Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo. 11 Gelosia?

Capitolo 11. Gelosia?
Pt1

"I had to fall to lose it all"

Casa Park era sempre stata ospitale, sin da quando ero un giovane studente costretto a svolgere i lavori di gruppo con il ragazzo più in vista della scuola, colui che eccelleva nel canto e nella danza, perspicace e venerato da tutti. L'unico discendente del celebre chirurgo Park Jeun, l'erede solitario capace di concretizzare le sue ambizioni più nascoste.

Attraversare quel giardino ricco di piante dalle forme variegate, con il crepuscolo tiepido alle nostre spalle, fu un'esperienza davvero insolita, senza il desiderio effettivo di essere lì. Jay dominava ancora le mie riflessioni e non le avrebbe lasciate facilmente. Presagivo che mi avrebbe cercato a casa, forse avrebbe atteso nuovamente l'intera giornata ma al mio mancato arrivo se ne sarebbe andato, senza più tentare di trovarmi. Questa sola idea mi provocava un'angoscia incommensurabile.
Ero talmente assorto dalle voci interne che mi insinuavano quelle bizzarre paure da ignorare il tono amabile di Jimin che invocava il mio nome. Tornai in me solo quando lui mi fece schioccare le dita davanti al viso, osservandomi con ansia.

«Ehi! Vuoi dirmi che cosa hai?»
Chiese con timore.

Feci un sospiro, portandomi una mano in mezzo ai capelli. Dovevo mentire una volta ancora.

«Ma niente! Sono solo stanco, Jimin. Oggi è stata una giornataccia.»

Questo era effettivamente vero, ma in quel frangente non rappresentava il mio dilemma principale. Erano quei due occhi scuri lontani chissà dove a fare chissà cosa con chissà chi a turbarmi. Mi stavo torturando.

«Sì certo, capisco» rispose Jimin, ma non sembrava avermi creduto.

Salimmo i pochi gradini che portavano verso il portoncino battuto in oro e mentre Jimin si accingeva ad aprire, l'uscio si aprì di scatto rivelando il volto affabile del padre. Un largo sorriso gli balenò sul viso non appena incrociò il mio sguardo e nonostante la mia risposta fosse meno entusiasta, non potei esimermi dal corrispondere. Non era per dispiacere nel vederlo, ma perché la mia mente era assorbita da altri pensieri.

«Taehyung, figliolo! Non ti vedo da molto tempo! Ma che ti è successo alla mano?»
Disse avvolgendomi in un abbraccio soffocante che, in qualche modo, mi rasserenò l'animo. Avrei desiderato che mio padre fosse altrettanto affettuoso, ma recentemente il nostro legame si era trasformato fino a renderci quasi estranei e il solo pensiero mi affliggeva

«Nulla, errori di percorso» dissi una bugia.
«L'importante è che non sia grave. Jimin, figlio mio! I tuoi turni sono finiti per oggi?»
Si rivolse poi alla sua prole, stringendo anche lui tra le sue braccia.

Jimin rispose con un sorriso radioso. Suo padre lo aveva indirizzato, in qualche modo, verso la medicina così lui aveva accantonato i propri desideri per soddisfare quelli dei genitori, eppure la loro connessione era talmente sincera e pura che ne provai invidia. La vita di Jimin sembrava impeccabile, avrei dato qualsiasi cosa per scambiarla con la mia, se non fosse che gli volevo troppo bene.

«Sì, oggi sono stato in ospedale la mattina e metà pomeriggio» rispose Jimin dandogli delle leggere pacche sulla schiena.
«Bene bene. Io e tua madre abbiamo organizzato un barbecue questa sera. Ci saranno alcuni medici, nulla di ché. Perché non vi unite? Mi farebbe veramente piacere se cenaste con noi.» Ci chiese.

Avrei voluto chiudermi in stanza in verità, ma non mi andava di rovinare la festa a tutti, soprattutto a Jimin che si prendeva sempre cura di me. Per tanto m'impegnai a fare il sorriso più sincero che la mia espressione permetteva, ma il mio migliore amico rispose prima che potessi dire una sola parola.

«Non lo so papà, Taehyung non sta molto bene e vorrei che non si affaticasse.»

«Che ti succede, ragazzo? Hai bisogno di un'aspirina?» Chiese preoccupato.

Mi affrettai a scuotere la testa con vigore.
«No, a dire il vero sto meglio. Possiamo cenare insieme questa sera» mentii al meglio delle mie capacità.

Jimin mi fissava da sopra la mia spalla, la sua espressione era così preoccupata che era difficile non farci caso.

