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CAPITOLO 15

IL MONDO OLTRE I MONTI

Conca, 1428

- Affondo. Bene. Ora un fendente dall'alto e un tondo. Così! Perfetto. Ottimo lavoro. State migliorando a vista d'occhio Ambra. Complimenti! -. Ambra non lo ascoltava neanche. Sorrideva al suo tutore senza provare nei suoi confronti alcuna simpatia. Non le piaceva: i suoi modi intransigenti, benché necessari, la frustravano e le facevano spesso e volentieri venir voglia di usare lui come bersaglio.

Era consapevole che il nobile Baldwin lo stesse facendo per renderla più forte e insegnarle in fretta. Sicuramente doveva riconoscere che sotto la sua supervisione era migliorata molto e il suo fisico si era fatto sempre più asciutto e muscoloso: un fascio di muscoli pronti a scattare alla minima sollecitazione. Stava rapidamente diventando un soldato, e anche la sua mente si era fatta meno passiva, più astuta ed aggressiva. Si concentrava solo sugli allenamenti: a volte si esercitava da sola nelle piccole radure della Conca, altre volte coinvolgeva le reclute che per caso si trovavano sul campo di addestramento.

Il freddo inverno aveva temprato la sua resistenza insieme allo sforzo fisico, che in alcune giornate era stato necessario per non farla morire congelata. Capodanno era passato senza che quasi se ne accorgesse, niente feste o fuochi d'artificio, solo spade e cavalli. Era ormai passato così tanto tempo da quando era arrivata alla Conca che la sua esistenza nell'Oltre sembrava il ricordo di un'altra vita. Il guscio solido che aveva costruito in quelle settimane aveva coperto la sua personalità innocente ed ingenua, lasciandola fredda e distaccata da ciò che la circondava. Solo Martha ogni tanto le strappava a malapena un mezzo sorriso. I frettolosi incontri con Rowan per fare rapporto erano rimasti il mero rapporto tra superiore e subordinato, certamente per grande sollievo del Generale. Stephen non era mai comparso, così si era convinta che non fosse più in quel campo. Aveva deciso di rinviare le ipotesi più macabre che le erano inevitabilmente venute in mente. Si era concentrata sulla sua sopravvivenza e sul suo ruolo. Non c'era stato spazio per nient'altro e comunque non se lo sarebbe concessa.

In quel momento, Ambra era ancora tesa come una corda di violino e stringeva la spada da allenamento, aspettando le indicazioni del suo tutore. Non aveva abbassato la guardia, conscia che potesse trattarsi di una finta e che da un momento all'altro il cavaliere avrebbe potuto balzare di nuovo all'attacco. L'aveva imparato a sue spese. Tuttavia, il giovane Cavaliere la guardò soddisfatto e decise di non attaccare, rinfoderó la spada e sorrise.

– Molto bene, mademoiselle, per oggi può bastare -.

Ambra sentì il suo corpo carico come una molla scioglieri quasi di colpo. Era così stanca che le gambe e le braccia le tremavano leggermente. Non si era nemmeno accorta dello scorrere del tempo e ora l'allenamento di spada era finito. Aveva il fiatone e la fronte imperlata di sudore; aveva anche molto caldo e la tunica di canapa le si era appiccicata alla schiena e la pungeva. Si asciugò la fronte con una manica e sospirò. Si era già il tramonto e benché le giornate avessero iniziato finalmente ad allungarsi, la penombra aveva già raggiunto i piedi del ghiacciaio. Il pomeriggio era passato in fretta ed era ora della lezione di lingua francese. Infatti, tra le altre cose che doveva imparare, in quanto Stella, erano i precisi usi e costumi dei nobili  dell'epoca, e doveva essere in grado di mimetizzarsi alla perfezione tra la gente del passato, di comunicare con chiunque avesse incontrato senza destare sospetti per il suo accento particolare. Il Generale De Khronnes voleva essere pronto ad ogni evenienza e sapeva che prima o poi Ambra avrebbe dovuto incontrare nobili e re fuori dal riparo delle montagne. Il suo ruolo di stella l'avrebbe resa speranza e simbolo e doveva essere all'altezza di tale aspettativa.

