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Capitolo 23. Pazzie

Capitolo 23. Pazzie pt1

"Don't blame me, love made me crazy"


Jay veniva dalla Corea del Nord ed era stato lui stesso a confermarmelo. Mi sembrava di star facendo un brutto sogno, un incubo di cui non vedevo l'ora di svegliarmi e dimenticarmi. Il solo pensiero di dover affrontare tutte le grane che si sarebbero create se si fosse saputa la verità mi faceva venire il mal di testa, per non parlare di tutte le paranoie che mi stavano divorando per intero lo stomaco e la mente. Dentro di me non volevo accettare la realtà, ma in cuor mio sapevo che non c'era altra scelta da fare se non quella di essere sinceri con se stessi; la persona che amavo più al mondo era un acerrimo nemico del mio Paese praticamente da sempre e la nostra storia era qualcosa di troppo impossibile per continuare a esistere ancora.

Mi coprii fin sopra la testa con le coperte nel patetico tentativo di non farmi trovare più. Il giorno si avvicinava inesorabilmente e avrei dovuto incontrare il maggiore Jun per le questioni legate al lavoro. Per un terribile scherzo del destino quella missione era stata affidata a me e adesso dovevo tenerne conto. E come avrei fatto a guardarlo negli occhi, mentre si batteva per il suo Paese, e mentirgli dicendo che non sapevo nulla riguardo all'infiltrato venuto dal nord? Mi sentivo un disonesto anche solo a immaginarlo, ma quella disonestà veniva superata di gran lunga dall'amore infinito che provavo per quell'infiltrato stesso. La sfortuna non faceva che perseguitarmi, ovunque andassi e qualsiasi cosa facessi o desiderassi. Trovare un modo per essere felice era impossibile in quel momento, anche provandoci con tutte le mie forze.

Jay era ancora in salotto con Jimin mentre io mi ero chiuso in camera mia. Ormai non piangevo più ma l'apatia che mi attraversava da cima a fondo come un fiume in piena, cercando nei miei una occhi una cascata che si rifiutava di riversarsi ancora sui sentimenti contrastanti che legavano me e Jay, mi opprimeva sul petto impedendomi di respirare bene. Se tutto quello era un incubo volevo che qualcuno mi svegliasse immediatamente.

Persino il mio coraggio era andato a farsi un giro lontano da me, perché temevo dannatamente di incontrare i suoi occhi scuri e tristi. Lo avevo lasciato nelle mani sicure del mio migliore amico e non desideravo nemmeno lontanamente di andare a vedere come stava. Non che me ne fregassi di lui e delle sue condizioni fisiche anzi, fremevo dall'impazienza di sapere se fosse tutto a posto e se si sarebbe ripreso presto, ma vederlo significava pensare e io in qualche modo volevo spegnere la mia testa e allontanarlo da me una volta per tutte.  Desideravo smettere di amare e iniziare a vivere solo per me stesso, ma al mondo non esiste una sola persona che non faccia mille sacrifici per un'altra e di certo io non sarei riuscito ad andare avanti senza di lui e tutto l'amore che solo per lui provavo. Era il mio posto felice, il mio mondo e il mio universo: cancellarlo dalla mia vita voleva dire soffrirne per il resto dei miei giorni.

Allora chiusi gli occhi sperando di addormentarmi e stare tranquillo per un paio di ore, il tempo di riposare il mio cuore da tutti gli sforzi terribili che stava facendo e dargli modo di respirare, ma c'era un piccolo dettaglio che mi teneva vigile; come si fa a mettere in stand by i sentimenti? Era una cosa assurda, qualcosa di cui non si può fare a meno. Anche volendo, con tutti i pensieri che abitavano la mia mente, dormire era impossibile. In più, l'attesa di scoprire se Jay stava bene mi torturava fino allo sfinimento. Volevo prendermi cura di lui ma se l'avessi visto i dubbi su come comportarmi dal giorno dopo in poi mi avrebbero divorato da dentro: l'unica opzione valida a cui riuscivo a pensare era quella di scappare via. Volevo andare lontano e non dirlo a nessuno.

I bussi sulla porta mi misero immediatamente sull'attenti. Mi alzai e attraversai la stanza mentre Jimin entrava in camera mia e mi rivolgeva un'occhiata silenziosa e colma di disappunto. L'ansia mi scoppiò dentro lo stomaco facendomi barcollare e quasi vomitare, ma bastò un semplice tocco del mio migliore amico e farmi calmare immediatamente, rendendomi quanto meno un po' più rilassato. Jimin chiuse la porta e si andò sedere sul mio letto, io lo imitai subito. Si passava dell'ingenizzante sulle mani e sospirava in continuazione, sembrava pensieroso.

«Allora, Jimin? Lui... lui come sta?»
Chiesi di fretta.
Jimin si passò una mano sulla fronte sudata, poi lentamente alzò le spalle e poggiò i palmi sul materasso.
«Fortunamente bene. Ho medicato la ferita, somministratogli del paracetamolo per fare abbassare la febbre e delle vitamine per il pallore del suo viso. Se avesse aspettato un altro solo giorno sarebbe entrato in sepsi. Menomale che l'hai portato qui, Taehyung» disse con uno sbuffo liberatorio, quasi si fosse tolto un enorme peso dalle spalle.

Istintivamente strinsi la mia maglietta all'altezza del cuore, ormai era diventata una routine fondamentale per me, mi sembrava di riuscire a controllare il mio corpo così facendo, evitandone un collasso.

«Sepsi? Cos'è? Jimin, sono ignorante in materia» dissi tremando.
Il mio migliore amico parve ricordarsi che non stava parlando con un medico e scosse la testa con un movimento veloce, quasi se con quel gesto fosse tornato sul pianeta Terra, vicino al migliore amico militare.

«Scusa Taehyung. La sepsi è una complicazione di un'infezione. Le probabilità di morte per via di una sepsi è molto alta. Per fortuna ho giocato d'anticipo» disse velocemente.

Disperato gli presi le mani nelle mie, rischiando di svenire in quello stesso momento.
«Ma sta bene Jimin? Sei sicuro?»
Mi tremava la voce per il pianto.
«Sì. È molto forte e sta reagendo ai farmaci nei modi che desideravo ma fino a quando quella ferita non guarisce del tutto deve essere medicata ogni due giorni, sennò saremo punto e daccapo. Il mio consiglio è quello di lasciarlo qui a casa tua fino a quando la febbre non si sarà abbassata e tenerlo d'occhio da vicino. Io verrò qui a medicarlo fino a quando la cicatrice non si sarà rimarginata.»

Quando Jimin finì di parlare il silenzio avvolse la mia camera da letto. Ciò che mi aveva consigliato il mio migliore amica significava stare sempre dentro il campo visivo di Jay, guardarlo mentre dormiva e innamorarmi ancora di più. Come facevo a fare tutto questo ora che sapevo da dove proveniva?

«Taehyung?»
Jimin mi schioccò due dita davanti agli occhi facendomi tornare alla realtà.
«Si? Comunque ho capito» mi affrettai a dire.

Lui mi rivolse uno sguardo guardingo, sembrava volesse scoprire cosa stesse accadendo nella mia mente perché, probabilmente, aveva capito che fossi catturato da cose più importanti di quelle. E cosa c'era di più importante per me di Jay? Niente e ovviamente Jimin lo sapeva. Per tale ragione, quindi, lui avrebbe indagato per sapere a cosa stessi pensando anche se avessi detto che andava tutto perfettamente.

«Tae, quando sono tornato dall'ospedale c'era una strana tensione nell'aria. È accaduto qualcosa mentre ero fuori?» Domandò interessato.

Un leggero calore invase la mia faccia, riportandomi alla memoria di me sulle gambe di Jay mentre lui mi teneva stretto a lui per spiegarmi di essersi veramente pentito delle cose che aveva fatto e di amarmi più di quanto immaginassi. Poi il fatto che fosse del nord mi schiaffeggiò con potenza, rendendo quei momenti intensi quasi sfocati, come se guardati da troppa lontananza per focalizzarmi bene sugli aspetti positivi della nostra relazione.

«Niente. Abbiamo solo parlato del passato»
In parte era vero, in parte stavo omettendo il pezzo più importante della discussione tra me e Jay. Proteggerlo era il mio unico obiettivo e parlare immediatamente del Paese d'origine di Jay a Jimin mi sembrava troppo affrettato.

Dovevo prima decidere bene cosa fare e poi trovare le parole giusto per raccontarlo anche al mio migliore amico. Sicuramente sarei stato preso per un pazzo nevrotico, ma Dio solo poteva comprendermi e salvarmi. Gli avrei chiesto perdono quando sarebbe arrivato il momento opportuno.
Potevo davvero essere incolpato, se l'amore mi aveva fatto diventare un matto?

«Avete parlato del passato? E cosa n'è uscito fuori?»
Chiese mettendosi più comodo, ansioso di sapere. Jimin non lo avrebbe mai perdonato per quello che mi aveva fatto, ma sembrava che sperasse di trovare un valido motivo per dargli l'ennesima possibilità di farsi perdonare. Anche se... ero sicuro che quando avrebbe saputo il paese nativo di Jay ci avrebbe messo una pietra sopra.

«Ha detto che era molto dispiaciuto, poi si è messo a piangere chiedendomi perdono» sussurrai senza guardarlo.

Jimin sospirò nuovamente, era dura anche per lui perché era il migliore amico ed era difficile vedermi soffrire in quel modo tanto pietoso. Mi sarei sentito così anch'io nei suoi confronti se fosse stato nella stessa situazione. Se avessi amato qualcuno che lo faceva soffrire, ma allo stesso tempo lo guariva, probabilmente avrei reagito nella stessa maniera dicendogli che non avrei mai perdonato chiunque avesse provato a fargli del male, ma esultando in silenzio quando le cose si sistemavano. Credo sia il vero significato della parola amicizia, è qualcosa che ben oltre la semplice comprensione.

«Non so cosa dire. Jay si comporta in maniera strana ma se lo guardo negli occhi noto solo sincerità al loro interno.» Disse con un sospiro.
«Sì anch'io, ma a dire il vero non so come comportarmi sinceramente. Vorrei poterlo perdonare del tutto, però qualcosa mi trattiene. Se penso a ciò che è accaduto nell'ultimo periodo...» e dopo aver scoperto la sua identità, pensai con rammarico, «la mia testa mi suggerisce di chiudere per sempre qualsiasi cosa sia il nostro rapporto»

«Ma il tuo cuore come la pensa?»
Jimin si mise in piedi, si portò le mani dentro le tasche dei pantaloni e un piccolo sorriso gli sbucò in volto. Fui costretto ad abbassare lo sguardo. Lui non sapeva niente delle ultime confessioni di Jay e se lo avesse saputo sarebbe stato il primo a dirmi di lasciare perdere, perché ero un pazzo a continuare ad amare una persona che stava nel Paese nemico del mio.

«Il mio cuore non è d'accordo»
«Lo so. Forse dovresti accontentare lui piuttosto che la testa. Comunque, adesso torno a casa. Dai a Jay una pillola di antibiotico ogni giorno dopo i pasti, verrò dopodomani a medicare la mano. Va bene, Taehyung?»

Annuii impercettibilmente, poi lui mi abbracciò velocemente e andò via. Ebbi bisogno di un paio di minuti prima di riuscire a trovare il coraggio di scendere giù in cucina da Jay. Ci andai con i piedi di piombo, pensando alle giuste parole da dire e i giusti argomenti da affrontare. Lo amavo immensamente, ma dovevo iniziare a dimostrare meno amore e più freddezza nei suoi confronti, solo così forse avrebbe capito l'importanza della mia presenza nella sua vita, anche se forse era necessario dimenticarsi totalmente di me. Non potevamo stare insieme, dovevamo accettarlo entrambi.

Quando entrai in salotto, dove Jay era sdraiato sul divano, c'era un silenzio quasi surreale che veniva rotto solo dal suono delle lancette dell'orologio. Camminai lentamente verso di lui, con l'intenzione di non interrompere il suo sonno. Forse non dormiva da giorni e giorni e se dopo le cure di Jimin era riuscito finalmente a rilassarsi non sarei stato io di certo a svegliarlo. Osservai il suo viso pallido e sognante con un magone sullo stomaco, sentendomi sempre più triste alla sola idea di stare lontano da lui.

Mi chiesi se non stesse facendo un incubo data la sua espressione corrucciata, ma metà volto era coperto da un lenzuolo ed era difficile definire se fosse sereno o turbato da qualcosa. Provai a spostargli una ciocca di capelli da davanti l'occhio con un dito, era ancora molto caldo. Decisi allora di preparargli una ciotola calda di zuppa di pesce, ideale per riprendere le forze quando si ha la febbre. O almeno, così mi aveva detto Jimin.

Mi voltai quindi e a passo felpato provai ad allontanarmi, ma quando stavo per muovermi Jay mi avvolse il polso con le dita facendomi scoppiare il cuore. Girai la testa di scatto, osservando i suoi occhi rossi e lucidi fissarmi con disperazione assoluta.

«Stai bene?»
Domandai con uno strattone sul cuore.
Jay fece un debolissimo cenno della testa. «Fisicamente sto un po' meglio, ma mentalmente... è tutta un'altra storia» sussurrò senza voce.
Mi liberai con delicatezza della sua presa. «L'importante è che le medicine somministrate da Jimin abbiano fatto effetto.»
Risposi duramente.
Una lacrima scappò dal suo occhio destro, seguita immediatamente da un'altra che lasciò l'occhio sinistro. Mi distruggeva vederlo in quel modo, eppure una parte di me era ancora arrabbiata con lui e non mi permetteva di perdonarlo.
«Il male psichico è cento volte peggio»
«A quello Jimin non conosce rimedio, potrebbe però consigliarti di parlarne con uno psicologo. È l'unica soluzione»
«Mi odi al punto di lasciarmi così?»

No, Jay. Non ti odiavo affatto. L'amore che provavo per te non lo avevo mai sentito per nessuno ed era proprio per questo che cercavo di starti lontano, onde evitare altre sofferenze.

«Sono solo razionale. Né Jimin e né io possiamo aiutarti da questo punto di vista»
«Invece tu saresti in grado di guarirmi.»
Stava male, era vero. Si notava a chilometri di distanza, si notava da come io mi sentissi morire nel vederlo ridotto in quello stato. Doveva sentirsi spaventato, confuso e stordito, ma io non sapevo come comportarmi e l'unica cosa che riuscivo a fare era rimandare quanto più avanti possibile i discorsi legati alla sua provenienza. In quel momento cosa avrei dovuto dire? La cosa giusta da fare era arrestarlo e sottoporlo a un processo, era etica. Ma la cosa giusta, era sempre così per tutti? Perché io avevo capito ogni suo sbaglio ma anche ogni tentativo di evitare di sbagliare. Era complicato da spiegare.

«Come potrei guarirti? Non sono un mago o uno psicologo. Sono semplicemente una persona» risposi.
«La persona che amo più al mondo. Per questo sono sicuro che riusciresti a guarirmi da ogni ferita»

Rimasi senza parole. Ma non capiva? Mi faceva innamorare sempre di più quando si comportava in quella maniera. Andare avanti era la cosa più difficile del mondo se mi rivolgeva quelle parole tanto amorevoli.

«Non siamo fatti per stare insieme. Apparteniamo a due mondi completamente differenti.» dissi sopraffatto dalla tristezza.
«Non esiste luogo, governo o addirittura sistema che riuscirà mai a tenermi lontano da te.» rispose lui.
Strinsi i pugni. Doveva smetterla.
«Vivi nelle favole. Io ormai sono troppo grande per credere ancora che, se ci credi, tutto è possibile. Dobbiamo aprire gli occhi e basta. Tu sei del nord, io del sud. Non abbiamo niente in comune.»

Feci un passo indietro, lui respirava a malapena, forse sconvolto di sentirmi dire quelle cose.
«Non lo pensi davvero» tremava.
«L'unica cosa che posso fare per te è coprirti le spalle mentre torni nel tuo Paese. Farò finta di niente, fingerò che non ci siamo mai conosciuti e allora a Seoul resterà solo il mistero di una spia venuta nel nord che ha seminato finte mine antiuomo per una stupida provocazione e la storia si chiuderà lì. Nessuno ti processerà e nessuno ti condannerà per quello che hai fatto e per noi sarà come se non ci fossimo mai incontrati.»

Mentirei se dicessi che non mi aveva fatto assolutamente effetto le cose che stavo dicendo. Era un dolore insopportabile, eppure era l'unica idea che mi era venuta in mente per salvarlo. Lo amavo e avrei fatto di tutto pur di sapere che fosse vivo, lontano da me certo, ma vivo e libero. Eppure nemmeno il tempo di formulare il pensiero che le paranoie presero possesso di me. E se, una volta tornato a Pyongyang, lo avessero ucciso per non aver completato la missione? Lui sarebbe morto e io non lo avrei mai saputo. Se invece fossi riuscito a dimostrare la sua innocenza e fosse rimasto a Seoul probabilmente se ne sarebbe uscito con qualche anno di volontariato a servizio del Sud, e tutti si sarebbero presto dimenticati di quella storia.