«Dai Jimin, non fare quella faccia. Se Taehyung dice che sta meglio, sta meglio! Aish da quando è diventato un medico si è trasformato in una persona responsabile» lo prese in giro facendogli il solletico nei fianchi.

Jimin ridacchiò per via del solleticamento, ma subito dopo tornò a essere serio. Mi rivolse un'occhiata intensa che nascondeva qualcosa di molto più profondo di un semplice sguardo preoccupato. Temeva veramente che avessi qualche altro attacco di panico e sembrava volerlo evitare a tutti i costi. Solo che non capiva quanto mi sentissi al sicuro in casa Park, lontano metri e metri dai posti che mi ricordavano di Jungkook.

«Sicuro di sentirtela? Hai avuto un attacco di asma particolarmente potente questo pomeriggio.» Mi sussurrò all'orecchio.

Annuii, dandogli un leggero pizzicotto sul fianco per convincerlo che era tutto a posto e lui dopo un sospiro fece un cenno della testa.

«Suvvia Jimin! Se si fa troppo tardi e Taehyung sta male può sempre dormire da te» aggiunse suo padre.
«Sì, passerà a priori un po' di giorni qui. Devo monitorare una certa situazione» rispose massaggiandosi le tempie con due dita.
«È così grave o Jimin sta solo esagerando?»
Mi chiese sottovoce, non abbastanza da evitare di farsi sentire dal figlio che divertito alzò gli occhi al cielo.
Anche la mia testa si stava svuotando un po', in fin dei conti stare in compagnia mi faceva solo bene.

«Sta solo esagerando» mentii ridendo.

I due m'imitarono, ma Jimin finse come me. Suo padre ci disse di scendere giù in giardino alle nove, quando il sole sarebbe sparito completamente e il buio avrebbe avvolto Seoul, e ci lasciò salire finalmente nell'appartamento di Jimin per riposarci un po' prima di cena. Quando io e il mio migliore amico fummo da soli dentro casa sua, lontano da altre orecchie, mi osservò con disappunto mentre posavo lo zaino su una delle poltroncine di pelle. Feci finta di nulla, massaggiandomi la mano fasciata per non dovermi concentrare su altro, nel frattempo Jimin mi raggiunse in salotto e mi fece sedere accanto a lui sul divano vicino.

«Sei davvero sicuro di voler partecipare al barbecue? Mio padre non ha veramente la concezione di "pochi"» fece due virgolette a mezz'aria che mi fecero sorridere.

«Mi aiuterebbe a distrarmi, Jimin. Va tutto bene, non preoccuparti»
«Ma ne sei davvero sicuro?» Ribadì.
Feci un sorriso di circostanza, ancora distratto dalle mie paranoie su Jay.

«La ragazza che ti piace è stata inviata?» Ripresi il discorso.

Jimin sbuffò mettendosi in piedi e allontanandosi per non farmi vedere la sua faccia bordeaux.

«No, non è stata invitata.»
«Peccato. Potresti sempre farlo tu, infondo» lo battibeccai osservandolo mentre si faceva il caffè.

«Non sarebbe male invitare anche Jay, se solo non mi odiasse.» Rispose dandomi le spalle.

Ridacchiai.
«Non è vero che ti odia. E poi non ho il suo numero, quindi anche volendo non posso invitarlo.» Ero un po' rammaricato per questo.

«Sì che mi odia. Fa sempre quelle facce piene di sdegno quando mi vede insieme a te»
«È solo la tua impressione.»

Grossa bugia. Anch'io mi ero accorto troppo spesso che il suo atteggiamento cambiava quando Jimin era intorno a noi o le altre persone in generale.

«Come no. Comunque, vuoi farla prima tu la doccia?» Cambiò discorso addentando una mela.

Feci un cenno della testa, subito dopo mi alzai e andai a chiudermi in bagno. Il getto fresco dell'acqua mi aiutò a riprendermi un pochino dopo quella lunga, faticante e calda giornata d'estate. I discorsi affrontati con la mamma di Jungkook continuavano a tormentarmi, così come lo faceva Jay. Non riuscivo a togliermi dalla testa la foto in casa Jeon, né il fratellino quasi identico di Jungkook e gli occhi spenti di sua madre. In più, mi stavo torturando con le paranoie su Jay, per non parlare di come mi aveva trattato mio padre e cosa aveva scaturito il suo comportamento ostile. Erano successe troppe cose in una sola giornata.

Quando fui fuori dal bagno e mi sdraiai sul divano, in attesa che Jimin fosse pronto, mi ritrovai a sbuffare mentre osservavo il soffitto basso in salotto. Non avevo proprio voglia di mischiarmi con la gente e il mio malumore aumentava con il passare delle ore ma più pensavo a Jimin più mi sentivo in dovere di essere meno d'impaccio possibile. Sperai almeno ci fosse un posto dove poter stare più appartati, così che non mi sarei sentito a disagio. Pensai che se ci fosse stato anche Jay restare in compagnia di tanta gente non sarebbe stato poi così male. Non che Jimin mi facesse sentire poco a mio agio, ma lui era un medico e quella era la sua cerchia d'interessi. Non potevo mica pretendere che lui restasse accanto a me per tutto il tempo senza unirsi ai discorsi che tutti i suoi colleghi avrebbero affrontato con ardore e passione.

Le nove di sera arrivano più velocemente del normale. I minuti parvero volare come secondi, e in men che non si dica era già sera. Jimin chiuse la porta dell'appartamento mentre io scendevo già le scale, ma prima che arrivassimo nel pianerottolo che portava al giardino mi prese una mano e fermò i miei movimenti. Confuso lo guardai, lui mi mise i palmi sulle spalle.

«Tae, se non ti va di stare insieme a tutte quelle persone ti prego di dirmelo. Possiamo ancora salircene a casa e guardare un film tranquillo. Ordiniamo una pizza e beviamo qualcosa insieme.» Disse.

Lo fermai con un sorriso, facendo un passo indietro.
«Non avevi detto che devo fare una dieta più sana ed equilibrata? Tuo padre sta cuocendo la carne, è molto più salutare della pizza.»
«Allora ci riempiamo i piatti e torniamo indietro»
«Jimin, perché ti stai preoccupando tanto? Va tutto bene. Respiro alla grande e camminò sulle mie gambe. È solo una cena informale»
«Sì ma i tuoi occhi sono tristi.»

Quella risposta mi prese alla sprovvista. Lo guardai trattenendo il fiato per un paio di secondi mentre lui si appoggiava al muro con le braccia dietro la schiena. La sua espressione era depressa, quasi come se il mio umore avesse influenzato il suo. E mi sentii spiazzato, ancora più giù di morale. Volevo evitare che il mio migliore amico passasse tutto il tempo che sarebbe stato insieme a me in quel modo. Non potevo evitare di pensare a tutto ciò che mi stava accadendo in quel periodo e il mio umore continuava a cambiare e ad avere alti e bassi, per cui mi avrebbe visto tanto rattristito per più di una volta, che volessi o meno.

«No, non è vero» risposi a bocca asciutta.

Jimin mi rivolse un'occhiata profonda. Era ovvio che si accorgesse di quanto stessi mentendo, lui mi conosceva più di chiunque altro e raccontargli bugie non aveva alcun senso, però continuavo a sperare che capisse quanto mi facesse male vederlo compatirmi. Volevo continuasse a comportarsi come sempre, come se non sapesse degli attacchi di panico, della confusione che avevo in testa per colpa di Jay, della tristezza che accompagnava le mie giornate da quando mi ero ricordato di Jungkook.

«Taehyung, sei strano da questa mattina. Non venirmi a dire che è per via dell'asma perché non ci credo. So che sei sconvolto per la somiglianza tra Jungkook e suo fratello e soprattutto deluso che nessuno abbia mai trovato traccia di lui né qui né a Busan. Ma c'è altro, qualcosa che non vuoi dirmi... e so per certo che c'entri Jay.»
Mi morsi la guancia e abbassai lo sguardo.
«Non è così»
«Non voglio costringerti a rivelarmi cosa sta accadendo, però mi fa veramente male vederti così. Se ti ha fatto qualcosa giuro che non glielo perdonerò mai.»

Sorrisi. Sì, Jimin era il tipo di persona che avrebbe rischiato la vita pur di salvare la mia.

«No, lui è perfetto. Non mi ha fatto nulla, giuro.»

Jimin mi guardò, ma io mi sentivo in imbarazzo così uscii fuori. Lui mi seguì a ruota. Raggiungemmo la folla in giardino e andammo a rifugiarci in uno dei divanetti bianchi sistemati nello spazio più largo del cortile. C'era parecchia gente, tutte sorridenti e chiacchierone. Molte persone vennero a salutare Jimin e intavolarono lunghe conversazioni sulla medicina di cui non ci capii nulla, ma non fu tanto terribile. Il mio migliore amico rimase tutto il tempo al mio fianco, riempiendomi in continuazione il piatto di carne calda e il bicchiere di soju ghiacciato. Suo padre ci coinvolse più di una volta in discorsi politici, ma non aprii mai bocca. Preferii ascoltare le teorie di Jimin, godendomi il suo tono molto dolce di voce mentre smontava con determinazione le opinioni degli altri.

