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Capitolo 4 (parte 2)

LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA

Pigneridel

Confederazione europea, Anno 2027

Catherine aveva salutato Ambra e Stephen alla fine delle lezioni quella mattina e stava per chiamare sua nonna che venisse a prenderla, ma Alyssa, una delle ragazze più influenti della scuola, l'aveva invitata a pranzo.

Con un sorriso affabile l'aveva fermata sulla soglia dell'aula prima di uscire. L'aveva sorpresa, perché nonostante fossero in classe assieme aveva sempre ignorato tutti, specialmente lei e Ambra. Tuttavia aveva accettato. Il motivo? Era consapevole che i suoi genitori e quelli di Alyssa erano amici e voleva evitare che venissero a sapere che aveva mancato di rispetto a una delle importanti famiglie di Pigneridel rifiutando un invito diretto.

Tuttavia seguendo la figura sinuosa di Alyssa, cominciò a pensare che forse era stata una cattiva idea.

Raggiunse la macchina indecisa, sospirò e cercò di non preoccuparsi. Non poteva negare la curiosità che l'aveva spinta ad accettare l'invito.

- Papà ci aspetta già in macchina, sali pure - le disse Alyssa guidandola verso il sedile posteriore della macchina di un brillante grigio metallizzato.
Un uomo distinto che le ricordò suo padre era alla guida. Non aveva avuto modo di vedere spesso di persona i genitori di Alyssa. In rare occasioni, più facilmente in estate, era capitato che si incontrassero per una cena quando i suoi venivano a trovarla. Ma erano eventi cui partecipava mal volentieri e che dimenticava facilmente.

Non aveva mai conosciuto veramente i genitori dei suoi compagni, se non quelli di Ambra e Stephen. Gli altri la mettevano a disagio. 

Quando la portiera si chiuse, l'ansia le impose il silenzio e non riuscì a presentarsi con il suo solito entusiasmo come aveva pensato di fare.

- Ciao Alyssa, ciao anche a te Catherine! Quanto tempo- disse l'uomo togliendosi gli occhiali da sole e sfoderando un sottile sorriso. I tratti erano gli stessi affilati della figlia, il naso era leggermente arcuato e gli occhi accennavano qualche contorno di rughe. Ma l'aria che ispirava era di gioviale simpatia, al contrario di Alyssa.

Catherine cercò di rilassarsi. Gli rivolse un sorriso e l'uomo le ripose amichevole.

- Non abbiamo mai parlato spesso, non so se ti ricordi il mio nome. Sono Louis, dammi pure del tu- rispose mentre Alyssa lo affiancava sul sedile del passeggero.

- Possiamo andare, papà- gli fece notare Alyssa. Louis rise e avviò la macchina, lasciando velocemente la scuola alle loro spalle.

Quando finalmente la macchina si fermò, Catherine prese un profondo respiro. La macchina era parcheggiata lungo il vialetto d'accesso di una villetta curata e colorata. La casa della famiglia non era grande come la sua, ma la ricchezza nella cura dei dettagli e delle decorazioni del giardino smentiva qualunque dubbio.

- Che bella casa- commentò osservando le numerose finestre, il terrazzo, il giardino. Louis sorrise orgoglioso e le mostrò i punti forti della proprietà. Alyssa li seguì in silenzio.

- Vedi, solo l'anno scorso abbiamo rifatto questa parte del giardino per mia moglie, ma se tutto va bene questa primavera avrò una promozione e potremo spostarci a Tyrus. Abbiamo parlato di recente con i tuoi genitori per scegliere un quartiere adatto. Sono stati davvero disponibili, ringraziali di nuovo quando li vedi - disse contento.

Catherine sorrise felice per Alyssa, che forse avrebbe realizzato il suo sogno di vivere in una metropoli, e si complimentò con il padrone di casa, facendo le cerimonie necessarie di fronte a quella benevola ospitalità. Ma non riuscì a respingere l'amaro di fronte alla menzione dei suoi genitori. Erano settimane che non si facevano sentire ed ignoravano le sue chiamate. Altro che disponibili... pensò, sprofondando nel cattivo umore.

- Papà, andiamo a mangiare?- chiese Alyssa spuntando con un sorriso tirato. Catherine ringraziò il cielo per quel cambio di argomento e sorrise. 

- Scusa mio padre, è leggermente logorroico- disse la ragazza facendo svolazzare i capelli mentre si dirigevano verso l'ingresso. 

- Figurati, mi è sembrato simpatico...- le rispose, persa con lo sguardo nello studio degli interni, tirando fuori il suo sorriso di facciata.

- Vieni, mia madre ci aspetta- disse Alyssa guidandola verso la sala da pranzo. Alla tavola imbandita, a rigore di galateo, era già seduta una donna, uguale in tutto e per tutto alla figlia. Uno sguardo affilato e arcigno si posò su di loro.

- Buongiorno- disse la donna con un mezzo sorriso. Caterine ebbe la spiacevole sensazione di essere in trappola, un bersaglio per un lanciatore di coltelli così esperto da conoscere il modo migliore per spaventarti a morte ad ogni tiro. Sospirò e accennò un sorriso di risposta.

- Buongiorno, grazie mille per l'ospitalità- disse sedendosi dove le venne indicato. Alyssa nel frattempo salutò sua madre con un bacio, ricevendone in cambio uno con schiocco.

- Ciao tesorino, com'è andata oggi a scuola? Oggi pomeriggio esci?- domandò la donna con lo sguardo apprensivo di una madre troppo protettiva. Alyssa si sedette e alzò gli occhi al cielo per rispondere.

- Mamma, la scuola di qui mi fa schifo, quando potrò trasferirmi in città? Oggi ho di nuovo dovuto chiarire la mia posizione e mi sto stufando della gente che crede ancora che non siamo superiori- disse con tranquillità come se quella fosse una conversazione di routine. Catherine rimase basita ma non lo diede a vedere, si preparò a mangiare e giocherellò con il tovagliolo nervosa. Quella situazione non le andava per niente a genio.

- Mi spiace cuoricino... vedremo con tuo padre di accelerare i tempi, ma ora che hai iniziato l'anno qui dovrai finirlo. L'anno prossimo saremo tutti in un ambiente più consono alla nostra condizione elevata e finalmente anche tu avrai compagni degni di te. Proprio come la nostra Catherine - disse la donna con lo stesso tono della figlia, poi si girò verso di lei. Catherine non era riuscita a registrare il significato delle ultime frasi.

- Io? - chiese retorica. Come se lei avesse mai avuto pretese di superiorità... Ma madre e figlia la guardarono sorridenti.

- Tu, Catherine, e i tuoi genitori avete un rapporto stretto con la metropoli. I tuoi genitori sono membri importanti del governo e hanno molti contatti con la Capitale. Che ne pensi? Sei molto fortunata, dovresti stare con mia figlia più spesso. Eppure è la prima volta che ti vedo qui- le si rivolse con un sorriso rinnovato e più aperto. Catherine rimase immobile ed in silenzio, cercando di evitare quella conversazione decisamente fuori dal limite da lei accettabile e scosse la testa.

- Io e i miei genitori non abbiamo un buon rapporto. Forse non l'avrete notato durante i pochi incontri in passato, ma in realtà sono cresciuta con mia nonna- rispose sinceramente e la donna si ritirò un po' tornando a concentrarsi su Alyssa. Catherine rimpianse di non essere andata con Ambra e attese con ansia l'arrivo di Louis, che logorroico o meno, se non altro parlava solo di fiori e design.

- Tuo padre Aly, quando arriva?- chiese quando il primo venne servito in tavola dalla domestica. Alyssa la guardò stupita come se avesse fatto una domanda assurda.

- Mio padre non c'è, doveva andare a lavoro, ci ha solo fatto da autista- rispose semplicemente senza emozione. Catherine si arrese e si abbandonò alla sedia, sperando che le lancette dell'orologio diventassero più veloci e facessero arrivare prima l'ora di andare.

∽∽∽

L'incontro con il nuovo compagno era fissato per le due e questo significava un'attesa abbastanza lunga per annoiarsi, ma troppo breve per tornare a casa a mangiare.

Ambra passeggiò per le vie della cittadina, per un po' senza meta, godendosi la luce del sole a cui andava incontro. Infine imboccò la familiare via secondaria che aveva percorso anche nei giorni precedenti e in pochi minuti raggiunse la biblioteca.

La piccola piazzetta circondata da alberi spogli e tristi la accolse con la sua pacata familiarità. In centro una piccola fontana rotonda dove la gente spesso, prima della crisi, aveva gettato delle monetine era già stata spenta in vista dell'inverno. Fino a primavera sarebbe rimasta secca per non far gelare i tubi dell'impianto idraulico. Dava una certa malinconia vederla così, vuota.

Ci saltò dentro sorridendo, ma sentendosi una bambina piccola decise che era meglio non indugiare troppo e saltò di nuovo fuori, dirigendosi finalmente verso l'ingresso spalancato della biblioteca. 

Appena entrata, salutò calorosamente la bibliotecaria e si diresse subito verso la sezione dei libri storici. Lì si fermò a scorrere i titoli dei vari romanzi e saggi sul medioevo, cercando quelli concentrati sul 1400. La sua lettura di "Memorie" era in sospeso e avrebbe rinviato anche per quel giorno. Voleva prima studiare meglio la storia del periodo per poter dare al diario un contesto. Tuttavia, abbandonò presto il suo obiettivo perdendosi nella lettura di un libro sui costumi dei cavalieri.

Sfilò il libro dallo scaffale e andò a sedersi nel suo angolo: una vecchia poltrona dura e mezza sfondata, ma ancora utilizzabile, al secondo piano, vicino alla finestra che dava sulla piazzetta. Sistemò il cuscino, affondò nella poltrona. Mise la sveglia sul telefono per ricordarsi di uscire e poi tutte le sue attenzioni furono nuovamente rivolte al libro. Una pagina dopo l'altra, attese che venisse l'ora di andare a conoscere il loro nuovo compagno.

∽∽∽

Rowan si guardò un attimo allo specchio. Non era una cosa che faceva spesso ed era ancora molto strano per lui vedersi così chiaramente su un'altra superficie.

Era vestito con gli abiti della moda di quel luogo che Libeth aveva insistito a comprare non appena arrivati. Si sentiva vagamente inadatto in quei pantaloni così rigidi e scomodi e con quella maglietta corta e attillata. Dall'altra parte però, riconobbe con orgoglio che il nero gli stava sempre a meraviglia. Si intonava perfettamente ai suoi capelli mossi e corvini e spesso anche al suo umore. Nei viaggi precedenti aveva già imparato a sue spese che per integrarsi in quel mondo, in qualunque parte fosse arrivato, la prima impressione esteriore era quella fondamentale.

Sicuro di sé si infilò le scarpe per uscire e prese quel fastidioso aggeggio chiamato telefono che gli aveva affibbiato la Viaggiatrice nel caso avesse dovuto contattarlo.

Doveva ammettere di non essersi ancora abituato alle stranezze di quel mondo, che permettevano di comunicare solo scrivendo, oppure di parlare anche da grandi distanze. Riteneva quelle innovazioni decisamente utili, certo, e aveva osservato che nell'Oltre era molto più facile dire quello che si pensa, e senza dubbio era in linea di massima una cosa positiva. Ma questo spesso aveva significato che molte delle nuove reclute, una volta superato il Varco, non sapessero cosa dire, quanto dire, e sopratutto, quando stare zitti. Era una cosa che lo irritava oltremodo.

Ma la realtà era che giunti nel passato, a forza di errori, anche i più superficiali e distratti, se volevano sopravvivere, imparavano a sapere come parlare e quando stare zitti. Sorrise ironico pensando a quali reazioni avrebbero potuto avere alcuni dei ragazzini che aveva incontrato nelle varie città, se solo avessero saputo che una guerra stava per abbattersi su di loro.

Scosse la testa per concentrarsi.

Stava per conoscere alcune delle persone con cui avrebbe dovuto vivere i mesi successivi, non doveva partire prevenuto. Sapeva quanto i pregiudizi offuscassero la lucidità di pensiero. Prima di determinare un verdetto sui giovani del futuro avrebbe dovuto conoscerli, e ad essere sincero, a Pigneridel l'avevano stupito. Si erano fatti avanti loro per primi, appena si era iscritto a scuola, quella che si era presentata come la rappresentante di classe aveva organizzato un'uscita pomeridiana per conoscersi. Era stato un gesto cortese invitarlo, lo aveva apprezzato molto, e soprattutto gli avrebbe facilitato le cose. Ora restava da vedere con che gruppo di studenti sarebbe finito, e tra chi avrebbe dovuto scegliere le nuove reclute per suo padre. Era sicuro che sarebbe stato difficile, ma non sarebbe mai partito scoraggiato in partenza. Sapeva fin troppo bene che una qualunque battaglia, con gli strumenti giusti, si può vincere se si vuole vincere, che sia essa una battaglia sul campo o a tavolino.

Uscì con passo deciso dalla casetta che avevano trovato in affitto nel centro storico e si avviò per le stradine della cittadina, trovandole familiari. Quello stile medievale gli era molto più consono rispetto a quello delle altre città in cui aveva vissuto. Le vie acciottolate erano così tranquille e silenziose che ebbero il potere di rilassarlo quasi subito. Il sole autunnale inondava Pigneridel scaldando l'aria che era ormai fredda e lui si godeva sulla propria pelle il beneficio dei raggi.

Raggiunse i portici e si incamminò verso la stazione, là dove era il ritrovo. Mentre camminava notò una piccola sagoma infagottata che fissava la vetrina di una pasticceria; aveva avuto modo di conoscere quel negozio perché ci era stato nei giorni precedenti per comprare la colazione a Libeth. Non seppe perché quella figura, nascosta da una giacca enorme e una sciarpa, lo avesse tanto incuriosito, aveva semplicemente attirato il suo sguardo. Rallentò fino a fermarsi. Incuriosito.

La figura non diede segno di voler entrare e la cosa lo sorprese, data l'attenzione con cui stava studiando il contenuto della vetrina, e per qualche motivo l'immagine gli ricordò il cucciolo di cane da pastore che un suo amico contadino aveva portato un giorno alla Conca. Il piccolo aveva fissato per ore il branco di cavalli raggruppati nel recinto, gli occhi ardenti del desiderio di balzare oltre la staccionata e correre dietro alla mandria. 

Al ricordo scosse la testa e sospirò. Non era quello il tempo di perdersi nel passato. Finalmente distolse lo sguardo, puntando alla sua meta. Tirò dritto a testa alta, superando la pasticceria. Nel passare, gettò un'ultima occhiata alla palla di giacca e sciarpa accovacciata a terra. Colse solo l'ombra del suo viso. Una ragazza. Non ebbe modo di vedere altro.

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