PROLOGO parte 1
LA NASCITA DEL VARCO:
IL PRIMO VIAGGIO NEL TEMPO
Base scientifica, Pirenei francesi
Confederazione Europea, anno 1927
Il laboratorio era immerso nella penombra. La luce lieve di quella giornata piovosa filtrava dalla lunga finestra sporca e rotta e permetteva di vedere solo le ombre degli spigoli dei tavoli e degli strumenti abbandonati sui banconi da lavoro. Quegli oggetti si ergevano come statue solitarie in ricordo dell'epoca d'oro di quel luogo, ormai abbandonato. La polvere aveva coperto tutto, rendendo opachi i metalli e i pochi vetri rimasti integri. Danzava incessante, smossa da un alito di aria, impalpabile.
Un uomo, solo, si aggirava in silenzio tra quei resti, tra le macerie di quello che un tempo era stato tutto il suo mondo. Aveva un'andatura sicura, ma si muoveva con cautela. Indossava una tuta protettiva, per evitare eventuali radiazioni o sostanze che potevano essere rimaste nell'aria.
Ogni cosa era rimasta come se la ricordava: abbandonata nel caos dell'incidente. Nessuno si era preso la briga di raccogliere il salvabile né di buttare l'inservibile, e quando gli ordini di abbandonare la ricerca erano arrivati dalla Confederazione, chiari e improrogabili, nessuno, nemmeno lui, aveva potuto opporsi. Scienziati, studiosi e studenti avevano dovuto lasciare quella base in silenzio, gravati dal peso dell'insuccesso.
L'uomo per primo era tornato a casa con la consapevolezza che il suo progetto, il suo sogno, non si sarebbe mai realizzato. Era stato lui il capo ricercatore, l'ambizioso ideatore del progetto e il responsabile di quel fallimento, colui che aveva tentato di creare l'impossibile e nel tentativo aveva distrutto tutto.
L'uomo scostò un paio di sgabelli rovesciati e con un piede mosse un po'di detriti e di resti di vetro di boccette e alambicchi. Sospirò raggiungendo il grande cratere che si apriva in mezzo alla sala. L'acqua piatta e immobile l'aveva riempito, scura come petrolio, una trappola che poteva essere mortale per chi non avesse saputo della sua esistenza.
Era stato proprio in quel punto che era avvenuta l'esplosione, lì tutto era finito.
L'uomo evitò la voragine con cura, aggirando un tavolo per raggiungere la finestra. Si fermò per osservare la vista del cielo plumbeo, da temporale. Le nuvole scure e spettatrici erano rimaste incastrate tra le cime dei monti circostanti, sebbene un vento freddo soffiasse tra i boschi e tra le case del paese che si intravedeva poco più in basso.
La base non era altro che un piccolo rifugio isolato, costruito due generazioni prima all'ombra di uno sperone roccioso, in una conca di quella piccola valle francese nascosta e dimenticata. Oramai in pochi si ricordavano ancora della sua esistenza. L'inventore invece, mentre osservava il paesaggio dalla finestra, riviveva attraverso nitidi flashback la vita che aveva condotto lassù: i momenti di stressante lavoro, i tentativi falliti dei vari esperimenti, le discussioni con i colleghi, la gioia per le scoperte e i piccoli successi di quella ricerca che avevano animato giorno dopo giorno la sua illusione.
Tuttavia, ancora non sapeva bene perché fosse tornato lassù. Il suo passato lo perseguitava, e forse era per quello che era di nuovo lì, in cerca di un perché.
L'uomo distolse gli occhi dalle montagne e raccolse una scatola di oggetti dal pavimento. Quando riconobbe il volto nella foto sulla carta dell'etichetta le sue labbra si incresparono in un sorriso amaro; la faccia di uno degli assistenti a cui aveva iniziato ad insegnare la teoria del suo esperimento si distingueva ancora bene. Quel ragazzo non ce l'aveva fatta, colto nel pieno dell'esplosione. Con un gesto brusco, l'uomo posò gli oggetti e tornò ad aggirarsi per la sala, vagando senza un obiettivo preciso. Quasi inconsapevolmente cominciò a riordinare ciò che trovava sul suo cammino. Il tempo smise di scorrere, e minuto dopo minuto, ora dopo ora, l'inventore, insieme agli oggetti che si trovava tra le mani, riordinò anche i ricordi. Continuò anche quando si rese conto che il cielo era ormai buio, come se una goccia d'inchiostro nero avesse tinto il soffitto del mondo. Con l'aiuto di una torcia continuò nella sua esplorazione, fino a quando finalmente non posò le mani su una vecchia valigetta di metallo, nascosta in una frattura del muro, annerita e rovinata, ma ai suoi occhi perfettamente riconoscibile.
Con mani tremanti fece scattare la serratura e aprì quel piccolo scrigno. Al suo interno era ancora contenuto il suo progetto, intatto. Non avrebbe mai pensato di ritrovare le sue carte, mai avrebbe creduto che la Confederazione avrebbe rischiato di lasciare documenti simili alla portata di chiunque. Dopotutto si era trattato di un progetto di rilevanza strategica non indifferente...
Senza farsi ulteriori domande, ma con l'urgenza di verificare i contenuti della valigetta, l'uomo inforcò gli occhiali e rilesse con commozione le prime pagine della presentazione del progetto. Con la stessa commozione di un padre che osserva le foto di un figlio lontano, l'inventore ricontrollò il disegno della sua più grande ambizione: la macchina del tempo. Apprezzando le formule che riempivano ogni spazio bianco si chiese se ritentare da capo sarebbe stata una pazzia. Forse, chiedendo alle persone giuste, l'avrebbero sostenuto. Forse era per quello che era tornato lassù, era pronto per ricominciare.
Si alzò in preda a una frenesia che da tempo gli era sconosciuta. Animato da un sentimento che poteva essere quasi speranza. Nella sua valigetta aveva ritrovato un motivo per andare avanti. Fuori dalla finestra ormai il buio era quasi totale. L'uomo cercò a tentoni di raggiungere l'uscita, il piccolo facio di luce della pila ormai estinto. In un attimo, il terreno gli mancò sotto i piedi e si sentì cadere. Sotto di lui, non il terreno duro, ma l'acqua gelida del piccolo cratere si aprì come le fauci di una belva, profonda più di quanto si ricordasse. La sua attrezzatura pesante e la sorpresa gli impedirono di reagire con prontezza. Affondò velocemente, trascinato dal peso della tuta, e si rese conto con orrore di non riuscire a toccare il fondo con i piedi. Scivolò velocemente nel panico, nuotando freneticamente nel buio, senza riuscire a trovare la superficie. Il sopra e il sotto confusi. Chiuse gli occhi e quando li riaprì fu in grado di trovare una fievole luce, che infine lo guidò verso l'alto. L'equipaggiamento ormai era pesantissimo ma, con alcune estenuanti bracciate riuscì, a rompere il tetto d'acqua che lo sovrastava. Si arrampicò lungo la riva della buca esausto e cercò di riprendere fiato e di calmarsi. Tenne gli occhi chiusi fino a quando non sentì il fiato di nuovo regolare.
Realizzò lentamente che dietro le palpebre la luce si era fatta molto più intensa di poco prima, come se fosse tornato il sole, e se ne stupì, ma rimase davvero sconvolto solo quando si guardò di nuovo intorno. Rimase a bocca spalancata, incredulo di fronte alla vista mozzafiato e terribile che gli si presentò di fronte: il laboratorio non c'era più, la buca era un lago e lui era sdraiato su una riva di erba.
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