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Capitolo 22. Forse sono state le stelle

Capitolo 22. Forse sono state le stelle pt1

"All of these stars will guide you home"

La pioggia scendeva con insistenza da un cielo nero come la notte; le nuvole annunciavano una tempesta destinata a durare a lungo, forse facevano presagire qualcosa di molto più grande di un temporale: una tragedia che legava la mia vita a quella di Jay. Non sapevo cosa voleva dirmi esattamente, fatto sta che però dopo tutte le mie teorie legate a lui adesso avevo paura di scoprirlo. Se mi avesse inviato quel messaggio prima che dubitassi della sua bontà, prima che la mia mente lo designasse come il ragazzo nordcoreano arrivato qui nel sud per fare scoppiare una guerra, probabilmente sarei stato quanto meno un po' felice. E invece... ero terrorizzato di scoprire che Jay, la persona che amavo più al mondo, mi aveva preso in giro per estorcermi informazioni preziose. Per tanto non avevo risposto al suo messaggio, avevo bisogno di tempo per riflettere e capire.

Un fulmine illuminò la mia stanza, un tuono aggressivo la riempì. Ero sdraiato sul mio letto a pancia in su, fissavo il soffitto con una certa ansia, tutta accumulata dentro il mio stomaco. Chiusi gli occhi, nella speranza di riuscire a dormire fino a quando non sarebbe arrivata la sera e fossi andato lì sopra, dove si poteva vedere la zona demilitarizzata, il luogo in cui mi aveva dato appuntamento... e invece non riuscivo proprio a prendere sonno. Quando ci provavo, il viso candido e bello di Jay mi si proiettava nella testa, seguito a raffica da tutte le paranoie e le possibili cose di cui mi voleva parlare. Ovviamente, tra queste, non mancava una confessione di tutti i peccati che aveva compiuto nel nome del suo Paese, nella mia mente crudele mi avrebbe poi spinto giù dalla montagna così nessuno avrebbe scoperto e fermato i suoi piani. Certo che esageravo!

Sbuffai rigirandomi nel letto, coperto fino alla testa da una coperta calda. L'estate volgeva al termine già, le temperature si erano abbassate e le pioggie accompagnavano i miei giorni, mi tenevano compagnia mentre mi torturavo con pensieri di ogni tipo, tutti però legati a un'unica persona. L'amore è un sentimento veramente strano, sembra quasi una dipendenza da cui è troppo difficile uscirne. L'unica cosa che poteva farmi stare meglio era la stessa che mi stava facendo soffrire, e non so perché ne avessi tanto bisogno ma il mio petto faceva troppo male e l'unica morfina in grado di alleviare le fitte orribili che mi attraversavano da parte a parte, come una freccia scagliata dritta dritta sulla mia gabbia toracica bucata fino a soffocarmi, era proprio Jay. Che paradosso! Non potevo stare con lui, ma nemmeno senza.

Da quando io e Jay avevamo dormito insieme a casa mia non ero più tornato in villa Park. Non volevo che Jimin temesse che la mia volontà di stare da solo era dovuta alle litigata con Jay e così era, ma non mi andava di farlo preoccupare. Non mi andava più di piangere sotto ai suoi occhi tristi e preoccupati, era arrivata l'ora di diventare grande, di affrontare da solo i miei problemi e trovarne una soluzione.

Mentre il suono snervante delle freccette dell'orologio passavano lente, un sospiro mi scappò di bocca. Erano solo tre del pomeriggio, mancavano ancora cinque ora prima che arrivasse il momento di incontrare Jay. Non poteva parlarmi prima? Cosa aveva tanto d'importante da fare? Avevo un'ansia assurda addosso.

Per cercare di fare passare il tempo, allora, scesi in salotto e mi buttai sul divano morbido. Nel frattempo un altro tuono rimbombò in tutto lo spazio circostante. L'intenzione era di quella di guardare un po' la TV e distrarmi, ma la mia attenzione fu catturata dal diario bianco, ancora sopra il tavolino di vetro. Da quanto tempo non lo aprivo! Mi ero dimenticato della sua esistenza, notai con rammarico, rendendomi conto che non tornavo a casa mia da veramente tanto.

Con le dita tremanti me lo portai sotto gli occhi, leggendo la prima pagina attentamente. Parlavo del sogno fatto quando mi svegliai con l'asma. La data riportata sulla prima riga risaliva a maggio, erano passati ben cinque mesi da quel giorno. Ero stupito da me stesso per aver resistito così a lungo senza impazzire.

Lo sfogliai con un nodo alla gola, riflettendo sul fatto che tutti i sentimenti che avevo provato in quegli ultimi periodi, da quelli felici a quelli un po' meno, erano umani. Non c'era alcun bisogno di rimproverami di niente, perché di certo non era una colpa aver amato con tutto me stesso qualcuno che non provava esattamente lo stesso.

