Capitolo 11 (parte 2)
PARTENZE
Pigneridel
Confederazione europea, anno 2027
Rowan sospirò uscendo da scuola con lo zaino mezzo vuoto lasciato cadere su una spalla e la felpa aperta per accogliere quanta più aria fresca possibile. Le vacanze di Natale erano iniziate.
Si voltò a osservare quasi con malinconia le mura solide della scuola che per tre mesi l'aveva ospitato come uno studente dell'Oltre. Anche quella parte della missione era ufficialmente conclusa. Ora sarebbe arrivata la parte difficile.
Aveva salutato tutti i suoi compagni di classe e aveva scambiato sguardi d'intesa freddi e distaccati con i ragazzi che di lì a poco sarebbero partiti con lui e Libeth. Stephen era stato particolarmente tagliente con le sue occhiate che l'avevano tormentato tutto il giorno. Non era abituato a sentirsi osservato costantemente in quel modo. Di solito capitava in battaglia, durava il tempo di un attimo, prima dello scontro; era il momento in cui i due avversari si fronteggiano. Non aveva fatto in tempo a salutare Catherine che era scappata con gli occhi rossi di pianto quasi subito. Nemmeno Ambra aveva salutato, ma quello era stato voluto. Non sapeva per quale strano motivo si sentisse così attaccato a quella ragazza. Salutarla avrebbe causato il crollo di numerosi muri emotivi che si era costruito durante le missioni precedenti. Non affezionarsi, era stata la prima regola che Libeth gli aveva insegnato. Aveva resistito fino a quel momento, sarebbe andato fino in fondo. Si permise però di guardarsi intorno. Pigneridel in inverno era magica...
Si fermò ad osservare le strade, i tetti, i balconi e i giardini immersi nella neve candida e fresca che nelle notti precedenti era caduta. Non aveva mai apprezzato la neve, non aveva mai avuto molte occasioni per godersi quello spettacolo fulgido.
Il suo spirito pratico gli suggerì che le condizioni meteorologiche avrebbero reso il loro viaggio verso il Varco più difficile del previsto e si chiese per quale motivo non fossero partiti in estate come ogni volta.
Soffiò una nuvola di fiato e sorrise leggermente vedendola scomparire. Si bloccò in mezzo alla strada non appena i suoi occhi si posarono su una distinta figura infagottata, avvolta in una sciarpona colorata.
Ambra era seduta su una panchina, immobile e fissava una macchinona bianca che si allontanava a gran velocità dal parcheggio della piazza. Capì che sull'auto doveva esserci Catherine e che Ambra l'aveva appena salutata. Anche lui era stato informato del trasferimento della ragazza e continuava a stupirsi di una scelta così improvvisa e radicale.
In realtà probabilmente capiva quella situazione meglio di chiunque altro. Era pur sempre il Figlio del Tempo, pronto ad eseguire gli ordini, pensò sarcastico.
Tentennò un po' nel punto in cui si trovava, incerto se fermarsi alla panchina o semplicemente girarle attorno e tirare dritto. Si avvicinò lentamente studiando Ambra con attenzione scrupolosa. Non era certamente nelle condizioni migliori; gli occhi lucidi ne erano un segno evidente. Tuttavia il pugno chiuso e la mascella serrata erano indizi validi ad indicare quanto stesse lottando contro l'onda di sentimenti che stava affrontando. La ammirò per quella forza, sorprendendosi nel realizzare che, nonostante avesse passato i tre mesi peggiori della sua vita grazie a lui, non era ancora crollata. Desiderò di potersi fermare a parlare con lei, a confortarla, per rimediare almeno in parte alle sofferenze che le aveva causato, ma decise che sarebbe stato meglio evitarla.
Dalla sera in cui il cacciatore era stato ucciso, non si erano più parlati, e continuare in quel modo avrebbe giovato ad entrambi. Attraversò la strada e superò la panchina senza guardarsi indietro.
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Libeth si piazzò in mezzo al piccolo gruppo di ragazzi radunato nel salotto della piccola casa del centro storico. Erano una trentina di giovani, dai diciotto ai vent'anni, tutti un po' particolari. Chi lo era di meno, lo era comunque a sufficienza per poter accettare l'esistenza di un mondo passato, parallelo, in guerra, e decidere di combattere in quel mondo. La Viaggiatrice era abbastanza felice del risultato, e scorreva gli occhi da un viso all'altro sondando le nuove reclute.
Il momento della partenza era finalmente arrivato. Finalmente, avrebbe raggiunto il suo generale con un po' di rinforzi. Quei giovani erano la loro speranza di riuscire a riconquistare la libertà quasi perduta della Francia medievale. Sembravano tutti pronti, tranne il ragazzino dai capelli rossi, lui sembrava piuttosto terrorizzato.
Rowan le aveva parlato di lui e per circostanze sfavorevoli avevano avuto modo di conoscersi bene, sapeva che nonostante il tremito alle ginocchia quel ragazzo aveva coraggio e forza da vendere. Gli sorrise incoraggiante e quello che ricevette in cambio fu un sospiro nervoso.
Si accomodó sulla sua poltrona e parlò.
- Reclute, il mio nome è Libeth e sono una Viaggiatrice, questo lo sapete. Sapete anche che cosa io ci faccia qui, ma non sapete che cosa vi attende. Avete scelto una strada dura e faticosa, noi vi insegneremo a percorrerla...- si interruppe un secondo.
- Non sono brava con i discorsi, per questo dovrebbe esserci Travis, ma al momento è occupato con delle campagne elettorali...- sospirò parlando quasi a se stessa.
- Quindi non mi perderò in chiacchiere. Vi do solo le coordinate per la partenza. Domani all'alba si parte. Portatevi uno zaino leggero ma venite ben equipaggiati per camminare in montagna. Provviste per una settimana: roba nutriente, piccola e leggera, arrangiatevi voi- comunicò in fretta, a mo' di lista della spesa.
- Dovrete rivolgervi a me come Comandante o Viaggiatrice, esigo rispetto e obbedienza. La disciplina è ciò che in battaglia vi salverà- concluse con un tono autoritario che non ammetteva repliche.
- Tutto chiaro? - esclamò un secondo dopo saltando in piedi sorridendo allegra. Tutti annuirono senza proferire parola e lentamente se ne andarono. Rowan rimase di fianco a lei come presenza silenziosa, ma anche rassicurante. Libeth stava aspettando che tutti se ne andassero per poter finalmente andare a dormire, ma Stephen non sembrava aver intenzione di andarsene. Rimase per ultimo.
- Che cosa c'è ragazzo? - gli chiese stancamente la Viaggiatrice. Lui si alzò e osservò sia lei sia Rowan con occhi intelligenti.
- Se io parto con voi... la mia famiglia sarà al sicuro? -chiese con un tono duro che esigeva una risposta. Libeth sospirò comprendendo i suoi sospetti e in parte condividendoli.
- Hai paura che altri assassini come il cacciatore possano fare del male ai tuoi cari? - specificò comprensiva.
- Non temere, sono molti anni che recluto gente dell'Oltre, nessuno ne ha mai risentito. La guerra è circoscritta al nostro mondo, alla nostra epoca- lo rassicurò, omettendo il fatto che il Varco fosse stato violato non solo dal mercenario assassino che lei è Travis avevano eliminato. Sorrise al giovane e lo invitò con una mano ad uscire.
- A domani, sii puntuale- si raccomandò per finire. Stephen fece il tipico saluto militare in modo appena accennato e lanciando occhiate distaccate ad entrambi se ne andò.
- A domani. Viaggiatrice, Rowan...- salutò prima di scomparire oltre la porta. Libeth sospirò di sollievo e sbuffò per la fatica.
- Finalmente... Rowan, ce l'abbiamo fatta- si rallegró più con sé stessa che con il giovane.
- Adoro il mio lavoro, ma a volte è davvero faticoso- disse. Si voltò con un sorriso divertito allegra ed eccitata verso il suo allievo.
- Non trovi che Stephen abbia dei capelli davvero interessanti?- esclamò scoppiando a ridere quando Rowan scosse la testa esasperato.
∽∽∽
Stephen non salutò né suo padre né sua madre, né suo fratello.
Arrivò a casa e si preparò lo zaino con una freddezza che gli era quasi sconosciuta. Calcolò con attenzione ed efficienza le quantità di viveri e di acqua da trasportare, pensò alla notte e al primo soccorso. Fortunatamente aveva fatto il corso di pronto soccorso che la scuola aveva offerto nel periodo in cui la crisi stava passando, quando non c'erano strutture mediche a sufficienza per poter coprire tutto il territorio. Sospirò ricordando le scenette divertenti che si era inventato in quell'occasione; aveva fatto ridere anche i professori. Sembrava che fossero passati secoli, ma in realtà, solo da tre mesi le loro vite erano state stravolte.
Chiuse lo zaino, sufficientemente pieno senza essere troppo pesante, e soddisfatto si accasciò sul letto. La sua camera vista nella penombra non gli era molto familiare. Non stava mai in quella stanzetta disordinata se non per dormire. Sorrise scrutando con occhio critico i mucchi stropicciati di vestiti e le torri di cd musicali. Si allungò per prendere la radio e poi scelse un disco a caso, sfilandolo abilmente dalla pila. Se davvero il giorno dopo avesse viaggiato attraverso dimensioni spazio-temporali, non avrebbe più potuto ascoltare la musica per rilassarsi come si stava preparando a fare in quel momento; doveva sfruttare quei minuti preziosi per godersi tutto ciò che non avrebbe più avuto.
Chiuse gli occhi mentre ascoltava pezzi risalenti a quattro o cinque anni prima di una band metal. Di solito quel genere serviva a caricarlo, ma forse quella sera era troppo scombussolato per abbandonarsi al ritmo della musica senza pensieri. Lasciò che lo stereo facesse il suo lavoro e con un sorriso si godette il ritornello. La canzone successiva gli rovinò l'atmosfera e l'umore, perché era quella che lui, Catherine e Ambra ascoltavano sempre insieme. Spense di scatto la radio e si coprì la faccia con un braccio. In che pazzia era andato a cacciarsi? Non si sentiva del tutto sano di mente e non riusciva a spiegarsi per quale assurdo motivo avesse accettato di partire. Avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, denunciare tutto ai Falchi Neri, ma non l'aveva fatto, e nemmeno gli altri ragazzi che sarebbero andati con lui. Anche loro non sembravano del tutto normali. Alcuni li conosceva di vista, outsider, gente di strada e un ragazzo maggiorenne che aveva passato l'adolescenza in un istituto. In fin dei conti, loro, a ben pensarci, forse avevano alcuni buoni motivi per lasciarsi tutto alle spalle, ma lui? Che cosa lo spingeva? Aveva amici e aveva Ambra, aveva una famiglia, una madre dolce e comprensiva, un fratello che era pronto alle scarrozzarlo in giro quasi sempre ed era un ottimo consigliere e confidente e aveva un padre, il cui unico difetto era l'essere un amante dell'alcol, una crepa nel suo quadro famigliare altrimenti perfetto. Non avevano problemi economici, andava a scuola, di mala voglia certo, ma se la cavava sempre. Non aveva prospettive per il futuro, ma di quei tempi, chi le aveva?
Sospirò esasperato e stanco. Era inutile continuare a scervellarsi, ormai aveva fatto la sua scelta. Mise la sveglia sul telefono e lo abbandonò sul comodino, si preparò per la notte e si infilò sotto le coperte. Avrebbe dovuto dormire per essere pronto ad affrontare il giorno successivo, ma l'ansia e la paura non gli fecero chiudere occhio che per poche ore. Quando il sole sorse all'orizzonte lo colse già sveglio, non pronto, ma preparato per uscire. Era fermo alla finestra a fissare il cielo mentre si schiariva, in attesa di conoscere il suo destino, per quel momento ancora ignoto.
∽∽∽
Tayrus comparve all'orizzonte prima come una striscia scura sulla pianura, poi come un dentellato skyline di grattacieli, infine come la caotica metropoli che era.
Catherine non disse nè chiese nulla, nemmeno quando vide il posto di blocco dei Falchi Neri e il muro di cemento armato alto venti metri che circondava buonaparte del perimetro visibile. La macchina passò ai controlli senza fermarsi quando una telecamera automatica la riconobbe.
Il traffico non era così intenso come si era aspettata ma c'erano molte più macchine di quelle che era abituata a vedere a Pigneridel. Le prime strade che attraversavano erano costeggiate da edifici di otto o dieci piani, spogli, grigi, tristi. Non c'erano piante, non c'erano colori, non c'era nulla su cui poggiare gli occhi se non le persone. Le persone erano tantissime: camminavano ai lati della strada in fretta, ma sembravano sempre in coda, sempre ferme. Avevano le espressioni più diverse, vide gente sorridente e gente scura in volto, vide gente di altre etnie dai lineamenti strani o affascinanti. Tutti avevano in comune una sola cosa: l'urgenza.
Si chiese rapita quanti di loro fossero ricchi o poveri, si chiese chi fosse studente o lavoratore. Riconobbe molti come operai: erano tutti in divisa. Realizzò che tra quelli avrebbe potuto esserci il papà di Ambra e la mamma di Stephen. Sospirò fissando quelle immagini scorrere senza notare le pause ai semafori e i colpi di clacson, sorda a tutto, anche ai discorsi al telefono dei suoi genitori. Non avrebbe saputo dire quanto tempo passò da un muro all'altro, ma si accorse di un nuovo posto di blocco e del cambiamento del paesaggio circostante.
La metropoli nella parte centrale era un tripudio di monumenti, statue, parchi, aiuole, negozi e locali, luci e insegne. I palazzi alti, che avevano limitato la luce del sole fino a quel momento, erano diventati grattacieli altissimi, che coprivano il cielo e oscuravano le strade. La luce artificiale rendeva tutto un palcoscenico in cui i personaggi stravaganti sfoggiavano la loro fantasiosa creatività. La ricchezza del luogo era palpabile ma le lasciò il senso di falsa illusione che nessuno avrebbe corrotto. Sapeva di essere appena entrata in una bolla.
Non si era mai spinta così in centro e si chiese nervosamente dove i suoi genitori avessero deciso di comprare una casa. Forse avrebbe dovuto vivere in uno di quei quartieri disordinati e l'idea la lasciò sconcertata e preoccupata. Non sperava più in un miglioramento ormai, sperava nel meno peggio.
Oscurò il finestrino per il resto del viaggio e si abbandonò al sedile sonnecchiando. Avvertì appena quando la macchina si fermò e sospirò.
- Siamo arrivati tesoro- l'avvisò suo padre dal posto di guida. Si tirò su con la forza della disperazione e aprì la portiera. La luce del sole la accecò per un istante e poi le permise di nuovo di vedere. Spalancò la bocca sorpresa del nuovo panorama.
- Ma come...?- sussurrò guardandosi intorno stupita. Era certa che avessero passato un altro muro ed era certa di essere in alto, in cima ad un grattacielo.
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