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Amore
Non appena misi piede in casa, mi precipitai al piano superiore. Gettai un'occhiata rapida al salotto, dove mia madre dormiva distesa sul divano – al riparo dal freddo per metà, la coperta in parte adagiata sul tappeto – e mi fiondai in bagno. Tolsi il cappotto, rabbiosa e tremante, e lo lanciai verso la porta.
Avvertivo un groppo di bile fastidioso in gola. I conati scossero il mio corpo, così appoggiai entrambe le mani sulla tavoletta del water. Vomitai tutto ciò che avevo mangiato nel giro di pochi minuti, e mi ci volle un po' per regolare il respiro.
Non riuscivo a smettere di pensare alla serata appena trascorsa, all'abisso tra quello che era accaduto durante la cena e a ciò che invece era successo una volta nel parcheggio. Luke non poteva saperlo, non poteva sapere di non dovermi toccare. Non gliene feci una colpa appunto per questo, eppure era una sensazione che non ero in grado di combattere o scacciare. Ad eccezione di Candy, toccare qualcuno, abbracciare qualcuno o semplicemente lasciarmi accarezzare la guancia, era fuori questione. Mi chiesi come avrei potuto guardarlo negli occhi dopo una serata del genere perché, per l'ennesima volta, mi ero convinta che fosse stata colpa mia e che non meritassi quel tipo di amore.
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Il giorno successivo mi presentai al Mermaid alle due del pomeriggio. Una domenica sì e una no potevamo concederci il lusso di dormire fino tardi e recuperare le ore di sonno perdute. Candice era già lì, era stata lei ad aprire, e quando entrai la trovai intenta ad appoggiare i bicchieri per le bibite sui ripiani. La folata d'aria ghiacciata la fece voltare e fulminarmi con lo sguardo.
«Sbrigati a chiudere!» esclamò passandosi le mani sulle braccia.
«Sì, tranquilla» dissi mentre la porta sbatteva alle mie spalle. Forse ci avevo messo troppa forza nel chiuderla.
«Allora, com'è andata?» mi chiese. «Ero preoccupata, non mi hai chiamata ieri sera.»
Srotolai lentamente la sciarpa, poi mi sfilai il cappotto. Li appesi entrambi all'appendiabiti e mi avvicinai al bancone a passi lenti.
«Così così» replicai sincera.
«Cosa intendi? Si è spinto un po' troppo oltre?» La sua domanda suonò come qualcosa a metà tra lo scherzo e la preoccupazione reale. Spalancò gli occhi incredula quando il mio silenzio durò per qualche secondo di più, ma questo non era dovuto al fatto che l'avesse fatto, piuttosto al tremore incontrollato che aveva preso possesso dei miei arti al ricordo che certe parole facevano riaffiorare. Infilai le mani nelle tasche dei jeans per nasconderlo.
«No» mormorai. «Anzi, a dire il vero non ho voglia di parlarne» conclusi insicura.
Aggirò il bancone e in men che non si dica mi fu accanto. «Bea...»
«No, Candy. Stavolta so per certo che non mi vorrà rivedere, ho rovinato tutto.»
«Sono sicura che ti sbagli» sussurrò con il viso a poca distanza dal mio, mentre le sue dita attorcigliavano distratte una ciocca di capelli portandola dietro l'orecchio.
«Vorrei dirti che ci spero, davvero, ma mentirei a me stessa se lo facessi. Forse, semplicemente, non sono fatta per questo tipo di cose.»
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Una settimana e mezzo. Erano passati undici giorni esatti dalla sera in cui ero uscita a cena con Luke e, da quella volta, non avevo più avuto sue notizie. Non sapevo cosa pensare anche se, a dirla tutta, mi ero ormai rassegnata all'idea che fossimo sconosciuti e che tali dovessimo rimanere. Avevo commesso un errore madornale illudendomi che potesse andare diversamente.
Non riuscivo ad attribuire né un nome a ciò che sentivo nei suoi confronti né un senso. Tutto di quel rapporto era sbagliato: non ero capace di essere sincera con lui, ma al contempo ero consapevole del fatto che fosse invece giusto darmi una seconda possibilità. I ragazzi con cui avevo fatto sesso, una notte e basta, per mesi non erano l'opportunità che tanto attendevo, bensì la dimostrazione concreta di quanto quel ragazzo un tempo mi avesse distrutta, fatta a pezzi, umiliata senza ritegno, portata a credere che non meritassi un trattamento differente. Ero stata convinta troppo a lungo che non valesse la pena darmi amore.
Anche mercoledì mattina la sveglia suonò precisa alle sette in punto. Ero tentata di spegnerla e rimandare quell'impegno, ma desistetti. Bob e Candice avevano bisogno di me, Candy ne sarebbe uscita pazza ed esaurita se non mi fossi presentata al Mermaid. Certo, avrei potuto fingermi malata o prendermi un giorno di ferie e stare a dormire tutto il giorno, però ero disposta a fare qualunque cosa per la mia amica. Avrei dato la mia stessa vita per lei, quindi a confronto sopportare un po' di gente per qualche ora pareva una passeggiata.
Mi stiracchiai, scesi dal letto e i miei piedi toccarono il pavimento freddo. Scossi la testa al brivido che mi corse in lungo e in largo dalla schiena alla punta dei piedi. Non dovevo lasciarmi scoraggiare. Non dovevo piangermi addosso. L'avevo fatto per mesi, per anni, per così tanto tempo da dimenticare cosa significasse rimboccarsi le maniche e darsi da fare per sistemare e apprezzare la propria vita. Non avrei permesso ad un singolo ragazzo di azzerare i progressi che avevo accumulato fino ad allora.
Mi feci una doccia tiepida per svegliarmi e contemporaneamente darmi la forza di affrontare la giornata al meglio.
Durante l'assenza di Luke, avevo ricominciato a truccarmi. Non molto, quel tanto che bastava per sentirmi carina io stessa. Questo glielo dovevo concedere: ricevere le sue attenzioni era stato un toccasana per la mia autostima. M'infilai i vestiti e persi una decina di minuti con il make-up. Quando mi guardai allo specchio sorrisi soddisfatta; non per il trucco, ma per aver ritrovato il coraggio di essere me stessa. Dal ricordo che era, che ero, era tornato ad essere realtà. Ecco perché, nonostante tutto, non ero in grado di arrabbiarmi con lui: inconsapevolmente aveva fatto tanto per me.
Quando entrai al Mermaid mi sentii a casa. Paradossalmente, quel posto era ciò che più si avvicinava al mio concetto di "casa". Avevo fatto di tutto pur di non far pesare a Bob la situazione, ci avevo messo tutta la volontà e l'impegno che possedevo. Ce l'avevo fatta, ce l'avevamo fatta, e malgrado le condizioni in cui versava il locale al mio arrivo Bob era sempre stato orgoglioso di me, sin dal primo giorno. Mi aveva sostenuta così come io avevo fatto con lui. Ci coprivamo le spalle a vicenda, senza se e senza ma; uno dei tanti motivi per cui anche la mia amicizia con Candice era tanto solida. Non conosceva il mio passato, lei, però conosceva il mio presente e se lo faceva bastare. C'era a prescindere.
Sospirai e andai a poggiare la borsa nel retro. Avvertivo il cuore pesante al pensiero che Luke avrebbe potuto varcare quella soglia da un momento all'altro, ma subito lo scacciai perché undici giorni erano stati abbastanza. Undici giorni a illudersi riguardo ad un rapporto che nemmeno esisteva – persino chiamarlo tale mi faceva curvare le labbra, divertita – erano stati più che sufficienti.
Si erano ormai fatte le cinque di pomeriggio quando servii il settimo cliente della giornata. Candy mi sorrise e alzò le spalle, non c'era ombra di altre persone né dentro né fuori dal Mermaid.
«Pazienza» dissi intuendo quale fosse il pensiero comune, «non ci possiamo lamentare.»
Il settimo cliente, un uomo sulla sessantina accomodato accanto alla vetrata che dava direttamente sulla strada, sollevò lo sguardo verso di noi, abbandonando momentaneamente la tazza di cappuccino che stava sorseggiando malgrado l'ora.
«Non scoraggiatevi» esordì, «state facendo un buon lavoro.»
«Non venivo qua da quando il Mermaid si chiamava "Bob's Coffee House" ed io e quel vecchiaccio – rise al nomignolo scherzoso appena pronunciato – eravamo due uomini in carriera con una bella famiglia, felici come due ragazzini» aggiunse.
«Davvero? Lo conosce?» domandai spalancando gli occhi. Era un piccolo paese, tutti conoscevano tutti, ma per qualche motivo me ne resi davvero conto solo in quel momento.
«Certo. Sapete, mi dispiace tanto per Sheila, la sua cara moglie...»
Voltai di poco il capo in direzione di Candice con un'espressione interrogativa stampata sul viso. Non volevo essere invadente e chiedere al signore cosa le fosse accaduto, però ero anche parecchio curiosa dato che Bob ce ne parlava di rado. Candy mi tolse quel peso dalle spalle. «Cosa le è successo? Sempre se può dircelo, ovviamente.»
«Oh, non si preoccupi di questo. Qua tutti si fanno gli affari di tutti, purtroppo.»
Ridemmo piano, non sembrava l'occasione adatta per uscirsene con una battuta di spirito.
«Le hanno diagnosticato un cancro al seno, dieci anni fa. La povera Sheila se n'è andata da ormai otto anni, ma lo ricordo come se fosse ieri... Era lei a gestire la Bob's Coffee House, sapete? Bob, quel buon uomo, non ha fatto altro che appoggiarla e darle una mano» sospirò. «Ah, manca a tutti...»
Facendo un rapido calcolo mentale, capii che se non mi ricordavo di Sheila era solamente perché non l'avevo mai incontrata. Inoltre, a giudicare dallo sguardo di Candice, compresi che nemmeno lei doveva aver avuto il piacere di conoscerla.
«Sono sicura che sia così» replicai.
In quell'esatto momento l'uomo si alzò dalla sedia, provocando un lieve stridore contro il pavimento, e ci raggiunse al bancone. Talmente rapite dalle sue parole, talmente concentrate, non ci eravamo mosse di un sol passo.
«Io, signorina, sono più che sicuro che il vecchio Bob vi parlerà di lei quando sarà il momento giusto per farlo.»
Poggiò una banconota accanto alla cassa, poi si avviò verso la porta senza ritirare lo scontrino. L'ultima cosa che disse, prima di andarsene, fu: «Tenete il resto.»
Soltanto in quell'attimo Candice si accorse che quel signore ci aveva appena lasciato cento dollari. Accadde tutto così veloce – la chiacchierata, intendo – che per qualche istante mi convinsi fosse stato un sogno o uno scherzo giocato dalla mia mente, ma trovai conferma negli occhi della mia amica. Non ero diventata pazza all'improvviso, dopotutto.
«Non so cosa dire» mormorò incredula. Scossi la testa e mi puntai il petto con l'indice, la bocca ancora leggermente spalancata per via della piacevole sorpresa. Anch'io non sapevo come commentare sia la storia di quell'uomo che la generosa mancia lasciataci. Nonostante la situazione surreale, non potevo fare a meno di sorridere.
«Anzi, una cosa da dire ce l'ho.» Candice prese un respiro profondo. «Ti passo a prendere alle dieci. Vestiti bene.»
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