata e con un sorriso scomparve oltre la porta, oltre l'oscurità scaturita dalla nebbia e dalle nuvole scure scese dal cielo. E rimasi da solo. O meglio, rimasi con me stesso e con la figura di Jungkook: aveva preso posto nella sedia lasciata vuota da Jay e mi guardava scontroso, con un cipiglio sulla fronte.
«Sei ingiusto, Tae.» Disse arrabbiato.
Tae? Mi chiamava così?
Rimasi in silenzio. Era frutto della mia immaginazione, non c'era nessuno insieme a me. Eppure... Stavo tremando. Un altro ricordo si era appena acceso dentro la mia testa, un nomigliolo che non era nuovo per me, Jimin mi chiamava anche così, ma detto da Koo... Ecco che mi mancava il respiro.
Cercai l'inalatore dentro la tasca dei jeans, nel frattempo il petto sembrava lacerato in più parti all'interno della mia gabbia toracica. Espirai e inalai, nel frattempo cercai di portarmi la medicina verso la bocca ma non ci riuscivo, mi mancava l'aria. I miei occhi si velarono di grigio, non vedevo più nulla nitidamente e l'ansia mi travolse. Volevo gridare "aiuto", ma la mia voce non raggiungeva le corde vocali e l'inalatore mi cadde di mano.
Qualcuno gridò di chiamare l'ambulanza, qualcun altro corse in mio aiuto, ma persi i sensi e l'ultima cosa che vidi fu il nero più totale.
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