«Parli seriamente? Vuoi davvero che me ne vada, senza mai più fare ritorno?»
Domandò incredulo.
Non dissi niente, ero incerto. Se avessi avuto la garanzia che lì era al sicuro non ci avrei pensato più di una volta a dire di sì, ma le mie certezze erano instabili.
«Starai qui fino a quando non guarirai dall'infezione. Jimin verrà ogni due giorni a medicarti e io non mi presenterò a lavoro fingendo di stare male così starò qui con te.»
Mi affrettai a cambiare discorso.
Gli diedi le spalle e camminai lentamente verso la cucina, intendevo preparargli ancora la cena.
«Se le tue intenzioni sono quelle di dividerci per sempre preferisco morire, piuttosto che farmi curare.»

Le sue parole dure mi colpirono a fondo. Mi fermai a metà strada e con gli occhi che bruciavano di lacrime pensai a un mondo dove lui non esisteva. E sì, sarebbe stato meglio allora che anch'io fossi sparito, perché era straziante persino solo immaginare di vivere in un posto dove la sua esistenza era svanita per sempre.

«Quelle sono scelte tue,» dirlo fu più difficile di quanto pensassi.
Non mi voltai nemmeno a guardare la sua espressione, era sicuramente distrutta quanto la mia. E poi non pensavo davvero a quelle parole, infatti mi pentii subito di averle pronunciate.
Sentii i suoi passi strascicati sul pavimento, quindi mi girai immediatamente verso di lui e lo rimproverai con lo sguardo ma vanamente.

«Torna a letto, stai male» dissi mentre indietreggiavo, ma lui camminava in mia direzione e non voleva fermarsi.
«Guardami negli occhi e dimmi che davvero non t'importa di noi»
«Non devo dirti nulla»

Sbattei sul muro, lui si fermò a due centimetri da me e mi guardò come in procinto di svenire. Mi preoccupai, quindi feci la mossa sbagliata di avvicinarmi di un passo: così ci ritrovammo praticamente naso a naso, a un solo bacio di distanza.
«Dì che se tornassi nel mio Paese a te non importerebbe, guardami negli occhi e dillo»
«Jay, vai a dormire.»

Cercai di spostarmi ma in quel momento lui mi mise una mano sul collo e, con delicatezza, appoggiò le sue labbra alle mie. Mi era mancata la familiare sensazione di mille farfalle dentro lo stomaco. Jay richiese l'accesso alla mia bocca ed io, senza pensarci, glielo permisi. Ci baciammo e fu un bacio al sapore di amaro e lacrime. Il mio cuore batteva all'impazzata e le gambe mi tremavano come gelatina, ma ci pensava lui a reggermi, lui che era senza forze. Nonostante però avessi desiderato con tutto me stesso di assaggiare di nuovo la sua bocca meravigliosa, mi resi presto conto che così facendo mi stavo solo creando ancora più problemi, perché così sarebbe stato sempre più difficile scordarsi di lui. Allora misi due mani sul suo petto e lo allontanai. Sentivo le guance rosse e caldissime e il desiderio di prenderlo e riempirlo di baci non mi lasciava mai, ma dovevo reagire.

«Smettila. Ci sono ancora tante cose che devi dirmi e in più ho appena espresso la mia volontà di non avere più niente a che fare con te, in quanto troppo differenti per stare insieme.»
«Non lo pensi davvero. Lo noto da come mi hai baciato con amore»

«Ovviamente non posso spegnere i sentimenti con uno schiocco di dita! Ma sono abbastanza maturo da capire quando una cosa può funzionare e quando no» mi stavo per spostare per andare via e fu allora che notai un piccolo taglietto sulla guancia destra di Jay. Era una cicatrice, che fino a quel momento non avevo mai visto.

«E questa? Questa come te la sei...» spalancai gli occhi mentre gli sfioravo quel punto sulla guancia con un dito.
Non potevo crederci... com'era possibile?

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