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Capitolo 12. Confini

Capitolo 12. Confini
Pt1

"Memories follow me left and right"


Le mani mi tremavano quando la mattina seguente alle otto guidavo freneticamente verso il mio vecchio quartiere. Ero pervaso da una rabbia incontenibile, una furia oscura che non avevo mai provato prima. Ora tutto era limpido, i tasselli del puzzle si erano incastrati perfettamente. Somin aveva raccontato i miei segreti a mio padre e a Daehyun. Ero convinto che avesse frugato nel mio diario, che ingenuamente non avevo mai pensato di nascondere.

Era un rischio reale quello di finire la mia corsa contro i muri di un vicolo mentre il controllo su me stesso sfuggiva come sabbia tra le dita. In quell'istante l'unico mio desiderio era di liberarmi della frustrazione accumulata nelle ultime settimane, di riversarla su di lei, l'artefice dei miei guai. Era inconcepibile il pensiero che avesse potuto rivelare ogni mio segreto tradendo così sei anni di fidanzamento, spinta dal rancore della nostra separazione.

Qual era il senso di tutto questo? Amare qualcuno per poi essere traditi al primo intoppo, feriti nel profondo dell'anima. Perché doveva agire per vendetta, per un qualche oscuro beneficio personale? Perché dovevo essere io il bersaglio delle sue frustrazioni? Avevo nutrito la speranza, forse ingenua, che un giorno avremmo seppellito l'ascia di guerra, che saremmo tornati ad essere amici capaci di condividere emozioni e segreti. Ma era giunto il momento di interrompere il sogno, di affrontare la cruda realtà.

Questa volta evitai di lasciare l'auto davanti casa, non avevo alcuna intenzione di incrociare ancora lo sguardo dei miei genitori. Parcheggiai con decisione davanti al cancello di Somin e, mosso da un impeto incontenibile, mi lanciai a battere furiosamente i pugni sua porta. Portavo con me due inalatori, ma dubitavo che mi sarebbero serviti; dopotutto, Somin non era mai riuscita a scatenare in me nemmeno un briciolo delle tempeste emotive che Jungkook aveva sollevato. Per me Somin era diventata irrilevante, era come se fosse già scomparsa.

Dopo un'eternità di secondi la porta si schiuse, svelando l'ultima persona che avrei mai pensato di desiderare vedere. I suoi occhi si dilatarono in un misto di sorpresa e timore nel momento in cui mi riconobbe. Ingoiò con difficoltà, indietreggiando di un passo. Nelle sue iridi dal caldo colore del caffè scorsi un tenue luccichio di affetto, un residuo di ciò che era stato. Ma era irrilevante. La mia anima era divorata dall'odio, un odio più profondo e oscuro di quanto avessi mai provato per chiunque altro.

«Taehyung, che ci fai qui?»
Mi chiese chiudendosi la porta alle spalle. Non era mia intenzione fare casino in strada, per cui le diedi le spalle e camminai furiosamente in direzione dell'auto.

«Dobbiamo parlare. Andiamo a fare un giro»
Non ero certo della saggezza di mettermi al volante con i nervi tesi al punto da rischiare di farmi perdere ogni controllo, ma l'ultima cosa che desideravo era diventare il centro dell'attenzione del quartiere. Non volevo che gli occhi curiosi dei vicini si affacciassero alle finestre per osservare la scena che si stava consumando a pochi passi dalle loro porte.

Somin mi seguì in silenzio. Sapeva già cosa stava per accadere? Era consapevole dell'enorme danno emotivo che mi aveva procurato? Se ne pentiva almeno? Aveva un briciolo d'interesse per la mia salute mentale?

Avviai l'auto e mi lasciai alle spalle le strade vuote, avvolte in un silenzio opprimente. Senza Jay ogni angolo di quel mondo mi sembrava intriso di malinconia e la mia situazione non faceva che peggiorare. Restai immerso nel silenzio per alcuni minuti, cercando di domare l'ira che mi divorava. Di tanto in tanto lanciavo uno sguardo furtivo a Somin; lei ricambiava nervosa, facendo scorrere le dita su un bracciale al polso. Forse aveva sperato che non avrei mai scoperto la sua azione, ma era un'illusione dato che aveva condiviso il segreto con mio padre. Doveva pensare che non mi sarei infuriato così tanto, che non l'avrei cercata, ma in entrambi i casi si sbagliava di grosso.

«Ti rendi conto di quello che hai fatto, Somin?» Quelle parole uscirono dalla mia bocca come in un sussurro debole e sfinito.
La rabbia si stava trasformando in tristezza, in delusione. E non c'è nulla di peggio che una persona a cui hai dato tutto che ti tradisce alle tue spalle solo perché non l'ami più. Ero stato sincero e giusto. Perché lei non lo era stata con me?

«Di che cosa stai parlando?»
Forse fu quella domanda a farmi scattare di nuovo. La presa in giro, il tono di voce altezzoso come se non avesse fatto di nulla di così grave. Feci una risata priva di gioia, stavo solo cercando di nascondere le mani che mi tremavano e la bile che risaliva dai punti più profondi dentro di me.

«Hai davvero il coraggio di prendermi in giro? Sei davvero così meschina?»
Rimasi sorpreso anch'io dal tono freddo della mia voce. Non era mai stato tanto gelido, tanto alterato.

«Sei venuto qui per litigare? Non ci parliamo da quando sono venuta l'ultima volta a casa nostra e vuoi davvero discutere?»
«Casa nostra?»
Ripetei con disprezzo.
Somin parve accorgersi dell'errore che aveva fatto e arrossì immediatamente.
«Casa tua»
«Non è mai stata casa "nostra", per me non esisti più. Sei meschina e spregevole e hai ragione su un punto: non avrei dovuto venire qui a discutere con te, perché effettivamente non meriti nemmeno un briciolo di confidenza da parte mia, nemmeno per dirti che sei una stronza con cui non voglio mai più avere a che fare.»

Somin rimase in silenzio, poi fece una risatina che mi alterò ancora di più.
«Sei venuto a sfogare la tua frustrazione nei riguardi di Jay  e Jungkook su di me?»
«Non ti azzardare a dire questi nomi.»
Dissi e in un impeto di rabbia pressai il piede sull'acceleratore e andai più veloce.
«Era veramente così importante da lasciarmi? Un ragazzo? Da quando sei bisessuale? E quel dannato bimbo scomparso nel nulla per diciassette anni che c'entra in questa faccenda?»
«Non ti permetto di parlare così!»
Gridai con tutte le mie forze.
Somin spalancò gli occhi, si teneva una mano sul cuore e mi fissava come se fossi uno strano spettro comparso da chissà dove.
«Come ti sei permessa di leggere il mio diario? Come hai potuto spiattellare tutto a mio padre e al tuo nuovo ragazzo? Chi ti ha dato il diritto?!» Ormai la gola mi faceva male, ma non riuscivo a contenere la mia rabbia. Non avrebbe dovuto nominare Jay in quel modo, non avrebbe dovuto dare del dannato a Koo.
«Tuo padre è venuto a cercarmi! Mi ha chiesto come mai ci fossimo lasciati e io gli ho detto la verità.» La sua voce tremava.

La paura era evidente nei suoi occhi, un riflesso chiaro del mio atteggiamento minaccioso. Ma la sua ansia, il suo respiro affannoso e il battito accelerato del suo cuore non mi toccavano minimamente. Ero distaccato, indifferente al suo turbamento.
«Sei entrata in casa mia e hai avuto la sporca indecenza di prendere il mio fottuto diario e di leggerlo come ne avessi il permesso!»
«Volevo solo scoprire se ci fosse un'altra, non mi aspettavo di leggere quelle cose su un ragazzo.»
Accelerai una volta ancora. Ormai non capivo più niente di quello che mi stava accadendo attorno.

«Che cosa stai insinuando, Somin? Eh? Che cosa cosa? "Non mi aspettavo di leggere quelle cose su un ragazzo"? Cosa vuoi dire?» Adesso le mani tremavano a me.
«Non mi aspettavo che fosse stata colpa di Jay»
Risi malignamente, come un demone cattivo che coglie di sorpresa la sua vittima e la divora in un solo boccone mentre urla disperata.
«Ti ho lasciata perché eri diventato uno stress. Mi hai fatto venire gli attacchi di panico e non contenta corri a raccontare della mia vita a dei perfetti sconosciuti! Quel Daehyun... non ne avevi alcun diritto Kang Somin» mi fermai davanti casa sua.

C'erano delle lacrime che brillavano dentro i suoi occhi, ma non mi fecero alcun effetto. Volevo che sparisse dalla mia vista, dalla mia vita.

«Come fai a sapere che l'ho detto a Daehyun?»
Mi chiese, spiazzata dalla mia gelida indifferenza nei suoi confronti. La mia volontà di esserle amico e di sistemare le cose era finita dal momento in cui ho riconosciuto nel suo ragazzo la persona che mi ha reso ridicolo e violento davanti a un giardino colmo di persone, il giardino di Jimin, dei suoi genitori.

«Non ci ha pensato più di volta a rivelarlo in presenza di molta gente. Adesso non mi va più di parlare con te. Per me sei morta, non estiti più. E ne sono persino felice»
Non ascoltai le sue risposte pensate e architettate. Le chiesi si scendere immediatamente e me ne andai.

Ma non avevo ancora finito, mancava una cosa ancora. Andai verso casa dei miei genitori, soprafatto dalla depressione e di essere incompreso e additato da tutte le persone che credevo mi amassero, e suonai al citofono. Avevo le chiavi, potevo entrare da solo ma da quel momento in poi iniziai a considermi un estraneo per tutti loro. Adesso esistevano solo Jimin e Jay, ammesso e concesso che quest'ultimo restasse. Mi sentivo male alla sola idea di vederlo scappare via.

Mia madre aprì la porta, ma non le diedi il tempo di dire niente che entrai in casa e la superai.
«Taehyung! Taehyung, che succede?»
Diceva nel frattempo alle mie spalle, ma la ignorai.

Andai dritto dritto verso il salotto, dove sapevo ci fosse mio padre. Effettivamente lui era lì, seduto sulla poltroncina con una sigaretta in mano. Alzò gli occhi verso di me quando sentì i miei passi nel soggiorno, nel frattempo mia madre mi raggiunse e rimase in silenzio alle mia spalle.

«Grazie» dissi duramente.
Lui mi guardò con una faccia confusa, si mise in piedi e mi guardò arrogante da sopra gli occhiali da vista.
«Che vuoi dire?»
«Grazie per avermi fatto capire che se smetessi di considerarti mio padre mi faresti solo un favore.»

Mia madre mi prese un braccio, voleva fermarmi, farmi smettere di parlare, ma mi liberai dalla sua presa con uno strattone e feci un passo in avanti, i pugni stretti stretti nel patetico tentativo di mostrarmi forte, ma non lo ero. Non in quel momento, dopo quello che aveva fatto Somin.

«Prego, capo Kim. Considerate le tue parole deduco che non ci sarà una riappacificazione tra te e Somin.»
Mi prese in giro.
In quel momento l'adrenalina mi percorse il corpo. Feci un passo in avanti e gli rivolsi lo sguardo più crudele che la mia espressione permetteva. Avevo appena detto addio anche a lui.

«Riappacificazione dopo quello che mi ha fatto? Non la perdonerò mai per aver rivelato i miei segreti a una persona chiusa e cattiva come te. Me ne lavo le mani.»

Mi girai e percorsi a passi veloci il corridoio. Mia madre mi seguì in lacrime, mi prese la mano e cercò di farmi ragionare ma ancora una volta mi liberai dalla sua presa e mi chiusi in macchina, rifugiato nelle mie corse disperate alla ricerca di un po' di pace che sembrava non volermi mai raggiungere. Non nego di aver pianto parecchio mentre guidavo verso una meta ancora sconosciuta. Mi fermai in un parchetto deserto lontano chilometri da casa dei miei. Mi misi da solo su un'altalena, sentendomi sempre più triste. Quei mesi dovevano essere la mia vacanza e invece si stavano rivelando un vero incubo.
Afflitto cercai la chat di Jay e la fissai pochi minuti con un vuoto nello stomaco, poi le mie dita presero a scrivere velocemente sulla tastiera, senza sosta nè ripensamenti.

"Ciao Jay. Non so per quale motivo tu mi stia ignorando, ma sono da solo in un parchetto desolato ed è alquanto triste. Sto male, ho bisogno di stare in tua compagnia. Ti invio la mia posizione, se ti va vieni qui."

Avrei aggiunto "e salvami" ma mi trattenni. Inviai il messaggio senza rimuginarci sopra e lo bloccai per paura di ricevere una risposta immediatamente. In verità aspettai vanamente per mezz'ora abbondante. Forse è un po' ridicolo da dire, ma le mancate risposte di Jay mi misero ancora più dispiaceri addosso. Mi morsi le labbra nel tentativo di non piangere nuovamente e mi alzai pronto a tornare a casa di Jimin. Avrei aspettato il suo ritorno a casa e poi mi sarei sfogato con lui, anche se volevo che Jay venisse...

Sconsolato camminai a testa bassa in direzione della macchina, ma quando alzai gli occhi vidi Jay correre verso di me velocemente. Mi emozionai mentre osservavo i suoi capelli seguire il ritmo del vento e sopraffatto dai miei sentimenti buttai la faccia sulle mani e piansi a dirotto. Jay era venuto a salvarmi.

«Taehyung, cosa è successo?»
Sussurrò senza fiato quando fu davanti a me. Mi mise le mani sulle spalle e in quel momento, guidato dai miei desideri che ormai opprimevo da tempo, mi rifugiai nel suo petto.

Jay s'irrigidì in un primo momento, ma passò veramente poco prima che mi stringesse tra le sue possenti braccia tatuate e calde. Mi accarezzò i capelli con dolcezza, poi mi prese una mano e mi guidò verso le altalene vicine. Ci sedemmo l'uno accanto all'altro, in silenzio. Ero molto in imbarazzo mentre ci spingevamo avanti e indietro, coi piedi ben saldi sul terreno. Sentivo addosso il suo sguardo, ma ero troppo vigliacco per riuscire a guardarlo a mia volta.

«Jay» dissi in un sussurro.
Mi aveva abbracciato, ma dalla sua bocca non era uscita una singola parola gentile e affettuosa, il che mi diede modo di pensare che probabilmente fosse ancora arrabbiato con me.

«Sì?» Rispose freddamente.
Il suo atteggiamento mutava come il tempo, un minuto prima era raggiante come il sole che correva verso di me, quello dopo di nuovo malinconico e freddo, come la pioggia in inverno.

«Sei arrabbiato con me, vero?»
Dissi in tono veramente basso.
Jay rimase in silenzio. Allora trovai finalmente il coraggio di guardarlo, arrossendo ancora di più quando mi ritrovai i suoi occhi fissi su di me.

«Cosa intendi per arrabbiato?» Chiese lui.

La sua vicinanza era il mio balsamo; la sua sola presenza era sufficiente a lenire le tempeste dentro di me. Sentivo già l'effetto calmante, come se ogni mia inquietudine si placasse al suo fianco.

«Intendo che tu ce l'abbia con me per qualche motivo. Questa mattina sei di nuovo scappato. Ho provato a chiamarti, a inviare messaggi ma tu mi hai ignorato... Non sai quanto mi sia sentito triste per questo. Mi sono scervellato, cercando di capire cosa avessi fatto per meritare tanto risentimento ma non sono arrivato a una riposta, non una plausibile almeno.»

Jay si morse una guancia, tratteneva il respiro e faceva su e giù con gli occhi, le gote leggermente rosate.

«E quali risposte ti sei dato?»
Domandò altezzoso.
Mi grattai un ginocchio, nervoso alla sola idea di rivelare dei dubbi riguardo una strana gelosia nei confronti del mio migliore amico Jimin.
«Vorrei solo chiarire eventuali fraintendimenti.» Cambiai discorso.
Jay sbattè le palpebre con ovvia confusione.
«Hai detto di aver trovato una risposta poco plausibile, ma adesso voglio saperla. Non si sa mai che hai azzeccato il punto saliente della situazione»
«Penso invece di starmi sbagliando alla grande. Sono solo fantasie.»
Fantasie mie e di Jimin, ma non rivelai questo dettaglio. Temevo ripercussioni.
«Cosa sono io per te, Taehyung?»
Mi chiese improvvisamente.

Sorpreso lo guardai mentre si portava le braccia al petto e mi squadrava con un'espressione indecifrabile sul viso. Avevo paura che se avessi rivelato dei miei dubbi su un possibile sentimento amoroso nei suoi confronti, e se non fossi stato ricambiato, che lui sarebbe fuggito immediatamente per non dovermi ferire.

«Che cosa vuoi dire?»
Balbettai in imbarazzo.
Jay si alzò e si mise davanti a me. Fui costretto ad alzare la testa per guardarlo bene in faccia. Era baciato da sole, scolpito dagli angeli e mandato da Dio per salvare la mia vita, ma i dubbi che mi avvolgevano erano troppi per affidare completamente la mia esistenza a lui. Cos'era per me Jay? Più di un amico, più di un semplice conoscente incontrato una volta di troppo in giro per Seoul, più di qualcosa che riuscissi a spiegare.

«Jimin è il tuo migliore amico. Non ci sono due migliori amici nella vita di qualcuno, quindi io cosa sono per te? Qualcuno che puoi prendere in giro?»
«Cosa? No, ma che stai dicendo?»
Mi misi in piedi anch'io.
I nostri visi erano vicinissimi l'uno all'altro e tremai guardando quelle iridi scure da tanta vicinanza.
«Non capisco cosa mi stai facendo, Taehyung. Mi chiedo quale diritto tu abbia per non farmi chiudere occhio la notte perché sei scomparso nel nulla per tutto il giorno, per poi scoprire l'indomani mattina che hai passato queste ultime ventiquattro ore a casa di Jimin. Chi sono io? Se fossi importante per te non lasceresti preoccuparmi in continuazione per la tua incolumità.» Disse velocemente.
Ero sorpreso e senza parole. Di che cosa stava parlando?
«Volevo avvertirti, ma non avevo ancora il tuo numero di telefono e non sapevo cosa fare per dirti dove venire a cercarmi. È stato tutto improvviso, mi sono sentito male e Jimin ha dovuto ricorrere a questi estremi. Non è stato facile nemmeno per me, non credere che io mi sia divertito in questi giorni, queste dannate settimana di pausa da lavoro si stanno rivelando un vero stress.»
Jay rimase in silenzio. Fece un profondo respiro e si calmò, poi un cenno della testa mi diede modo di pensare che avesse capito.
«Cosa è successo? Perché sei stato male?» Chiese più comprensivo.
Meno nervoso mi lasciai cadere di nuovo sull'altalena cigolante, mi aggrappai alle sue catene e fissai gli anfibi neri di Jay a pochi passi da me.
«Ho discusso di nuovo con mio padre.»
«Per via del matrimonio?»
«Per via di Jungkook.»
Ero riuscito a dire quel nome.
Mi ero stancato di vivere nelle menzogne. Volevo gridare al mondo che sì, stavo male per un bambino scomparso molti anni fa a cui volevo un mondo di bene.
Guardai Jay fissarmi con espressione confusa e stupita allo stesso tempo, poi riprese posto sull'altra altalena senza mai togliermi di dosso lo sguardo.
«Jungkook?» Disse senza voce.
Annuii debolmente.
«Lui era il mio migliore amico quando ero piccolo. È scomparso diciassette anni fa.»

Jay ascoltava in silenzio. Sembrava stesse pensando a un mucchio di cose tutte insieme, ma non sapendo cosa dire, e forse sentendosi in pena nei miei confronti, balbettò lentamente:
«Non capisco cose c'entri questo Jungkook. Perché tuo padre dovrebbe litigare con te per colpa sua?»

Stavo fissando l'erbetta, perso nei miei pensieri e rapito da sensazioni che non mi erano familiari per nulla. Mi sentivo bene mentre parlavo di lui con Jay, forse mi avrebbe capito molto più di quanto aveva fatto mio padre. Era strano, mi sembrava di conoscere Jay da una vita e pensai di essere stato veramente stupido per non avergliene parlato prima.

«Io mi sono dimenticato di lui. Quando è scomparso ho avuto un attacco di panico molto forte. Il dottore disse ai miei che era un trauma infantile e che molto probabilmente mi sarei dimenticato di Jungkook e tutta quella situazione lì. Me ne sono ricordato tre settimane fa, quando è iniziato il mio congedo, e con lui si è risvegliata anche l'asma da stress che oggi mi costringe ad avere sempre l'inalatore dietro. Quando il mio cervello sblocca dei ricordi su di lui l'asma mi toglie il respiro. È veramente frustrante.»

Feci una pausa per riprendere fiato, nel frattempo il mio cuore batteva così forte che non riuscivo a contare il numero di volte che ho temuto stessi per crollare a terra, ma non accadde. Appoggiai la testa sulla catena arrugginita dell'altalena e osservai Jay che continuava a guardarmi senza aprire la bocca nemmeno per dire una sola parola.

«Ho scritto tutti questi miei pensieri su un diario segreto che mi ha regalato Jimin. Pensavo potesse aiutarmi a stare meglio, a liberare la testa. Ho fatto l'errore di lasciarlo sempre sul tavolo in soggiorno a casa mia e Somin, la mia ex ragazza, l'ha letto scoprendo così che il motivo per la quale l'ho lasciata non si limitava solo allo stress emotivo che mi metteva addosso per via dei suoi atteggiamenti. Io ero confuso, mi sentivo veramente depresso quando mi sono ricordato di Jungkook e non riuscivo a capire cosa mi stesse accadendo. Somin non mi suscitava più alcuna emozione, mentre Jungkook l'ho sognato ogni notte, ogni giorno, e il modo in cui mi batteva il cuore era diverso»

Jay si passò una mano in mezzo ai capelli, appariva abbastanza scosso dopo il mio racconto.
«Mio padre non lo ha accettato. Per qualche strano motivo lui vorrebbe solo vedermi sposato e con figli. Io mi sento in colpa, mi sento distrutto all'idea di non veder mai più Jungkook e non riuscivo a togliermelo da alla mia mente. Non sarò mai felice con Somin.»