E sebbene avessi sofferto, in fin dei conti, io non mi pentivo delle mie scelte. Semplicemente era accaduto tutto un po' di fretta e le cose si erano mischiate provocandomi un overdose di sentimenti che mi hanno quasi risucchiato via la vita, ma per fortuna ero ancora vivo.

Mentre giravo le pagine m'imbattei un una piccola nota scritta a matita nell'angolo di un foglio vuoto. Mi batteva il cuore mentre la leggevo ad alta voce, rotta per l'emozione che si stava facendo strada dentro di me come un fiume in piena.  Perché, quando mi decidevo a lasciare andare Jay, qualcosa di lui mi fermava? Una lacrima mi rigò la guancia, chiusi il diario e me lo portai sul petto, ripetendo nella mia testa quella frase:

"Forse sono state le stelle. Ti amo. -JK"

Era impossibile smettere di amare quel ragazzo, non quando mi procurava tante emozioni e sorrisi veri, non quando anche una semplice frase scritta a matita mi stava facendo battere così forte il cuore. Avrei dovuto arrabbiarmi perché aveva messo le mani addosso al mio diario segreto, probabilmente ne aveva letto le pagine scoprendo così i miei segreti più intimi e profondi scritti lì dentro nella speranza di riuscire a liberarmi dei macigni che mi portavo sulle spalle. Aveva saputo le cose che mi faceva provare, quindi dovevo rimproverarlo, dirgli di sparire dalla mia vita ma... la mia anima non ne voleva sapere di lasciarlo andare, perché si era plasmata alla sua.

Una parte di me sperava che mi fossi sbagliato sul suo conto, che non fosse scappato dal nord per venire a fare danni qui al sud e fosse innocente. Desideravo che volesse parlarmi dei suoi atteggiamenti, chiedere venia per come era scappato dall'ospedale e poi, stringendomi in un abbraccio forte forte mi avrebbe sussurrato all'orecchio delle scuse sincere, mentre mi baciava dolcemente per dimostrarmi il suo amore, ma una strana sensazione mi attanagliava. La sentivo premermi sullo stomaco come una mano invisibile.

Posai il diario sul tavolo e mi passai le mani sugli occhi umidi. Chissà se sarei riuscito ad arrivare alle otto di sera senza essere sopraffatto da una crisi nervosa.
In tensione mi misi in piedi e iniziai a fare avanti e indietro per la cucina pulita, osservando con un vuoto nel petto la zona in cui Jay aveva preparato la colazione prima di farsi male. Sentivo ancora la sua presenza, riuscivo a vederne la sagoma sbiadita mentre canticchiava contento in procinto di tagliare una cipolla. Erano passati appena tre giorni da quando era scappato via, eppure sembrava un'eternità... e lo sembrava perché la sua assenza mi distruggeva da dentro e pareva che il tempo rallentasse fino a diventare lentissimo.

I miei pensieri furono interrotti dal suono del citofono, trillò in una nota stonata dentro l'ingresso. Mi chiesi chi diamine potesse essere con quel temporale e la vaga speranza che Jay fosse irrequieto quanto me e non vedesse l'ora d'incotrarmi e fosse venuto cinque ore prima mi fece precipitare alla porta. Sperai un po' troppo, non era lui. Era Jimin. Mi faceva strano vederlo, l'ultima volta mi aveva detto che se fossi andato via dall'ospedale non mi avrebbe più parlato.

«Ciao Jimin» dissi in un sussurro quando i miei occhi incontrarono i suoi.

I suoi capelli erano umidicci, la pioggia era così intensa che nonostante ci fosse poca distanza dalla sua macchina al portone di casa mia si era comunque bagnato abbastanza da gocciolare sul tappeto sistemato all'ingresso.

Rimasi in silenzio, immobile sulla porta. Davvero non mi voleva più parlare? Temevo di scoprire che fosse venuto da me per dare un taglio alla nostra amicizia. Ne avevo abusato parecchio, effettivamente. Forse non meritavo un caro amico come Jimin.

«Posso entrare?» Domandò.
Sembrava arrabbiato.
Mi affrettai a fare un cenno della testa, spostandomi per permettergli di entrare. Lui si trascinò lentamente verso l'interno di casa mia. Si tolse le scarpe davanti allo scalino che divideva il corridoio dall'ingresso, indossò un paio di ciabatte e mi seguì verso i divani scomposti.

Ci sedemmo, il silenzio fischiava ancora nelle mie orecchie. È vero, è peggio di qualcuno che grida.
«Come stai, Jimin?»
Chiesi per rompere il ghiaccio.
Lui mi rivolse un'occhiata.
«Bene, grazie. E tu? Ti sei ripreso? Non ti vedo da quando sei scappato via dall'ospedale» ricalcò indignato.
Abbassai gli occhi.
«Scusa Jimin» dissi piano piano.
«Per cosa, Taehyung?»
«Per essere andato via quando mi hai chiesto di rimanere. Ti giuro che il bene che provo per te supera qualsiasi cosa, ma non riuscivo a stare fermo, continuavo a pensare a Jay. Mi stava distruggendo.»
«Sei un bugiardo, Taehyung» rispose facendo un sorriso a mezza bocca che mi spiazzò.

Ero stato così stupido da fare stufare persino Jimin, il ragazzo più paziente di tutto il mondo.
«Cosa vuoi dire?»
Domandai, come se non sapessi la risposta. Come se non sapessi che lui aveva ragione.
«Non è vero che il bene che provi per me supera ogni cosa. Ricorda che è stata colpa di Jay se non mi hai ascoltato, scappando via dalla tua stanza senza prestarmi un minimo della tua attenzione»
«Jimin...» stavo per aggiungere altro, ma lui m'interruppe.
«Quello che non capisci, Taehyung, è che è normale. L'amore supera l'amicizia, lo sappiamo entrambi. Non sono mai stato geloso di quello che si stava instaurando tra te e Jay, ma di una cosa mi è sempre importato, ovvero della tua salute. Sai benissimo che lui si è comportato male con te, eppure hai preferito Jay a me, che ti ho chiesto di non andare per la tua salute.»
Parlò così velocemente che stargli dietro fu difficile, ma compresi comunque il tasto dolente che lo aveva portato a venire da me.
«Non mi aspetto che tu capisca, Jimin» dissi a bassa voce.
«Non è questo il punto. So che ami Jay, solo un cieco non si accorgerebbe dei tuoi sentimenti per lui, ma  da qui a farti del male da solo c'è un limite. Un limite che tu hai superato per più di una volta. Non ti dico queste cose solo  per dirle, ma perché ti voglio bene e non voglio che tu ti faccia male in maniera irreversibile. Se ti accadesse qualcosa io non glielo perdonerei. E questo solo perché ti voglio bene.»
«Lo so che mi vuoi bene. Anche io te ne voglio Jimin, ma sto male senza di lui e nonostante sappia che ha sbagliato un sacco di volte con me, non riesco a lasciarlo andare. Dentro di me io sento che anche lui, in qualche modo, mia ama, anche se a modo suo.»
«Non lo metto a dubbio, ma come puoi ancora andargli dietro se non fa che scappare?» Domandò.

Alzai le spalle, non lo sapevo nemmeno io come potevo ancora farlo. Sapevo solo che al pensiero di una vita senza di lui stavo male da morire.

«Non voglio che tu soffra» aggiunse Jimin con gli occhi lucidi.
«Lo so.»
Rimanemmo un attimo in silenzio, poi Jimin fece un sospiro.
«Almeno si è fatto sentire?» Chiese arreso.
Feci un cenno della testa, poi mi appoggiai sulla spalliera del divano.
«Proprio questa mattina. Ero a lavoro e lui mi ha chiesto di vederci più tardi perché vuole parlarmi»
«E andrai?»

Se avessi avuto la forza di dire di no a Jay, a tutto, l'avrei fatto ma non ce lo facevo, era qualcosa che andava ben oltre la mia forza di volontà.

«Sì, Jimin. Devo... mi manca e ho bisogno di capire una cosa»

Non avrei detto a nessuno dei dubbi che mi tormentavano riguardo alla spia nordcoreana arrivata a Seoul, almeno fino a quando non ne sarei stato sicuro.
«Ne vale davvero la pena?»
«Non lo so. Credo che lo scoprirò stasera»

Giocai con le mie mani in attesa che dicesse qualcos altro, ma anche lui rimase in silenzio. Lentamente si avvicinò abbracciandomi con gentilezza, facendomi bruciare gli occhi di lacrime dolorose. Non meritavo Jimin, eppure mi salvava sempre.

Mi tenne compagnia fino alle otto, quando arrivò il momento di dirigermi lassù in montagna. Mi disse che avrebbe aspettato a casa mia il mio ritorno e di chiamarlo immediatamente se si fosse presentata qualsiasi problematica.
La pioggia scorreva con meno potenza, per cui guidare tra i sentieri tortuosi della zona non fu difficile. Non vedevo l'ora di rivedere Jay, di correre da lui per ascoltare ciò che aveva da dire, ma soprattutto desideravo assicurarmi che fosse tutto ok, che stesse bene e si fosse del tutto ripreso dalla brutta ferita procurata mentre mi preparava la colazione.

Temetti che però, data la mancanza di risposta al suo messaggio, lui non si presentasse, e invece...
I miei battiti accelerarono quando intravidi la sua ombra sotto la pioggia. Mi affrettai allora a scendere dall'auto, aprii l'ombrello e corsi verso di lui.

«Sei impazzito? Ti verrà la febbre» dissi senza pensare, dimenticando in un solo secondo quello che era successo tra di noi.

Jay fece un sorrisino debole; era molto pallido e i suoi occhi, lucidi e spenti, sembravano soffrire molto.

«Sono felice che tu sia venuto» sussurrò.
Non si reggeva in piedi, ebbe bisogno di appoggiarsi a me, facendomi sentire svenire. Cosa diamine gli stava accadendo?

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