XI
Amicizia
In quel periodo io e mia madre non ci vedevamo molto. Per un motivo o per l'altro ero sempre fuori con Candice o facevo gli straordinari al Mermaid. Capitava ancor più di rado che cenassimo assieme o che scambiassimo quattro chiacchiere come eravamo solite fare. Erano più le volte in cui tornavo e la trovavo addormentata sul divano che quelle in cui la incrociavo per casa. Questo accadeva la mattina, di tanto in tanto, quando non mi alzavo presto in modo tale da essere io ad aprire il locale.
Quella sera, però, decisi che avrei passato più tempo possibile con lei. Candy mi aveva detto che sarebbe passata a prendermi alle dieci, quindi avevo finalmente la possibilità di stare con mia madre.
Infilai le chiavi nella toppa e spalancai la porta. «Mamma, sono a casa!» mi permisi di urlare, considerando che ero rientrata ad un orario ragionevole. Erano solo le otto meno venti.
«Bea!» Mia madre mi corse incontro e mi abbracciò. Mi lasciai coccolare per svariati minuti, ma parvero comunque troppo pochi. Avevo bisogno di lei, del suo calore e affetto, ora più che mai.
«Ti va una pizza?» le chiesi allontanandomi e togliendomi la giacca.
Lei annuì. «Aaron è a casa di Jonah, un suo compagno di classe, quindi siamo da sole stasera.»
Le feci cenno di aver capito col capo e l'avvertii che sarei andata in camera, al piano di sopra, a posare la borsa.
Ero felice di poter finalmente avere un momento solo nostro; non succedeva da talmente tanto che avrei passato volentieri ore e ore a raccontarle di quanto mi trovassi bene al Mermaid o di quanto l'amicizia con Candice mi facesse sentire accettata. Volevo fargliela conoscere, ero certa che l'avrebbe adorata. Così come i genitori smascherano subito la compagnia sbagliata, noi figli sappiamo esattamente che tipo di persone vorrebbero incontrare.
Prima di scendere approfittai del silenzio e chiamai la pizzeria più vicina per ordinare, dopodiché raggiunsi la cucina e le dissi che avevo già pensato a tutto io. Lei mi sorrise, poi mi carezzò dolcemente i capelli.
«Cosa ti rende tanto triste?»
Spalancai gli occhi, non le si poteva proprio nascondere niente. «È tutto a posto, mamma» risposi cercando di suonare quanto più credibile. Malgrado ci fossimo viste per pochissimi minuti durante le ultime settimane, aveva comunque compreso che qualcosa in me non stava andando come avrebbe dovuto.
«Bea.» La sua voce era ferma, molto più della mia, e non ammetteva un "no" come risposta alla domanda che non aveva pronunciato.
«Ho conosciuto un ragazzo» sminuii la questione. D'altronde, non c'era nient'altro da aggiungere: io e Luke eravamo poco più che sconosciuti. Era inutile convincersi del contrario, avrei soltanto peggiorato la situazione.
Mia madre sbiancò improvvisamente. Il solo pensiero di sapermi in compagnia di un ragazzo le faceva tremare le gambe e le mani, la voce. Era un tasto dolente anche per lei, ma a differenza mia faceva qualsiasi cosa pur di celare quella spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
«Sta' attenta» mi redarguì in un sussurro. Abbassò lo sguardo per sfuggire ai miei occhi.
Se le avessi raccontato ciò che avevo fatto subito dopo essermi trasferita a Gold Bay, ero certa che non mi avrebbe più rivolto la parola. Avevo affrontato la situazione nella maniera sbagliata, seppur consapevolmente. Sono tutti bravi con il senno di poi, dopotutto.
«Stai tranquilla» la rassicurai. «Non ci vediamo né sentiamo da quasi due settimane. Non c'è stato niente tra di noi.»
Volevo evitare che si preoccupasse. Il mio cuore se ne sarebbe fatto una ragione, mia madre, invece, probabilmente no vedendomi triste e abbattuta. Potevo, anzi, dovevo farcela a qualunque costo.
🌺
Il fattorino ci consegnò la pizza soltanto venti minuti più tardi. Mangiammo di gusto e durante la cena, per mia fortuna, si susseguirono solo chiacchiere di poco conto.
Si interessò al Mermaid e a come ce la stessimo cavando al locale, poi mi disse che sarebbe passata a salutare Bob non appena ne avesse avuto la possibilità. Non avevo ancora capito che tipo di rapporto ci fosse tra di loro, però di una cosa ero al contrario convinta: si volevano bene, molto, e tenevano l'uno all'altra. Risposi con un sorriso che sarei stata più che contenta di mostrarle come avevamo rimodernato il posto e, soprattutto, di fare finalmente le presentazioni ufficiali tra lei e Candice. Ero convinta che si fossero come minimo incrociate per strada, ma sempre senza riconoscersi.
«Candy passa a prendermi alle dieci» l'avvisai dopo aver finito la pizza. «È meglio che vada a prepararmi.»
«Dove andate di bello?»
«A dire il vero, non lo so.» Risi, e fu allora che le parlai di quanto successo quel pomeriggio. Ricordai con lei le parole del signore che ci aveva accennato parte del passato di Bob e Sheila, e la generosa mancia che ci aveva lasciato prima di andarsene.
«Dev'essere Darren» ponderò alla fine.
«Darren?» ripetei aggrottando le sopracciglia.
«Sì, l'ho visto qualche volta al Mermaid, prima che tu iniziassi a lavorare lì.»
Mi stava nascondendo qualcosa. Lo compresi dal labbro inferiore leggermente tremante, dalle sue mani che non ne volevano proprio sapere di stare ferme sul suo grembo. Avevo avuto il dispiacere di scorgere una reazione del genere solo quando, quella sera, le avevo confidato ciò che mi era accaduto.
«Mamma» tentai di richiamare la sua attenzione.
«Vai a prepararti o farai tardi» mi liquidò brusca.
Ero sul punto di farle altre domande quando mi accorsi della lacrima solitaria che, lenta, stava solcando il suo viso seguendo il contorno della guancia. L'asciugò in fretta credendo che non me ne fossi accorta. Sarei sicuramente tornata sull'argomento più avanti, quindi mi alzai dalla sedia e salii le scale diretta alla mia camera da letto senza insistere.
🌺
Scesi al piano di sotto verso le dieci meno venti, dato che mi ero preparata in fretta in modo tale da non dover far aspettare Candy. Il più delle volte non ero puntuale, e la sola idea di essere in ritardo avrebbe mandato in fumo ogni mio buon proposito.
Mia madre si pose sulla soglia della cucina non appena sentì i gradini cigolare sotto i miei passi. Mi squadrò dall'alto al basso con gli occhi lucidi. «Ti sei truccata.» La sua bocca si aprì leggermente per la sorpresa, poi cominciò a camminare nella mia direzione.
Annuii col capo e scesi gli ultimi gradini rimasti. Lei mi abbracciò – non ci eravamo mai abbracciate tanto spesso, forse soltanto in quel periodo – e con la mano che non aveva posato sui miei fianchi mi accarezzò la testa.
«Sono fiera di te, Bea. Non dimenticarlo mai.»
Lottai per scacciare le lacrime, altrimenti il trucco si sarebbe interamente sciolto sul mio viso. «Ti voglio bene, mamma.»
Per mia fortuna, il campanello ci interruppe, così corsi alla porta per aprire. Strano, pensai, non è da Candy arrivare in anticipo. Con sorpresa di entrambe, alla porta trovammo Aaron. Accanto a lui c'era un ragazzino dai capelli scuri e sbarazzini che non avevo mai visto e, alle loro spalle, quella che presunsi essere la madre di quest'ultimo. Aveva un sorriso dolce e lo sguardo altrettanto, quindi non potei che ricambiare il suo gesto.
«Tu devi essere Bea» disse la donna tendendomi la mano. «Piacere, io sono Claire, la madre di Jonah.»
La strinsi, né troppo forte né troppo piano, e prima che potessi scompigliare i capelli di mio fratello a mo' di saluto, lei aggiunse: «Aaron non fa altro che parlare di te.»
Mi voltai di scatto verso di lui, le sopracciglia aggrottate. «Davvero?» mormorai, incredula.
Lui fece spallucce in risposta, mentre Claire mi riservava un occhiolino divertito.
Jonah, con l'atteggiamento fiero ed orgoglioso del ragazzino quale era, affermò invece con convinzione: «Sei davvero bellissima. Questo Aaron mica me l'aveva detto.»
Mi ritrovai ad arrossire, nonostante il suo commento innocente. «Grazie, Jonah.»
«Cassandra, che bello vederti!» affermò stavolta rivolta a mia madre, comparsa sulla soglia in quell'istante. «Non abbiamo avuto modo di parlare, quest'oggi» terminò dispiaciuta.
«Entra pure, ti offro un caffè» propose mia madre facendosi da parte e invitando me a fare altrettanto. Le osservai con un sorriso ampio, felice di assistere a quella scena.
Aaron e Jonah corsero in camera di mio fratello, ma prima che questo accadesse, il primo mi abbracciò forte. «Ti voglio bene, sorellina» sussurrò inaspettatamente al mio orecchio.
Stentai a credere che l'avesse fatto sul serio, raramente si lasciava andare a questo tipo di dimostrazioni d'affetto. Sapevo che mi voleva bene anche se non me l'aveva mai detto, ma quando a pronunciare quelle parole fu la sua voce sentii il mio cuore fare una capriola nel petto.
Chiusi la porta e raggiunsi la cucina, dove si erano ormai accomodate Claire e mia madre. Non l'avevo mai vista tanto a suo agio con qualcuno, non si faceva chiamare Cassandra da nessuno; per noi era mamma, per gli altri solo Cassie. Il pensiero che anche io e Candice potessimo un giorno diventare come loro mi rese incredibilmente felice. Malgrado non avessi fatto piani per il futuro, credevo fermamente che la nostra amicizia fosse talmente solida da durare così a lungo. Questo mi dava forza.
Le trovai sedute in cucina, una di fronte all'altra, a chiacchierare con lo stesso trasporto di due amiche di vecchia data. Dovevo riconoscere che mia madre era molto più brava di me a fare amicizia con dei completi sconosciuti. Mentre io avevo solo Candy, lei ormai conosceva l'intera popolazione cittadina. Davvero, non c'era anima che non sapesse chi era mia madre, anche solo per sentito dire. Probabilmente era stato il lavoro come cassiera, nell'unico supermercato di Gold Bay, ad agevolarla sotto questo aspetto. Ci si fa un nome, una reputazione, a suon di vedere giorno per giorno le stesse persone. Avrebbe dovuto essere lo stesso per me, ma il Mermaid non era purtroppo altrettanto frequentato al mio arrivo.
L'idea di interrompere la loro conversazione mi fece sentire un po' in colpa, quindi presi posto all'altro lato del tavolo e controllai rapidamente le notifiche sul cellulare. Candice ancora non mi aveva fatto sapere nulla, di conseguenza presupposi che fosse in ritardo di qualche minuto. Nonostante ciò, non potevo prendermela con lei; era talmente bello vedere mia madre allegra e sorridente che avrei passato ore lì, in silenzio, a guardarla ridere.
Non feci neppure in tempo a pensarlo che il campanello suonò nuovamente. Rivolsi uno sguardo a Cassandra scusandomi di dovermene andare proprio in quel momento, malgrado il mio contributo alla conversazione fosse stato praticamente nullo, e salutai anche Claire prima di uscire. Cassie mi diede un bacio sulla fronte. «Divertiti, Bea, e non fare tardi.»
Era incorreggibile: avevo vent'anni e ancora mi imponeva degli orari da rispettare. Non lo faceva con cattiveria, questo no di certo; aveva passato le pene dell'inferno a causa mia. Ci scambiammo un'occhiata e le assicurai che sarei tornata a casa presto. Lei rise e m'invitò a muovermi, altrimenti il clacson della macchina di Candice non avrebbe smesso di suonare.