Fu divertente a dire al vero, almeno fino a quando non vidi un ragazzo dall'aria familiare fissarmi da oltre il bicchiere di vino rosso. Ero sicuro di averlo già visto da qualche altra parte ma la mia mente era del tutto spenta. Nonostante mi stessi sforzando di capire chi fosse proprio non riuscii. Anche Jimin parve accorgersi degli strani sguardi che mi stava rivolgendo quel ragazzo sconosciuto e mi pizzicò la gamba per dirmelo all'orecchio.

«Quel tipo lì ti fissa. Lo conosci?»
Stavo per rispondere, ma il ragazzo mi rivolse un sorriso e finalmente mi parlò.
«I miei occhi m'ingannano o tu sei Kim Taehyung?» Chiese.
Corrucciai le sopracciglia, ma feci un cenno della testa. Jimin ci guardava interessato.
«Mi hanno parlato molto di te.»
«E chi?»
Fece un risatina che non mi piacque, ma rimasi fermo. Come faceva a conoscermi e chi gli aveva raccontato di me?
«Una persona che conosci molto bene.»
«Se non vuoi dirmi chi è stato che senso ha riferirmelo?» Domandai irritato.
Non mi piaceva chi parlava di me alle mie spalle.
«Perchè non è importante. Comunque, il mio nome è Daehyun.»
Mi porse una mano ma non la strinsi. Iniziavo a sentirmi nervoso, quella persona non mi piaceva.
«Non credo di conoscerti.» Dissi mettendomi più vicino a Jimin.

Lui mi mise una mano sulla schiena per darmi coraggio, ma avevo una strana sensazione e non riuscivo a stare tranquillo. Mi massaggiai la mano ferita d'istinto e Daehyun abbassò gli occhi sulla mia fasciatura.

«Comprensibile.» Disse ritirando il braccio.
Rimasi in silenzio, stavo quasi per alzarmi e allontanarmi con Jimin al mio fianco, quando Daehyun riprese a parlare inchiodandomi al divano.
«Sai, sarei curioso riguardo a qualcosa di molto importante. Sto studiando psicologia e ho saputo dei dettagli su di te che hanno destato la mia curiosità. Averti incontrato è una vera fortuna.»

Rimasi sbigottito. Mi portai una mano all'altezza del cuore e strinsi la camicia adiacente a quel punto. Sapeva di Jungkook? E se così fosse stato, in che modo aveva fatto a scoprirlo? Chi gliel'aveva detto?

«Puoi ripetermi il tuo nome?» S'intromise Jimin accavallando una gamba e rivolgendogli uno sguardo pieno di astio.

Mi faceva male il petto. La mia testa non faceva altro che ripetermi "sa di Jungkook, sa di Jungkook".

«Daehyun. Choi Daehyun.» Disse.
Non conoscevo nessuno che avesse quel nome, eppure il suo viso...
«Tuo padre è il dottore Choi? Il cardiologo?»
«Sì. Ma cosa c'entra questo?»
«Curiosità» rispose Jimin e gli rivolse un sorriso sprezzante prima di alzarsi e prendermi una mano.

Stavamo per allontanarci, ma Daehyun decise di imitarci ed esclamare:
«La tua asma da stress è migliorata?»

Mi girai immediatamente. Jimin cercò di prendermi la mano, ma preso dalla rabbia mi scansai e camminai minacciosamente verso Daehyun. Mi tremavano le gambe, la testa iniziava a girarmi.

«Ok, dimmi chi ti ha detto queste cose di me, adesso.» Dissi a denti stretti.
«Informazioni personali»

Senza pensarci gli afferrai il colletto della maglia e lo avvicinai con violenza vicino al mio viso. Dovevo stare molto attento quando litigavo con gli altri. Io ero un soldato, conoscevo il taekwondo e il Ju-Jitsu, e se mi facevo prendere dalla collera potevo ferire in modo irreversibile le persone e Jimin lo sapeva, per questo si mise in mezzo anche se le mie dita non ne volevano sapere di lasciare perdere quel tipo.

«O me lo dici o ti spezzo una gamba.» Sussurrai.
Daehyun ridacchiò. La gente iniziò ad accorgersi di ciò che stava accadendo nel ritaglio di giardino in cui ci trovavamo e ci indicarono mentre spalancavano le bocche e si sussurravano frasi nelle orecchie.

«Non sarebbe meglio se diventassimo amici? Mio zio è nel comando di polizia. Posso mettere una buona parola per te e spronarli ad ampliare le ricerche, così forse i resti di Jungkook potranno essere ritrovati e-» la forte spinta che gli rivolsi lo fece finire sopra al tavolo.

