XXIX
Una speranza
Nell'arco di un quarto d'ora stavamo piangendo tutte e tre. I singhiozzi di Lia rimbombarono attraverso il vivavoce e, per quanto desiderassi tranquillizzarla e dirle che davvero non era stata colpa sua, che in un modo o nell'altro prima o poi sarebbe comunque successo, rimasi in silenzio a piangere. Ancora una volta mi sentivo paralizzata e impotente, due delle emozioni che più odiavo e che mai avrei augurato a nessuno di provare.
Il fatto che Rick avesse scoperto dove mi trovavo non significava necessariamente che sarebbe venuto a cercarmi, ma era in ogni caso un'ipotesi da non scartare a priori. Dopotutto, il Mermaid era il primo bar che s'incontrava lungo la strada entrando a Gold Bay, quindi mi avrebbe trovata anche solo per puro caso. Avrei dovuto ricominciare a vivere guardandomi le spalle, temendo di poterlo incrociare senza avere la possibilità di scappare.
«Bea, mi dispiace» ripeté Lia al telefono.
«Non è colpa tua» mi sforzai di dire. «Lia, sul serio, non darti colpe che non hai.»
«Andrà tutto bene» intervenne invece Candice rivolta a entrambe.
«Lo spero.»
🌺
Mi feci riaccompagnare a casa da Candice. La telefonata con Lia era durata circa un'ora e avevo fatto il possibile per farle comprendere che non era stata affatto colpa sua. Anzi, a essere sinceri, se proprio voleva attribuire la colpa a qualcuno questa apparteneva a Joselyn. Era stata ingenua, si era illusa che Rick potesse cambiare. Certo, una seconda possibilità va data a chiunque, ma in quella circostanza mi risultava alquanto difficile crederci.
Mi lasciò sulla porta d'ingresso dopo avermi brevemente abbracciata. Non sapeva come comportarsi: mi toccò come se fossi un vaso di cristallo sul punto di schiantarsi al suolo ed esplodere in un milione di schegge. «Se hai bisogno di qualsiasi cosa chiamami» mi ordinò. «Promettimelo.»
Annuii con la testa. «Ok.»
«Bea, non affronterai tutto questo da sola. Promettimi che mi chiamerai.»
Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere che aggiunse: «Anzi, facciamo così. Ti chiamo io stasera, dopo cena, e non voglio sentire obiezioni.»
Mi diede un rapido bacio sulla guancia e sparì tappandosi le orecchie lungo il vialetto alle mie lamentele. Sbuffai, anche se in fondo sapevo che voleva semplicemente che stessi bene e che non rischiassi di tenermi tutto dentro come d'altronde avevo sempre fatto. Quella situazione mi faceva stare male più di quanto chiunque avrebbe mai potuto immaginare, ma era niente in confronto alla sofferenza che provavano sia Candy che Lia nell'essere dolorosamente consapevoli di non poter fare nulla di più rispetto a quello che stavano già facendo per me.
Spalancai la porta di casa e, dopo aver lanciato il cappotto su una delle sedie della sala da pranzo che nessuno mai usava, mi diressi in salotto. Caddi sul divano a peso morto e mi presi il capo tra le mani mentre tentavo, invano, di fare un paio di respiri profondi per calmarmi. Ovviamente i miei tentativi non ebbero l'effetto sperato, quindi mi sollevai in piedi e raggiunsi la cucina. Misi a bollire l'acqua e nel frattempo tolsi una tazza dalla credenza, insieme allo zucchero e alla camomilla. Quest'ultima mi era sempre piaciuta dolce e, anche se non avesse avuto alcun effetto sui miei nervi, almeno avevo qualcos'altro a cui pensare per un po'.
Tornai in salotto con la tazza in una mano e un pacco di biscotti nell'altra. Accesi poi la televisione, eppure il mio sguardo sembrava velato e non ero in grado di seguire alcun film o programma. Con il dorso della mano arrivai agli occhi e li scoprii umidi di lacrime, le quali si erano bloccate agli angoli senza scendere lungo le guance.
Mi rannicchiai sul sofà in posizione fetale e cercai di addormentarmi, ma senza riuscirci. Non mi alzai comunque, tenni gli occhi serrati e pregai Morfeo di darmi una tregua con il rumore della televisione in sottofondo e il leggero vento che sbatteva sulle finestre facendo tremare i vetri piano, ma abbastanza forte da farsi sentire.
🌺
Mia madre rincasò verso le sette. Non volevo la sua compassione né volevo che si preoccupasse per me; tuttavia, per quanto avessi provato a mantenere un'espressione normale che non lasciasse trasparire nulla, lei capì senza troppi sforzi. Inarcò un sopracciglio e mi fissò istintentemente incitandomi a parlare di ciò che mi turbava. Solo allora le spiegai della chiamata che aveva ricevuto Candice quella mattina da Lia, della nostra passeggiata sul lungomare e della telefonata che aveva poi coinvolto noi tre. Le raccontai di Rick, del fatto che fosse ricomparso a New York e si fosse messo in testa di raggiungermi per potersi scusare. Sul suo viso avevano preso forma le smorfie più disparate, eppure sapevo che si stava trattenendo dallo scattare in avanti per abbracciarmi e riempirmi di baci sulla testa per convincermi che stesse andando tutto bene. Anche lei sapeva che di bene, in quella situazione, non c'era proprio niente, motivo per cui a lungo andare mi aveva permesso di tornare in sala con soltanto i miei pensieri a farmi compagnia.
«Dov'è Aaron?» le chiesi dal salotto a voce alta, quasi gridando. Si era messa ai fornelli a costo di non rimuginare troppo sulla faccenda.
«Si ferma a cena dal suo amico.»
«Anche stasera?»
«Sì» sospirò comparendo nella mia visuale. «Almeno lui ha bisogno di serenità. Più sta fuori di casa, meglio è.»
D'istinto abbassai lo sguardo. Era ancora piccolo a quel tempo, ma mi aveva in ogni caso vista soffrire e chiudermi in me stessa. Mi aveva vista piangere, mi aveva vista urlare, mi aveva sentita svegliarmi nel bel mezzo della notte con il respiro ansimante e le lacrime agli occhi. Incontrare nuovamente Lia doveva aver suscitato emozioni contrastanti anche in lui, quindi tenerlo all'oscuro di quella nuova notizia era il minimo che potessimo fare.
«Giurami che non gli dirai nulla di Rick, mamma.»
🌺
Una volta finito di cenare, andai alla ricerca del telefono. Lo trovai appoggiato sul tavolino, di fronte al televisore, e ci misi solo un istante a sbloccarlo. Avevo solo una vaga idea di quello che stavo facendo, però ero disposta a correre il rischio. Inviai un messaggio a Luke – dove lo supplicavo senza troppe cerimonie di vederci – e puntai lo sguardo verso l'orologio: segnava ormai le nove e mezza, quindi non mi restava altro se non sperare che il ragazzo non fosse tornato dall'officina esausto. Mentre rimuginavo su ciò che avevo fatto e sul coraggio che mi ci era voluto, tenendo in considerazione lo scopo del mio gesto, sentii squillare il cellulare tra le mani. Il nome di Candy stava brillando sullo schermo da quasi una quindicina di secondi quando mi decisi a rispondere.
«Stai meglio?» mi domandò subito.
«Un po'» ammisi. Dopo lo shock iniziale, parte della paura era scemata. Rimaneva un vago alone di panico e ansia al pensiero, ma era tutto sommato sopportabile. Avevo mia madre, avevo Candice e nel giro di poche ore speravo di avere anche Luke dalla mia parte. Non avevo la più pallida idea di come l'avrebbe presa, di quale sarebbe stata la sua reazione alla mia storia, malgrado fossi disposta a tentare. Il nostro rapporto stava via via diventando più stretto e intimo e, come lui mi aveva confidato un capitolo consistente del suo passato, credevo di dover fare lo stesso. In percentuale egoisticamente, ovvio, però ero sicura che fossimo a tanto così dal passare al livello successivo. Rick era il tassello mancante.
«Ne sei proprio sicura?» insistette.
«Sì, ho deciso di parlarne con Luke» le rivelai in un sussurro. In qualche maniera avvertivo la necessità di una conferma da parte sua. Se persino lei avesse approvato la mia decisione, allora sarei andata sul sicuro. Per tanto tempo aveva avuto delle riserve sul suo conto e, nonostante mi avesse detto di essersi controvoglia affezionata a lui, ero consapevole che non fosse ancora del tutto convinta a riguardo.
«Già, credo sia giunto il momento» mormorò pensierosa.
Stavo per replicare e ringraziarla quando il telefono che vibrava mi avvisò di un nuovo messaggio ricevuto. «Aspetta un momento.»
Controllai rapidamente chi fosse e, quando lessi la conferma di Luke, quasi non saltai di gioia. Solo quando ripensai alla ragione di quell'uscita il mio sorriso svanì.
«Ottimo, ha accettato» la informai. «Mi passa a prendere tra poco.»
«Va bene, domani mi farai sapere com'è andata» disse. Annuii con la testa, poi anche a voce.
«Grazie, Candice.»
🌺
Mia madre non aveva fatto obiezioni quando l'avevo informata dell'uscita con Luke organizzata all'ultimo momento. Anzi, mi aveva sorriso e si era lasciata sfuggire un sospiro carico di dolcezza. Dal suo sguardo trapelava l'orgoglio e la felicità che provava nel sapere che avevo almeno lui, che ero ancora capace di provare e ricevere amore.
«Non stare fuori fino a tardi» mi redarguì. Era un vizio, più che un'abitudine, e quella sera mi parve addirittura una necessità. D'altronde, non potevo certo biasimarla.
Luke mi raggiunse circa una decina di minuti più tardi. Lo stavo aspettando a pochi passi dal cancelletto di casa, con le mani incrociate sul petto e l'aria assorta. Spalancò gli occhi quando mi vide, stretta nel giubbotto leggero, mentre allungavo il collo per scorgerlo girare l'angolo. Immaginavo che sarebbe venuto in macchina, abitavamo a qualche chilometro di distanza dopotutto, ma evidentemente mi ero sbagliata.
«Perché sei a piedi?» gli chiesi prima di salutarlo.
«Avevo bisogno di smaltire la rabbia» mi spiegò con il capo abbassato e le mani affondate nelle tasche. Quando sollevò il viso, mi accorsi che i suoi occhi erano rossi e velati di lacrime.
«Cosa è successo?» mi preoccupai.
«Ho litigato con mio padre, nulla di importante.»
Mi avvicinai, consapevole che le parole non avrebbero risolto nulla, e lo abbracciai. Non mi accolse tra le sue braccia come invece era solito fare, non tolse neanche le mani dalle tasche. Lo strinsi maggiormente per fargli sentire il mio calore e la mia vicinanza; lui, in tutta risposta, posò la testa sulla mia spalla.
«Grazie» sussurrò. Sembrava così fragile tra le mie braccia, così vulnerabile, così diverso. Gli accarezzai la schiena, dopo riluttante mi staccai.
«Va un po' meglio?»
Lui intrecciò le sue dita alle mie in un tacito assenso. C'incamminammo verso la parte opposta, rispetto a quella dalla quale era provenuto Luke, e quella passeggiata durò più di mezzora. Eravamo rimasti in silenzio, uno affianco all'altro, ma avevo avvertito la sua presa sulla mia mano che si faceva di tanto in tanto più sicura e bisognosa.
Raggiungemmo il piccolo parco che si trovava all'altezza del cartello d'ingresso di Gold Bay. Gli alberi erano pochi e radi, le altalene e gli scivoli per i bambini inesistenti, ma in compenso c'erano due panchine lungo il suo perimetro. Ci accomodammo su quella posizionata a minor distanza rispetto a noi; incrociai le gambe ed infilai le mani tra le cosce per scaldarle. Anche se era ormai quasi ufficialmente primavera, a quell'ora la temperatura calava non poco. Luke, invece, mise la mano libera in una delle tasche mentre l'altra reggeva una sigaretta. Non l'avevo mai visto fumare, tuttavia pensai che fosse dovuto al nervosismo che provava, quindi non lo interrogai su questo.
«Non ti ho mai raccontato tutta la verità» esordì. «Sul perché, per tanto tempo, mi sono comportato da stronzo.»
Mi voltai verso di lui con un'espressione interrogativa sul viso. «Cosa intendi dire?»
«Ho visto mio padre soffrire dopo la morte di mia madre. L'ho visto piangere, ti rendi conto? Lui non ha pianto neanche quando è morta mia nonna. Credevo persino che non ne fosse in grado.» Prese un lungo respiro facendo una breve pausa. «Era diventato un vegetale. Io e i miei fratelli eravamo allo sbaraglio, non sapevamo come comportarci. Abbiamo dovuto imparare a cucinare, a lavare i panni, a tenere in ordine la casa. Lui non faceva niente, a malapena andava a lavorare.»
Stetti in silenzio e immobile. Non c'era molto da dire, il mio conforto non sarebbe servito a nulla. «Avrei preferito sentire le sue lamentele riguardo il mio scarso impegno a scuola piuttosto che vederlo in quello stato. Stephan e Gary sono diventati maggiorenni un paio d'anni dopo, non ci hanno messo tanto a trovare un lavoro e a trasferirsi lontano da noi.»
Provò a fare un tiro dalla sigaretta, ma gli si era spenta tra le dita. Rinunciò ad accenderla nuovamente e gettò il mozzicone sul terreno. «Siamo rimasti solo io e lui, ma restavo pur sempre un ragazzino. Da solo non potevo farcela. Penso sia stato allora che si è reso conto di dover riprendere in mano la sua vita.»
Gli accarezzai piano il braccio, poi infilai la mia mano nella tasca dove c'era la sua. La strinsi forte e attesi che continuasse a parlare. «Ce l'ha fatta, Bea. Gli ci è voluto un po', ma si è ripreso. Pulire la casa, cucinare, lavare i vestiti, sono tutte attività che a suo parere mantengono vivo il ricordo di sua moglie. Te lo giuro, fa le cose esattamente come le faceva lei, come se ne avesse conservato nel subconscio le istruzioni.»
Si azzardò a guardarmi negli occhi per un breve istante, però si girò quasi subito. Non stava piangendo, ma ero sicura che gli occhi gli stessero pizzicando non poco. Erano umidi e gonfi, rossi. «Quando ho terminato la scuola ha provato in tutte le maniere a convincermi ad arruolarmi. Ho sempre rifiutato, non è la vita che fa per me. A dire il vero, non so cosa faccia davvero per me. Ho trovato un impiego poco dopo in un'officina in città ed è lì che lavoro da quel giorno. Non ho mai fatto quello che mi veniva detto...» sospirò. «Soprattutto dopo la morte di mia madre era impossibile tenermi o rendermi ubbiediente. Non volevo seguire le regole, non volevo fare ciò che mi veniva detto.»
Rise imbarazzato per un paio di secondi e quel suono mi fece sciogliere il cuore. Sembrava più calmo e tranquillo, al momento, quindi mi concessi anche io di rilassarmi. «Scusa se ti ho annoiata» riprese. «Il punto è che la mia paura più grande, a lungo andare, è diventata proprio questa: veder morire le persone che amo. Non ho mai permesso a nessuna ragazza di affezionarsi a me, mi sono sempre fatto odiare, e quando non ci sono riuscito sono sparito. Ma tu... tu sei diversa. È uno schifosissimo cliché, lo so, eppure da quando ti ho vista quella mattina ho capito che senza di te niente avrebbe avuto più senso. Ho provato ad allontanarti, sul serio, ma tornavo sempre da te. Sono disposto a prosciugare tutte le mie lacrime per te, questo non mi spaventa più. La mia paura più grande, ora, è il pensiero di perderti, di non avere abbastanza tempo per viverti.»
«Hai ragione, questo è uno schifosissimo cliché» ridacchiai.
Lui mi diede una leggera spallata. «Io apro il mio cuore e tu ridi di me? Grazie, sei davvero molto gentile.»
Gli restituii la gomitata. «Non ti ho mai giudicato, Luke. Ti ho odiato, ti ho maledetto un bel po' di volte, ho desiderato di poterti dimenticare, ma giudicato mai. Sono l'ultima persona che potrebbe permetterselo.»
La mia voce si era ridotta a un sussurro al termine della frase, ragion per cui Luke mi rivolse un'occhiata sospettosa. «Qualcosa mi dice che non ti riferisci solo a quello che ti ho fatto presente tempo fa, vero?»
Feci un cenno d'assenso col capo mentre, per via dell'agitazione, iniziavo a grattare via lo smalto dalle unghie. «È... È...» balbettai, poi m'imposi di mantenere il controllo. «È successo cinque anni fa.»
🌺
Esattamente come avevo fatto io, Luke tacque per la maggior parte del racconto. Mi bloccai più volte perché sentivo un groppo di bile in gola, altre perché la salivazione era pari a zero e avvertivo la bocca secca. A un certo punto Luke doveva aver messo un braccio attorno alle mie spalle perché, quando finii, la sua presa aumentò fino a trasformarsi in un abbraccio vero e proprio.
«Mi sento davvero uno stronzo.»
Lo osservai alla ricerca dell'inganno, però pareva sinceramente pentito per qualcosa. «Perché?»
«Per quello che ti ho detto, Bea. Ti ho giudicata senza sapere nulla di tutto questo» ammise agitando improvvisamente le mani in aria.
«Hai fatto bene» risposi e scoprii che la sensazione di vergogna che avevo provato quella sera non si era ancora attenuata. Mi vergognavo di tutto ciò che avevo fatto per scappare dal ricordo di Rick, per tutte le sere in cui mi ero concessa a uomini di cui a malapena conoscevo il nome. Avevo avuto bisogno di ricevere quella scrollata da parte sua.
«No, invece.»
«Luke, è acqua passata. Quello che abbiamo fatto non deve influire sul nostro presente, nonostante ci abbia resi quello che siamo ora» ribattei indicando entrambi.
«Siamo esseri umani, Luke, non siamo perfetti. Non siamo robot programmati per essere il massimo della perfezione ed efficienza. Commettiamo errori, viviamo esperienze che ci cambiano sia in negativo che in positivo, incontriamo persone che ci fanno smettere di credere nel bene, altre che invece ci danno la prova concreta che questo esiste anche solo nelle piccole cose.»
Aggrottò le sopracciglia. «Quanto sei saggia, Bea. Non l'avrei mai detto.»
Lo ignorai, consapevole che fosse solo un mezzo per stemperare la tensione. «So che avrei dovuto arrabbiarmi con te quella sera, e per un attimo l'ho fatto, però non è così che è andata e lo sappiamo entrambi. L'ho capito quando mi sono seduta, da sola, sul portico. Candy e Lia mi hanno accettata senza se né ma, è vero, eppure nessuna delle due ha mai provato a farmi capire che stavo sbagliando, che mi stavo rovinando. Si sono fatte andare bene qualunque cosa io facessi, sia per non ferirmi che per dimostrarmi che sarebbero rimaste comunque al mio fianco. Avrei preferito che fossero oneste con me, che non mi dessero ragione anche quando avevo torto marcio e sprecavo la mia vita in qualche motel fatiscente in periferia. Ecco perché non sono arrabbiata ed ecco perché ti dico grazie di averlo fatto: in quel momento ho compreso che non era finita, che meritavo di dare e ricevere amore, che era una decisione che spettava solamente a me. Quando ti ho conosciuto ho capito che non ero costretta a rivivere, giorno dopo giorno, quello che Rick mi aveva fatto. Mi hai dato una speranza, Luke, e nonostante i nostri alti e bassi non ho più dubitato di essere meritevole di amore.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro