XX
La differenza
Casa di Luke era una piccola, ma carina villetta dai muri dipinti di bianco – a differenza delle altre, con le pareti esterne al contrario colorate di toni pastello. Il giardino antistante l'ingresso era ben curato, anche se piante e cespugli di ogni tipo sbucavano di qua e di là. La siepe, ora con le foglie adagiate sul terreno, ne costeggiava il perimetro correndo lungo la rete che lo delimitava.
Mi persi ad osservare ciò che mi circondava meravigliata, nonostante il buio non mi permettesse di carpire i dettagli che avrei voluto scovare. Tante volte mi ero sorpresa ad immaginare cosa si nascondesse dentro gli edifici in cui mai ero entrata o che vita conducessero le famiglie nelle abitazioni che avevo visto solo da fuori, magari solamente di sfuggita. La casa di Luke, dal punto in cui mi trovavo, mi sembrò un rifugio caldo e accogliente, probabilmente ricolmo di chincaglierie e soprammobili fino all'orlo. Un ambiente familiare, ma non soltanto grazie alle persone che ci vivevano.
Cinque scalini separavano il vialetto di ghiaia dalla porta d'ingresso. In veranda c'era un dondolo, adesso senza cuscino, e sulla ringhiera c'erano vasi e vasi di ciclamini dai colori sgargianti.
Luke chiuse l'auto e mi raggiunse. Ero ancora in piedi, impalata all'altezza del cancelletto, e non avevo ancora mosso un sol passo. Ero curiosa di vedere l'interno, sapevo che mi avrebbe permesso di conoscerlo di più rispetto a quanto avrebbero fatto invece le sue parole.
Mi sorpassò e si diresse a grandi falcate verso la porta, poi fece scattare la serratura e la spalancò.
«Vieni» mi disse duro. «Altrimenti entra freddo.»
Accelerai il passo e feci come richiesto. Luke aveva già acceso un paio di luci; scoprii così con facilità che l'arredamento era quasi completamente di legno. Dai mobili alle scale, anch'esse belle e scricchiolanti immaginai.
Con un cenno m'invitò ad accomodarmi sul divano e dopo, forse pentito del modo brusco adottato poco prima, si affrettò ad aggiungere: «Arrivo subito.»
Sorrisi e istintivamente mi portai una mano alla bocca. Non volevo che vedesse quel sorriso, perché per quanto dimostrassi il contrario nella mia testa c'era ancora un fiume in piena di pensieri e parole contrastanti che lo riguardavano. Era una continua lotta tra testa e cuore e, mio malgrado, sapevo già chi avrebbe vinto. Non avrei mai potuto combatterlo senza ritrovarmi a pezzi con un pugno di sabbia tra le dita.
«Preferisci il tè o il caffè?» mi domandò Luke dalla cucina. La risposta che per me era forse scontata, per lui non lo era affatto. Ecco quanto poco ci conoscevamo, quanto quella situazione fosse assurda.
«Il caffè!» esclamai alzando un po' la voce per farmi sentire.
Mi raggiunse in salotto circa cinque minuti più tardi. Tra le mani reggeva due tazze di caffè fumanti e sul volto, nel momento in cui alzai gli occhi, scorsi un sorriso caldo e sincero. Lui, all'apparenza, era molto più tranquillo di me. Possibile che solo io avessi notato quanto il nostro rapporto fosse un controsenso? Andavamo avanti così, io e lui: ci urlavamo di stare lontani, eppure alla fine nessuno dei due riusciva a starci troppo a lungo. Era un circolo vizioso, e io mi sentivo intrappolata al suo interno senza la possibilità di uscirne.
Appoggiò le tazze sul tavolino di vetro davanti a noi. «Che film vuoi guardare?»
Scossi la testa, dato che non avevo preferenze particolari. «Quello che vuoi tu.»
«Te l'ho chiesto prima io» ribatté mettendo il broncio come un bambino. Scoppiai a ridere e sollevai le mani in alto, coi palmi ben aperti, in segno di resa.
«Ok, hai vinto tu» cedetti. «Tra quali film devo scegliere?»
Mi indicò uno degli scomparti del mobiletto sotto il televisore. Mi alzai dal divano e aggirai il tavolino, poi mi inginocchiai per poter leggere meglio i vari titoli. Ce n'erano almeno cinquanta diversi. Uno in particolare però attirò la mia attenzione, ma non ero sicura che sarebbe stata una visione leggera e piacevole. Passai al prossimo e mi soffermai su uno che mi era stato consigliato da Candice qualche mese prima, ma che ancora non avevo avuto tempo di guardare.
«Ti va bene questo?» dissi tenendo il DVD tra le mani, in modo tale che capisse a cosa mi stavo riferendo.
«Giovani Ribelli? Non è proprio il miglior film da guardare durante un appuntamento.»