Mi faceva male la gola quando finii di raccontare. Lanciai uno sguardo a Jay e rimasi stupito nel vedere nei suoi occhi delle lacrime brillare alla luce del sole. Ecco, lo avevo fatto un'alta volta, avevo di nuovo cambiato l'umore di chi mi stava attorno come spesso accadeva anche con Jimin.

«È veramente triste, Taehyung. Io... non so cosa dire. Scusa.» Si passò una mano srugli occhi e sorrise debolmente.
«Jay, ho pochi amici e li vorrei tenere tutti stretti a me per non dover avere mai più rimorsi. Mi restate solo tu e Jimin e non voglio litigare con nessuno dei due.»
Jay mi guardò in silenzio, poi fece un cenno della testa mentre si asciugava gli occhi. Strano, mi dissi. Piangeva per le mie sorti?
Sembrava scombussolato e non riusciva a fermare le sue gambe, cui piedi battevano nervosamente sul terreno. Era una reazione molto inaspettata quella lì, me ero veramente felice che si preoccupasse tanto per me.

«Perdonami» sussurrò spingedosi avanti e indietro sulla piccola giotra.
«Per cosa?»
Ci rimuginò sopra un paio di secondi, poi mi fissò con un dolore indescrivibile dipinto negli occhi. Mi spiazzò.
«Per aver ignorato i tuoi messaggi e le chiamate. Scusami.»
«Va tutto bene, sarei semplicemente curioso però di sapere perché» mi misi più dritto, come se quella posizione potesse aiutarmi a comprendere meglio una possibile spiegazione.
«Non lo so. È il mio carattere, presumo.»

Lo fissai in silenzio. Ero misterioso e intrigante quel carattere, pensai, ma di sicuro sapeva cosa stava succedendo e perché, solo che voleva tenermelo nascosto così come avevo fatto io riguardo la situazione su Jungkook e i miei malumori. Cosa celava dietro quegli occhi tanto scuri? Come mai non mi rivelava il vero motivo per la quale era scappato ancora da me? Avrei tanto voluto che mi dicesse la verità, e che magari combaciasse con quella che aveva detto Jimin, ma Jay non sembrava voler aprire bocca riguardo a quella faccenda.

«Capisco» dissi deluso.
Jay mi guardò, gli rivolsi un sorriso debole e un sospiro malinconico.
«Senti Taehyung, ho fatto lo stupido e adesso voglio farmi perdonare. Che ne dici se ce ne andiamo da qualche parte, io e te? Andiamo a mangiare fuori, beviamo qualcosa e ci raccontiamo a vicenda di quanto la vostra vita faccia schifo?»
Fece una risatina quando mi vide abbozzare in un sorriso.
«È un appuntamento questo qui?»
Scherzai, ma sinceramente bramavo l'idea di sentirgli dire di sì, che mi stava invintando ad uscire.
«Decisamente sì. Sarà un appuntamento molto depresso data la situazione, ma sì. Chiamiamolo così.» Rispose.

Annuii felice, ma ero sicuro che mi stavo cacciando in una situazione più grande di me e mi sarei fatto molto male. Jimin probabilmente aveva ragione, a me Jay piaceva di sicuro. Ma mi sentivo un po' scombussolato. Jay doveva smetterla di comportarsi come se ricambiasse i miei sentimenti, perché mi stavo illudendo e io non volevo più stare male per colpa delle persone che amavo. Non avrei accettato un'altra scomparsa, un altro trauma.

Ci mettemmo in macchina, lasciai di nuovo che fosse lui a guidare, io non avevo nemmeno la forza di tenere le mani sul volante senza rischiare di sbandare. Ogni tanto mi rivolgeva uno sguardo con la coda dell'occhio, ma non parlava mai. Sembrava volesse darmi il tempo di riprendermi dai pensieri che mi balenavano nella testa e sinceramente apprezzai quel modo di fare.

«Dovresti avvertire Jimin, comunque.»
Disse con tutta la sua attenzione dedicata alla strada semi deserta del mezzogiorno di una giornata estiva. Il sole era molto alto e illuminava tutto.
«Di cosa?» Chiesi io distratto.
Jay si voltò un solo attimo, il tempo di sorridermi in maniera tanto bella da farmi incantare qualche secondo sui suoi bellissimi lineamenti.
«Oggi tornerai tardi a casa. Dovresti dirglielo o potrebbe preoccuparsi.»

Il cuore iniziò a battermi ferocemente alla sola idea di poter stare insieme a lui per tutto il giorno e nascosi il sorriso che mi si presentò in volto guardando fuori dal finestrino il paesaggio scorrermi davanti agli occhi come un film che durava veramente poco.

Aspettai di arrivare in uno delle tante stazioni di servizio per chiamare il mio migliore amico. Rise diverito quando lo informai e mi mise veramente in imbarazzo quando disse che dovevo raccontargli tutto una volta tornato a casa. Fui costretto anche a chiedergli il telefono in faccia quando si mise a scherzare sulle possibili cose che avremmo potuto fare mentre eravamo da soli, e arrossii così tanto che anche Jay se ne accorse. Mi chiese cosa fosse accaduto, ma inventai una bugia a riguardo e ripartimmo.

Non gli chiesi dove stavamo andando, volevo fosse una sorpresa che mi stupisse. In fin dei conti era quello di cui avevo bisogno, essere spensierato un po' mentre ero lontano da Seoul, stare in compagnia della persona che mi faceva più bene al momento e non pensare ad altro che a quella, anche se era difficile allontanare Jungkook dalla mia mente, nè la discussione con Somin e le incompresioni con mio padre.

Purtroppo abitavano la mia testa e non potevo fare altro che ignorare le voci che mi suggerivano in continuazione che non c'era modo che mi divertissi e vivessi spensierato, anche se...

Quando stavo con Jay mi dimenticavo del mondo. Le pareti di casa mia sparivano se eravamo insieme e si trasformavano in boschi dove potersi rilassare mentre il venticello fresco ci portava i capelli lontano dai visi. Jay era diventato il mio posto felice e niente poteva cambiare questa condizione che mi faceva sentire leggero come l'aria e tranquillo come se i problemi non fossero mai esistiti, sembravano frutto della mia fantasia, solo un incubo che se ne andava via al mio risveglio.

Fu un viaggio che durò relativamente poco, circa un'ora attraverso delle autostrade poco affollate, con le colline e gli alberi in lontananza che sembravano lontani lontani. Il tepore all'interno dell'auto mi fece venire una certa sonnolenza e quasi senza farci caso mi addormentai, appoggiato al finestrino. Sognai fiori, farfalle variopinte, Jay sdraiato sul terreno con le braccia sotto la testa, il viso riparato dal sole grazie al cappellino da pescatore che indossava, bello e misterioso, come un luogo lontano e antico che custodisce milioni di segreti affascinanti che ti attraggono a loro, e poi sognai nuvole. Tante nuvole bianche e soffici sopra le nostre teste che creavano forme tutte diverse tra loro a cui ci divertivamo a dare nomi.

Fu Jay a svegliarmi quando arrivammo a destinazione. Ero rilassato e quando guardai fuori dal finestrino e vidi il mare mi si riempì il cuore di gioia. Pensai stupidamente che non ci fosse dichiarazione d'amore più bella, andare al mare. Mi aveva sorpreso come mi aspettavo, ma ben presto mi pizzicai la gamba per tornare sul pianeta Terra, ricordandomi che non dovevo assolutamente illudermi.

«Il mare eh, vuoi fare le cose in grande per il nostro primo appuntamento. Mi hai persino portato a Incheon» scherzai, ma avrei voluto fosse veramente così.
Jay fece un piccolo sorriso.
«Oh sì, lo penso anch'io»
«È un vero peccato che non ci siamo portati dietro i costumi da bagno» considerai ad alta voce.
Jay si guardò intanto, poi m'indicò un posto un po' lontano con un dito.
«Andiamo a comprarli» disse.

Mi piacevano le avventure e lui mi stava facendo vivere la più bella. Mentre eravamo nel negozietto ci divertimmo a provare cappelli di paglia e collane hawaiane, occhiali da sole colorati e bracciali variopinti.

Quando indossammo i costumi e prendemmo degli asciugamano da mare, tornammo nella spiaggia affollata e ci mettemmo in un piccolo ritaglio di sabbia lontano dalla gente. Mi ritrovai ad incantarmi una volta ancora nel momento in cui vidi il suo petto nudo e tonico, la tartaruga scolpita sembrava fatta a mano da un bravo artista. Era semplicemente bellissimo, in tutto il suo essere.

«Mi ricordi che lavoro facevi a Chanwong?» Chiesi distratto dal suo fisico.
Jay rise.
«Ti ricordi da dove vengo?»
«Perché dovrei scordarlo?»
«Perchè non è un dettaglio importante»
«Sì che lo è, almeno per me»

Jay si legò i capelli in un codino, poi incurvò le labbra e mostrò quei denti tanto carini.
«Facevo il cameriere.» Rispose.
«Sembri un modello» dissi senza pensare, ma era la verità!

Era muscoloso al punto giusto, in suo girovita stretto lo rendeva slanciato e in più, in quel modo, i suoi tatuaggi erano in bella vista e mi ci soffermai un po' troppo. Stavo per chiedergli il significato di quei disegni: dalla scritta "army" sulle dita, all'occhio sull'avambraccio, una scritta incomprensibile che formava una grande x, la scritta "pace" sotto al polso. Mi affascinavano e volevo sapere tutto di loro ma lui mi precedette parlando per primo e sussurrando qualcosa di veramente inaspettato.

«Ti sei mai visto allo specchio, Taehyung?»
«Che vuoi dire?»
«Sei non ironicamente il ragazzo più bello che abbia mai visto prima.»
Le mie guance presero fuoco. Mi ritrovai a dover scuotere la mani in aria, come in procinto di scacciare via mille mosche.
«Yah ma cosa dici» dissi in imbarazzo.
«È la verità. Non te ne accorgi? Quando cammiamo per le strade tutti si girano a guardarti, sei un'opera d'arte che non capita tutti i giorni di vedere. Sei bello ed elegante e hai uno stile pazzesco quando ti vesti. Quindi si Taehyung, penso veramente che sei bellissimo, bellissimo fino a sfiorare la perfezione.»
«Sei troppo gentile.»
Risposi bollente in faccia.
Jay mi prese una mano e mi fece voltare verso un gruppo di ragazze che ci fissava e subito si girarono dall'altra parte nel momento in cui anche noi le osservammo.
«Ti stavano mangiando con gli occhi»
«Anche tu sei bello Jay, è molto probabile che stessero guardando te.»
Jay scosse la testa.
«Tu sei magnifico. Non mi stanco mai di guardarti»
«Ok ma se continui così finirò col pensare che ti piaccio» dissi e cercai di cambiare discorso per evitare l'imbarazzo che mi assaliva da dentro.

Jay mi fece l'occhioliono.
«E chi ti dice che non sia veramente così?»
Disse facendomi spalancare gli occhi, ma non mi diede modo di dire qualcosa che lui corse a tuffarsi in acqua.

Con le gambe ridotte a gelatina lo raggiunsi subito, senza togliermi dalla testa la frase che aveva detto. Stava sicuramente scherzando, allora perché il mio cuore batteva tanto forte?
L'acqua era calda, fu rilassante stare immersi fino al collo, in posizione di stella, con il sole caldo che mi si posava in viso. Jay era accanto a me e quando le nostre mani si sfiorarono persi il controllo del mio corpo. Finii con l'affondare a mare aperto, ma per fortuna ci pensò Jay a salvarmi. Preoccupato mi avvolse un braccio attorno al fianco e nuotò verso la riva nonostante gli avessi detto più di una volta di potercela fare e che mi ero solo distratto un momento.

Mentii persino, dicendo di essermi spaventato perché credevo che una medusa mi avesse toccato la gamba, ma lui non mi diede ascolto e mi resse fino a quando i nostri piedi non toccarono la sabbia. Allora mi mise le mani su entrambi i lati della mia faccia, osservandomi come se stessi per collassare da un momento all'altro.

«Va tutto bene Taehyung? Puoi respirare?» Domandò premuroso.
«Sì, stai tranquillo» dissi, sempre più cotto.
La doveva smettere di comportarsi in quella maniera tanto gentile, tanto innamorata...
«Ho temuto fosse un attacco di asma.»
«È impossibile che accada quando sto con te. Tu mi fa solo bene» ammisi.
Jay mi guardò dritto dritto negli occhi, poi si piegò a prendere gli asciugamani e me ne passò uno.
«Asciughiamoci e andiamo a pranzare» diceva nel frattempo.
«Ottima idea» dissi a bocca asciutta.

Credevo di aver detto qualcosa di inappropriato, ma mi sbagliai. Lui era ancora raggiante quando ci sedemmo a tavolo e ordinammo la stessa pietanza di pesce. Mi versò il vino bianco nel calice e si premurò persino di tagliarmi l'enorme fetta di pesce spada in piccoli pezzi. Ogni suo gesto mi stava facendo incantare su di lui sempre di più e nonostante mi rimproverassi di non illudermi era impossibile farlo se Jay faceva tutte quelle cose carine per me. Il mio cuore mi diceva che era stata la scelta giusta innamorarmi di lui, la testa invece non la pensava alla stessa maniera; mi diceva di riprendermi, che avrei sofferto.

«Jay» dissi mentre lui si gustava il terzo bicchiere di vino.
«Sì?»
«Che cosa significano i tuoi tatuaggi?»
Jay mostrò il braccio interamente disegnato e fece un sorriso.
«Quali dei tanti?»
«Tutti.»
«Sei veramente così interessato?»
«Sì, non te l'avrei chiesto sennò.»
Jay fece un cenno della testa, poi iniziò a indicarmi i vari tatuaggi, spiegandone anche il significato.
«Questa scritta qui, "army" significa esercito. Non c'è una ragione specifica per cui abbia deciso di tatuarmelo, diciamo semplicemente che anch'io, quando ho fatto la leva militare obbligatoria, sia stato molto affascinato da quel mondo. La scritta "pace" è un desiderio che ogni uomo sogna, questo occhio qui appartiene a una persona che è molto importante per me. È l'ultimo che ho fatto.» Disse.
Chissà chi era quella persona. Era molto fortuna a essere ritenuta tanto importante da Jay e la invidiavo un po' sebbene non sapessi chi fosse.
«Gli altri non hanno un significato particolare.»
«Capisco. Sono molto belli»
«Grazie»

Ci fu un minuto molto intenso in cui ci guardammo profondamente negli occhi. Quasi quasi pensai che mi avrebbe baciato, ma scacciai via quel pensiero dalla mia testa e mi concentrai su altro, spostando la mia attenzione dalle sue bellissime iridi al cielo che si stava oscurando. Nuvole nere all'orizzonte presagivano un temporale particolarmente violento e l'odore di terriccio bagnato mi riempiva già le narici. Ci fu un tuono, poi due. Il proprietario del locale si affrettò ad abbassare le serrande e a chiudere porte e finestre. Si alzò il vento e mentre la stanza diventava meno luminosa intravidi un fulmine spaccare il cielo in due attraverso i buchi delle persiane.

«Il tempo si sta mettendo male» disse Jay distratto dal via vai di camerieri.
«Sì. Forse dovremmo affrettarci a tornare a Seoul.»
«Sarebbe meglio aspettare invece. Se dovesse essere un temporale molto forte potremmo fare un incidente o restare in strada. La cosa migliore è attendere che il tempo si sistemi.»
Rispose lui.
Annuii, aveva ragione. I tuoni e i fulmini che continuavamo a squarciare il cielo erano poco rassicuranti e per di più tutti all'interno del locale sembravano preoccupati. Alcuni chiamarono casa, altri continuavano a chiudere gli spazi lasciati scoperti delle porte.

Per passare il tempo io e Jay ci mettemmo a giocare a carta, sasso, forbice e ridemmo parecchio perché non facevo che perdere e arrabbiarmi di conseguenza. Era passata un'ora e mezza, e non solo aveva iniziato a piovere fortissimo, per di più il tempo sembrava peggiorare ancora. Un cameriere del locale, con un sorriso gentile, venne a dirci che era meglio non mettersi in strada, perché si aspettava una burrasca di acqua e grandine, e ci consigliò di sostare a Incheon per quella notte in un hotel a pochi passi dal ristorante.

Jay allora pagò il pranzo, anche se mi opposi, dicendo che siccome era stato lui a invitarmi era giusto che pagasse anche per me. Infine ci mettemmo in auto, guidò per un brevissimo tratto sotto l'acquazzone fino a un hotel a cinque stelle, imponente come un grattacielo. Per fortuna c'erano dei parcheggi sotterranei, per cui non dovemmo correre per ripararci dall'acqua. Durante il check-in l'hostess in reception fissò in maniera molto provocante Jay, ma lui parve non darle alcuna importanza.

«Salve, vorremmo sostare qui per una notte. Se possibile desidererei una camera doppia.»
Disse velocemente, ignorando gli occhi da cerbiatto che gli rivolgevano sguardi innamorati. Iniziava a infastidirmi quella ragazza.
«Mi dispiace, con la burrasca molta gente è venuta qui a sostare e ci rimangono solo una stanza matrimoniale e due singole. Come devo procedere?»
Chiese, nel frattempo sbatteva le palpebre come affetta da tic irregolari.
Io e Jay ci guardammo, forse la soluzione migliore erano le stanze singole, così non ci sarebbero stati fraintendimenti, ma Jay non mi fece dire una sola parola che aveva già deciso.
«Va bene quella matrimoniale, grazie»

L'hostess parve restarci male e mi guardò con uno strano occhio mentre passava la carta di Jay nel pos. Pagò la stanza e infine mi prese una mano, guidandomi in direzione dell'ascensore.

«Perdona quello che sto per fare, ma non mi va di inventare scuse per non dover dare il mio numero di telefono.»
«Cos...»

Jay mi avvolse un braccio attorno alle spalle e mi avvicinò di forza a lui. Sembrò quasi che il terreno mi fosse sparito da sotto ai piedi mentre entravamo dentro l'ascensore e lui premeva il piano giusto, ancora legato a me. Fece un occhiolino all'hostess e quando le porte si chiusero un sospiro gli uscì di bocca.

«Aish, non hanno proprio pudore le donne qui.» Pensò ad alta voce.

Mi lasciò andare e si sistemò i capelli passandoci una mano in mezzo. Quello era uno scherzo del destino, vero? Jay aveva appena finito di stare con me e per di più avremmo dormito nello stesso fottuto letto tutta la notte. La sola idea mi metteva in imbarazzo.

La stanza che ci era stata data era grande e spaziosa, il letto però, anche se matrimoniale, ti costringeva a dover dormire praticamente attaccato alla persona con cui dovevi condividerlo. Mi sentii leggermente a disagio, a dire il vero, ma lo nascosi dietro un sorriso quando Jay si voltò e mi lanciò un'occhiata.

«Non è un problema per te dormire insieme, vero? Ho pensato che sarebbe stata una vera noia stare tutto il tempo in camera da solo.»
«Nessun problema» Balbettai con la bocca asciutta.

Jay sorrise.
«Perfetto. Credo proprio che farò una doccia adesso, ho l'acqua salata addosso.»
Disse chiudendosi in bagno.

Quando fui solo mi schiaffeggiai. Ma che diamine mi prendeva? Le gambe mi stavano tremando troppo in quel momento, mi sembrava che si sarebbero spezzate per via della loro gracilità! Mi buttai sul letto, osservando il soffitto e immaginandomi scene poco caste che subito cancellai dalla testa, come se avessi premuto il tasto "reset" e avessi eliminato file compromettenti dalla mia mente.
Jay era indubbiamente un bel ragazzo e ormai avevo accettato che mi piaceva, ma da qui a farsi certi film era troppo.

Per distrarmi chiamai Jimin: non lo sentivo già da quattro ore e dovevo anche avvertirlo che non sarei tornato quella notte.

«Taehyung?» Rispose dopo un solo squillo.
«Ehi Jimin, che fai?»
Ero sicuro che mi avrebbe preso in giro quando gli avrei detto che non sarei tornato.
«Ho appena finito di lavorare. Tu? Ti stai divertendo al tuo appuntamento perfetto con il ragazzo dei sogni?»
«Sto per chiuderti il telefono in faccia.» Dissi arrossendo.
La risatina di Jimin mi fece sbuffare.
«Yah, scherzo. A che ora sei a Seoul? Preparerò la cena per il tuo ritorno»
«Veramente staremo qui per stasera. Il tempo si è guastato, c'è un forte temporale e ci hanno consigliato di rimanere.»
Chiusi gli occhi, in attesa della battuta che, purtroppo, non tardò ad arrivare.
«Wow, l'appuntamento sta andando bene a quanto percepisco»
«Sei sordo? Stiamo restando per via del temporale.»
«E scommetto pure che siete stati costretti a prendere una camera matrimoniale, vero?»
Mi strozzai con la mia stessa saliva. Jimin rise a crepapelle mentre io morivo letteralmente di vergogna.
«Sei un idiota Park Jimin»
«Sicuro che state rimandando per colpa del tempo?»
«Ciao, Jimin» gli chiusi il telefono in faccia e sbuffai quando posai il cellulare sul letto.

Il mio migliore amico giocava con la mia pazienza.
Ero distratto appunto da Jimin quando Jay uscì dal bagno e mi ritrovai a tossicchiare nuovamente per colpa delle mie vie respiratorie che, a volte, non funzionavano bene. Il suo petto era corparso di piccole goccioline e indossava solo un misero asciugamano avvolto alla vite e bastava un solo movimento brusco a farlo cadere.
Mi affrettai a guardare da un'altra parte mentre si asciugava i capelli con un'altra asciugamano, disinvolto e impassibile, come se ci conoscessimo da una vita.
«Stavo pensando che potremmo cenare qua in hotel questa sera. C'è uno chef stellato, l'ho letto sulla brochure.» Disse.
Feci un cenno della testa, sentivo la faccia scoppiarmi per via della pressione sanguigna.
«Sì certo, per me va benissimo» Balbettai.
Sarebbe stata una lunga notte.

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