Capitolo 5
Auguste bevve un lungo sorso di birra dopo aver ascoltato tutto ciò che l'amica aveva da dirgli.
«Che brutta situazione ... Cosa pensi di fare ora? Salderai il debito o ti rifiuterai di pagare?»
Riley non aveva nemmeno preso in considerazione l'idea di rifiutarsi di pagare il debito di suo padre, semplicemente perché sarebbe stato un suicidio rifiutarsi. Quelle persone non si erano di sicuro prese la briga di arrivare fino a lì solo per sentirsi dire "NO ".
«Se sono creditori di mio padre e sono venuti per i loro soldi dubito che prenderanno di buon grado un rifiuto... E poi non sappiamo cosa sono in grado di fare quelle persone.»
«Effettivamente non hai tutti i torti... Ma scusami, tuo padre che ti ha detto?»
«In realtà non l'ho ancora sentito... E non credo che lo farò. Dopo devo chiamare Rebecca e chiederò a lei se ha mai sentito parlare di loro» disse Riley sospirando.
Si domandava come sarebbe riuscita a saldare il debito interrogandosi sulla cifra che le avrebbero chiesto. Restò assopita nei suoi pensieri fino alla fine del pranzo finché Auguste non le fece una domanda che la spiazzò mentre arrivavano nei pressi dell'università.
«Hai mai pensato di tornare in Italia?» il tono pacato della sua voce le fece capire che la domanda gli era sorta spontanea.
«Non ti sto più simpatica puoi dirmelo con un po' più di tatto almeno...» rispose Riley cercando di deviare quell'argomento.
«Dai scema, sai cosa intendo. Non a viverci per sempre chiaro... Basterebbe andare a vedere come se la cavano i tuoi fratelli e vedere se si può fare qualcosa per tuo padre...»
Auguste stava rigirando il coltello in una piaga che non si era mai cicatrizzata.
«L'ho fatto Auguste. Più volte. Credi che potrei essere davvero così egoista?» rispose in tono freddo Riley «non è servito a nulla tornare, mio padre non vuole l'aiuto di nessuno. Ci abbiamo provato a lungo sia io che Rebecca ma l'unico modo per aiutarlo è rinchiuderlo in un centro di riabilitazione...» disse sospirando mentre addentava le patatine che aveva ordinato. Sospirò guardando in modo assente il panino che aspettava di essere mangiato. Auguste la stava guardando silenzioso, aspettando che riprendesse il discorso.
«Ormai tra il gioco e l'alcool ha perso ogni tipo di cognizione del mondo reale... l'ultima volta che l'ho visto ha impiegato mezz'ora solo per riconoscermi» trattenne il fiato cercando di fermare le lacrime che iniziavano a bruciarle gli occhi al ricordo di quei momenti. Aveva sapientemente richiuso in uno scompartimento lontano del suo cervello i ricordi dolorosi di quando era tornata a casa. Trasse un profondo respiro ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire.
«Scusa, sono stato troppo schietto, non pensavo ci stessi ancora così male...» disse dopo essersi reso conto che le sue parole l'avevano ferita.
«Come potrei non starci male? E' la mia famiglia e lo sarà sempre. L'unica cosa che potrebbe aiutare a risolvere la situazione di mio padre sarebbe un centro di disintossicazione, ma finché non sarà lui a rendersi conto del problema noi ci ritroveremo sempre a parlare con un muro.»
Era la triste verità che Riley aveva imparato ad accettare: non si può aiutare chi non vuole essere aiutato.
Davanti agli occhi le comparve l'immagine della sua famiglia prima che sua madre scomparisse. Il sorriso di suo padre non era più stato così solare, ed i suoi avevano perso la luce nel momento in cui si era reso conto che non avrebbe più rivisto sua moglie.
La sua mente fu distratta dall'arrivo all' ateneo che fin dal primo giorno la colpiva per la sua imponenza. Ne era rimasta affascinata fin dalla prima volta che ci aveva messo piede durante l'erasmus, come se quella fosse sempre stata casa sua, come se fosse il suo posto sicuro nel quale rinchiudersi per scappare a tutto.
Varcarono l'entrata e dopo aver attraversato il giardino interno si sedettero nelle panchine, come sempre. Riley si concesse un respiro di sollievo riposando sotto le fronde dell'albero.
«La pace che mi trasmette questo posto è ineguagliabile...» chiuse gli occhi facendosi trasportare dal leggero vento che iniziava a rinfrescare la città.
Si voltò per guardare il volto impassibile dell'amico che guardava assopito un punto indefinito in lontananza.
«Tutto ben Aug?» gli chiese mettendogli una mano sulla spalla facendolo trasalire. Vide il suo volto freddo fare un sorriso altrettanto freddo cercando di dissipare i pensieri. Ma gli occhi celavano qualcosa di non detto.
«Mi ero perso a pensare scusa... Mi fai vedere i tuoi appunti? Credo di essere rimasto indietro l'ultima volta...»
Riley lo guardò di sottecchi chiedendosi se avesse dovuto andare più a fondo sulla questione. «sai che se vuoi parlare io ci sono, vero?»
Lui le sorrise senza convinzione tirando fuori gli appunti. Si persero a parlare confrontando le didascalie finché una voce maschile chiese un accendino ad Auguste che si era appena acceso una sigaretta.
«Certo, tieni pure» disse Auguste porgendoli l'accendino. Riley era assopita nella lettura degli appunti.
«Grazie mille, non è che avresti anche una sigaretta?» chiese con noncuranza il ragazzo.
Riley fece una smorfia inarcando un sopracciglio. «Se vuoi la possiamo fumare noi a questo punto...» disse con tono sarcastico.
Rimase pietrificata quando incrociò gli occhi che la stavano fissando. Il suo sguardo intenso sembrò squarciarla e la fece cadere preda di un'onda di panico che le mozzò il fiato in gola.
Le sue labbra si incurvarono verso l'alto cercando di nascondere lo sguardo divertito. Aveva capito che Riley l'aveva riconosciuto.
Si morse l'interno della guancia ed il suo sguardo correva tra Auguste e quello che inevitabilmente doveva essere Bjorn. Francine aveva ragione, gli occhi di quell'uomo erano freddi come il ghiaccio da cui prendevano anche il colore, sarebbe stato impossibile confonderli con quelli di qualcun altro.
«Tieni.» la voce di Auguste spezzò il silenzio carico di tensione che si era creato e del quale l'amico non sembrava essersi accorto minimamente.
Erano passati pochi secondi, ma a Riley era sembrata una vita.
«Grazie mille, a buon rendere» disse la voce profonda e tagliente di Bjorn allontanandosi verso le aule dell'università.
Riley restò a fissargli la schiena rendendosi conto che non sarebbe mai riuscita a sfuggirgli.
Scosse la testa lasciando correre la mente intanto che fissava i jeans, non riusciva a smettere di domandarsi perché continuavano a seguirla come due stalker.
Si voltò verso il giardino sentendo brividi gelati corrergli lungo la schiena. Perlustrò con lo sguardo il giardino e i portici che portavano alle aule e con sollievo non lo vide da nessuna parte.
Auguste le posò una mano sulla spalla attirando la sua attenzione.
«Oggi mi preoccupi, ti perdi di continuo nei tuoi pensieri e sembri assorta... Sicura che non vuoi tornare a casa e schiarirti le idee? Ti posso accompagnare se vuoi...» il suo tono di voce fece trasparire la sua preoccupazione per l'amica. Riley lo guardò e vide nei suoi occhi uno sguardo interrogativo che sembrava cercasse di leggerle dentro.
Fece un sorriso cercando di rassicurare l'amico optando per non dirgli che il tipo dell'accendino era Bjorn, uno dei creditori. Lo avrebbe fatto preoccupare di più e non voleva che lui si facesse carico dei suoi problemi.
«Era decisamente bello» disse Auguste cambiando discorso all'improvviso.
«Chi?» chiese Riley.
«Quel tipo» disse sistemandosi gli occhiali spessi sul naso. «Quello della sigaretta.»
Riley si mise la borsa in spalla alzandosi e deviando il discorso verso il prossimo esame. Non voleva coinvolgere il suo amico in quella questione quindi meno ne sapeva meglio era.
I due amici si stavano avviando verso l'aula nella quale si sarebbe tenuta la lezione Riley venne pervasa da una sensazione che le fece venire i brividi lungo tutto il corpo. Sentiva addosso una sensazione viscida, come se un serpente marino la stesse avvolgendo avvinghiandosi attorno alle sue gambe e risalendo lungo la schiena, rendendo ogni passo più pesante e più lento. Quella sensazione si trasformò velocemente in un'ondata di panico che le fece accelerare il cuore ad un ritmo forsennato.
Continuava a ripetersi dal mattino che i due creditori non le avrebbero fatto nulla, ma nel giro di poche ore si erano già fatti trovare nei posti che più frequentava. Ed era sicura che entrambi sapevano dove abitava.
Si sbottonò i primi bottoni della camicia sentendosi avvampare. L'idea di poterseli trovare davanti in qualsiasi momento le faceva provare brividi infuocati.
Prese fiato appoggiandosi contro la parete e lasciando che Auguste si avviasse verso l'aula da solo. Ogni boccata d'aria sembrava trafiggerle i polmoni, come se contenesse un migliaio di piccoli aghi al suo interno.
"Non ho nulla da temere" pensò "non possono farmi niente di male mentre siamo in mezzo alla gente. Sono l'unica garanzia che hanno di riavere indietro i loro soldi... Anche se potrebbero rifarsi tranquillamente su Rebecca e Richard, volendo..."
Il cuore le batteva ad una velocità preoccupante e lo stomaco le si contorse facendole risalire in gola un senso di acidità.
"Se è venuto fino a qui vuol dire che ha qualcosa in mente..."
Si sentiva al sicuro, ed entrò in aula senza cercando di pensare solo alla lezione. Si sedette in un posto lontano dagli altri per poter restare un po' da sola a prendere fiato.
Si piegò prendendo dalla borsa la borraccia e il computer.
«Ciao Riley» sentì una brezza fredda contro l'orecchio che le fece venire i brividi.
Si voltò di scatto e rimase inchiodata dagli occhi azzurro ghiaccio che la stavano inchiodando.
Portò di scatto una mano tra i loro corpi e allontanando prepotentemente il corpo di Bjorn.
Sentì i suoi pettorali tendersi quando una leggera scossa gli attraversò. Ritrasse la mano cercando di allontanarsi cambiando posto, ma la mano fredda di Bjorn la afferrò per il polso.
«Lasciami subito!» bisbigliò alzando il tono di voce.
«Calmati» disse Bjorn lasciandola e alzando le mani in segno di resa. «Non voglio farti del male, andrebbe decisamente contro i miei interessi.»
«Cosa cazzo volete tu ed il tuo amico psicopatico?!» stava abbassando la voce rincuorata di essersi messa non troppo lontana dal resto dell'aula. Il cuore le stava ancora battendo all'impazzata quando si sedette al suo posto.
Lui intanto si era messo comodo nel sedile vicino, appoggiando la caviglia conto il ginocchio e piegando la gamba per quanto gli permettevano i jeans neri.
«Avremmo dovuto parlarti di quello che tuo padre ci deve ecc ecc ecc...» disse annoiato scuotendo la mano in aria. «Ma il mio compagno ha reagito d'impulso sta mattina, e ha pensato bene di terrorizzarti».
Sorrise voltandosi a guardarla con il capo inclinato. I denti affilati rendevano i suoi zigomi pronunciati ancora più spigolosi, il suo sguardo cadde nel piercing argentato che aveva alla fine del sopracciglio.
Boccheggiò rendendosi conto che era davvero bello, quel tipo di bellezza che lascia incantati e a bocca aperta.
I suoi occhi corsero lungo la linea della sua mascella definita e scesero lungo le clavicole da cui si intravedevano i segni ricurvi di un tatuaggio. La sua mente si perse immaginando dove finisse...
Si riscosse ricordando il motivo per il quale lui si trovava li. Non poteva biasimarsi tuttavia, era sicura che facesse quell'effetto a chiunque.
«Non invidio per nulla la tua vita. Deve essere brutto svegliarsi al mattino pensando che sia una giornata normale, e ritrovarsi poche ore dopo con il mondo che vacilla sotto i piedi. Ti verranno i capelli bianchi con questi alti e bassi. E sarebbe un peccato perdere questi bei riflessi ramati» il tono di voce così sarcastico e derisorio la prese alla sprovvista.
La stava deridendo nonostante le circostanze. Serrò la mascella voltandosi per guardarlo torvo.
La rabbia e la stanchezza che stava provando le fece esplodere un fuoco dentro ed il tono sfottente di Bjorn dissipò il senso di panico che l'aveva pervasa nel cortile vedendolo.
«Nemmeno io in realtà invidio la tua» gli rispose con tono sarcastico «devi essere terribilmente annoiato per decidere di seguire in questo modo le persone» il tono secco con cui era riuscita a rispondergli la sorprese. Temeva che la sua voce avrebbe vacillato.
«Sei sempre così acida o è un trattamento che riservi alle persone che ti stanno simpatiche?» rispose lui come se fossero amici di vecchia data avvicinandosi lentamente verso il suo posto invadendo il suo spazio personale.
Riley si ritrasse serrando i pugni, pronta a reagire nel caso in cui c'è ne fosse stato bisogno. Lui se ne accorse e sogghignando si ritrasse appoggiandosi allo schienale.
«Lo sono con tutti quelli che non sanno rispettare i limiti della privacy...» disse aprendo il laptop e fingendo di controllare qualcosa.
«Perché fare più di mille chilometri per ritrovarsi in un'aula di università anziché riscuotere direttamente i soldi? Se sapete dove abito di sicuro siete anche riusciti anche a trovare il mio numero...» disse lasciando la frase in sospeso e guardandolo come se fosse uno psicopatico. «Almeno avrei potuto consigliarvi luoghi da visitare anziché seguire me come due stalker.»
Vide accendersi nei suoi occhi limpidi una scintilla di fuoco che la destabilizzò, ma poi una risata sommessa la distrasse da quello sguardo magnetico. Si rigirò frustata verso il laptop.
Non sapeva come sarebbe uscita da quella situazione.
«Ho già visitato Sydney e nonostante sia davvero bella, trovo molto più interessante restarti vicino... Nessuna città potrà mai compensare il fascino di restare vicini alla propria garanzia di riscatto umana» un brivido lungo la schiena la paralizzò con lo sguardo fisso davanti a sé. Le sembrò che il sangue le se stesse congelando nelle vene.
«Sai quanto ci deve tuo padre?» il tono freddo con cui aveva sillabato l'ultima domanda fece sembrare che il tempo si fosse bloccato.
Riley aveva paura di sentire la risposta. Preferiva non sapere.
«In questo momento per noi sei solo una cambiale del valore di centomila dollari che se ne va a zonzo per l'Australia senza pensieri. Dovresti stare attenta, se ti fai male poi noi come riscuotiamo i nostri soldi?»
La sua mente si svuotò. Il suo sguardo vacuo era direzionato verso il laptop ancora chiuso.
"Centomila euro..."
"C-e-n-t-o--m-i-l-a--e-u-r-o..."
Erano ben più di quanto sperava dato che non poteva fare affidamento nemmeno ai suoi risparmi.
"Cosa dovrei fare ora? Con i soldi che guadagno al petite riesco a metterne da parte poco e niente considerando l'affitto ed il resto..."
Involontariamente le scappò un sorriso. Si portò una mano alla bocca per cercare di non farsi notare dal vicino di banco, ma la situazione era talmente assurda che non riusciva a trattenersi.
Non sarebbe mai riuscita a trovare quella somma, non mentre era una studentessa e viveva in una delle città più dispendiose del paese. Era impensabile l'idea di riuscirci, con la paga da cameriera.
Tutto ciò le sembrò così esilarante che non riuscì trattenere le risate dovute dal nervoso e dalla piega assurda che stava prendendo quella giornata.
«Sono felice che la notizia ti faccia ridere...» rispose stizzito Bjorn «ti vorrei solo far notare che l'aula comunque si è riempita, e che sarebbe meglio parlarne dopo» Riley non riuscì a definire il suo tono di voce, un misto tra un ordine ed una richiesta. Stava per replicare quando vide entrare il professore in aula.
Sospirò scocciata e si obbligò a restare in silenzio. Prese il laptop dalla borsa e scrisse quello che avrebbe voluto urlare in faccia a quell'intruso.
"Perché è ancora seduto qui?"
Sporse il computer di lato permettendo a Bjorn di leggere quello che aveva scritto: ''Non credo di essere in grado di recuperare la cifra che mi hai chiesto."
Aspettò una risposta ma quando si girò vide ce Bjorn era assorto nei suoi pensieri e provò a dargli una gomitata nel braccio che aveva appoggiato al poggiolo della sedia.
Il contatto le fece correre un brivido lungo tutta la pelle facendola sobbalzare.
Lo ritrasse subito quando i due iceberg che aveva al posto degli occhi la congelarono.
Nei suoi occhi riuscì ad intravedere un misto di sorpresa e rabbia. La squadrò dalla punta dei piedi fino alla sommità del capo, facendole accapponare la pelle.
Lo vide sollevare leggermente un sopracciglio in modo circospetto.
Per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare Riley si rese conto che i loro volti erano impropriamente vicini.
Guardò il suo viso e si rese conto di quanto fosse perfetto nonostante l'espressione truce. Le sopracciglia bionde come i ciuffi che erano scappati dal laccio che glieli teneva legati.
Si ritrasse sentendo le guance farsi paonazze e si morse l'interno della guancia.
Si diede della sciocca da sola rendendosi conto della sconvenienza dei suoi pensieri date le circostanze.
Guardandolo di sottecchi lo vide leggere lo schermo con indifferenza per poi tornare a fissare un punto non definito dell'aula.
Alzando gli occhi al cielo Riley sbuffò infastidita «quindi?!»
Aspettò la sua risposta, ma ottenne solo il brusio riecheggiante dei tasti premuti contro le tastiere.
«Hai intenzione di iscriverti al corso o possiamo trovare una soluzione al problema?!» cercò di bisbigliare ma il suo modo di fare la stava irritando come non le capitava da molto tempo «a che cazzo di gioco stai giocando?!»
«Hai detto di non avere i soldi, quindi ne parleremo più avanti.» disse in tono cupo alzandosi.
Le passò accanto con indifferenza dirigendosi verso l'uscita noncurante di attirare l'attenzione dei presenti. Riley gli fissò la schiena mentre lui percorreva le scale diretto verso l'uscita.
Non si rese conto di essersi alzata finché non si ritrovò con il laptop in mano a percorrere le scale con lunghe falcate nel tentativo di raggiungerlo.
Ignorò quello che le disse Auguste quando gli passò accanto e fece un breve cenno con il capo al professore chiudendosi la porta alle spalle.
«Ma chi vi credete di essere tu ed il tuo amico per seguirmi e pedinarmi, ricattandomi come se nulla fosse?!» si ritrovò ad urlare in mezzo al corridoio esplodendo dalla rabbia.
Bjorn era a pochi passi davanti a lei e si bloccò con la schiena irrigidita.
Riley sapeva che non avrebbe dovuto alzare la voce, e si rendeva conto che per quante ne potesse sapere lui poteva essere molto più pericoloso di quello che dava a vedere, ma non le interessava. Non le importava di sapere a cosa sarebbe dovuta andare incontro o delle conseguenze. Voleva solo delle risposte.
E le avrebbe ottenute, a qualsiasi costo.
«Te lo devo riconoscere, hai coraggio ragazzina» il tono della sua voce era simile a un coltello che graffiava il ghiaccio.
Le sembrò che nelle vene il sangue le si fosse congelato.
«O molto coraggiosa, o molto stupida» si voltò e Riley riuscì a vedere il ghigno che stava incurvando la sua bocca in una smorfia derisoria.
Riley si impose di non muoversi, fingendo di essere impassibile lo fissò negli occhi.
«Non credi che dovremmo metterci d'accordo su come affrontare il pagamento?» incrociò le braccia al petto prima di dire «preferirei di evitare di chiamare la polizia per dirgli che due uomini sospetti mi stanno ricattando e perseguitando...»
Lasciò in sospeso le ultime parole sottolineando il fatto che non avevano il coltello dalla parte della manica.
Una smorfia divertita gli si dipinse sul viso facendolo sghignazzare. Tutto di lui era freddo, perfino il suo sorriso.
Bjorn socchiuse gli occhi sorridendo di gusto portandosi una mano sui capelli e spostandosi indietro le ciocche che gli erano ricadute sul viso.
«Coraggiosa, direi di sì.» continuò a sorriderle da solo scuotendo la testa guardandola.
«Non sono io a decidere, ma il mio capo. Gli comunicherò quello che mi hai detto... ma non preoccuparti, ci faremo sentire presto» disse strizzandole l'occhio e voltandole di nuovo le spalle.
«Vi sarei grata se mi avvisaste prima»
«Fossi in te non giocherei troppo con il fuoco, Riley.»
Sentire il suo nome pronunciato da quella voce intensa la fece trasalire.
Quando lo vide andarsene prese una lunga boccata d'aria con la sensazione di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo del loro breve scambio.
Sentiva il cuore batterle velocemente, e si sedette su una delle panchine per riflettere. Grosse lacrime minacciavano di uscire, e mentre le ricacciava indietro decise di chiamare Rebecca per raccontarle tutto.
Bjorn ed Enzo stavano passeggiando lungo il porto come se fossero dei turisti annoiati.
Erano appollaiati nel muretto lungo la Senna quando il telefono di Bjorn squillò.
«Ehi» rispose Bjorn con voce annoiata.
«Novità?» gli chiese una voce maschile profonda e roca all'altro capo del telefono.
«I piani rimangono invariati. Dobbiamo solo decidere quando agire ma non sarà un problema. Lei non sospetta nulla, anche se ti avverto: non sarà facile.»
«Non lo è mai. Questo è il bello di questo mestiere.» disse sghignazzando la voce cupa di Mike.
Bjorn chiuse mentre Enzo gli chiedeva «confermato per sta sera?»
«Si, l'ho appena sentito. Procediamo come da manuale.»
e s'incamminarono spensierati confondendosi tra la folla.
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