CAPITOLO 14
HANSEL BALDWIN
Conca, 1427
Il Generale De Khronnes alla fine era rimasto alla Conca più tempo del dovuto. Il suo padiglione ogni giorno riceveva numerose missive sia dal re sia da parte di De Dunois, La Hire e altri ministri e comandanti rimasti vicini al confine. Gli inglesi stavano accumulando uomini a nord di Orleans, il che significava che lo scoppio dell'assedio era ormai vicino.
Il nuovo contingente di rinforzi non aveva più tempo, le reclute erano al massimo che potevano diventare nel breve periodo che avevano avuto per disposizione per prepararsi. Erano quasi pronti a partire. Sarebbe stata la cosa migliore se anche i vecchi alleati mezzosangue avessero accolto la loro richiesta di aiuto, ma si erano ritirati sulle montagne e nei boschi e non avevano più risposto ai suoi messaggi.
Forse, ora che avevano una possibilità con la Stella, potevano convincere alcuni gruppi a tornare a combattere al loro fianco. Ma dovevano stare attenti: rivelare la presenza della Stella avrebbe reso gli inglesi più aggressivi, mossi dell'urgenza di trovare la loro speranza e schiacciarla sotto il peso delle armi. Avrebbe dovuto considerare con attenzione se esporre il segreto o meno. Non poteva più fidarsi di nessuno. Non da quando il Varco era stato violato a causa della presenza di spie. Non da quando gli inglesi sapevano della profezia. Inoltre, la ragazzine dell'Oltre non era abbastanza preparata, non sarebbe sopravvissuta. Doveva trovare un modo per regalarle altro tempo e per portarla sul campo di battaglia senza rischiare di perderla.
Sospirò sorseggiando del vino. Si sedette sul suo scranno e si coprì il volto con una mano, avvolto in cupi pensieri.
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Il villaggio era tranquillo come sempre. Le campane della chiesa cantavano la gloria del Signore che aveva concesso loro quell'anno di pace e buoni raccolti così che potessero vivere bene il freddo inverno.
Joanne era ferma in mezzo alla piazza e ascoltava, immobile. Ascoltava i battiti del suo cuore, il ritmo del suo respiro e aspettava, aspettava di sentire le voci. Quelle voci angeliche che la spingevano da tempo a recaresi dal Delfino di Francia.
Aveva già provato una volta. Era stata rifiutata. Il mostro che era in lei si era manifestato e l'aveva terrorizzata. Sapeva di non avere scelta, era parte di lei e se avesse dovuto l'avrebbe usato per servire la causa del suo Signore Iddio.
Decise che ci avrebbe riprovato solo una seconda volta. Sarebbe andata a Vacouleur a chiedere di essere ammessa alla presenza del re. Il Signore avrebbe dovuto soccorrerla o lasciarla morire.
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Rowan osservò la Conca in silenzio, aveva vagato nel bosco senza meta e ora si ritrovava a contemplare l'opera migliore di suo padre, un rifugio sicuro dove allevare intensivamente carne da macello. Numeri di un esercito sempre più sottile.
Sapeva che i francesi erano stanchi di guidarsi da soli, erano stanchi di difendersi da un nemico superiore in tutto, un nemico che già ha oltrepassato la soglia della loro casa. Si chiese cosa avrebbe potuto smuovere la situazione, avrebbe voluto conoscere il vero futuro, i libri di storia sono solo una faccia di ciò che sarebbe potuto essere. Non c'erano garanzie.
Avrebbe voluto interrogare la maga Artenai sulla natura della stella di Ambra. Si tormentava ogni giorno sull'ironia della sorte e l'amarezza del destino. Non era così che voleva che andasse. Avrebbe voluto che la guerra finisse subito. Ma sapeva bene non era possibile.
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Ambra e Martha si godettero una delle rare pause tra un addestramento e l'altro facendo una passeggiata lontane dalla confusione. Parlavano insieme consultandosi su tecniche, strategie e trucchi per aiutarsi a sopravvivere. Ambra soprattutto cercava di assorbire il più possibile di quello che Martha aveva da insegnarle. Ogni giorno scopriva una cosa nuova. Ogni giorno si sentiva più stanca, ma ogni giorno sentiva anche di diventare più forte. L'alternativa sarebbe stata crollare in mille pezzi per non rialzarsi mai più. E non poteva permetterselo.
Mentre attraversavano la Conca, un rombo simile a quello di un tuono distrasse entrambe. Si voltarono insieme verso il bosco, verso valle, e videro una macchia scura avanzare nella loro direzione. Uno squadrone di cavalieri in groppa ai loro destrieri neri invasero la radura della Conca. Tutti erano in assetto da battaglia: i cavalli erano ricoperti da gualdrappe azzurre e verdi e le cotte di maglia dei cavalieri scintillavano, come se fossero vestiti di luce. Una visione potente, micidiale e meravigliosa. In mezzo a quel gruppo di nuovi arrivati svettavano alcuni stendardi, Ambra ne contò sette in tutto, diversi l'uno dall'altro, e non ne riconobbe nessuno. Piano la corsa dei cavalli rallentó e i cavalieri smontarono accolti dal Generale e dagli altri ufficiali, per ricevere ristoro. Ambra li osservava ammirata e preoccupata, rapita dal loro fulgido aspetto.
- Un giorno anche noi saremo come loro- disse in un flebile sospiro di speranza, immaginandosi in sella a uno dei destrieri. Martha le battè una mano sulla spalla scuotendo la testa.
- Non saremo mai alla loro altezza, quegli uomini hanno anni di esperienza in più rispetto a noi- le disse divertita. Ambra si strinse nelle spalle, - Perchè non puntare in alto?- chiese retorica. Martha le dondoló di fronte scuotendo i suoi capelli rossi sorridendo.
- Perchè in quel caso moriresti sulla prima spada in campo- le disse con sadico sarcasmo facendo una smorfia e poi scoppiò a ridere sotto i suoi occhi sconcertati.
- Okay- rispose poco convinta.
- Dai! Stavo solo scherzando! Anche io vorrei essere come loro- le disse poi con aria sognante dandole una gomitata amichevole. Ambra sospirò e studiò i cavalieri di fronte a lei. Non aveva mai visto tanta forza e tanta imponenza in tutta la sua vita. In quel momento, un piccolo drappello si staccò dallo squadrone e si diresse nella loro direzione. Da lontano il cavaliere in testa al gruppo accennò un segno per invitarle a non allontanarsi e le raggiunse.
Ambra sentì il cuore perdere un
battito quando lo vide per la prima volta in volto. Quei lineamenti, quei lunghi capelli castani, quegli occhi neri come calamite le riportarono davanti agli occhi l'immagine di Harvey, il cavaliere codardo che l'aveva abbandonata nei boschi tra le mani dei inglesi. Scrutò truce le fattezze dell'uomo che la sovrastava, ancora in sella al suo destriero, e pian piano riprese il controllo delle sue emozioni quando si accorse che non si trattava di lui. Il cavaliere sconosciuto sorrise cordiale senza smontare di sella, come se non avesse avuto intenzione di fermarsi molto.
- Fanciulle, è un onore fare la vostra conoscenza. Il Generale mio signore mi ha indicato la vostra direzione. Sono in cerca della recluta cui dovrò insegnare le arti della guerra: Mademoiselle Ambra - annunciò il giovane guerriero con tono disteso e tranquillo. Ambra, leggermente intimorita fece un passo avanti, senza sapere come rispondere.
- Sono io, mio signore- si presentò, facendo un piccolo inchino. Il cavaliere continuò a sorridere, questa volta però animato da una grande curiosità. Ambra notò la scintilla nel suo sguardo e si rese conto che dietro quel sorriso tranquillo si nascondeva un occhio esperto che al momento la stava valutando attentamente.
- Dunque siete voi...- commentò poi deliziato raddrizzandosi in sella, mentre il cavallo sbuffava nervoso.
- Il mio nome è Hansel Baldwin, vassallo del re e Cavaliere del Tempo. Da domani sarò il vostro tutore e mi occuperò personalmente del vostro addestramento- si presentò contento. Ambra annuì intimorita.
- Piacere di fare la vostra conoscenza Monsigneur Baldwin- dissero sia lei sia Martha che era rimasta appena dietro di lei. Il cavaliere non smise di sorridere e fece per aggiungere qualcosa ma poi sembrò cambiare idea.
- Vi voglio riposata per domani, un marchio come il vostro richiede molta energia- disse ad Ambra prima di spronare il palafreno verso i compagni, lasciandole sole.
- Non so se mi piace- commentò Ambra a mezza voce senza aver una chiara idea dell'uomo che aveva appena incontrato. Martha la spalleggiò arricciando il naso.
- Non lo conosco... probabilmente è un veterano che rimane spesso sul campo di battaglia. Ma non mi sembra male e in ogni caso stai pur certa che ce ne sono di ben peggiori- la informò. Ambra rimase immobile a fissare la radura e sospirò.
- Non lo so. Ma ho come l'impressione che l'addestramento sarà spietato...- disse, mentre sentiva l'ansia salire lentamente.
Il giorno successivo il corno suonò al sorgere del sole. Ambra si svegliò di soprassalto, si vestí in fretta e furia e vide Martha fare altrettanto. Chi fosse arrivato tardi avrebbe ricevuto punizioni poco piacevoli che non avevano intenzione di sperimentare. Ambra aveva il cuore in gola e sentiva il suo marchio sbagliato pulsare a ritmo poco sopra lo sterno.
Lord Baldwin avrebbe iniziato ad addestrarla quella stessa mattina. Mentre gli altri cavalieri che erano giunti con lui avrebbero rafforzato l'addestramento delle altre reclute, senza lasciare a nessuno un attimo di respiro. La differenza tra lei e le altre reclute era solo una: lei sarebbe stata sola di fronte alle sfide di Monsigneur Baldwin.
Ambra uscì dalla tenda insieme a Martha e si lasciò guidare per i sentieri del campo, fino al grande spiazzo dove un gran numero di reclute si stava radunando. Alcuni le erano ormai familiari, altri no. In quei giorni di permanenza alla Conca, non aveva ancora avuto modo di vedere alla luce del sole molti di loro, al contrario di lei invece, chiunque sebrava riconoscerla. Ovunque guardasse c'erano volti che la fissavano e la studiavano, chi con speranza, chi con invidia, chi con astio. Tuttavia, nessuno in quei giorni, tranne Martha, aveva cercato di conoscerla o di parlarle, come se un'invisibile bolla l'avesse separata definitivamente dal resto del gruppo.
La sensazione era spiacevole ma ci era abbastanza abituata, non era tanto diversa da quella spietata bolla di emarginazione con cui aveva imparato a convivere alle superiori. Per l'ennesima volta, sebbene oramai ci pensasse sempre più raramente, cercò con lo sguardo la chioma rossa di Stephen. Gli unici ricci ramati che vide furono però quelli scompigliati di Martha che saltellava di fronte a lei.
Ambra si fermò poco lontano dal disordinato gruppo di reclute, immersa nei sui pensieri, non molto incline ad avvicinarsi a quegli sguardi estranei. Ma una gomitata di Martha la riportò al presente. Ambra si voltò nella direzione che le venne indicata e vide il Cavaliere Baldwin arrivare, sempre in sella al suo destriero. Martha le strinse una mano con fare premuroso e le sorrise incoraggiante.
- Buona fotuna- le disse e poi si dileguò.
Ambra chinò la testa di fronte al suo tutore e sospirò. Avrebbe voluto stare con gli altri e non essere separata. Benché fosse abituata, quella sua condizione di "diversa" la metteva comunque a disagio, non voleva essere la Stella, non voleva essere la speranza di nessuno. Era una responsabilità troppo grande per lei. Come poteva essere la speranza di vittoria se a malapena riusciva a sopravvivere? Si sentiva come se qualcuno l'avesse gettata in un mare agitato senza insegnarle a nuotare.
- Mio signore- salutò. Il nobile cavaliere le sorrise, ma lo sguardo non era più disteso e amichevole come quello del giorno precedente.
La severità che si celava dietro le iridi nere era segno tangibile del fatto che non sarebbe stato facile superare l'addestramento che l'aspettava. Ambra sospirò e aspettò paziente il suo primo ordine. Il cavaliere spronò il cavallo al trotto e lasciò al vento dietro di sé una sola indicazione:
- Seguite il cavallo e non fermatevi-.
Ambra corse per almeno un'ora. I muscoli ormai le bruciavano e i polmoni non erano abbastanza grandi per contenere tutto l'ossigeno di cui avrebbe avuto bisogno. Il cavallo di fronte a lei aveva perso i suoi contorni definiti ed era diventato semplicemente la macchia scura che la trascinava in avanti. Non le erano bastate le settimane di viaggio e le fughe per i boschi a prepararla per quella fatica. Non era mai stata una grande corritrice, la corsa non le era mai piaciuta. Inoltre il suo corpo indebolito non era ancora pronto a reggere uno sforzo maggiore di quello. Con uno sbuffò esasperato si fermò continuando lentamente a camminare, boccheggiando in cerca di un ritmo di fiato sostenibile.
Non riuscì a richiamare il cavaliere che si fermò solo dopo alcuni metri, quando non avvertì più la sua presenza. Hansel Baldwin la aspettò sul sentiero con un sorriso appena abbozzato. Non si riusciva a capire però che cosa stesse pensando davvero. Ambra lo raggiunse e si piegò, un forte senso di nausea la travolse e per poco non rigettó la magra colazione. Quando le passò il conato, si tirò su, e si guardò intorno, mentre nella bocca avvertiva il sapore ferroso del sangue.
Si rese conto che si erano allontanati dal campo di addestramento principale, inoltrandosi nel bosco, in un punto dove non si trovava nessuno. Monsigneur Baldwin sembrava averlo fatto intenzionalmente ma in quel momento non le interessavano i motivi. Voleva che l'aria tornasse a riempirle i polmoni in modo adeguato.
- Ambra, siete abbastanza stanca. Ma sono compiaciuto, avete resistito più di quanto mi sarei aspettato date le vostre condizioni- disse il giovane. Il cavallo sbuffò quasi a sottolineare quelle parole.
- Tuttavia, questo non è stato che l'inizio. Non sarà un gioco diventare cavaliere. Ancora meno lo sarà essere la Stella- disse severamente, poi finalmente scese da cavallo e sguainò la spada.
- E ora, in guardia! - disse balzando in avanti e lasciandola disarmata.
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