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Capitolo 16. Incontri improvvisi

Capitolo 16. Incontri improvvisi pt1

"Stasera sei lontano, mentre io penso a te."

Sospirai annoiato mentre mi sistemavo davanti allo specchio, pronto per un appuntamento che decisamente non m'interessava per niente. Avrei preferito stare a casa, cruggiolarmi ancora per le mancanze e stare a letto a guardare il soffitto, ma mi ero promesso che avrei iniziato a vedere un po' di gente così, almeno, Jimin avrebbe pensato che mi stavo distraendo.

Un parolone, a parer mio. Per me era letteralmente la cosa più difficile del mondo pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse Jay, lontano chilometri e chilometri da me, sparito nel nulla e assente persino via cellulare. Sì, perché dopo che gli inviai un messaggio e ricevetti immediatamente una risposta, ad avermi scritto non era stato lui, no. Avevo dimenticato di aver dato il mio numero di telefono a Jieun, la ragazza con il volpino bianco che lavorava nell'ufficio di Min Yoongi, lo psicologo.

Pensavo seriamente che fosse Jay, che stesse aspettando un mio messaggio per scrivermi, perché non aveva il coraggio di farlo per primo e invece...

Era quella ragazza. Mi aveva scritto per invitarmi a prendere una cosa da bere insieme a lei quella sera e sperava tanto che dicessi di sì. Beh, volevo dire di no. Un appuntamento non era tra i miei desideri in quel momento, a meno che un ragazzo alto, con i capelli neri e la strana fissa per il pulito e l'igiene di nome Kang Jay m'invitasse ad uscire per farsi perdonare per quello che mi aveva fatto.

Ma non era quello il caso e sarei stato comodamente a casa di Jimin a fare un bel niente piuttosto che impegnarmi a sembrare una persona normale che esce insieme a una ragazza per una bevuta. Di normale non c'era proprio niente in me, almeno in quel periodo, e ricominciare a parlare di me e dei miei hobby era proprio una scocciatura.

Ormai speravo che non dovesse più accadere di dovermi presentare a qualcuno, ero convinto che Jay sarebbe stato insieme a me per sempre... ma a quanto pareva mi sbagliavo, quindi ecco che mi mettevo tutto in tiro per qualcosa di cui non m'interessava curarmi.

Jimin sarebbe stato felice di vedermi uscire di nuovo e sebbene l'idea di stare un'intera serata fuori non mi allettasse particolarmente, farmi degli amici con cui poter essere spensierati non sembrava poi una cosa tanto drammatica. Jieun poteva aiutarmi a distrarmi, a parlare di altro, a riempirmi anche se di dettagli inutili sulla sua vita che però di sicuro potevano servirmi a smettere di pensare a Jay, anche se era impossibile.

Da quando era andato via il mio petto era rimasto vuoto e inospitale. Mi sentivo morire ogni giorno sempre di più e nonostante avessi sperato che con il tempo quel dolore scomparisse, la verità era che non faceva altro che aumentare, sempre di più. Era un chiodo fisso nella mia testa e nel mio cuore, e tanti dubbi mi tormentavano dalla mattina alla sera: mi chiedevo continuamente come stesse, che cosa faceva, se gli mancavo, se avesse già trovato qualcun altro che riempisse le sue giornate.

Ammetto che immaginarlo con qualcun altro mi faceva venire voglia di piangere e giurai che sarei salito sul primo volo diretto a Changwon, se solo avessi avuto tempo e coraggio. Ero impegnato con una missione più grande di me, mi era stato affidato di trovare il disertore nordcoreano e in più aspettavo una risposta da parte degli addetti all'analisi delle ossa; non potevo lasciare Seoul neanche volendo e poi sarebbe stato difficile trovare una persona che non risponde al cellulare e non sai dove abita di preciso. Sarebbe stato stupido partire verso un paese che non conoscevo per trovare Jay.
Se mai fosse tornato gli avrei fatto pagare ogni cosa, dai pianti, alle ansie, alle mancanze e all'odio che mi faceva provare per lui, la persona che amavo più al mondo.

Feci un sospiro stanco quando mi fui vestito. Ci avevo messo intenzionalmente più ore di quante me se servissero per essere pronto, più tardi uscivo e prima rincasavo: non potevo di certo stare tutta la notte fuori ad ubriacarmi, l'indomani dovevo pur sempre andare presto a lavoro.

Prima di scendere giù a salutare Jimin, e avviarmi verso quello che sembrava una serata in compagnia di una persona sconosciuta, una lucida follia mi attraversò la mente come un lampo improvviso. Se avessi provato a chiamare Jay, lui avrebbe risposto? Forse stavo solo cercando di aumentare i miei dispiaceri. Non mi aveva scritto, perché mai allora avrebbe dovuto rispondere alle mie chiamate? Ero un masochista? Sì, ero un masochista.

Dopo aver premuto la cornetta ed essermi portato il cellulare all'orecchio, nervoso iniziai a fare avanti e indietro per la mia stanza, ma non ci fu alcun bip e l'unica voce che riempì il silenzio fu quella della segreteria.

"Il numero dai lei chiamato non è al momento raggiungibile"

Quando provai una seconda volta a chiamarlo la stessa voce monotona ripetè la stessa frase identica. Ecco, erano spuntate nuove paranoie. E se avesse cambiato numero di telefono?
Mi passai una mano in mezzo ai capelli, sempre più disperato e depresso. Mi mancava la sua voce, la sua faccia, il suo modo di fare e di amare, quei denti sporgenti e gli occhi dolci che appartenevano proprio a lui.

Non potevo vivere una vita senza averlo accanto, senza poterlo vedere mai più. Non riuscivo a rimapizzarlo con nessuno, perché nessuno assomigliava a lui, nemmeno lontanamente.
Mi trattenni dal piangere, posai il telefono in tasca e lasciai finalmente quella stanza maledetta. Mi stavo pentendo di aver accettato quell'invito, ma ormai il danno era fatto e non potevo più tirarmi indietro.

«Ehi, dove vai vestito così? Esci?»
Mi chiese Jimin quando lo raggiunsi in cucina.
«Nulla di particolare, Jimin. Esco con una mia conoscente.»

La poca importanza che stavo dando a Jieun si notava anche dal fatto che non mi sentissi per niente in imbarazzo. Con Jay era diverso... con Jay mi venivano le farfalle nello stomaco quando dovevamo vederci, arrossivo ed ero felice e ansioso d'incontrarlo... era ben diverso di come mi sentivo per Jieun.

Feci spallucce e Jimin si accorse del poco entusiasmo dipinto sulla mia faccia. Lo sapeva anche lui che per me nessuno mai sarebbe stato come Jay, ecco perché fece un leggero sospiro e un sorriso di circostanza, quasi non volesse farmi scoprire che sapeva esattamente cosa mi passasse per la testa.

«La conosco?» domandò incuriosito.
«Non la conosco nemmeno io, Jimin. Una mattina il suo cane si è fissato con la gamba di Jay e da allora non me la tolgo più di torno» Borbottai infastidito, nel frattempo mi sistemavo l'orologio sul polso.

Jimin corrucciò le sopracciglia, poi spalancò gli occhi e si grattò a disagio una guancia.
«Parli di Jieun? La ragazza che lavora nello studio del tuo psicologo?»
Chiese in maniera fredda.
Annuii, poi feci una risatina tanto per sdrammatizzare un pochino la mia stessa tristezza nei riguardi di Jay.
«Il mio psicologo è una parolona, Jimin. Ci sono andato una sola volta ed ero impaziente di scappare via da lì. Comunque sì, è lei.»

Presi le chiavi della macchina e sbuffai quando vidi che era ora di andare. Avrei dato via ogni cosa perché lei avesse un imprevisto ma anche se la conoscevo poco sapevo che avrebbe fatto di tutto pur di non mancare a quell'appuntamento. Sarebbe stata anche la giusta occasione di chiarire alcuni punti con lei e farle sapere che se mai sperasse in qualcosa di più di una semplice amicizia era fuori strada. Per prima cosa perché ne avevo abbastanza delle donne! Somin era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e per secondo, purtroppo, scoprivo dopo ventisei anni di essere bisessuale e amavo un ragazzo stronzo che se n'era andato, sparendo nel nulla. E no, non avevo intenzione di amare qualcuno altro.

«Oh! E come mai state uscendo insieme? Uno dei due prova qualcosa per l'altro?»
Chiese altezzoso.
«Io no di certo. Purtroppo la mia mente è rimasta bloccata a un ragazzo di Busan che probabilmente non rivedrò mai più. Non ho idea di cosa voglia Jieun da me.»
«Oggi stai scherzando più del solito» rispose dandomi le spalle, dirigendosi verso il frigorifero per prendersi un succo di frutta.
«Cerco d'ingannare me stesso. Faccio finta di non essere depresso per amore, almeno svago un po'. Comunque, adesso vado.»

Lo salutai con la mano.
Lo sguardo di Jimin era perso nel vuoto, pronunciò un semplice
«sì, divertiti» senza mai guardarmi.

Forse avevo esagerato scherzando su una cosa seria come la depressione, soprattutto sapendo quanto Jimin si preoccupasse per me, stavo solo cercando di riderci su, perché se mi fermavo a pensare avrei davvero pianto tutte le mie lacrime.

Io e Jieun ci eravamo dati appuntamento davanti a un locale molto carino, dall'aria pulita e tranquilla. La mia intenzione era quella di prendere una birra e vomitare nel frattempo milioni di bugie sul mio conto così che la serata passasse velocemente e senza troppi problemi.

Speravo solo che lei non avesse intenzioni strane, tipo quella di chiedermi un frequentamento più assiduo. Non avevo né la voglia e né la forza di fingere per più di una sera qualcosa che non ero, pertanto mi sarei preparato delle scuse per non accettare una seconda volta il suo invito. Mi sentivo in colpa, ovviamente. Non mettevo in dubbio il fatto che potesse essere interessata a me, ma stavo passavo un periodo no e l'unica persona che poteva rimettermi il buonumore era quella che stava procurando la mia tristezza. Che paradosso!

«Ciao Taehyung!»
Esclamò correndo verso la mia direzione, con un sorriso a trentadue denti che mostrava solo l'apparecchio argentato.
Ricambiai, anche se con molta meno gioia, e aspettai a disagio che mi raggiungesse sul gradino davanti la porta del locale.

«Ciao Jieun» dissi quando entrammo dentro e ci dirigemmo verso il tavolo che ci aveva indicato il primo cameriere disponibile.

Prendemmo posto l'uno di fronte all'altro e le guance di Jieun si tinsero di rosso quando la guardai. Ebbi un veloce flashback, ripensando alla volta in cui Jay ed io ci eravamo incontrati lì, proprio in quel ristorante. C'era la cena con i miei ex compagni di liceo e lui aspettava il suo cibo d'asporto appoggiato sul bancone vicino. Quel ricordo, per quanto felice e vicino sembrava più lontano che mai e un sorriso amaro mi si presentò in volto mentre abbassavo lo sguardo sulle mie mani tremanti. Quelle mani che avevano tenuto le sue quando finse di essere il mio ragazzo per non dover inventare delle scuse con l'hostess dell'hotel a Incheon.

«Finalmente siamo riusciti a vederci! Sei davvero così impegnato? Ha da un mese che cerco di organizzare un appuntamento con te.»
Fece una risatina divertita.
«Sì. Sono spesso impegnato con il lavoro.»
Grossa bugia, ci eravamo conosciuti mentre ero in vacanza.
«Oh, che lavoro fai?» Chiese interessata.
Appoggiò il viso sulle mani e mi guardò in attesa di una risposta.
Doversi presentare di nuovo, che cosa scocciante.
«Il militare. Sono a capo della squadra delle forze armate di Seoul»
Jieun spalancò la bocca.

Ecco, avevo appena firmato la mia condanna a morte. Se fosse stata una di quelle affascinate dalla divisa allora davvero non me la sarei più levata di torno.

«Veramente? Non l'avrei mai detto! Ecco perché l'altra volta sei venuto dallo psicologo! Sai, mi sembrava così strano averti incontrato lì. Si spiegano molte cose adesso»
Annuii, di sicuro non le avrei di certo spiegato i veri motivi per il quale Jimin mi aveva trascinato lì quel giorno.

Attirai l'attenzione del cameriere di prima, ordinammo da bere e qualcosa da stuzzicare, che ci fu portato in men di cinque minuti.

«E cosa mi racconti di te, a parte che sei nell'esercito?» Chiese.

Bevvi una generosa quantità di birra in una volta sola. Mi sarei ubriacato se non stavo attento.

«Non molto. Mi piacciono veramente poche cose. Potremmo parlate di te, piuttosto. Tu che mi dici?»

Non ce la facevo a parlare di me, troppo ricordi si spalancavano nella mia mente alla sola idea di pensare a quando lo facevo con Jay.

«Beh, potrei parlare tutta la serata di me e finirei solo con l'annoiarti»
Sono già annoiato pensai, ma non c'era bisogno che lei lo sapesse.
«Ma no! Parla pure.»

Finii il primo drink e ne chiesi un secondo. Nel frattempo Jieun m'informò di star studiando all'università, facoltà di lingue, e che lavorava per arrotondare la borsa di studio che non le permetteva di vivere in una condizione di agio. Amava gli animali e oltre a Sugar, il volpino bianco, aveva anche un gatto di nome Minnie. E poi ancora, le piaceva molto il kpop e guardare drama romantici e strappalacrime. Sognava di sposarsi e di avere due figli, un maschio e una femmina, e di vivere in un paesino più tranquillo della città di Seoul. Mentre parlava controllavo il cellulare, sempre aperto sulla chat con Jay. Non aveva ancora ricevuto il messaggio e l'ultimo accesso restava invariato.

«Oddio, ho parlato così tanto che adesso mi fa male la gola» disse infine.

Finsi una risatina priva di gioia e del minimo entusiasmo e sperai che non si fosse accorta di quanto avrei preferito essere altrove in quel momento. Anche a Chanwong, l'importante era che fossi insieme a Jay.

«Avevi molto da dire» risposi, finendo la terza birra della serata poi, incosciente, chiesi la quarta.
«Non starai bevendo troppo? Ti fa male.» Disse lei.
Mi girava già la testa e la mia mente adesso era buia totalmente, solo il viso bellissimo di Jay l'abitava.
«S-sto bene» risposi con il singhiozzo.
Jieun si morse una guancia, poi riacquistò la sua allegria.
«Hai una fidanzata?»
«No, mi sono lasciato qualche mese fa»
«Oh! Come mai?»
«Non faceva per me. Eravamo troppo diversi, e... io ero confuso»
Jieun annuì.
«E adesso... stai pensando a qualcuno? C'è già un'altra persona nella tua vita?»
Era tutta rossa in viso. I miei dubbi riguardo al fatto che le piacessi sembravano veritieri.
«Sì... c'è» non so perché stavo dicendo la verità, forse era l'alcol a parlare per me.
«Capisco. E lei lo sa?»
I suoi occhi brillavano, ma erano anche pieni di timore.
Bevvi un sorso di birra, poi annuii. La sua espressione cambiò di colpo, aveva capito che non parlavo di lei.
«Sì... lo sa.»

Un sospiro rattristito mi scappò di bocca. Mi ritrovai a fissare il bicchiere vuoto di Jieun con insistenza, quasi sperassi di vederci dentro qualcosa.
La mia testa era piena di immagini, tutte belle e tristi, come un paesaggio di Parigi quando piove. C'era Jay e Jay soltanto, mi riempiva il cuore di lui, della sua essenza magnifica. Quanto avrei voluto raggiungerlo, ovunque fosse.

«Capisco...» anche lei si perse nel vuoto.
«Vado un attimo in bagno» risposi.

Mi alzai velocemente dalla sedia e corsi verso la toilette più vicina, non ebbi nemmeno il tempo di entrarci dentro che vomitai tutto dentro il water. Dall'alcol al farfalle nello stomaco. Quanto dolore dovevo patire, prima di essere felice?

Mi appoggiai sulla parete quando mi fui svuotato, tenendomi lo stomaco stretto perché la nausea non era ancora passata. Tirai il cellulare fuori dalla tasca e chiamai Jimin, volevo che mi venisse a prendere e mi portasse a casa.

Dopo aver chiuso la chiamata con il mio migliore amico m'imbattei sull'ultima chiamata effettuata a Jay due ore prima. Ero ancora un po' su di giri, quindi premetti la cornetta, ma anche quella volta la voce della segreteria ripetè che quel numero non era ancora raggiungibile.

Preso dallo sconforto mi strinsi i capelli nelle mani, sentendomi sopraffatto dai miei sentimenti. Volevo piangere, gridare e far sapere al mondo che mi ero innamorato di un ragazzo, volevo sfogare la mia collera e il mio sconforto, ma lasciai solo che le lacrime scorressero sul mio viso, senza che nessuno mi giudicasse un debole.
Mi trascinai verso il tavolo di Jieun, stringendo gli occhi per non vomitare una volta ancora.

«Taehyung, è tutto apposto? Sei pallido» disse lei non appena la raggiunsi.
«Sì, perdonami ma ho chiesto a Jimin di venire qui»
«Va bene»
Mi fissava mentre mi massaggiavo le tempie doloranti. Non era stata una buona idea andare a ubriacarmi.
«Dannato Jay» sussurrai senza pensare.
«Cosa?» Rispose Jieun confusa.
«Jay... sono innamorato di lui e ha preferito abbandonarmi nel momento peggiore che potesse esserci per me» Mormorai.

Jieun inclinò la testa, mi guardava con un'espressione pietosa ed era una cosa che mi faceva arrabbiare.

«Jay? È il ragazzo con cui eri l'altra mattina?»

Annuii disperato, le lacrime scorrevano adesso copiose. Che patetico che ero diventato. Sul serio piangevo davanti a una perfetta sconosciuta mentre gli parlavano delle mie pene d'amore?

Per fortuna Jimin mi fermò dal rivelare ancora altri miei segreti. Era tutto preoccupato mentre veniva verso la mia direzione, le sue guance erano rosate e lo sguardo più tagliente che mai. Salutò velocemente la ragazza in mia compagnia, con un po' di freddezza a dire il vero, poi mi prese un braccio e mi trascinò fuori dal locale. Mi costrinse a salire sulla mia macchina e sbatté forte lo sportello.

Pensai che stavo per subirmi una lunga ramanzina e quando mise in moto e partì, preparandomi mentalmente ai rimproveri che Jimin mi stava per fare, mi parve di vedere un ragazzo con i capelli scuri e una mascherina addosso entrare nel locale che avevo appena lasciato.

Il cuore mi balzò in petto.

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