Capitolo 19. Somiglianze
Capitolo 19. Somiglianze pt1
"E proprio io che ti amo, ti sto implorando. Aiutami a distruggerti"
Credo di essermi addormentato a un certo punto della serata. Non avevo alcuna intenzione di tornare a casa di Jimin perché la sola idea di svegliarmi senza Jay al mio fianco mi faceva sentire vuoto e triste, per cui presi una decisione di estrema importanza mentre ci vestivamo.
Sarebbe stata la prima volta che Jay avrebbe dormito in casa mia, avrebbe fatto parte della mia quotidianità dopo Somin, tornavo finalmente a vivere dopo dei lunghissimi mesi di asfissia totale.
Dopo aver avvertito Jimin che non sarei tornato in casa sua quella notte, Jay guidò in direzione del mio quartiere e ogni tanto si voltava a sorridermi dolcemente e posava la sua mano sulla mia gamba, riempiendo il mio stomaco di canguri impazziti. Avevo continuamente la faccia calda e non riuscivo a guardare per più di due minuti di fila Jay, troppo timido e imbarazzato.
Una volta dentro il soggiorno di casa mia bevemmo una bottiglia di Soju davanti alla Tv, accesa su un film romantico, il preferito di Jay a detta sua. Non mancarono altri baci umidi, che provocavano dentro di me troppe emozioni per essere spiegate a parole; bastava guardarmi per capire cosa accadeva dentro di me, dai battiti del mio cuore, ai cambiamenti del mio corpo quando si metteva troppo vicino.
Non riuscivo a resistergli e ci ritrovammo nuovamente tra le braccia dell'altro, mentre nudi ci accasciavamo sui cuscini morbidissimi del mio letto. Mi era mancato anche lei, casa mia. Adesso possedeva un nuovo sapore con Jay lì dentro. Sapeva di menta, di fiorii selvatici e zucchero filato; le cose che amavo erano tutte racchiuse dentro di lui, una persona che era veramente importante per me. Forse l'unica.
Mi appoggiai sul suo petto dopo aver consumato per la seconda volta di fila il nostro amore e i suoi rumori mi cullarono fino a farmi cadere in un sonno molto profondo, sembrava quasi che non dormissi da settimane ormai ma lui mi aggiustava pezzo per pezzo e dormire fu una cosa talmente naturale, con lui a fianco, da ricomporre il mio corpo da capo a piede.
Quella notte sognai Jungkook, proprio così. Era da tempo ormai che non veniva a trovarmi nel sonno, l'ultima volta l'avevo visto sugli scalini di casa mia mentre mi raccontava delle cattiverie che gli faceva Bogum.
Non fu un incubo, si trattava di un'immagine talmente bella da farmi sorridere dal cuore, ero felice veramente. In quel sogno Jungkook era grande, forse aveva la mia età. Somigliava vagamente a Jay, anzi la faccia era proprio quella sua, solo che in più c'erano i nei e la cicatrice sulla guancia.
I capelli, lunghi fino al collo e leggermente mossi, venivano spazzati delicatamente da una brezza fresca mentre leggeva un libro dalla copertina bianca all'ombra di una quercia altissima. Camminai in sua direzione, pestando l'erbetta alta del bosco in cui ci trovavamo. Jungkook, catturato dalle pagine del libro, non si era accorto del mio arrivo; si spostò con un dito delle ciocche nere da davanti gli occhi e sospirò con un sorriso dolcissimo nel frattempo che voltava pagina.
Sembrava un angelo, seriamente. Era vestito di bianco e lo sfondo luminoso della luce del sole su di lui, che attraversava gli alberi con l'unico intento di baciarlo con i suoi raggi, conferiva all'immagine già eterea di suo un'aria ancora più paradisiaca. Forse ero morto? Avevo raggiunto Jungkook nell'aldilà?