L'aveva definito "appuntamento" o stavo anche cominciando ad avere le allucinazioni? All'improvviso, il mio cuore fece una capriola entusiasta. A me, dopotutto, andava bene qualsiasi film. Non avevo comunque intenzione di seguirlo avendo Luke accanto a me.
«Allora scegli tu» lo sfidai.
Mi affiancò in pochi passi e sfilò uno dei tanti: Attacco Al Potere.
«Approvi?»
Lo liquidai con un gesto disinteressato e tornai a sedermi sul sofà. Un film d'azione era un ulteriore incentivo per pensare ad altro – e per altro intendevo le sue labbra. Era da quando l'avevo visto alla mia porta, ore prima, che desideravo sfiorarle ancora.
Mi guardai intorno alla ricerca della borsa e la vidi posata su una delle sedie della cucina. «Torno subito» lo avvisai; in risposta ricevetti soltanto un'occhiata confusa.
Estrassi il cellulare, dopodiché inviai un messaggio a mia madre e uno a Candy. La prima fu avvertita che Candice sarebbe rimasta a dormire a casa nostra, la seconda che io avrei trascorso la notte altrove. Non attesi che arrivasse una conferma; lo ributtai nella borsa e mi diressi nuovamente verso di Luke.
Lo raggiunsi quando le prime scene della pellicola avevano già riempito lo schermo. Seguii distratta i discorsi dei personaggi, l'introduzione a quella che sarebbe stata la storia vera e propria, e nel frattempo rimuginai sul da farsi. Il ragazzo per fortuna venne in mio soccorso, mostrandomi la soluzione più semplice alle mie mille domande, battendo la mano sull'imbottitura del divano.
Inizialmente l'imbarazzo era palpabile. Stavamo vicini, uno affianco all'altra, come due estranei – cosa che, in effetti, eravamo – con le braccia distese lungo i fianchi e le mani posate in grembo. Io con le gambe accavallate, lui quasi completamente disteso sul bracciolo. La televisione faceva da sottofondo alla mia mente caotica. Non potevo fare altro che guardare la creatura che mi aveva pregato di avere una seconda possibilità. Lui, poi, che ero sicura meritasse di meglio.
Osservai i suoi capelli biondi, adesso scompigliati per le troppe volte in cui vi aveva passato le dita in un gesto che mi era parso dettato dal nervosismo, il profilo del suo viso che sembrava scolpito nella pietra, la linea della mascella ben definita. Lo osservai per istanti interminabili, ma in qualche modo la mia attenzione ricadeva sempre e comunque sulle sue labbra. Erano carnose, di un bel colore rosato.
Mi avvicinai a lui lentamente, scivolando piano sul cuscino. Ci separavano ormai pochi centimetri quando la sua postura diventò più rigida, le spalle tese e il viso sollevato verso l'alto.
«Ferma» disse all'improvviso.
Lo feci. Cancellai dalla memoria ogni azione che avevo pianificato di fare. Il suo rifiuto non proprio velato mi congelò sul posto e d'un tratto presi in considerazione l'idea di essermi sbagliata, di aver frainteso il significato di "seconda possibilità". Forse voleva che diventassimo semplici amici, nient'altro. Mi sentii piccola e stupida.
«Ho fatto qualcosa di male?» chiesi con un certo tremolio nella voce. Le parole faticavano a uscire, il cuore m'implorò di tacere pur di non dover subire ulteriori danni.
«È... Tutto questo» sospirò facendo una breve pausa nel mezzo, come se stesse cercando disperatamente di esporre il suo pensiero senza farmi male.
«Spiegati» dissi soltanto. Fu un ordine vero e proprio quello che uscì dalle mie labbra, perché dovevo sapere se era colpa mia. Il dubbio mi logorava e mi faceva battere il cuore all'impazzata. Ne avvertivo i battiti persino nelle orecchie, nello stomaco.
«Io...» prese un lungo e profondo respiro. «Non ci conosciamo neanche, Bea. Non voglio una storiella qualunque. Non voglio scopare con te stasera e dimenticarmene domani.»
«Neanche io» affermai sicura.
«Ti ho trattata male, ti ho ignorata, ho fatto finta che tu per me non esistessi» continuò. «Eppure tu sei qua, pronta a spogliarti per me.»
Sbarrai gli occhi, incredula. Essere consapevole del fatto che aveva tremendamente ragione fu la parte peggiore.
«È così che rispetti te stessa?»
Avrei voluto afferrare la giacca, la borsa e correre via. Dopotutto, era quello che si aspettava. Si era preso gioco di me, mi aveva illusa di poter valere qualcosa per lui solo per la sadica soddisfazione di mettermi con le spalle al muro, abbastanza vulnerabile da permettergli di farmi una ramanzina simile. Lui non era nessuno per poterlo fare, lui non mi conosceva. Non sapeva niente di me.
