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Capitolo 3. Una fine inevitabile

"So you can keep me inside the cover of your ripped jeans."

Osservavo le foto insieme a Jungkook, sdraiato sul divano e coperto fino al mento con una trapunta, da almeno venti minuti buoni. Mi comportavo da stupido, stavo cercando di memorizzare tutti i dettagli del suo viso così che se l'avessi incontrato per caso lo avrei sicuramente riconosciuto. Ignorai il fatto che anche lui, come me, era tanto cresciuto e che probabilmente alla stessa maniera era cambiato.

In questo modo però fui in grado di scoprire altri particolari di lui oltre ai denti sporgenti, che potevano essermi utili. La sua pelle era molto più chiara della mia, i capelli nerissimi, le labbra avevano una forma a cuore, sottili e rosee, e proprio sotto al labbro inferiore aveva un piccolo neo. La cosa più rilevante del suo aspetto fisico e che lo rendeva poco ordinario fu la cicatrice sulla guancia destra. Non appena la vidi mi ricordai subito come se l'era procurata e sorrisi pensandoci: stavamo correndo sul prato con dei legnetti in mano, che per noi erano come delle spade con cui attaccarci, quando inciampò e si conficcò l'arma proprio su quel punto. Pianse parecchio quando si toccò la faccia e rinvenne il sangue sulle dita. Sua madre si arrabbiò tantissimo quel giorno, ma in fin dei conti quella ferita lo rendeva ancora più carino, e poi lui se ne dimenticò subito.

Memorizzai bene nella mia testa questo suo aspetto, il neo e la cicatrice e mi promisi di cercarle in ogni ragazzo che incontravo. Forse avrei perso solo del tempo, ma provare non mi costava nulla.

Misi da parte le due fotografie, conservandole gelosamente tra le pagine del diario segreto che mi aveva regalato Jimin. Lo avevo lasciato lì, sul tavolinetto in vetro ai piedi del divano, in ricerca della giusta ispirazione per scriverci sopra e quel momento sembrava proprio essere arrivato.

Mi alzai allora, intenzionato a cercare una penna e quando fui in piedi, lontano dalla confortante calorosità della trapuntina, un brivido mi percorse la schiena e le braccia. Mi strinsi in me stesso, correndo subito sul divano quando ebbi trovato ciò che stavo cercando. Mi raggomitolai e con le mani tremanti scrissi la data sulla prima pagina, poi aggiunsi:

Ehm, ciao?

Mi sentivo un po' uno scemo in verità. In che modo poteva aiutarmi scrivere i miei pensieri su uno stupido diario? Non ero mica un teenager! Sbuffai, buttando la testa all'indietro e aderendo alla spalliera del divano. Sentivo ancora freddissimo nonostante fossi tutto coperto, così accesi il climatizzatore e nel frattempo provai a concentrarmi di nuovo.

Jimin questa volta mi ha fatto un regalo veramente inutile. Bello sì, ma davvero inutile. Non riesco a spiegarmi come riusciresti ad aiutarmi. Posso solo spiattellarti tutti i miei segreti, ma tu verresti solo a conoscenza dei miei sentimenti più nascosti e profondi, non saresti mica in grado di darmi un consiglio o suggerirmi che cosa fare! Eppure, potresti comunque aiutarmi. Come lo spiego? Mi distrugge psicologicamente solo il pensiero di scrivere il suo nome. In fin dei conti mi ha confuso così tanto il suo improvviso ritorno nella mia vita, che adesso mi sento sopraffatto. Allora lo dirò tutto d'un fiato... Jungkook è riapparso nei meandri della mia memoria e da allora tutto è cambiato... è stato così potente, questo risveglio, da causarmi l'asma.

Scrissi velocemente, tirando l'aria, a denti stretti, all'interno della bocca per colpa del freddo. Mi faceva male la testa e i miei occhi erano pesanti. Forse mi stava davvero venendo la febbre, allora si sarebbero spiegati i miei comportamenti strani di quella mattina, tipo aver fissato come in uno stato di trance il ragazzo al supermarket, oltre al fatto che ero pallidissimo e avevo pure le occhiaie!

Abbandonai il diario sul divano e presi il termometro per misurarmi la febbre. Mentre aspettavo qualche minuto, afferrai il cellulare e feci un'altra veloce ricerca su Instagram. Adesso che sapevo il cognome di Koo, trovarlo sui social, forse, sarebbe stato più semplice ma considerando la quantità di account che vennero fuori digitando "Jeon Jungkook" sulla piccola lente capii che mi ero sbagliato di grosso.

Controllai i primi quattro profili, uno era denominato J.Jeon, ma le foto del ragazzo non mi suscitarono alcuna emozione dentro e poi non possedeva una sola caratteristica che poteva farmi pensare al Jungkook che stavo cercando.

Allora passai al secondo, Jungkook.Jeon, un signore di mezza età amante del cibo di strada (la maggior parte dei suoi post non ritraevano altro) e dei suoi piccoli nipotini, Juyeon e Suho. Con uno sbuffo aprii il terzo, JJK.16, un ragazzino di quindici anni, fissato con il gaming e i manga. L'ultimo account mi alterò più di tutti, Jungkook.97. Aveva un solo post pubblicato quella mattina stessa, ovvero la foto di un doberman marroncino di nome Bam, a quanto riportava la descrizione, e uno sfondo tutto nero come immagine del profilo. L'unica cosa che aveva in comune con Jungkook era l'anno di nascita, visto che anche lui era nato nel 1997 e nient'altro.

«Koo, se sei vivo ma non hai un account Instagram sei davvero uno sfigato.» Mormorai, togliendomi il termometro dalla bocca e guardando, un po' disperato, la mia temperatura: 38.8.

«Cazzo» dissi tossendo.

Solo due mesi di vacanze e avrei passato la prima settimana a letto con la febbre! La sfortuna mi perseguitava. Cercai la chat con Jimin allora e lo avvertii, con un vocale, che non potevo uscire quella sera per via dell'influenza. La sua risposta non tardò molto ad arrivare:

«Mannaggia! Dal tuo aspetto di questa mattina si notava che non stavi troppo bene. Io sono uscito ora dall'ospedale, passo in farmacia a prenderti qualche aspirina e vengo da te, va bene? Passiamo lo stesso la serata insieme.» Diceva il primo audio, poi me ne inviò un altro:

«Ah, prima mi ha chiamato tua madre. Era allarmata per via dell'asma. Diceva che prima ti sei sentito male. Già che ci sono ti compro altri quattro inalatori. Sai com'è, nel caso se ne rompesse uno. A dopo Tae!»

Risposi con un semplice "a dopo" e misi via il telefono perché mi scoppiava la testa. Cercai di rilassarmi allora, mi coprii bene bene e chiusi gli occhi, ma non passarono nemmeno cinque minuti che il mio cellulare iniziò a squillare. Sbuffai e tutto dolorante mi piegai sui cuscini per prenderlo e vedere chi mi stava chiamando. Era mia madre.

«Ma'» dissi con una voce nasale. Ci mancava solo il raffreddore!

«Tae! Che fai?» Chiese con il solito tono gentile e confortante.

Mi sembrava strana quella chiamata, di solito mi chiamava la sera tardi dopo cena, ma non dissi nulla a riguardo e feci spallucce.
«Nulla, mi è venuta la febbre e sono sdraiato sul divano. Etciù»

«Oh! Effettivamente si vedeva, non eri molto colorito prima.» Rispose con un sospiro.

Sembrava che la rabbia per non averle detto dell'asma e degli attacchi di panico fosse svanita nel nulla.

«Già, l'ha detto anche Jimin. Comunque, come mai hai chiamato?» Chiesi incuriosito.

Di solito, quando si arrabbiava con me, m'ignorava per giorni e giorni, e metteva via l'ascia di guerra solo se mi presentavo a casa con un regalino e delle scuse.

«Dovevo dirti una cosa, ma stai male e non ha senso. Ci sentiamo più tardi, Tae. Stai al caldo.» Tagliò corto.

«No, no! Aspetta un attimo, dimmi ciò che volevi chiedere» dissi velocemente e lo sforzo mi costò un colpo di tosse molto forte.

«Ma niente! Tuo padre voleva invitarvi a cena domani sera... tu e Somin, ovviamente. Ma hai la febbre ed è meglio che tu non prenda freddo. Sarà per un'altra volta.» Disse tutto d'un fiato.

«Mamma...» stavo dicendo, ma lei m'interruppe.

«Lo so, Tae, ma non posso dirgli che ti sei preso una pausa. Ci resterebbe male.»

«Prima o poi dovrà saperlo. Non posso continuare a tenere segreto questo dettaglio della mia vita.»

«Lo so. Cambiamo discorso per ora, ok? Hai più avuto attacchi d'asma?» Chiese preoccupata.

Mi buttai all'indietro, sui cuscini. «No. Stai tranquilla comunque, mi capita una volta ogni tanto.»

Sì, solo quando vedo Jungkook e ho una forte reazione, mamma.

«Ti è venuta di nuovo dopo diciassette anni e nella stessa forte maniera. Dobbiamo chiedere a Jimin di fare delle analisi più profonde e...»

«Che vuoi dire con di nuovo? Era già successo?» Domandai, mettendomi seduto di scatto.

Il cuore mi martellava forte nel petto e per un attimo temetti che mi stesse per venire un'altra crisi respiratoria, ragion per cui strinsi nella mano l'inalatore ma fu un falso allarme, era solo stupore. Non ricordavo che fosse già accaduto.

«Sì, il dottore l'aveva detto che te ne saresti dimenticato. La sera in cui ti ho raccontato quello che è accaduto a Jungkook... tu sei entrato nel panico. Non riuscivi a respirare e tuo padre ti ha portato immediatamente al pronto soccorso. Da quel primo episodio non ti è più successo e quando oggi hai avuto di nuovo la stessa identica crisi mi sono spaventata.»

Non dissi niente, ero sconvolto. Sembrava che tutto si ricollegasse a ciò che aveva detto Jimin, un trauma.

Proprio quando stavo per riacquistare parole e lucidità, il suono del campanello ruppe il silenzio. Jimin doveva essere arrivato.

«Va bene mamma, non preoccuparti. Adesso vado, c'è Jimin.» Dissi con la bocca secca, trascinandomi, infreddolito, verso la porta.

«Ok, Taehyung. Già che ci sei parlane con lui! Rimettiti, domani verrò a trovarti.»

«Sì, ciao mamma.»

Riattaccai la chiamata e pressandomi un palmo sulla fronte dolorante accolsi in casa il mio migliore amico. Non gli dissi niente, aprii solo la porta e me ne andai subito verso il divano, scioccato e infastidito. La mia memoria su Jungkook aveva subito gravi danni, visto che avevo dimenticato completamente di aver sofferto d'asma quando lui sparì.

Mi buttai di nuovo sui cuscini e mi coprì fino alla testa.

«Siamo di brutto umore?» Scherzò Jimin raggiungendomi in salotto.

Si sedette sul bordo del sofà e tirò via le coperte, scoprendo il mio viso corrucciato e pensieroso.

«Lasciami in pace Jimin-sshi. Non è proprio giornata.» Digrignai a denti stretti.

Non ricordarsi... è una bella piaga.

«Non mi dire che sei arrabbiato solo perché hai qualche linea di febbre!» Esclamò poggiandomi una mano sulla fronte. «Aish*, scotti. Scherzavo.» Rettificò, posando sul tavolino due buste di plastica.

Non dissi nulla, tremavo per il nervosismo! Desideravo chiudere gli occhi e ricordarmi all'istante di ogni particolare passato.

«Hai già preso qualcosa?» Domandò trafficando dentro il sacchetto.

«No» mormorai.

Jimin mi lanciò un'occhiata di sottecchi.
«Mmh» rispose e tirò fuori un pacchetto bianco con su scritte delle avvertenze.

«Dimmi i tuoi sintomi.» Aggiunse.

«Nessuno»

«Taehyung, mi dici cos'hai?» Domandò, fissandomi sbigottito.

«Nulla. Vorrei solo ricordarmi del passato e di Jungkook. Questa faccenda è un vero schifo.»

Mi voltai su un fianco, Jimin sospirò.

«Fino a ora hai vissuto tranquillamente, senza ricordi sulla sua esistenza. Non c'è traccia di lui da diciassette anni e forse è persino stato ucciso. Vai avanti normalmente, se è vivo, e soprattutto destino, vi ritroverete.»

Non risposi. Avrei dovuto dirgli cosa avevo scoperto grazie a mia madre? Ma la testa mi scoppiava e non riuscivo a fare dei ragionamenti sensati, per questo quindi decisi di lasciare perdere e affidarmi alle cure di Jimin senza riprendere in ballo il discorso su Jungkook. Tanto non aveva senso! Erano passati diciassette lunghi anni e se in tutto quel periodo di tempo non era stata trovata una sua sola traccia allora probabilmente dovevo accettare la questione e andare avanti, proprio come aveva detto il mio migliore amico.

«Jimin, mi fa male la testa e ho gli occhi pesanti» mormorai accucciandomi di più.

Jimin scosse il pacchetto del paracetamolo.

«Menomale che ci sono io! Ma prima dovresti mangiare qualcosa. Ti preparo uno spuntino, cos'hai?» Domandò mettendosi in piedi e dirigendosi verso la dispensa.

«Stamattina ho fatto la spesa.» Risposi rabbrividendo. Dannata febbre!

Jimin aprì gli sportelli e per un attimo fissò cosa c'era dentro in assoluto silenzio poi, schiarendosi la voce con un colpo di tosse, si voltò verso di me.

«Sembra che sia stato un bambino a farti la spesa. Mochi, snack al cioccolato, snack salati e... cos'è questo? Ramyeon piccante istantaneo?» Commentò con tono di rimprovero prendendo uno dei pacchetti rosso fuoco che mi aveva consigliato di comprare il ragazzo tutto vestito di nero al supermarket e scuotendolo.

«Jimin, so che sei un medico e tutto ma le cose salutari che mi hai scritto la volta scorsa facevano veramente schifo.» Mi lamentai sotto voce.

«Sì ma con la febbre non posso darti questa roba! Insomma, ti ho detto mille volte che non sei più un bimbo e che per tanto non devi mangiare con gli occhi, come solo i piccoli fanno.»

«Per stasera c'è questo. Appena sto meglio prometto che comprerò del cibo più adeguato.»

«Ma poi nemmeno ti piace il cibo piccante!» Esclamò esasperato, indicando la fila di bustine.

Ne avevo comprato un po' non considerando il fatto che ero poco bravo a sopportare il sapore forte del peperoncino, solo perché me l'aveva consigliato uno sconosciuto al supermercato.

«Ma sì che mi piace!» Mentii.

Jimin si portò le mani sui fianchi, alzò gli occhi sull'orologio e uscì dalla tasca le chiavi della macchina.

«Vado a comprare qualcosa di più leggero.» Disse.

«Ma no Jimin, lascia stare per oggi. E poi è ancora presto! Probabilmente i negozi saranno ancora tutti chiusi.»

«I kobini sono aperti ventiquattro ore su ventiquattro. Da medico non posso vederti mangiare quella schifezza, soprattutto con la febbre. Ci metterò poco, comunque. Non ti preoccupare.»

«Ok, ma entra da solo e senza suonare. Ho troppo freddo, mi scoccia alzarmi.»

«Agli ordini, capitano Kim!» Jimin fece il saluto militare, poi andò via.

Cercai di rilassarmi ma, puntualmente, non appena chiusi gli occhi, il mio cellulare iniziò a squillare di nuovo. Infastidito me lo portai davanti gli occhi e rimasi bloccato. Era Somin. La suoneria del telefono rimbombò per tutta casa, insieme al mio egoismo e senso di colpa. Cosa potevo fare? Non me la sentivo di ferirla, ma allo stesso tempo non volevo darle una sola speranza. Stare da solo era diventato la mia nuova zona di comfort. Non so a quale scopo di preciso, ma desideravo restare single per un lungo periodo di tempo.

Posai lo smartphone sul tavolo, lasciandolo suonare senza dare alcuna risposta. Mi rigirai sul divano e sospirai. Che vita!

Somin richiamò altre tre volte prima che si arrendesse. Guardai il soffitto con lo stomaco in subbuglio, chiedendomi se, incontrando Jungkook, sarei stato meglio... ed ero così preso dai miei pensieri che sobbalzai quando, all'improvviso, il campanello trillò. Mi portai una mano al petto e inveendo contro Jimin, che sicuramente aveva dimenticato di conoscere il codice per sbloccare la porta, mi trascinai verso il portoncino.

«Yah Jimin, ti avevo detto di... Somin?» Dissi sorpreso.

I lunghi capelli corvino le coprivano parte del volto e gli occhi scuri erano lucidi e liquidi. Un colpo al cuore, per un attimo, mi fece mancare il respiro. Mi dispiaceva tantissimo ma non potevo fare altrimenti.

«Ciao Somin, h-ho appena visto la chiamata, s-stavo per richiamarti e...»

«Posso entrare?» M'interruppe.

In quelle condizioni non ero proprio in grado di affrontare alcun discorso, ma lei non mi diede il tempo di dire una parola che mi oltrepassò e camminò a passi grandi verso il salotto. La raggiunsi lentamente. Si stava guardando intorno circospetta come se, da un momento all'altro, un'altra ragazza uscisse da sotto il tavolo e gridasse "sorpresa!"

Pronto a una scenata mi buttai sul divano, massaggiandomi le tempie doloranti con le dita. Non so perché, ma d'istinto strinsi nella mano un inalatore. Che cosa stupida da fare, lei non era Jungkook e non mi procurava nemmeno metà delle emozioni che un bimbo scomparso diciassette anni prima mi stava facendo sentire da giorni.

«Se credi che ci sia qualcuno qui ti sbagli. Non ho nessun'altra, te l'ho già detto.» Dissi a denti stretti continuando a cercare calore ma invano.

«Come mai non hai risposto alle mie chiamate?» Domandò arrabbiata, voltandosi verso di me con le braccia conserte.

«C'era il silenzioso. Non l'ho sentito.» Tagliai corto.

Somin annuì, poi si portò il telefono sull'orecchio e, due secondi dopo, il mio iniziò a squillare forte. Sbuffai.

«Non si direbbe» aggiunse chiudendo la chiamata.

«Somin...»

«No, Taehyung, ascoltami! Ti comporti in maniera strana ultimamente. Ho cercato di crederti quando hai detto che era per via dello stress che volevi stare da solo, ma adesso esigo la verità!» Alzò la voce.

«Ed è così, Somin. Sono stressato» risposi pacatamente, ma la mia tranquillità la turbò.

«Sei veramente così calmo? Mi hai mandata di casa, inventandoti bugie su bugie e adesso non hai nemmeno una reazione!» Esclamò.

Mi portai una mano sugli occhi.
«Ho la febbre. E poi, cosa vuoi che ti dica? Sono stato sincero, se non ti fidi di me non è colpa mia. Non ho nessun'altra, ho preso le distanze perché mi hai pressato così tanto da farmi venire gli attacchi di panico e volevo stare da solo.»

«Non m'importa che tu abbia la febbre! Spiegami perché hai mentito sul cellulare! Dimmi perché Jimin può stare con te e io no!»

«Perché Jimin non mi stressa!»

Era una bugia. Jimin lo faceva pure; sul cibo, sul mio stile di vita, sulle scelte che facevo... scoprivo solo in quel momento che, il vero motivo, non era il mio esaurimento nervoso.

«Sono uno stress per te, Kim Taehyung?» Scaraventò a terra le medicine e gli inalatori che il mio migliore amico aveva comprato per me e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non tanto per il gesto che aveva fatto, ma per l'ennesima dimostrazione che da parte sua esisteva solo egoismo. Di me le interessava il minimo indispensabile e basta.

«Somin, ascoltami. Vuoi che io sia sincero? Bene. Non voglio più stare con te.»

Lo ammisi con un groppo alla gola e gli occhi lucidi. Evitai persino di guardarla tanto fu il dolore che mi provocarono i suoi occhi tristi e consapevoli. Avrei desiderato che le cose tra noi finissero un po' meglio, con una stretta di mano magari o con un ultimo bacio da assaporare prima di dirsi "ciao". Sarebbe stato meglio restare amici, essere comunque due complici ma non era tra le sue volontà e io ero senza forze per combattere una causa persa.

«Cosa?» Disse incredula.

«Mi dispiace. Ho detto la verità su come mi sentivo quando gli attacchi di panico mi stringevano la gola e il petto e fino a una settimana fa non era mia intenzione lasciarti, ma ora come ora ho solo bisogno di tranquillità.»

Hai capito anche tu, Jungkook? Il discorso vale anche per te! Stai lontano dai miei sogni.

«Certo» disse sarcastica.

Nonostante mi sentissi debolissimo mi misi in piedi e raccolsi le medicine da terra.

«Ti piace un'altra? Dimmi la verità» adesso la sua voce tremava per il pianto

Mi fermai un attimo. Avevo sette pacchetti in una mano, nell'altra l'inalatore.

«Il tuo problema è questo, non ascolti. Ho già detto che non è così e te lo posso anche giurare.»

Lasciai perdere le medicine e mi voltai verso di lei. Le lacrime le rigavano le guance rosse e il senso di pesantezza sul petto aumentò.

«Non ti voglio più vedere, Kim Taehyung» sputò fuori velenosa, la guardai camminare a passo spedito verso la porta che si aprì nello stesso istante in cui lei allungò la mano sulla maniglia. Colpì Jimin con la spalla e se ne andò senza ascoltare le lamentele del mio migliore amico, che si era fatto male per colpa sua.

«Ma che le prende?» Disse seccato, ma quando vide il casino per terra, i miei occhi lucidi, e sicuramente rossi, si zittì.

Mi andai a sedere sul divano, sentendomi un vero schifo. Jimin rimase in silenzio, portò la spesa sul bancone da cucina, raccolse le scatole da terra e senza dire una parola si adoperò per prepararmi da mangiare. Ogni tanto mi osservava con la coda dell'occhio e sospirava rattristito.

Ecco, Jungkook. Mi hai confuso le idee e forse nemmeno esisti sulla faccia dell'intero pianeta Terra!

Vocabolario coreano;
Aish*; Dannazione

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