Me lo sono chiesto di continuo mentre mi sedevo accanto a lui e sbirciavo il titolo del libro che stava leggendo, con un tuffo al cuore. Finalmente lo avevo trovato, finalmente ci potevamo guardare negli occhi e scoprire cosa era accaduto in tutti quegli anni lontani: di sicuro c'erano tante cose che dovevamo raccontarci e io avevo intenzione di ascoltarlo per tutto il tempo senza mai interromperlo. Fremevo dalla voglia e dalla curiosità di scoprire come fosse diventata la sua voce, che tipo di hobby avesse, come stava e cosa aveva fatto durante quegli interminabili giorni in cui si era nascosto in chissà quale parte del mondo, ma stranamente non appena ci guardammo tutte le domande persero di importanza. L'unica cosa che contava era che ci trovavamo a soli due centimetri di lontananza, di nuovo insieme.
Jungkook faceva odore di menta, fiori selvatici e zucchero filato. Era qualcosa di veramente familiare...
«Hai già finito di lavorare per oggi, Taehyung?» Chiese.
Il suo tono di voce era veramente dolce, quasi vellutato. Possedeva un accento diverso, sembrava che fosse Jay a parlare per lui. Che cosa strana.
Annuii, mi appoggiai anch'io sulla quercia e mi rilassai completamente malgrado i dubbi che m'inseguivano. Per una ragione a me sconosciuta, sembrava che i miei pensieri non fossero collegati direttamente al me nel sogno. Era come se la mia mente fosse conscia mentre dormivo, quasi quasi ebbi la sensazione di star narrando in terza persona i miei stessi sogni.
«Sì, per oggi ho finito. Sono stanco infatti, mi piacerebbe tantissimo andare a sdraiarmi a letto e dormire per il resto della giornata.»
Borbottai in procinto di addormentarmi in quello stesso istante, ma Jungkook mi distrasse con la sua parlantina veloce. L'accento del sud, pensai, a volte è davvero incomprensibile.
«Allora vai. Io finisco il capitolo e ti raggiungo.»
«No, ti aspetto. Non mi cambia nulla in fin dei conti.»
Guardai il cielo striato di nuvole dalla forme strane. Si muovevano con il vento e coloravano la mia vista di una piacevole tonalità di bianco.
«Fai come vuoi, tanto sto finendo» rispose.
Cadde di nuovo il silenzio, rotto da un uccellino che cantava sul ramo di un albero a poca distanza da noi. Jungkook interruppe la sua lettura per guardarlo, poi con un sorriso bambinesco in viso si mise in piedi e corse in quella direzione, osservandolo minuziosamente come se non avesse mai visto un animaletto del genere. M'intenerii parecchio, ma la mia mente era distratta dai denti sporgenti; possibile che ogni cosa di lui somigliasse a Jay? Mi venivano i brividi a pensarci.
«Jungkook, che ne dici di tornare a casa? Il sole sta tramontando.»
Mi venne spontaneo andare a scompigliargli i capelli, lui ridacchiava in maniera tanto carina.
«Sì, va bene»
Dopo aver recuperato il libro e la sua giacca, ci incamminammo verso una stradina sterrata, simile a quella che portava verso casa mia. I nostri passi erano uguali e mentre osservavo i nostri piedi avanzare, sincronizzati come le lancette degli orologi, notai che la sua mano era tatuata. C'era scritto "army" sulle sue dita e intravedevo delle linee nere fuoriuscire dalla manica della maglietta che indossava.
Ma il me stesso del sogno non ne era per niente sorpreso, sembrava che fosse abituato a vedere quei tatuaggi sul braccio di Jungkook. Al contrario, la mia mente conscia, sapeva che quei disegni lì erano di Jay e sapevo esattamente cosa si nascondeva sotto la maglietta di Jungkook senza bisogno di guardarlo: c'erano l'occhio, la X e la scritta pace sul polso.