«Tu non mi conosci» replicai, furiosa. Sentii le lacrime premere agli angoli degli occhi per uscire, sfogarsi e cadere giù fino alle gambe.
«Hai ragione.»
«Solo perché non ti ho detto che sei un coglione, che ti comporti come tale, non vuol dire che io non lo abbia mai pensato.»
«Ah, un'altra cosa» aggiunsi. «Scusa se volevo darmi una possibilità anche io. Mi sbagliavo su di te.»
Me ne andai senza proferire altro. Non volevo più avere a che fare con lui.
🌺
Ero seduta sugli scalini all'esterno della villetta da ormai un quarto d'ora, e per qualche ragione non riuscivo ad andarmene. Luke si era comportato da stronzo, però aveva detto delle cose giuste sotto certi aspetti. Aveva detto ad alta voce ciò che io stessa pensavo di me, ciò che non riuscivo ad ammettere perché credevo di essere migliore di così. Volevo, speravo e pregavo di diventarlo un giorno. Mi aveva fatto riflettere perché non bastava pensarlo per essere quella persona; le parole non servono a niente in questi casi.
Udii lo scatto della serratura alle mie spalle. Quel rumore improvviso mi fece sobbalzare e scattare in piedi come una molla.
«Sapevo che non te ne saresti andata tanto facilmente» sorrise. Io, invece, mi limitai a sbuffare.
«Ciao» dissi allora e scesi uno, due, tre gradini. Mi sentivo uno schifo, e il suo sguardo indecifrabile mi fece innervosire più di quanto non lo fossi già.
Gli dedicai un'ultima occhiata aprendo il cancelletto, ma lui non si scompose. Continuò a guardarmi, muto come un pesce. Presi il suo silenzio come una conferma, come un "vattene, non ti voglio vedere mai più". Quel pensiero mi fece contorcere le budella, mi fece venire voglia di urlare a perdifiato che non ero così, che valevo più di quanto dessi a vedere, che avevo solo bisogno di un po' di amore.
Se al suo posto ci fosse stato un altro ragazzo, probabilmente non mi avrebbe fermata. Anzi, al novantanove per cento non stava aspettando altro che un momento così. Ma lui no, lui non l'aveva fatto. Lui mi aveva dato un bello scossone e detto "riprenditi".
Mi voltai nuovamente. Non si era mosso di un solo millimetro e mi guardava, l'espressione vuota. Gli stavo dimostrando che aveva ragione, che ero lì solamente per una notte di divertimento senza impegno. Andandomene gli stavo dando la conferma che non voleva ricevere.
La borsa mi cadde a terra con un tonfo quando me ne resi conto e i singhiozzi cominciarono a scuotermi da capo a piedi. Merito di meglio, mi ripetei come un mantra mentre gli correvo incontro e gli gettavo le braccia al collo.
«G-Grazie» balbettai stringendo la sua maglietta tra le dita, il viso premuto contro il suo petto.
Con un braccio attorno alle mie spalle, Luke mi condusse di nuovo in sala. Le stesse luci che avevo visto nemmeno un'ora prima entrando erano ancora accese e il film non era stato neppure messo in pausa.
«Scusa se sono stato troppo duro con te. Mi dispiace.»
Accettare le sue scuse sarebbe stata la cosa migliore da fare, ma in cuor mio ero consapevole che non ci fosse niente di cui scusarsi. Era stata la prima e unica persona ad avere il coraggio dirmi in faccia determinate cose, a impedirmi di compiere lo stesso errore ancora e ancora.
«Fa' niente. Avevo bisogno di sentirmelo dire» dissi vergognandomi. Diventai rossa fino alla punta delle orecchie.
«Meriti molto più di quanto credi» asserì staccandosi da me. Prese il telecomando posato sul tavolino e fece ripartire il film dall'inizio.
Mi sedetti accanto a lui e mi rifugiai tra le sue braccia. Appoggiai la testa sul suo petto mentre le sue dita viaggiavano tra i miei capelli e, anche se per l'ennesima volta non stavo seguendo il film, mi sentii in pace con me stessa. Forse qualcosa stava cambiando, forse avevo davvero trovato qualcuno che andasse oltre il mio aspetto esteriore, forse c'era qualcuno che non vedeva solo un bel corpo in me. Forse avevo davvero avuto la fortuna di incontrare un ragazzo che credesse in me e nelle mie potenzialità, che desiderasse il mio intero e non solo una parte.
Erano comunque tanti forse che attendevano di essere trasformati in certezze, ma sorrisi al pensiero di essere finalmente sulla strada giusta. Non la migliore, magari, tuttavia ero sicura di essermi imbattuta in colui che avrebbe potuto realmente fare la differenza nella mia vita.
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