Ambra si avviò verso la torre di pietra in centro alla radura. Aveva voglia di lavarsi, e si rammaricò per l'ennesima volta che nel medioevo le docce non esistessero. Recuperò un secchio di acqua tiepida e si recò nell'ormai familiare sala da bagno per le reclute. Lì si lavó via la fatica della giornata, accarezzando delicatamente i lividi di ogni sfumatura che le coprivano il corpo, dal viola scuro al giallastro, come un intreccio di fiori. Sospirò cercando di rilassarsi. Ultimamente era così fisicamente stremata che non aveva altre energie se non quelle per pensare a cosa doveva fare, a dove doveva andare, a quello che doveva imparare. Era rimasta sola in una bolla di fatica e di sforzo che era intercettata solo dal suo tutore. Né Martha, né Stephen, e nemmeno Rowan erano più riusciti a farsi presenti nei suoi pensieri e nelle sue giornate. Sospirò indossando i vestiti più comodi e morbidi che era riuscita a procurarsi grazie all'aiuto di Sisto e si sentì meglio. Si recò a seguire le lezioni di lingua e buone maniere francesi, si permise di mangiare una ciotola di minestra per cena e poi raggiunse il padiglione del Generale. Lì si fece annunciare e non appena ebbe il permesso dall'interno, entrò. Il Generale era impegnato a parlare con alcuni suoi Cavalieri, ma quando la vide entrare li congedò e si concentrò su di lei.

- Mademoiselle, i vostri progressi sotto la guida di Monsieur Baldwin sono stati considerevoli. Me ne compiaccio. È giunto il momento per voi di lasciare questa montagna e assumere il vostro ruolo in questa guerra.- esordì l'uomo con tono serio. Ambra sentì il suo corpo irrigidirsi, ma il sui volto non tradì emozioni. In fin dei conti, erano settimane che si preparava per quello. Era il motivo per il quale l'avevano così duramente addestrata per mesi.

- Mio Signore, sono pronta ad obbedire ai vostri ordini- rispose inginocchiandosi. Il Generale annuì soddisfatto e le fece cenno di rialzarsi.

- Prima di lasciare il campo verrà celebrata la vostra investitura come Cavaliere del Tempo. Dovrete prepararvi con tre giorni di veglia e digiuno. Dopodiché riceverete la vostra spada e il vostro destriero e lascerete queste valli alla volta di Chinon, per incontrare il Delfino.- ordinò.

Ambra annuì seria. Poi alzò gli occhi e incrociò lo sguardo del Generale, consapevole che fosse un gesto rischioso. Sapeva che il Generale aveva un carattere facilmente irritabile ed era al corrente del fatto di non piacergli particolarmente, quindi cercò di non sembrare troppo irriverente.

- Mio Signore, prima di ritirarmi avrei una richiesta- chiese con calma e il Generale, che già si era rivolto nuovamente alle mappe e alle lettere sparse sulla sua scrivania, si concentrò di nuovo su di lei.

- Dite.- disse bruscamente. Ambra deglutì e lasciò scivolare le labbra l'unica domanda che aveva più volte represso nel corso di quelle settimane.

- Mio Signore, qual'è la situazione dell'Oltre?- chiese. Il Generale si oscurò e scosse la testa. Come ad indicare che non era argomento di cui parlare in quel momento. Non indicava nulla di buono.

- Mio signore, la mia famiglia sta bene?- chiese Ambra, con la voce venata da una certa urgenza.

A quel punto il Generale sospirò e la guardò con occhi seri prima di risponderle.

- Mademoiselle, non so dire se la vostra famiglia stia bene o meno. La situazione dell'Oltre è instabile e purtroppo non facilmente controllabile. Al momento la priorità è garantire che gli Inglesi non facciano troppi danni nel vostro tempo, a prescindere da chi è coinvolto.- disse senza celare un certo cinismo. Ma Ambra non aveva risposto grande speranza nell'ottenere più informazioni di così, quindi non rimase troppo turbata da quella sensazione di vuota delusione che sentì crescere e affievolirsi mentre il Generale le parlava. Avrebbe fatto meglio a dimenticare le persone che aveva lasciato nell'Oltre. Sarebbe stato più facile per lei e anche meglio per loro,  pensò amareggiata. Dopodiché si congedò e andò a prepararsi per la veglia.