Mi sentivo confuso. Raggiungemmo il nostro vecchio quartiere, quello dove c'era il parchetto dove giocavano da piccoli. Come al solito, ci fermammo davanti casa mia. Jungkook indossò la sua giacca, il fresco di ottobre cominciava a essere fastidioso sulla pelle e si strofinò le mani sugli avambracci nel tentativo di scaldarsi.
«Taehyung, posso dirti una cosa?»
Chiese all'improvviso, indossando quel sorriso imperfetto, quello di Jay che mi faceva impazzire.
«Certo, dimmi pure.»
«Vorrei che tu mi facessi un favore.»
«Quale favore?»
«Lascia l'esercito. Ti prego, Taehyung. Ho... una terribile sensazione che mi attanaglia lo stomaco. Proprio qui» si toccò la pancia con la mano tatuata, dopodiché fece un passo in avanti.
Corrucciai le sopracciglia e inclinai la testa. Possibile che Jungkook fosse un angelo e che avesse vestito i panni di Jay per venire a informarmi di una terribile catastrofe?
«Cosa vuoi che accada? È solo una tua sensazione» lo presi in giro.
Jungkook sorrise debolmente, poi alzò le spalle. «Forse, sì»
Il sogno s'interruppe lì. Aprii lentamente gli occhi, accecato dalla luce del sole che proveniva dalle tende spalancate della mia finestra. Mi stirai assonnato e dopo essermi seduto sul materasso ripensai a Jungkook. Ero senza fiato, avevo voglia di piangere. Che cosa strana che era accaduta, il viso di Jay mi donava davvero l'idea che Jungkook potesse essere come lui.
Non finii di formulare nemmeno il pensiero che mi accorsi di essere da solo sul letto. Intimorito mi affrettai a mettermi in piedi, indossare il pantalone del pigiama e andare immediatamente nel soggiorno di casa mia. Mi tremava fortissimo il cuore, avevo veramente paura che Jay fosse di nuovo sparito, chissà dove e senza avermi detto nulla e invece... mi calmai immediatamente quando entrai in cucina. Lui era lì, ascoltava una canzone mentre preparava la colazione. Ebbi un magone allo stomaco, gli occhi iniziarono a luccicare. Era una vera rogna vivere nell'ansia di vederlo andare via, ma allo stesso tempo niente mi teneva più in vita che mai.
Jay si voltò quando sentii i miei passi strascicati. Nella fretta di correre a cercarlo non avevo messo la maglia del pigiama e mi coprii di brividi per il freddo.
«Taehyung, è tutto ok?»
Chiese preoccupato. Si asciugò le mani su una tovaglietta e mi venne incontro. Mi mise le mani sulle spalle osservandomi da ogni angolo, poi le sue dita raggiunsero le mie guance e mi avvicinarono di colpo al suo viso.
«Stai bene, Tae? Hai la febbre? Ti senti male?» Domandò tutto di fretta.
Sorrisi debolmente, le lacrime scorrevano veloci sulle mie guance a causa dell'immensa gioia che provavo nel vederlo ancora lì, insieme a me.
«Perché piangi? Mi stai facendo preoccupare! Vuoi che ti porti in ospedale?»
Scossi la testa, poi mi passai i polsi sugli occhi. «Va tutto bene, credimi Jay. Temevo solamente che te ne fossi andato e vederti ancora qui mi emoziona tanto»
«Oh...» fu la sua risposta.
C'era un motivo ben saldo nella mia mente se non riuscivo a essere del tutto tranquillo nonostante lui fosse insieme a me. Vedevo nei suoi occhi una strana luce, qualcosa che mi teneva nascosto rendeva quelle iridi bellissime nostalgiche e malinconiche. Non era lo stesso Jay, non proprio. Qualcosa dentro di lui presagiva l'essenza della fine, anche se non mi spiegavo esattamente cosa stava accadendo.
«Stavo solo preparando la colazione. Volevo portartela a letto a dire la verità, ma ormai ti sei svegliato.»
Mi diede le spalle alla velocità della luce, corse di nuovo verso il bancone della cucina e si rimise armeggiare con coltelli e cucchiai. L'ansia continuava a travolgermi, anche se avevo passato la serata più bella della mia vita insieme alla persona che più amavo al mondo. Una strana sensazione mi attanagliava da dentro, ma non sapevo dargli un nome.
«Mentre tu cucini io vado a farmi la doccia» riuscii a dire, ma fu un suono talmente basso che dubitai Jay mi avesse ascoltato, anche se fece un cenno della testa.
Il getto bollente dell'acqua rilassò ogni parte del mio corpo, conferendomi un beneficio enorme sulla pelle. Certo i miei sentimenti erano una questione a parte. A quelli lì non bastava di certo una doccia calda per farli guarire, no. Mi sentivo soffocare, come se due mani continuassero a stringermi forte il collo e non lasciassero un solo secondo farmi respirare.
Il mio cuore doleva ancora una volta e non riuscivo a smettere di piangere. Cercai di smorzare i miei singhiozzi premendomi forte la mano sulla bocca, ma più ci provavo e più i miei pianti diventano sempre più disperati. Mi lasciai cadere dentro la vasca, il getto caldo mi sbatteva sulla testa, nascosta in mezzo alle mie ginocchia mentre trattenevo vanamente i singhiozzi, che ormai avevano preso il controllo di me. La gola chiedeva pietà, ma non riuscii a essere gentile con lei. Passai una buona mezz'ora chiuso in bagno, non volevo di certo che Jay vedesse i miei occhi rossi. Quando finalmente smisi di disperarmi, mi vestii e tornai in cucina.
«Jay, è pronta la colaz... Jay?»
Mi precipitai su di lui quando lo vidi con un'espressione di dolore dipinta in faccia; aveva avvolto la mano con dei tovaglioli rossi di sangue.
«Che cosa è successo? Perché diamine non mi hai chiamato?»
Urlai preoccupato.
C'era una ferita molto profonda sul suo palmo, da cui il sangue non smetteva di scorrere. Iniziai a tremare, Jay piangeva ma qualcosa dentro di me mi diceva che le sue lacrime non erano causate solo dalla ferita o comunque non del tutto.
«Mi sono tagliato mentre tagliavo una cipolla» la sua voce era spezzata dal dolore.
«Hai bisogno dei punti di sutura. Dobbiamo correre da Jimin subito» nonostante fossi travolto dalla paura riuscii a prendere una decisione lucida.
«No, Taehyung. Adesso il sangue si ferma, non preoccuparti»
«Stai scherzando? Se quella ferita non viene medicata e chiusa ti verrà un'infezione! Ascoltami, dobbiamo correre in ospedale»
«Non verrò in ospedale.»
Il suo viso era pallido, sembrava persino che gli mancassero le forze.
«Sei impazzito? Perché diamine ti comporti in questa maniera assurda? Andiamo immediatamente in ospedale o sarà peggio per te» gridai, terrorizzato.
Jay scosse la testa, prese alla cieca altri tovaglioli e se li pressò forte sulla mano. Ogni tanto i suoi occhi diventavano bianchi, come se stesse per svenire.
«Allora fai venire qui Jimin.»
«Cosa?» Sussurrai confuso.
Jay abbassò lo sguardo, ai suoi piedi c'era una pozza di sangue.
«Fai venire Jimin qui a casa tua. Spiegagli la situazione e fallo venire»
«Ma cosa stai dicendo? La stanza non è adatta! Non è assolutamente opportuno far...»
«Perché non mi ascolti? Chiama Jimin e...» le sue urla si affievolirono all'improvviso.
I suoi occhi si riversarono verso l'interno ed ebbi a malapena il tempo di raggiungerlo prima che mi cadesse addosso, privo di sensi.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro