XIV
Delusione
Mi staccai da Luke immediatamente e, posando le mani sul suo petto, lo allontanai bruscamente da me. Sul mio viso prese forma un'espressione colpevole, di vergogna, e mi sentii come una ladra appena colta sul fatto.
Luke non disse niente, si limitò a percorrere il piccolo corridoio dietro il bancone a ritroso e a raggiungere nuovamente i propri amici. Con la coda dell'occhio lo vidi sedersi, dato che non aveva alcuna intenzione di andarsene, ma questo contribuì solamente ad aumentare il disagio che stavo provando in quel momento.
Non risposi a Candice, però mi voltai di spalle e vidi il caffè sparso un po' ovunque. Respirai profondamente e strizzai la spugna nel lavello prima di passarla sul piano della macchinetta tentando di non combinare ulteriori danni. La risciacquai e ripetei quei gesti finché non ebbi sistemato alla bell'e meglio il disastro che avevo fatto.
Candy, invece, era ancora in piedi davanti alla porta a braccia incrociate. Non mi aveva tolto gli occhi di dosso neanche un attimo, e per l'ennesima volta lessi nel suo sguardo nient'altro che accuse e delusione.
Camminò a passi lenti e studiati nella mia direzione fino ad appoggiare entrambi i gomiti sul bancone, un po' come Luke aveva fatto poco prima. Solo che ora l'agitazione era alle stelle, e non ero certo pronta a sorbirmi una ramanzina da parte sua. Sapevo di averla delusa e quella fu la sensazione peggiore che avessi mai provato. Volevo che fosse fiera di me, ma a quanto pareva ero brava soltanto a combinare un casino dietro l'altro.
«Non ti riconosco più» mi disse a voce bassa.
La guardai, ormai sul punto di piangere. Le lacrime mi si erano accumulate agli angoli degli occhi, e non ero più in grado di trattenerle. Una scese lungo la guancia fino a cadere nel lavandino, considerando che ero leggermente chinata in avanti. Il groppo che avevo in gola mi permetteva a malapena di respirare.
«Non ne posso più di tutti questi segreti» aggiunse. «Ogni volta che credo di conoscerti, mi dimostri il contrario.»
Vari rumori si sovrapposero l'uno all'altro: lo scricchiolio delle sedie, un chiacchiericcio sommesso, un «Meglio se ce ne andiamo» che distinsi chiaramente in mezzo a quel brusio di voci. Alzai lo sguardo e vidi che Luke e la sua combriccola stavano per lasciare il locale; uno di loro aveva appoggiato una banconota sul tavolino, in silenzio. Li maledissi, consapevole che la loro assenza avrebbe reso le ore della giornata che avanzavano più pesanti del solito.
Salutai Luke con un goffo cenno della testa, ma lui non ricambiò. Forse non mi aveva vista, forse si era pentito di avermi baciata, forse... Scossi il capo tentando di allontanare quelle ridicole supposizioni dalla mia mente. Anche se me ne rendevo conto, non ero capace di andare contro il mio istinto a costo di farmi valere con lui.
Candice, nel frattempo, corse nel retro a cambiarsi. Mi sorpresi a tirare un sospiro di sollievo quando il silenzio mi avvolse come una coperta calda nel gelo di gennaio. Avrei voluto rimanere in quella bolla di solitudine piatta finché non fossi stata pronta io stessa ad uscirne, ma rincontrare gli occhi di Candy mi fece precipitare di nuovo. Non riuscivo a sostenere quello sguardo, avrei preferito ricevere una coltellata piuttosto che sopportarlo oltre. Cosa avevo fatto di così sbagliato per meritarmelo?
🌺
Le restanti ore trascorsero immerse nella quiete assoluta. Si sentiva solo il tintinnare dei bicchieri e delle stoviglie, il ronzio basso della macchinetta del caffè, le sedie che venivano spostate di tanto in tanto quando un cliente arrivava o abbandonava il Mermaid. Qualcuno di loro ci rivolse persino delle occhiate confuse; durante il turno io e Candice eravamo solite ridere e scherzare anche di fronte a loro senza alcun problema. L'allegria e spensieratezza che caratterizzava il bar erano venute meno facendo scattare in loro un campanello d'allarme, eppure non avevo la forza di affrontare quella situazione. Preferivo restare sospesa nel limbo, se questo significava non essere costretta a dire cattiverie che in realtà non pensavo.
Guardavo l'orologio appeso alla parete ossessivamente, ma più lo facevo meno il tempo sembrava passare. Fu allora che decisi di dare una sistemata alla sala per distrarmi e, affaccendata com'ero, quasi non mi accorsi che Candice stava parlando con me. «Bea! Dobbiamo chiudere.»
Annuii veloce col capo e smisi di prestare attenzione a lei. Sapevo che non mi avrebbe detto altro e che persino avvertirmi di dover andare a casa aveva comportato uno sforzo immane per lei. Si vedeva lontano un miglio che non aveva la benché minima intenzione di rivolgermi la parola, tuttavia se era questa la strada che aveva deciso di intraprendere a me stava bene. Il mio orgoglio, malgrado fosse ferito e ridotto a pezzi, era più forte e presente del suo. Non le avrei raccontato nulla solo perché me l'aveva chiesto, a maggior ragione non dopo il tono maleducato e altezzoso con cui aveva preteso di sapere una parte della mia vita che comunque non la riguardava. L'amicizia a cui aspiravo non si costruiva su alcun obbligo, quindi non le avrei dato quella soddisfazione.
Andai nel retro e recuperai la borsa e la giacca. La indossai in fretta e corsi fuori. «Ci vediamo domani» dissi a Candy tenendo con una mano la porta e con l'altra il cellulare. Lei alzò lo sguardo verso di me, ma non rispose.
Camminai a grandi falcate lungo il marciapiede. Avevo ormai infilato gli auricolari nelle orecchie e stavo ascoltando una canzone dei Bring Me The Horizon: Throne. Riusciva sempre a darmi la carica giusta. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di non pensare, avrei fatto l'impossibile per smettere di ascoltare i pensieri che si susseguivano nella mia testa come treni in corsa. Concentrai la mia attenzione su altro, su ciò che di bello si trovava attorno a me: era buio e le stelle erano ben visibili, tanto che mi fermai per qualche istante sul marciapiede per poterle ammirare. C'era un vento leggero che faceva oscillare lievemente le poche foglie sopravvissute all'inverno e qualche macchina transitava sulla strada principale. Sentii il rombo dei motori in lontananza perché, nonostante il limite di velocità su quel rettilineo, molti correvano come pazzi.
Nel giro di pochi minuti, per fortuna, raggiunsi la mia abitazione. Cercai le chiavi nella borsa, le infilai nella toppa e feci scattare la serratura. Non appena aprii la porta un calore familiare mi accolse facendo rilassare i muscoli dalla tensione dovuta al fatto di essermi dovuta trattenere tutto il pomeriggio con Candice.
Un chiacchiericcio si levò ben presto dalla cucina, ma oltre alle voci di mia madre e di mio fratello ne riconobbi subito un'altra. Anche Lia era lì con loro.
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