La tenda che condivideva con Martha era ormai solo un posto in cui dormiva, quindi non pensò di tornarci. La veglia dei futuri cavalieri veniva condotta in un punto specifico della Conca, vicino al lago, dove una piccola cappella era stata costruita per tenere le messe ogni domenica.  Sarebbe stata lì nei successivi tre giorni a meditare sul suo futuro.

~~~

Jeanne corse, corse a perdi fiato nella neve. Non aveva deciso di alzarsi, l'aveva semplicemente fatto. Il suo corpo si era mosso da solo, correva sperando che l'aria gelata del pomeriggio le strappasse tutti i pensieri e le voci di dosso, che la lasciasse sentire libera. Che lasciasse dietro di sè la sua natura demoniaca in una scia di piume scarlatte.

Corse in mezzo ai campi ancora gelati di fine inverno e raggiunse la piccola cappella lungo la strada che portava verso nord. Il posto innevato si era fatto, se possibile, ancora più mistico della prima volta in cui ci era stata.
La guglia del campanile della piccola cappella era come un blocco di ghiaccio che spuntava dalla campagna circostante, senza disturbare l'uniformità candida e abbagliante della neve. Il sole era ancora abbastanza alto e illuminandola la faceva brillare come oro.

Jeanne si sedette sul bordo dello scalino e sospirò contemplando il paesaggio, incurante dei suoi abiti sempre più fradici. Il suo cuore di Erikton le rendeva facile sopportare il freddo e in quel momento la stava proteggendo dalle folate di aria che arrivavano dalle colline. La giovane si prese la testa tra le mani cercando di scuotere le voci e dar loro un senso. Dopo poco, senti che la sua ansia la stava spingendo a trasformarsi nel mostro, e quindi iniziò a pregare forsennatamente.

Sentiva di dover andare, ma rimase immobile a lungo. Dopo un tempo indefinito quando le voci si placarono, la giovane Erikton si alzò e scosse la neve che le si era attaccata al vestito e al mantello e si preparò a tornare verso casa. Man mano che procedeva lungo la strada, tornava consapevole della realtà e la sua visione migliorò. Una volta rientrata in paese fece per dirigersi di nuovo verso la chiesa ma venne raggiunta da suo padre, che la richiamò per parlarle di affari urgenti.

Una volta in casa i due genitori si mostrarono preoccupati dalla sua iniziativa di recarsi a Vacouleur. Non volevano che si esponente ai rischi della guerra e non credevano alla sua missione divina. La loro comunità nascosta di Erikton viveva già abbastanza a rischio in tempi di pace, ma ora che la guerra imperversava e  i Borgognoni avevano sancito la loro alleanza con gli inglesi non erano più al sicuro. Ben presto avrebbero dovuto lasciare le loro case, e per saperla al sicuro avevano organizzato per lei un matrimonio con un giovane di Toul.

Alla notizia Jeanne era sbiancata. Non era ammissibile. Aveva giurato castità e servizio a Dio fino a quando Egli avesse voluto, non poteva andare in sposa ad un uomo. Doveva proseguire per la sua strada e compiere il suo destino. Ma sapeva che questo i suoi genitori non l'avrebbero mai capito.

Per fortuna non era ancora troppo tardi, avrebbe fatto in modo di annullare il matrimonio e poi avrebbe organizzato il prima possibile un nuovo viaggio alla roccaforte.

La Francia aveva bisogno di lei, il momento era giunto.

~~~

Libeth si accasciò sui suoi peluche colta da un senso di esasperazione. La politica del mondo moderno era stancante: tutta una montatura, tutto un gioco di interpretazione di messaggi tra le righe, finte e vere minacce, diplomazia e falsità. Gli inglesi avevano cavalcato quelle caratteristiche e avevano costruito una solida rete di alleanze e un forte consenso, mentre i rappresentanti dei Viaggiatori erano rimasti nella minoranza in opposizione. Avevano poco spazio di manovra e un insulso livello di iniziativa legislativa. Tutto ciò che gli inglesi proponevano veniva accettato, molto di quello che cercavano di fare loro veniva invece bocciato. Alla lunga, era una dinamica che esauriva le forze e le idee.

Libeth si tirò su e preparò la sua missiva diretta nel passato. Non erano buone notizie se non per il fatto che avevano scoperto alcune delle spie tra di loro e le avevano eliminate, il che significava maggiorr segretezza a minore possibilità di essere anticipati dalle mosse degli inglesi. Non era molto, ma meglio di niente.

Sospirò e chiuse la missiva nel suo involucro. Guardò fuori dalla sua finestra l'albero della strada che metteva le sue foglie di un bel verde chiaro. Ormai la primavera era arrivata nell'Oltre e le temperature si erano fatte più miti, i primi fiori iniziavano a sbocciare nelle aiuole e le persone tornavano a sorridere di più, dopo aver superato il duro inverno. Ma la gente non sapeva, non sapeva cosa li stava aspettando. Di questo Libeth era sicura, e perciò temeva il giorno in cui tutto sarebbe stato rivelato, passato e presente confusi in un unica grande guerra.

Sperò fortemente che quel giorno non arrivasse mai.

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