Stavo per raggiungerlo, volevo pareggiare i conti e continuare a sfogare la rabbia che mi stava facendo scaturire per colpa di quell'unica frase che gli era uscita di bocca, ma Jimin mi fermò. Mi prese la mano e mi trascinò verso l'entrata di casa, nel frattempo tutti ci guardavano e parlavano sottovoce. Il padre di Jimin cercò di fermarci, ma bastò uno sguardo severo del figlio a lasciarci passare.

Non appena fummo lontano da occhi indiscreti, sugli scalini a chiocciola che portavano verso l'appartamento di Jimin, mi liberai della sua presa con uno strattone e mi passai una mano in mezzo ai capelli. Ero furioso, letteralmente. Il mio respiro affannato fece preoccupare il mio migliore amico, che provò a incintarmi a salire in casa ma il mio unico desiderio era tornare indietro, prendere quel Daehyun per il collo e riempirlo di pugni!

«Taehyung, calmati! È un idiota. Dammi un po' di tempo e domani andrò a parlare con suo padre. Si pentirà amaramente di quello che ha detto!» Esclamò infuriato.

Ma non bastava. Non bastava a placare la mia collera. Gli occhi iniziarono a bruciarmi di lacrime, le mani mi formicolavano.

«Voglio tornare indietro e ammazzarlo!» Alzai la voce in lacrime.

E stavo per muovermi, stavo per scendere di nuovo ma all'improvviso Jimin mi abbracciò e i miei nervi si rilassarono. Le lacrime caddero sulle sue piccole spalle e si persero nel tessuto bianco della camicia di lino che indossava. Era caldo e accogliente il suo petto. Una medicina per il mio umore instabile. Singhiozzai mentre lui mi stringeva forte e mi sussurrava all'orecchio di calmarmi, solo in questo modo riuscì a convincermi a seguirlo a casa sua.

Mi passò un bicchiere colmo d'acqua mentre, seduto in mezzo ai cuscini sul divano, mi soffiavo il naso con rammarico. Come aveva fatto a scoprire di Jungkook? Aveva detto che qualcuno gli aveva passato quell'informazione e solo in quel momento, riflettendoci, pensai che quella persona poteva essere la stessa che aveva detto di Koo a mio padre. Mi chiedevo solo chi! Nessuno lo sapeva, nessuno a parte me, il mio migliore amico e uno psicologo sconosciuto! C'era qualcosa che mi sfuggiva.

«Sei un po' più calmo?» Domandò Jimin quando si sedette accanto a me.
«Mmh» feci spallucce.
Jimin sospirò comprensivo come sempre, nel frattempo mi disegnava dei ghirigori sulla spalla con affetto.
«Come diamine faceva quel Daehyun a sapere di Jungkook?» Chiese più a se stesso che a me.
Alzai di nuovo le spalle.
«Non lo so. Non ho ancora capito come faccia anche mio padre a saperlo. Chi lo sta raccontando in giro?» Mormorai.
Jimin mi fissò preoccupato, io guardavo il vuoto come da dietro un velo.
«Se solo tuo padre ci dicesse chi gli ha raccontato di Jungkook...» sospirò.
«Quel Daehyun l'ho visto da qualche parte. Il suo volto non mi è del tutto sconosciuto.»
«Oh, davvero?»

Annuii. Ero confuso e ancora molto scosso. Jimin stava per dire qualcos'altro ma il suono del campanello ci interruppe. Senza aspettare un secondo solo lui corse ad aprire. Non feci molta attenzione a quello che stava accadendo, ma mi parve di capire che si trattava di suo padre, che era venuto a vedere come stavo e se per caso ero ubriaco. Credeva che non fossi il tipo da attaccare briga senza motivo e se ero stato io a iniziare quella lite era molto probabile che fossi un po' su di giri. Jimin spiegò lui la situazione molto velocemente, omettendo i particolari su Jungkook, infine lo mandò via dicendogli che non volevo vedere nessuno.

Nel frattempo ebbi modo di riflettere ancora un altro po'. Stavo cercando di spremermi più che potevo per ricordarmi dove diamine avessi già visto quel Daehyun, ma vanamente. Notavo quella familiarità su sul volto che però la mia mente non riusciva a collegare a nessuno e fu molto frustrante per me.

Il mio migliore amico armeggiava in cucina, continuai a sentirmi in colpa perché, quasi sicuramente, lui era in pena per le mie sorti.

«Taehyung faccio del tè.» Disse mentre mi dava le spalle.
Mi alzai. Non riuscivo a stare un attimo di più sveglio, a pensare e pensare.
«No Jimin. Vado a letto, grazie lo stesso» sussurrai trascinandomi in direzione della mia stanza.

Jimin mi guardò, ma annuì arreso. Per quella sera niente mi avrebbe fatto stare meglio, né lui e nè nessuno poteva aiutarmi a dimenticare dell'accaduto. Indossai il mio pigiama e mi rifugiai sui cuscini morbidissimi, accucciandomi su me stesso. Una lacrima calda mi percosse il viso, ma la lasciai cadere. L'unica cosa a cui riuscii a pensare fu quando avrei iniziato a sentirmi meglio.

*

Quella mattina mi svegliai tardissimo, con un mal di testa orrendo. La luce del giorno, alta e calda, mi si posò sul viso, facendomi sentire accalorato e infastidito. C'era silenzio tombale in quel momento, l'unico suono che riuscivo a percepire era quello del mio cuore che batteva ancora dolorosamente al ricordo di ciò che era successo la sera prima. Non avevo molta volontà di alzarmi in verità ma il mio stomaco chiedeva pietà e fui costretto a mettermi in piedi e raggiungere la cucina per fare colazione. A dire il vero mi ci trascinai, senza forze. Stavo diventando sempre più patetico in quelle settimane e risi di me stesso mentre raggiungevo il frigorifero.

«Jimin?» Dissi vedendo la stanza deserta.
Era tutto in ordine, non c'era una cosa fuori posto e intorno veleggiava un profumo di limoni e lavanda.

Mi accorsi in quel momento che, attaccato a uno degli sportelli in dispensa, c'erano due bigliettini gialli.
Uno diceva:

"Buongiorno Taehyung! Oggi ho il turno di mattina in ospedale, tornerò per l'ora di pranzo."

E l'altro invece recitava: "nel microonde c'è una tazza di ramen. L'ho fatto questa mattina. Riscaldalo prima di mangiare. A dopo, ti voglio bene!"'

Sorrisi sinceramente.
«Grazie Jimin» sussurrai.
Ero davvero fortunato ad avere un amico come lui.

Sotto direttive di Jimin riscaldai la mia colazione e la mangiai di gusto. Forse non era poi così male il cibo salutare. Il mio migliore amico mi aveva preparato dell'ottima zuppa di pesce e scalogno da leccarsi i baffi! Forse era un po' strano da dire, ma mi mise di buon umore. Come spesso mi avevano spiegato, sono i piccoli gesti a fare la differenza e me ne rendevo conto in quel momento, con i bigliettini di Jimin in mano mentre mi saziavo grazie alla sua magnifica cucina.

Mi spronò persino ad uscire: volevo ricambiare preparandogli il pranzo e avevo intenzione di farne uno con i fiocchi. In verità speravo anche di incontrare Jay... volevo avvertirlo che sarei stato fuori di casa per un po' e che se voleva venire a trovarmi poteva benissimo raggiungermi da Jimin anche se, effettivamente, ero convinto che non sarebbe mai venuto a casa Park.

Il mio migliore amico non gli andava giù, era più che palese. Però avrei anche potuto chiedergli il suo numero di telefono, così almeno potevamo sentirci! Dovevo trovarlo a tutti i costi.
Dopo aver sistemato la stanza in cui avevo dormito ed essermi lavato mi misi in macchina e partii verso il centro di Seoul. Sentivo una certa ansia all'idea di incontrare veramente Jay e mi affrettai allora a raggiungere il negozio alimentari dove lo avevo incontrato per la prima volta.

I primi dieci minuti li passai così, girando intorno nella pazza speranza di vederlo, come se fossimo legati da una specie di filo rosso che, trainato del destino, ci faceva ritrovare negli stessi posti ma non fu così e mi accorsi con troppo rammarico di esserci rimasto male. Feci la spesa in silenzio assoluto, distratto mai miei pensieri che facevano baccano nella mia testa.

Allora pensai bene di tornare al negozio di strumenti. Il proprietario mi riconobbe immediatamente, mi chiese come stessero andando le lezioni di violino e io mentii dicendo che imparare era semplice ma in verità non lo avevo mai sfilato dalla sua custodia, troppo impegnato a stare male per un passato crudele che intaccava sempre di più la mia salute fisica e mentale.

Depresso mi rimisi in macchina; c'erano altri due posti in cui potevo andare a controllare, ovvero la caffetteria dove avevamo fatto colazione insieme e casa mia. Non so perché decisi di lasciare per ultima la mia abitazione, forse volevo che come nei film lui fosse lì, nell'utilmo posto in cui stavo lasciando le mie speranze.

La caffatteria era colma di gente quella mattina, per cui ci volle un'enorme sforzo per cercare Jay in mezzo a tutte quelle persone senza impazzire. Camminai in mezzo ai tavoli, con le mani che tremavano e il sudore che imperlava la mia fronte ma come pensavo lui non era tra quelle figure sconosciute, non era in nessun tavolo a bere la sua cioccolata fondente con la bottiglietta piena di disinfettante vicino.

Sospirai, ormai giù di morale. Avevo un'ultima opzione, ma adesso temevo di restare molto deluso scoprendo che no, Jay non si trovava seduto sugli scalini di casa mia. Tornai indietro allora, bramavo l'aria aperta e meno affollata, ma proprio vicino al bancone pieni di merendine e ciambelle ipercaloriche m'imbattei su una ragazza dal sorriso argentato. I suoi occhi s'iluminarono quando mi riconobbe ma io mi sentii subito a disagio. Ormai avevo capito che a Jieun piacevo, ma non me la sentivo di dover rifiutare i suoi sentimenti né di farle capire che i miei pensieri erano già abitati da qualcuno.

«Buongiorno Taehyung! Quant'è piccolo il mondo? Non facciamo che incontrarci!» Esclamò allegra.

Rimasi un attimo in silenzio. Ci eravamo incontrati solo tre volte, Jay invece sembrava la mia ombra. Quello era destino, me e Jay.

«Buongiorno, Jieun.» Dissi meno allegro, distratto dalla volontà di guidare subito verso casa mia.

«Visto che siamo qui, perché non facciamo colazione insieme? Nel frattempo potremmo parlare un po'! Sai, mi hai davvero sorpreso quando ti ho visto arrivare nel posto in cui lavoro e aver chiesto del dottor Min.»
Feci un sorriso di circostanza.
«A dire il vero ho già mangiato, Jieun. Mi dispiace ma dovremmo fare un'altra volta.»

Volevo congedarmi immediatamente, ma lei riuscì a trovare il modo di trattenermi per ancora altri minuti preziosi.

«Allora potremmo scambiarci i numeri? Che ne dici? Così possiamo organizzarci per fare colazione un altro giorno.»

Le sue guance arrossirono. Avrei volentieri inventato una scusa per non doverle dare il mio contatto, come per esempio dirle di avere il cellulare rotto... ma qualche secondo prima avevo fatto la stupida scelta di prendere il telefono per guardare l'ora e lei se n'era accorta. Fui costretto a dettarle il mio numero e, salutandola velocemente, corsi fuori e mi rimisi in macchina.

Aish, era veramente dura la mia vita.
Mi affrettai quindi ad andare verso il mio appartamento. Il cuore mi martellava in petto per l'ansia di vederlo lì, con l'espressione corrucciata a fissarsi i piedi mentre aspettava il mio ritorno. Avrei accettato anche si arrabbiasse come l'ultima volta per essere rimasto così tanto fuori, l'importante era che fosse a casa mia, che l'avrei visto. E giuro di aver quasi perso il controllo dell'auto mentre la parcheggiavo davanti al garage e correvo disperatamente verso la figura seduta sugli scalini di casa mia, nascosta da un piccolo alberello cresciuto un po' troppo.

E stavo persino per chiamare il suo nome, urlarlo a pieni polmoni e vedere il suo viso illuminarsi come sempre quando eravamo insieme... ma la delusione mi colpì a pieno, costringendomi a fermarmi a metà strada quando due occhi per niente luminosi in confronto a quelli di Jay incontrarono i miei. Non era lui, no. Ho sperato forse un po' troppo e la tristezza mi colpì all'altezza del cuore e mi fece persino mancare le forze.

«Bogum? Che ci fai qui?» Sussurrai, quasi arrabbiato che fosse lì davanti ai miei occhi.

Il ragazzo fece un piccolo sorriso ma io non lo ricambiai e indietreggiai di un passo mentre lui avanzava verso di me. Come faceva a sapere dove abitavo? E perché mai era venuto a cercarmi? Stava già iniziando a scoppiarmi la testa e mi giurai che se avesse solo provato a fare il nome di Jungkook quella volta non mi sarei trattenuto. Avrebbe fatto la stessa fine di quel dannato Daehyun.

«Taehyung! Mi sono preoccupato... È da ieri pomeriggio che passo da casa tua, ma non sei più tornato.»
«Al momento sto da un amico. Ti serviva qualcosa?» Chiesi con freddezza.

Bogum parve smarrirsi nel mio tono gelido di voce e al continuo girare gli occhi da tutte le parti tranne che nei suoi. Non mi andava per niente di discutere con lui né di parlare o avere anche solo un minimo di riappacificazione. Volevo che andasse via, che si portasse la sua antipatica faccia da bullo lontano da me e che mai più si presentasse ai miei occhi.

«Oh! Come mai? Hai dipinto le mura di casa o c'è qualche problema?» Domandò grattandosi la testa nervosamente.

Forse aveva capito il fastidio che mi stava dando la sua presenza in quel momento, me ne accorsi dal suo disagio e il continuio muoversi anche per fare dei stupidi movimenti, come giocare con le mani e spostare il peso da un piede all'altro.

«Sono stato male questa settimana e Jimin non vuole perdermi d'occhio al momento.»
Bogum fece una faccia confusa. Certo, non poteva sapere chi fosse Jimin.
«Jimin?» Domandò fingendosi interessato, cercando in tutti i modi di allungare quanto più possibile quella conversazione.

Nel frattempo mi guardai alle mia spalle un paio di volte mentre parlavo con Bogum. Speravo ancora di vedere arrivare Jay dal vicolo nascosto lì vicino.

«Sì, il mio migliore amico.»
«Capisco. Comunque, che ti succede? Sei stato male per via dell'asma, come quella volta in cui ci siamo visti?»
«Non è importante la mia salute. Chi ti ha detto dove abito? E vuoi dirmi perché sei qui?» Iniziai a scocciarmi sempre di più.
«Credevo abitassi ancora con i tuoi genitori. Ieri sono venuto a trovarti nel nostro vecchio quartiere e tua madre mi ha dato il tuo nuovo indirizzo.»
«Capisco» strinsi i pugni.

Bogum mi grattò a disagio il collo, diventando rosso in più punti. Probabilmente stavo esagerando con lui... Forse mi comportavo così solo perché ero frustrato per aver trovato lui piuttosto di Jay ad aspettarmi.

«L'altra volta sei scappato via senza darmi il tempo nemmeno di salutarti. Mi dispiace se ho fatto riaffiorare, in qualche modo, brutti ricordi. Sono stato uno stupido.»
«Mmh» non trovavo le parole, mi mancava la voglia di spiegarmi e volevo rimettermi in auto e andate a cercare Jay in tutti gli angoli di Seoul.

«Sei ancora arrabbiato per quello che è successo da piccoli con Jungkook, vero?» Il suono di quel nome mi fece scattare sull'attenti.
«Ti prego, non farti uscire quel nome di bocca.» Risposi sprezzante.
«Dai Taehyung, non puoi perdonami? Ero piccolo e stupido. Non direi le stesse cose adesso che sono cresciuto e sono serio!» Esclamò esasperato.

Scossi la testa, non ero in grado di accettare le sue scuse era più forte di me.

«Non posso. Soffro ancora oggi la sua scomparsa e ricordami di quanto tu lo disprezzassi e lo odiassi non mi fa stare tranquillo.»

Bogum fece un altro passo in avanti.
«Ero solo geloso... insomma, è arrivato dopo e ci ha messo meno di un giorno a conquistare la tua amicizia. Noi eravamo migliori amici e quando ti ho visto allontanare per stare insieme a lui mi sono sentito tradito. Ho detto quelle cose senza pensare, ma un bambino di appena otto anni come vuoi che ragioni?»
Parlò tutto di fretta, come se temessi che me ne andassi via senza prima fargli finire il discorso.

«Sto passando un periodo bruttissimo, Bogum. Non sarei in grado di accettare un'altra parola di troppo su Jungkook o scenate di gelosia passata relegate a lui. Lasciami stare per adesso, non possiamo tornare a essere quelli di un tempo in questo momento.»

Stavo per andarmene via, ma Bogum mi raggiunse prima che riuscissi a fare un solo passo e mi afferrò il polso con violenza, costringendomi a dover restare fermo.

«Lasciami» cercai di liberarmi gentilmente della sua presa.
Non mi andava di usare le maniere forti con lui.
«Aspetta solo un attimo, ti prego Taehyung. Non sopporto di doverti trattare da estraneo.»
«Dovrai imparare invece, almeno per adesso» cercai nuovamente di sfilarmi dalla sua presa ma la stretta diventava sempre più violenta.
«Dammi una possibilità, per favore.»
«Mi stai facendo male» sussurrai.
Sembrava non voler fare caso che la mia mano fosse fasciata.
«Ascoltami un attimo, se mi lasci spiegare ti lascerò andare, dammi solo qualche minuto.»
«Lascialo!»
Esclamò una voce bassa e seccata spingendo Bogum così forte da farlo allontanare almeno due metri da me.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro