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Capitolo 20. Missioni

Capitolo 20. Missioni pt1

"What am I now? What am I now? What if I'm something I don't want around? I'm falling again, I'm falling again, I'm falling. What if I'm down? What if I'm out? What if I'm something you won't talk about? I'm falling again, I'm falling again, I'm falling"

Mi chiesi continuamente se sarei mai stato felice in quel mondo crudele. Pensandoci bene gli ultimi mesi erano stati veramente sconvolgenti sotto diversi punti di vista. Mi ero svegliato all'improvviso nel cuore della notte sopraffatto dall'asma e dagli attacchi di panico provocati dai miei ricordi su un ragazzino che avevo tanto voluto bene in passato, il bambino che era stato rapito all'età di sette anni e mai più ritrovato e che io avevo rimosso dalla mia memoria.

Allora pensai che era stato veramente meschino averlo dimenticato, ma mia madre mi raccontò del trauma infantile e tutto fu più chiaro. Da quel giorno si susseguirono solo perenni ansie e notti in bianco; mi tormentai fino al midollo cercando di spremermi per ricordare anche solo un dettaglio di Jungkook, sperando con tutto me stesso che fosse vivo e stesse bene e la fortuna volle che mia madre avesse conservato le nostre foto, aiutandomi così a scoprirne i particolari: la cicatrice, il neo sotto il labbro.

Pregai ogni notte di incontrarlo sotto un cielo pieno di stelle luminose mentre leggeva distratto un libro o ascoltava la musica con le cuffiette, immerso nel suo mondo, bello e gentile come un angelo, ma quelle stesse stelle mi portarono da un'altra persona. Una persona che, oltre ad avermi fatto scoprire il vero significato del sentimento comunemente chiamato amore, adesso mi faceva soffrire come un cane.

Jay lo avevo trovato in mezzo alle lunghe file di ramen istantaneo dentro un negozio alimentari, mi consigliò quello piccante e io, ammaliato da lui, l'ho ascoltato nonostante non fossi un amante del peperoncino. Jay che mi aveva ascoltato, mi aveva aiutato a dimenticarmi dei miei malanni, che amavo alla follia era di nuovo andato chissà dove, scomparso tra una discussione e la rabbia fatta d'incomprensioni, causate dalla sua dannata abitudine di nascondere la sua vera persona nel buio.

Mi faceva male sapere che io quel ragazzo non lo avevo mai conosciuto del tutto. Intrigante come un giallo scritto dai migliori thrilleristi, misterioso e chiuso nel suo mondo, un mondo di cui ero allo sconosciuto, di cui non aveva voluto che facessi parte.

Mi piaceva anche pensare però che lui fosse una serendipità. L'avevo trovato per caso mentre ero impegnato a cercare qualcos'altro. Ed era stato magnifico, veramente. Con lui avevo riscoperto quei piccoli gesti che mi riempivano lo stomaco di farfalle e i polmoni di fiori, era in grado di trasformare le mura di casa mia in un bosco e di farmi sentire la felicità più assoluta ogni volta che le sue labbra si posavano sulle mie.

Ma adesso, a distanza di quattro mesi da quando lo conoscevo, che cosa mi restava di lui? Cosa se non le delusioni, i pianti, i buchi dentro lo stomaco, il cuore pieno di crepe e gli occhi sempre colmi di lacrime dolorose? Perché la mia esistenza diventava più patetica giorno dopo giorno e senza di lui le cose peggioravano di gran lunga. Pensai allora che dovevo lasciarlo andare una volta per tutte.

Certo, stavo malissimo e piangevo, mi disperavo e chiedevo aiuto a chiunque lassù mi stesse ascoltando, ma ero abbandonato a me stesso e per vedere la luce era importante che strisciassi attraverso il buio di quei sentimenti che mi avevano reso tanto debole e tanto infantile. Ma, a dire il vero, non avevo più le forze nemmeno per questo. Ormai ero sprofondato.

Dopo che Jay lasciò di corsa l'ospedale, e io gli corsi dietro invano, qualcosa dentro di me si spezzò. E non solo il mio cuore ricevette quel trattamento, ma anche la mia voglia di amare qualcuno. Ovviamente amavo ancora Jay alla follia, ma decisi che era arrivato il momento di aggiustare quella condizione pietosa, perché sennò ne sarei davvero uscito a pezzi e io lo ero già.

Lui sarebbe rimasto comunque un capitolo fondamentale della mia vita, quella a cui avevo sottolineato tutte le mie parti preferire che avrei riletto all'infinito, senza mai stancarmi.
Se avessi potuto tornare indietro nel tempo, però, non sarei uscito di casa quella mattina in cui ci siamo incontrati. Non sarei entrato nell'esercito e avrei continuato la mia vita ordinaria insieme a Somin, fatta di noia e poche emozioni ma almeno senza sentire la costante pressione della tristezza sul mio petto ormai quasi del tutto schiacciato.

E invece... mi ritrovai a crollare per terra, sui pavimenti lisci e puliti dell'ospedale. La gente mi guardava in maniera pietosa, qualcuno mi indicò mentre io, in un bagno creato da tutte le mie lacrime, sentii le orecchie fischiare.

Mi portai le mani in mezzo ai capelli e li strinsi fortissimo. L'aria faticava a raggiungere le mie vie respiratorie, non accadeva da tempo ormai. Sembrava quasi che l'incantesimo fosse svanito e ora bisognava tornare alla realtà. Gli attacchi di panico mi costrinsero a cercare di incanalare quanta più aria possibile, ma non ci riuscii. L'asma mi raggiunse e mai era stata tanto potente.

Credetti veramente di morire in quella maniera orribile e invece ho imparato che c'è sempre qualcuno che viene a salvarti. Difficile da credere, ma era così. Jimin mi raccolse da terra e come ogni volta salvò la mia vita. Ricordavo solo questo, la sua faccia preoccupata mentre mi metteva la mascherina dell'ossigeno sul naso, poi il buio più totale.

Quando mi svegliai ero confuso e tutto dolorante. La mia testa chiedeva un po' di compassione e la mia vista era appannata. C'era solo una cosa chiara nella mia mente, ovvero che la felicità era qualcosa che durava veramente poco, il tempo di una nottata a ridere insieme e l'indomani già non eri più nessuno. Allora che senso aveva cercarla? Che senso aveva perdere tanto tempo, sanguinare e sudare per una cosa che sarebbe durata una notte o poco più? Jay era andato via. Contava solo questo in quel momento.

«Taehyung, per l'amor di Dio! Finalmente ti sei svegliato» disse Jimin non appena si precipitò dentro la mia stanza.

Le lacrime non avevano mica smesso di scorrere. Il mio migliore amico le asciugò con i pollici, la sua faccia era ancora preoccupata e gli occhi, tristi per me, non mi mollarono un attimo mentre mi liberava dalla mascherina.

«Dormi da due giorni. Vorrei non doverti stressare ma il comandante Jun mi ha chiesto di chiamarlo immediatamente quando ti saresti svegliato. Deve essere successo qualcosa, ma fino a quando non ti sentirai in vena di occuparti di qualsiasi lavoro voglia affidarti non lo chiamerò» aggiunse di fretta.

Non pensavo che deglutire facesse tanto male. La mia gola era secca e asciutta. Jimin allora si affrettò a riempirmi un bicchiere d'acqua, come se mi avesse letto nel pensiero, e me lo passò nel frattempo che mi mettevo appoggiato sulla spalliera del letto.

«Ci vado immediatamente» dissi.
La faccia del mio migliore amico divenne seria all'improvviso, sembrava che gli avessi appena detto di voler buttarmi da un aereo senza paracadute.

«Cosa? Assolutamente no! Sei in convalescenza, questa volta non farai di testa tua»
«Jimin, ascoltami. Non riesco a stare un attimo fermo a pensare, sto morendo lentamente di ansia. Andare a lavoro mi aiuterà a distrarmi»

Non sapevo nemmeno se ero in grado di stare in piedi a dire il vero. Ero debole e mi mancava la voglia di fare qualsiasi cosa, come facevo a credere di riuscire a liberare la mente se il mio corpo mi ricordava costantemente di quello che stava accadendo?

«Taehyung, no. Adesso basta! Basta con queste stupidate, basta con Jay. Ti sta solo rovinando... è scappato via dall'ospedale e sta rendendo la tua vita un inferno. Prenditi del tempo per te stesso e non pensare a nient'altro che alla tua salute.»

Scossi la testa. Sapevo benissimo che lui lo faceva per me, ma in quel momento niente sarebbe servito a farmi ragionare. Mi sentivo soffocare lì, inchiodato a un letto dove l'unica cosa che avrei fatto era pensare.

«Sto bene. Se il maggiore Jun richiede la mia presenza anche se sono stato addormentato per due giorni vuol dire che è successo qualcosa di molto importante. Devo andare Jimin, mi dispiace.»

Mi misi in piedi e mentre mi strappavo dal braccio la flebo i ricordi di Jay e di come era scappato mi tornarono in mente.
Recuperai il mio cellulare, abbandonato sul comodino al mio fianco e sperai, stupidamente, che Jay mi avesse inviato almeno un messaggio di scuse, ma quando vidi notifiche da parte di tutti tranne che sue feci un sorriso amaro. Dovevo proprio andare avanti.

«Taehyung, se esci da questa stanza non ti parlerò mai più. Sono serio» diceva Jimin nel frattempo che mi mettevo in piedi a fatica e indossavo la mia giacca di jeans.

Mi sentivo come dentro a un vortice; mi girava la testa, le gambe non erano stabili e avevo anche la tachicardia. In più, ascoltare le parole di Jimin mentre cercavo con tutto me stesso qualcosa che potesse aiutarmi a trovare una soluzione a tutti i problemi che si stavano creando negli ultimi tempi, per essere felice almeno un po', mi stavano distruggendo. Se perdevo anche lui che ne sarebbe stato di me?

«Jimin, non puoi metterti tra me e il mio lavoro.» Dissi con la voce tremante.
«Il lavoro? Mi metto tra te e qualsiasi cosa ritenga pericolosa per la tua salute, sia fisica che mentale.»
«Credimi, costringendomi a stare qui stai solo contribuendo a farmi stare male. Non farò che pensare a Jay, a ciò che sta accadendo e inevitabilmente vedrai deprimermi.»

Parve che Jimin si fosse reso conto che stavo dicendo la verità, considerando le sue azioni nocive nei miei confronti. Abbassò lo sguardo, stringeva i pugni delle mani e annuiva a se stesso.

«La stai mettendo su questo piano, Taehyung?» Chiese risentito.
«Non la sto mettendo su nessun piano. Sto solo dicendo che la mia vita sta andando a rotoli, quindi non costringermi a stare qui da solo con me stesso e le mie paranoie.»
«Ma stai male... se ti affatichi sarà solo peggio»
I suoi occhi stavano diventando lucidi. Non capiva che mi faceva solo più male in quel modo?

«Sono sicuro che il maggiore Jun voglia solo informarmi di qualcosa, non credo voglia farmi affaticare.»
Fu la mia ultima risposta, dopodiché non lasciai dirgli altro e camminai velocemente verso l'uscita di quel maledettissimo ospedale.

L'aria era fresca, c'era un leggero venticello che mi scompigliava i capelli e mi faceva rabbrividire alla base della schiena. Forse avevo la febbre? La sensazione di malessere che mi attraversava sembrava ricondursi a quella o molto probabilmente cercavo solo di convincermi che Jay non c'entrasse niente con la fragilità del mio corpo in quel momento.
Mi costrinsi a camminare a passi velocissimi verso casa mia, con un buco nel cuore che non sembrava facile da rimarginare. Cercai con tutto me stesso di allontanare Jay da me e ricacciai le lacrime dentro ai miei occhi come chiodi sui muri.

Una volta arrivato a casa feci una doccia, misi la mia uniforme da generale e il solito cappello a coprirmi gli occhi, ormai irriconoscibili. Poverini anche loro, quanto avevo abusato della loro luce? L'avevano persa, poi ritrovata e adesso... sembravano un labirinto oscuro, lunghissimo e pieno di sentieri. Trovarne l'uscita non sarebbe stato per niente facile, anzi era molto più probabile che nemmeno esistesse.

La distrazione che armeggiava dentro la mia testa mi portò a rischiare di sbandare sulla strada per più di una volta: guardavo in ogni direzione le persone che camminavano, in ricerca di una soltanto. Non avevo detto che dovevo andare avanti? Pensai con un sospiro.

Mi meravigliai di essere arrivato sano e salvo a lavoro, quasi quasi sperai in un incidente che mi cancellasse dalla faccia della Terra, ma la sfiga mi perseguitava anche su questo.

«Capitano Kim!»
Esclamarono i miei soldati facendo il saluto militare quando mi videro attraversare il corridoio che portava verso l'ufficio del maggiore.

Feci loro un solo cenno, troppo giù di morale anche per dire un semplice "buongiorno".
Ma dovevo cambiare quella situazione, soprattutto in vista del mio superiore. Feci un respiro profondo prima di bussare alla sua porta, quando poi mi sentii abbastanza coraggioso abbassai la maniglia ed entrai.

«Buongiorno, maggiore Jun» mi inchinai educatamente al suo cospetto, che fece lo stesso alzandosi dalla sua postazione.
«Capitano Kim, buongiorno.»

Mi fece segno con la mano di andare a sedermi sulla sedia davanti alla sua.
Ero un po' intimorito a dire il vero, ma obbedii senza pensarci una volta di troppo.

«Il suo colorito è ancora pallido. Sono passate quasi tre settimane ormai e non sembra ancora stare tanto bene.»
«Va un po' meglio, signore. Non c'è niente di cui preoccuparsi» mentii, incollato al mio cappello come se fosse la mia unica protezione.

Il maggiore sospirò.
«Sei stato in coma per due giorni, si tratta ancora dell'asma?» Domandò interessato.
Possibile che avesse chiesto la mia presenza solo per chiedermi della mia salute?
«Sì, è ancora l'asma signore.»
«Sta peggiorando?»
«No signore, non accadeva da tempo ormai» almeno questa era la verità.

Mentre riflettevo sulla bugie che mi ero inventato, il maggiore mi sfilò il cappello dalla testa prendendomi alla sprovvista. Spaesato alzai lo sguardo sul suo, per poi riabbassarlo subito dopo.

«Taehyung, cosa sta accadendo?» Anche il suo tono di voce era pietoso, lo odiavo.
«Niente.»
«Stai male e si vede anche a chilometri di distanza. Non si tratta della tua salute fisica, i tuoi occhi rispecchiano qualcosa di più grande di un po' di asma»
«È tutto ok. Sono venuto qui a lavorare, per cui non faccia caso ai miei occhi. La prego» strinsi i pantaloni nei pugni.

Ci furono un paio di secondi di silenzio, in cui non ebbi il coraggio di guardare nuovamente il maggiore.
Quella era stata la conferma che, per quanto provassi a fingere di stare bene, non riuscivo. Quando qualcosa ti va stretta o larga si nota immediatamente e quei panni non mi calzavo proprio.

«Sì, ti ho chiamato perchè abbiamo una pista. O meglio, siamo riusciti a recuperare i video delle camere di sorveglianza situate vicino la cabina telefonica da cui è stata segnalata la presenza della ossa nel fiume. Vorrei che lo guardassi insieme a me, perché questa missione te l'ho affidata.»
Stava accadendo qualcosa, era più vicina che mai.

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