Dopo aver preso tutto ciò che mi sarebbe servito durante la serata, mi chiusi la porta alle spalle e percorsi il vialetto a grandi falcate. Non vedevo Candy da poche ore, ma mi era comunque mancata da morire.
«Ciao, splendore!» esclamò non appena mi accomodai sul sedile del passeggero. Allacciai la cintura e: «Cosa? Splendore?»
«Sì» rispose seria limitandosi a quella misera affermazione. Non era il tipo da nomignoli sdolcinati o da complimenti celati da essi. Se voleva dire una cosa, lo faceva senza troppi giri di parole.
«Che succede?» le domandai. Mi spaventò non poco il suo comportamento, proprio perché non sapevo cosa vi si nascondesse dietro. Lei, come me, aveva il maledetto difetto di omettere dettagli importanti della propria vita pur di non far preoccupare gli altri.
«Niente!» Il fatto che l'avesse detto con la voce di un'ottava più alta rispetto al normale non mi rassicurò affatto, però scelsi di non insistere. Non volevo infilare il dito nella piaga riguardo questioni che non avevano a che fare con la sottoscritta, seppure fossi sicura che me ne avrebbe parlato non appena fosse stata pronta.
Mi sporsi un po' per accendere la radio e, nel farlo, le accarezzai leggermente la mano appoggiata sulla leva del cambio. Sono qui, significava, e lei lo capì. Tirò su col naso, come se fosse in procinto di piangere ed io l'avessi fermata per un soffio, ed alzò il volume. "No Broken Hearts" riempì l'abitacolo ed entrambe iniziammo a cantare.
Non le chiesi dove stessimo andando, ma avevo una vaga idea di quale fosse il locale designato. Eravamo state poche volte al Moonlight, dato che spesso e volentieri preferivamo una chiacchierata in santa pace al frastuono di una discoteca. Qualche anno addietro non la pensavo esattamente alla stessa maniera, ma c'era una prima volta per tutto. Incontrare Candice aveva totalmente rivoluzionato la mia vita.
Parcheggiò l'auto ad una trentina di metri dall'entrata circa dieci minuti più tardi. «Sei pronta?»
Annuii e scendemmo dalla macchina. L'aria fredda della sera ci fece tremare e avvicinare l'una all'altra, così la presi sottobraccio mentre camminavamo. Nonostante la temperatura, all'esterno c'era un mucchio di gente intenta a fumare e parlottare.
«Hai portato le sigarette?» le domandai. Si staccò da me e frugò nella borsetta finché non le trovò. Me ne porse una.
«Promettimi di non esagerare.» Mi sembrò di ascoltare mia madre.
La spintonai leggermente. «Sì, non ti preoccupare per me. Sai bene che non è mai stato un vizio.»
Il fumo non lo era, ma posti del genere mi facevano venire voglia di portare una sigaretta alle labbra, far aderire la schiena alla parete ed azzerare qualsiasi pensiero. Le presi la mano e la trascinai con me verso un posto più appartato, in modo tale da poter chiacchierare in tranquillità.
«Ti vedo un po' persa stasera» dissi poi lasciando uscire il fumo dalla bocca. Lei non negò né mi diede ragione. Sapeva che sapevo.
«Sono solo un po' stanca» mi rivelò in seguito, un paio di minuti dopo. Feci spallucce combattendo l'istinto di chiederle cosa fosse successo nel lasso di tempo che avevamo trascorso in due luoghi diversi.
Finita la sigaretta schiacciai il mozzicone sotto la scarpa e, con Candice accanto, mi feci largo fino all'ingresso.
Quando sentii una ragazza pronunciare il mio nome sentii il sangue gelarsi nelle vene. Aveva qualcosa di familiare, sebbene fossi certa di non sentirla da un po'.
«Bea!» ripeté, questa volta più forte. Non mi mossi neanche di un millimetro, paralizzata com'ero.
Mi voltai e, quando riconobbi la ragazza di fronte a me, fui in grado di pensare solo questo: come ha fatto a trovarmi?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro