CAPITOLO 12
LA FINTA STELLA
Conca, 1427
Rowan si allontanò dall'infermeria a pugni stretti. La neve che scricchiolava sotto i piedi, il vento freddo che si intrufolava sotto il suo mantello e il sole bianco nel cielo lo infastidivano. I novizi e i cavalieri che incontrò per strada e lo salutarono lo obbligarono a rispondere con un sorriso, cosa che al momento avrebbe preferito non fare. Era di pessimo umore e aveva resistito a malapena al cospetto di Ambra. Odiava quella situazione: non sarebbe dovuto succedere nulla del genere. La sua teoria si era rivelata vera e ora la ragazza che aveva promesso di proteggere avrebbe sofferto più di tutti. Ambra era la stella, il marchio a cinque punte non mentiva. Era stato il primo a vederlo, perché era stato il primo a raggiungerla sulla spiaggetta del lago due giorni prima.
Quando aveva sentito quell'urlo scuotere le montagne aveva percepito un cattivo presentimento in fondo al petto e non si era sbagliato. Aveva trovato Ambra riversa in un cerchio di terra bruciata e vapore ustionante. La sensazione che aveva provato non aveva avuto nulla a che fare con la preoccupazione... era stato peggio, come un colpo di spada diretto allo stomaco. Aveva osservato la pelle bollente, le gocce di sudore che le imperlavano la fronte e il volto piegato in una smorfia di dolore anche nell'incoscienza. L'aveva raccolta tra le braccia e aveva avvertito la temperatura del suo corpo, nulla di umanamente sopportabile. Le aveva allargato il collo della tunica, nonostante la vergogna per quel gesto così impudente ed era stato così che l'aveva vista: la stella rosso-viola che le marchiava la pelle tra le clavicole e la gola, appena sopra lo sterno, appena sopra il cuore.
Il mago, una volta in infermeria, si era occupato della sua febbre e aveva controllato il marchio. Nulla di certo, aveva detto. Ma lui sapeva che se anche il marchio non fosse stato abbastanza per renderla la Stella, il ruolo di Ambra in questa guerra sarebbe stato centrale, e mille volte più mortale.
Ambra sarebbe diventata, a ragione o meno, l'ago della bilancia che avrebbe stabilito le sorti della guerra, la speranza di tutti i francesi e dell'Ordine dei Cavalieri del Tempo, e quel che era peggio è che lui non avrebbe potuto impedirlo...
Raggiunse il campo di addestramento dove le reclute stavano imparando le basi del combattimento in quella corsa contro il tempo che suo padre aveva dettato. Li guardò, consapevole che nessuno di quei ragazzi sarebbe stato in grado di partire in pochi giorni e sopravvivere in una battaglia. Si sentì terribilmente impotente.
- Mio signore!-, una voce lo chiamò da un'estremità del campo. Un giovane dai capelli biondi e lunghi, che sembrava più una ragazza che un uomo, lo raggiunse con un gran sorriso.
- Credo di aver imparato la giusta mossa- disse orgoglioso contribuendo a peggiorare il suo umore. Rowan annuì portando le mani dietro la schiena.
- Posso mostravela? - chiese e lui fu costretto ad annuire di nuovo. Il giovane recuperò la sua spada di legno ed eseguì una serie di movimenti fluidi e puliti. Rowan ne fu soddisfatto e pensò che forse si sbagliava, forse questa volta le nuove reclute erano più in gamba di quel che potevano sembrare. Sospirò e sorrise complimentandosi con il giovane e la recluta sorrise di rimando, fiera.
- Grazie per la vostra attenzione signore- disse il giovane e poi tornò al suo posto.
Rowan continuò attraverso il campo, osservando i suoi soldati, sudati e stanchi dopo nemmeno mezza settimana. Avrebbe avuto bisogno di mesi per creare un piccolo esercito a partire da loro. Decise di non distrarre più lo sguardo dalla sua meta finale e puntò dritto al padiglione di suo padre. Lui e altri consiglieri si erano riuniti per un ultima volta prima di tornare in pianura, in battaglia. Ambra era stata un imprevisto non trascurabile e aveva causato un ritardo nella partenza dei rinforzi. Avevano da discutere diverse questioni prima di raggiungere il re e De Dunois sul confine.
Prima di entrare nella grande tenda Rowan tentò di recuperare un po' della sua tipica lucida calma, sapeva che suo padre sarebbe stato difficile da gestire durante quella riunione. Entrò e il calore dei bracieri gli riscaldò le ossa. Tutti erano già riuniti intorno a suo padre e sembravano intenti in un'animata discussione, ma quando si accorsero di lui si ricomposero.
- Rowan...- lo accolse il Generale con un tono troppo poco formale per non sembrare sospetto.
- Sei in ritardo- gli fece notare l'uomo.
- Perdonatemi padre- scrisse lui sulla lavagnetta.
- Perdono concesso. Ora, signori, se volete accomodarvi abbiamo alcune cose di cui discutere-.
Rowan obbedì controvoglia. Preferiva agire, non parlare, aveva smesso di farlo per buoni motivi.
- Abbiamo ricevuto un falco dai generali del re questa mattina. La notizia riporta la data di due giorni fa, data in cui avremmo dovuto presentarci con i rinforzi. Tuttavia non sono cattive notizie, la città è ancora nostra così come gli avamposti sulle colline. Gli inglesi fanno fatica a guadagnare terreno verso nord e verso le montagne dove siamo noi, sebbene alcune pattuglie nemiche girino per la zona... Possiamo dire di essere in una situazione di stallo. Sappiamo che Orleans è il prossimo obbiettivo. Stiamo solo aspettando la prossima mossa del duca di Bedford- disse con un accento aggressivo sull'ultimo nome.
- Questa è la situazione da questo lato del Varco. Purtroppo però dall'Oltre arrivano notizie poco rassicuranti e ogni giorno che passa rischiamo di perdere Viaggiatori e potere. Il Consiglio Continentale è l'unico mezzo che abbiamo per influenzare le azioni della Confederazione Europea e gli inglesi in qualche modo sono riusciti ad avere contatti clandestini. Poichè sono stati loro a vincere le elezioni, la situazione nell'Oltre sta velocemente peggiorando...- cominciò il Generale.
- Non siamo pronti a sostenere uno scontro su due fronti, non possiamo limitare il contatto tra le due epoche. Tuttavia non possiamo permettere squilibri nella storia...- aggiunse fissando tutti con i suoi occhi rapaci. Un brusio si sollevò per commentare quel sommario sconcertante. Il signore De Krhonnes, il generale, richiese il silenzio con un gesto brusco.
- Signori... non ho finito- richiamò.
- Qui alla Conca abbiamo alcune centinaia di soldati che non sono ancora in grado di combattere e una ragazza che ha ricevuto un marchio sbagliato...- continuò studiando le reazioni di ognuno. Rowan strinse i denti e non si mosse, doveva mostrarsi distaccato, ma sentiva gli occhi di suo padre fissi su di sé.
- Tutti avete saputo della recluta dell'Oltre che sarebbe la prescelta. Sapete tutti del suo marchio a forma di stella. Tuttavia, alcuni degli eventi che si sono presentati non corrispondono con le previsioni della profezia- disse l'uomo con aria severa.
- Non possiamo essere certi che sia la Stella fino a quando la maga dei marchi non verrà a provarcelo... per il momento è nostro compito decidere come occuparci della ragazza- concluse. Un leggero vociare si sparse per la stanza e diverse persone cominciarono a discutere di diversi punti. In breve tempo fu il caos e Rowan non riuscì a sopportarlo. Fece per abbandonare il padiglione ma una mano forte lo bloccò sulla soglia.
- Figlio, non voglio che tu ti distragga dal tuo compito. La ragazza verrà affidata a mani esperte e verrà trattata con riguardo. Non voglio che la tua mente divaghi, hai un compito da svolgere. Sono stato chiaro?- disse l'uomo a bassa voce. Rowan distolse lo sguardo incapace di sostenere gli occhi neri di suo padre e annuì.
- Molto bene. Voglio vedere quelle reclute diventare cavalieri e non fantocci da infilzare - minacciò severo il Cavaliere del Tempo.
- Certo padre- scrisse sulla lavagna e poi lasciò quel tendone. Strinse i denti e si schernì con sarcasmo. Era abituato ai campi di battaglia e aveva combattuto mettendo la sua vita in prima fila, ma non era in grado di reggere il confronto con suo padre. Non meritava di essere riverito come un eroe imbattibile, né la fiducia dei suoi guerrieri. Ma scacciò in fretta anche quei pensieri, per cui non c'era spazio, raggiunse Daniel poco lontano e fece richiamare le reclute. Da quel momento, sotto il suo diretto comando, avrebbero iniziato a fare sul serio.
˜˜˜
Ambra studiò Martha per un secondo poi voltò la testa dall'altro lato. Era stufa di essere trattata come una moribonda. L'amica le sfiorò un braccio con dolcezza fraterna.
- Tutto a posto?- le chiese e lei si strinse nelle spalle.
-Non lo so- rispose Martha la guardò con occhi comprensivi.
- Anche io ci sono passata, mi hai visto anche tu, sono sopravvissuta alla grande! Tutti siamo stati marchiati ma non tutti abbiamo il marchio che hai tu- le fece notare per l'ennesima volta.
- Mi piacerebbe avere un segno a forma di stella, la mia luna è un po' striminzita...- si lamentò la rossa e Ambra restò per un attimo interdetta, poi sorrise.
- A questo punto, farei volentieri cambio - rispose sinceramente. Ma Martha strabuzzò gli occhi senza capire il suo disagio.
-Ambra tu sei la stella! - esclamò come se quella fosse la cosa migliore del mondo. Ambra si abbandonò alla brandina e desiderò essere davvero morta per il dolore tre giorni prima.
-Non è nulla di piacevole... - sussurrò senza guardare l'amica. Dopo tre giorni in infermeria non ne poteva più. Martha cercava di rallegrarla, ma appena lei se ne andava arrivava il mago con le sue informazioni confuse. Rowan non era più tornato a trovarla e la cosa l'aveva delusa più di quello che si sarebbe aspettata. Era stanca di stare ferma a far nulla, nell'ignoranza completa di ciò che sarebbe stato di lei.
- Perché deve succedere tutto a me?- si lamentò. Non sapeva se essere frustrata o disperata o impaurita dalla situazione. Martha la raggiunse e si sedette di fianco a lei sul lettino. Le strinse una mano e le sorrise incoraggiante.
- Sai io sono stata nell'Oltre una volta sola, qualche anno fa, non mi ricordo molto. Ma ricordo bene che quando sono arrivata, tutto mi è subito piaciuto. Ero piccola ma sapevo che dalla nostra guerra dipendeva il destino di quel futuro. Pensare che quel mondo sarebbe stato destinato a morire mi rendeva triste... - ammise con un sorriso al ricordo di quel viaggio, poi si strinse nelle spalle.
- Prima non avevo altro motivo per combattere. Sai ho rinunciato tempo addietro al mio desiderio di vendetta. Se potessi, me ne sarei tranquilla in una fattoria a fare una vita semplice lontana dalla guerra. Ma visto che sono cresciuta qui, ho sempre seguito gli ordini del generale o il desiderio di mio padre e non sapevo per cosa avrei usato il mio marchio... poi ho conosciuto l'Oltre e altri ragazzi come te. Ho deciso per cosa combatterò e per chi grazie a voi. Voglio che il sacrificio di tutti finisca nella nostra vittoria e nella pace per questo e il tuo mondo- disse decisa, seria come forse non era mai stata. Ma durò poco, le fece l'occhiolino e sorrise incoraggiante.
- Se l'ho capito io, anche tu capirai per cosa combattere. Anche tu troverai la ragione per vivere e sopravvivere a tutto questo - le disse con convinzione e Ambra la guardò con la bocca socchiusa per la sorpresa di fronte a quelle parole. Una ragazzina di quattordici anni le stava insegnando a vivere. Sorrise pensierosa.
- Lo spero...- rispose appena dopo un secondo di esitazione. Martha le diede una pacca sulla spalla.
- Puoi contarci- le garantì.
- Ora devo tornare alla tenda ma domani mattina sarò di nuovo qui- le promise. Ambra annuì comprensiva, mente l'ombra delle montagne aveva già gettato la notte sulla Conca. Martha si congedò con un sorriso e le augurò la buonanotte. Ambra si addormentò poco dopo, sperando di svegliarsi il giorno dopo ed essere in grado di camminare.
Fortunatamente le sue speranze furono ripagate. Aprì gli occhi la mattina dopo piena di energia e in ottima forma. Era sola come al solito, nemmeno il mago era lì a farle compagnia. Si mise a sedere e la pressione impiegò qualche istante a farle tornare la vista ma per il resto non avvertì nulla di anomalo. Buttò i piedi scalzi giù dalla branda senza farsi troppi problemi e per un po' le gambe le formicolarono a causa del lungo periodo di immobilità. La infastidivano ma ressero il suo peso quando si alzò in piedi. La testa le fece nuovamente uno scherzo e, a causa del capogiro, per poco non finì per terra. Ma non si diede per vinta e raggiunse barcollando la porta dell'infermeria da cui si avviò lungo il corridoio, cercando di trovare la porta giusta che la conducesse all'esterno.
Quando finalmente trovò l'uscita e aprì la porta venne accecata per un momento dalla luce bianca del sole riflesso sulla neve. La temperatura era sopportabile, appena tiepida, nonostante fosse ormai quasi dicembre. Ogni cosa era ricoperta da un sottile strato bianco, anche la foresta che le era sembrata scura nei giorni precedenti si era trasformata in una distesa di coni di panna. Ogni tanto un mucchio di neve scivolava da un ramo troppo pesante e con uno sbuffo si univa a quella sul terreno. La vista era da fiaba e per un momento si dimenticò di dove si trovava e viaggiò con la mente verso casa, chiedendosi se anche là l'inverno fosse come nella Conca. Si sedette sui gradini di pietra dell'entrata e si godette il silenzio ovattato di quella mattina. In giro non vide nessuno, probabilmente tutti erano dispersi nei diversi campi di addestramento o lungo il lago. Era curiosa di scoprire come i cavalieri vivessero, come si allenassero. Aveva letto tanti libri ma nessuno era mai stato abbastanza esaustivo per lei e per il momento era stata tagliata fuori dalla realtà dalla sua condizione particolare. Ma le sarebbe piaciuto scoprire se le sue abilità nelle arti marziali l'avrebbero aiutata, le mancavano il suo maestro e i suoi compagni all'officina, l'avrebbe rincuorata sapere di non essere una completa nullità. Sospirò e sorrise mesta. Poi sentì dei passi lenti e pesanti avvicinarsi e ritornò di colpo al presente.
Il generale si fermò di fronte a lei osservandola con sguardo critico e severo. Lei scattò in piedi cercando di spostarsi dall'entrata e salutare il superiore in modo accettabile ma la pressione le scese di colpo e dovette appoggiarsi al muro, senza successo. L'uomo non si scompose e aspettò che si riprendesse, appoggiato al suo bastone, coperto dal suo mantello pesante.
- Vedo con piacere che vi state riprendendo bene- commentò il Generale con tono distaccato. Lei annuì appena.
- Sono sicuro che domani sarete in grado di unirvi ai vostri compagni sul campo. Richiederò da voi grande impegno, vi osserverò personalmente; fino a quando non sapremo di più sul vostro marchio verrete considerata la stella del nostro esercito- spiegò il generale.
Ambra sussultò e si irrigidì appena, tesa e poco felice delle aspettative che le erano appena scivolate addosso.
- Sì signore- rispose comunque, obbediente.
- Presto dovrete raggiungerci nella pianura e incontrare il re. Dovrete essere pronta nel poco tempo che vi resta- le ricordò l'uomo poi, e come era arrivato, se ne andò. Lei si accasciò sulla porta con un sospiro. Non era certa che il giorno successivo sarebbe stata in grado di sopravvivere. Il buon umore e la positività che l'avevano accompagnata al risveglio sfumarono in fretta fino a rimanere un opaco ricordo.
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