Spirali e fiori
Rosie girò a lungo e distrattamente il cucchiaino nella tazza di tè- nonostante lo zucchero fosse ormai più che sciolto- immersa nei suoi pensieri che parevano rincorrersi a spirale, proprio come quella che stava creando nel liquido ambrato. Cordelia, l'aggressione scampata nel vicolo, la dea del mare, un misterioso traffico d'oppio e, probabilmente, di schiavi... Pensieri tutt'altro che allegri, e che le mettevano ancora i brividi. E non aveva neppure fatto parola a suo padre o allo zio riguardo a quella criptica frase pronunciata da uno dei loro aggressori... a come quegli uomini sembravano cercare proprio lei. Appena fossero tornati, però, non avrebbe potuto tacere oltre, decise.
Prese un sorso della bevanda calda, sperando che la calmasse almeno un po'.
Cordelia, intanto, seduta su una poltrona, rileggeva per l'ennesima volta la lettera di sua madre-a cui, ora, poteva finalmente dare un nome-come se potesse trovare una risposta a tutti i suoi dubbi. Henry, d'altro canto, rimasto, come da ordini, a tenere compagnia ad entrambe, era anche lui immerso nella lettura, ma di un libro, decisamente voluminoso; e, intanto, era intento ad abbuffarsi dei biscotti che la signora Hudson aveva gentilmente offerto loro.
-Sono allo zenzero, cara. I tuoi preferiti-aveva detto la donna, strizzandole l'occhio.
Rosie si era ritrovata a sorridere affettuosamente: Mrs.Hudson la trattava da sempre alla stregua di una sua nipote prediletta, nonostante avesse già diciott'anni e non fossero per davvero imparentate.
-Secondo te, qual è il favore che il signor Holmes ha intenzione di chiedermi?-le domandò all'improvviso Cordelia, rompendo il silenzio che aveva regnato nella stanza sino ad allora.
-Non saprei-rispose Rosie; in effetti, anche lei se l'era chiesto...-Ma se conosco bene mio zio, e lo conosco, avrà nella sua testa un piano studiato nei minimi dettagli.
Si ritrovò a sorridere, di nuovo. Cordelia, invece, aveva un'espressione cupa in volto.
-Mi meraviglio che abbia scelto di fidarsi di me-commentò infatti, gli occhi ancora fissi sulla lettera, ma distanti, come se volesse vedere al di là delle parole trascritte.-A quanto sembra, i miei veri genitori non erano certo dei modelli di virtù. Almeno... mio padre no di sicuro, visto ciò che mi ha accennato su di lui.
Ridacchiò amaramente, scuotendo la testa.
-É buffo... Da quando ho scoperto di essere stata adottata, non ho fatto altro che fantasticare su chi potessero essere davvero i miei genitori: sovrani di una remota isola, spie della Corona in fuga da qualche organizzazione criminale... La realtà si é rivelata essere piuttosto diversa... Che ingenua, eh?
Sebbene le parole della ragazza fossero sarcastiche, Rosie vi avvertì una profonda amarezza, neanche troppo celata.
Istintivamente, si alzò, portando con sé la tazza di tè, e si sedette sulla poltrona attigua, posandole poi una mano sulla sua.
-Come sono, invece, i tuoi genitori adottivi?-le domandó, nel tentativo di distrarla.
Lei sollevò lo sguardo e, finalmente, produsse un dolce sorriso.
-Sono i migliori che potessi desiderare-rispose, infatti.-Forse un po' iperprotettivi, a volte... ma anche per questo sono i migliori. Mi hanno cresciuto esattamente come fossi sangue del loro sangue, senza farmi mai mancare nulla. Forse, anche per questo mi sento un po' in colpa.
Sorbí un sorso del suo té ancora quasi intatto, lo sguardo di nuovo distante.
-Mi sembra quasi di... tradirli- ammise, abbassando vergognosamente gli occhi sulla bevanda.-So che è un mio diritto conoscere le mie origini. D'altro canto, mi chiedo come devo comportarmi, ora che so che non sono davvero loro, i miei veri genitori. Non so più come sentirmi...
Una lacrima le rigó il viso, ma l'asciugò rapidamente con la mano, come se si vergognasse anche di quella, e non solo delle sue affermazioni.
Seguí un profondo silenzio. Rosie, dispiaciuta, rifletté su cosa potesse dirle per farla sentire meglio. Prese anche lei un sorso della bevanda calda; pochi istanti dopo, le parole le vennero spontanee.
-Sai... quell'uomo, Sherlock Holmes... non é per davvero mio zio. É un caro amico di mio padre. Non siamo veramente imparentati.
Cordelia aggrottò la fronte, confusa.
-Eppure lo hai...?
-... Ma é come se lo fosse-la interruppe Rosie, sorridendo.-Fin da quando sono nata, ha fatto parte della mia vita. Mio padre é stato a lungo lontano da me e da mia madre: non starò a dirti ora il perché, é una storia lunga... Molto, lunga. In ogni caso, Sherlock mi é stato vicino durante la mia infanzia. Mi ha insegnato tante cose, e mi ha dato tutto il suo affetto. Nonostante io fossi, per lui, solo la figlia del suo migliore amico.
Proseguì, risoluta, lo sguardo fisso in quello della sua interlocutrice.
-Capisci dove voglio arrivare? L'affetto o l'amore non dipendono solo ed esclusivamente dai legami di sangue. Provengono da qui.-Si posò una mano sul cuore.-Perciò, è giusto che tu voglia sapere chi sono i tuoi veri padre e madre. Ma l'affetto che provi per quelli che ti hanno amata e cresciuta... fidati, quello non sparirà mai. Io lo so.
Gli occhi celesti di Cordelia si riempirono di lacrime, e Rosie le strinse leggermente la mano.
-E non preoccuparti di aver ereditato qualcosa dai tuoi veri genitori-aggiunse, d'impulso. - Certo, forse i tratti del tuo viso saranno di tuo padre... o di tua madre... Ma solo tu puoi sapere come sei dentro. Sai... non importa da dove provieni. Ciò che conta è chi scegli di essere.
Cordelia, profondamente toccata da quelle parole, annuí, gli occhi ancora pieni di lacrime, ma con, finalmente, un sorriso sincero sulle labbra.
-Ti ringrazio-mormorò infine.-Avevo bisogno di sentirmelo dire...
Anche Rosie rispose a quel sorriso, lieta di averla confortata almeno un po'.
In un angolo della stanza, intanto, Henry era ancora apparentemente intento ad abbuffarsi di biscotti e immerso nella lettura di uno dei libri del capitano, prelevato dalla sua libreria. Era, a quanto pareva, un trattato sui diversi tipi di tabacco... più interessante di quello che credeva, in verità...
Ma, nel frattempo, aveva sentito ogni singola parola del discorso di Rosie.
Sorrise, commosso, ricordando la piccola bambina venuta sulla Perla tanti anni fa, quando aveva appena cinque anni. E dopo ancora, a quattordici, quando già si era fatta notare per il suo piglio deciso, il coraggio, ma soprattutto per la sua gentilezza. Non poté perciò che ammirare il modo in cui quella ragazzina era cresciuta. Sarebbe diventata una donna coi fiocchi, non aveva alcun dubbio.
Anzi, lo era già.
---
-Sherlock...
-Shh!! Zitto, John. Altrimenti ci sentono!
-... Va bene, ma era proprio necessario nascondersi qui dentro??-borbottò lui di rimando, turandosi il naso con due dita.-L'odore di pesce marcio mi sta soffocando!
-Smettila di lamentarti! Era l'unico posto in cui potevamo nasconderci. Questo capanno viene usato pochissimo.
-E capisco anche il perché...-ribattè lui, sarcastico, con una smorfia disgustata.- Questo tanfo mi rimarrà addosso almeno per un me..!
Sherlock gli tappò d'improvviso la bocca con la mano. Il biondo lo fulminò con lo sguardo, ma lui gliela tolse e gli sillabò "ascolta". Fu allora, che lo sentí: rumore di passi. Qualcuno si era appena avvicinato al capanno dov'erano nascosti, proprio nei pressi della piccola finestra. Anzi, più di un qualcuno. Sia lui che Sherlock, dopo essersi scambiati uno sguardo d'intesa, si appiattirono ancora di più contro la parete, in ascolto, vedendo a malapena, attraverso il vetro sporco e opaco, due sagome intente a discutere. La loro voce, però, la udirono forte e chiara.
-Il carico é arrivato?-domandò la prima.
-Sì. Dieci casse d'oppio da Singapore. E quattordici anime da Nassau-rispose la seconda, chiaramente compiaciuta.
-Ottimo. Il capo sarà soddisfatto.
John digrignó i denti, rabbioso. Sherlock, subito, gli strinse appena il polso con la mano, invitandolo, con quel gesto, alla calma. Lui, seppur con un certo sforzo, annuì.
-Dove sono?-proseguì la prima voce.
-Rinchiusi nella cella del magazzino tre. Credo che ce ne sia uno ancora svenuto. Un ragazzino, mi pare... Forse il narcotico era troppo potente...
-Allora finiscilo e gettalo in mare. Non ci servono quelli deboli.
Il biondo fremette. Se il capitano non avesse seguitato a trattenerlo per il polso, sarebbe di certo corso fuori per saltare addosso a quei due, incurante delle conseguenze.
-Va bene. Ma più tardi. Ora vado a farmi un goccetto.
-Aspetta, vengo anch'io. Tanto, non vanno da nessuna parte...
Dopo un'ultima sguaiata risata, i due finalmente si allontanarono. John, a quel punto, esplose, pur mantenendo, con gran fatica, un tono di voce basso.
-Quei maledetti bastardi! Giuro che...! Sherlock, dobbiamo fare qualcosa!-sibiló, colmo di una rabbia incontenibile.
-E cosa proponi di fare, esattamente?-gli chiese il capitano, un pizzico di ironia nella voce.-Prendere a pugni ogni singolo uomo che incontreremo?
-... Sì, l'idea era più o meno quella-replicò lui, borbottando.
-Non siamo qui per salvare vite. Siamo qui per indagare-gli ricordò.
-Non mi interessa per cosa siamo qui, capitano! Non hai sentito cosa hanno detto?? Vogliono uccidere uno dei loro ostaggi! Ci sono delle vite, in gioco. Vite di gente innocente. E reale. Non ti importa??
-Non siamo qui per salvare ostaggi, John. Siamo qui per indagare-puntualizzò.-Non per fare gli eroi. Gli eroi non esistono. E, se esistessero, non sarei certo uno di loro-sottolineò, lapidario.
Il primo ufficiale rimase ammutolito, davanti a tutta quella freddezza. E, in parte, profondamente deluso.
-... Tuttavia, avevo comunque intenzione di indagare in quel magazzino-aggiunse però il capitano, in un tono che voleva essere noncurante.
E, senza aggiungere altro, uscì dal piccolo capanno, mentre il biondo, alle sue spalle, nascondeva un sorrisino.
Lo sapevo...
---
Nel magazzino erano stipate innumerevoli casse di legno e altri tipi di mercanzie. Alcuni sembravano rotoli di manoscritti, antiche statue di bronzo, stampe...
Proprio come aveva detto Sherlock...
Un traffico di opere d'arte...
Finalmente, giunsero al limite estremo del magazzino, proprio di fronte a una grossa seppur rudimentale gabbia di legno, dove erano stipate almeno una quindicina di persone, tutte di giovane età, accasciate sulla paglia, silenziose, e con in volto uno sguardo spaventato.
Al vedere sia lui che Sherlock, sussultarono. John si portò rapidamente l'indice alle labbra, esortandoli a fare silenzio. Il capitano, invece, non vi badò neppure, e si chinò sulla porta, bloccata da un pesante lucchetto di bronzo. Dopo averla esaminata per qualche secondo, tirò fuori dalla tasca uno dei suoi attrezzi da scasso, e lo inserì all'interno del lucchetto, girandolo poi in parte a destra, poi a sinistra. Dopo circa dieci, secondi, come testimoniò un leggero clic, l'aveva già scassinata.
-Fantastico!-non poté esimersi dal commentare John, ammirato, mentre il corvino lo toglieva e lo lasciava cadere a terra.
-Questo lucchetto faceva ridere. L'avrebbe aperto anche un bambino...-replicò con noncuranza, seppur intimamente lusingato.
Si rivolse poi ai prigionieri rimasti immobili, aprendo la gabbia.
-... Tutti quelli che non si divertono qui, ci seguano!-li invitò, ironico.
Questi, dapprima, esitarono. Ma poi, avendo ormai inteso che gli si stava offrendo per davvero una via di fuga, si affrettarono ad ubbidire, uscendo velocemente, e profondendosi in sussurrati ringraziamenti.
Ne rimase solo uno: un ragazzino magro come un chiodo, appoggiato alle sbarre e completamente privo di sensi. Doveva essere quello di cui parlavano i due uomini poco prima.
Non poteva avere piú di undici o dodici anni: aveva i capelli biondi corti, i vestiti laceri, e il viso sporco di fuliggine. Poteva essere uno dei tanti ragazzini che vivevano per strada; Nassau era piena di anime senza più speranze, anche, purtroppo, di quelle più giovani.
Con grande sorpresa di John, fu proprio Sherlock stesso a entrare nella gabbia e a sollevare delicatamente il piccolo da terra, tenendolo poi tra le braccia.
-John, conduci fuori gli altri, e sta' attento-gli ordinò, cercando di non far caso a come il primo ufficiale lo stava guardando. Un qualcosa tra lo stupore e la dolcezza.-Io devo ancora fare qualcosa, qui.
-Va bene, capitano. Vuoi che prenda io il bamb...?
-Non essere stupido, John. Come conti di difendere te stesso e loro, con le mani occupate?-lo interruppe il corvino, irritato, indicando con un cenno del capo il gruppo spaventato di prigionieri in attesa, che si guardavano intorno chiaramente spaesati.-Va'. Ti raggiungerò dopo.
John annuì, anche se si ritrovò a scuotere la testa, sorridendo leggermente: estrasse dunque la pistola dalla fondina e, rapido, guidò il gruppetto di prigionieri fuori dal magazzino.
---
Sherlock, sempre con il piccolo tra le braccia, iniziò a guardarsi intorno, cercando qualche indizio. Non si fidava, infatti, a lasciarlo a terra in qualche angolo, anche se lo sentiva respirare senza nessuna apparentemente difficoltà, come se stesse solo dormendo profondamente. Il colorito era normale, e anche il battito pareva regolare. Ma il fatto che non avesse ripreso conoscenza lo preoccupava: chissà con cosa diamine avevano narcotizzato quel povero bambino... Era leggero come una piuma, ed era evidente che non mangiasse da chissà quanti giorni.
Abbassò lo sguardo sul suo volto e, d'impulso, gli sfiorò delicatamente una guancia con la mano in una carezza leggera.
Accidenti a me...
Sto diventando un sentimentale...
Scuotendo appena il capo, tornò a concentrarsi sulle casse presenti nel magazzino. Poi, improvvisamente, una di esse lo fece sussultare. Si avvicinò di alcuni passi, e lo vide.
Quel simbolo...
Su una delle casse, era dipinto con inchiostro di china la sagoma di quello che pareva essere un fiore di loto stilizzato. Il capitano sorrise con cupo compiacimento.
Il Loto Nero.
Ma certo...
-... Oh, Oh... Guarda un po'. Ci sono dei topi qui dentro, eh?
Sherlock si irrigidì appena, voltandosi poi di scatto: alle sue spalle era sopraggiunto uno degli uomini che avevano aggredito Rosie. Stan, gli pareva che si chiamasse...
E gli stava puntando contro una pistola.
---
-E tu chi saresti?-gli chiese l'uomo, in volto un'espressione maligna.-Ah no, aspetta, lo so. Sei Capitan Sherlock Holmes...-disse, calcando volontariamente il titolo in tono sarcastico, e avvicinandosi poi di un passo, un ghigno beffardo sulle labbra.
-Sai, fai decisamente meno paura di qualche ora fa. Anche perché sei da solo...
Sherlock si irrigidì, valutando che opzioni avesse. Non poteva semplicemente posare a terra il bambino ed estrarre la pistola; quell'uomo gli avrebbe sparato non appena avesse tentato anche solo un minimo movimento.
-Vedo che conosci il mio nome. Me ne compiaccio.-Si rivolse comunque al contrabbandiere in tono pacato.-Se ben ricordi, poche ore fa ti ho lasciato vivere. Mi aspetto che tu mi restituisca la cortesia.
Stan scoppiò a ridere: una risata colma di cattiveria.
-Mi dispiace, ma non sono noto per la mia cortesia... o per la riconoscenza. D'altro canto, sono noto per la mia bravura con le armi da fuoco.-Sollevò la pistola, puntandogliela all'altezza del viso.-So colpire un uomo proprio dritto in mezzo agli occhi...
-... Buffo-replicò il capitano tranquillamente, stringendosi appena nelle spalle.-Io invece so colpire un uomo alla nuca, pur standogli di fronte.
Stan aggrottó le sopracciglia.
-... Sì, come no!-lo derise, beffardo. - E ti aspetti che io ci cre..!
Il rumore di uno sparo fendette l'aria, mentre Stan cadeva a terra, colpito da una pallottola alla nuca.
Sherlock sospirò appena, mentre sulle sue labbra si faceva strada un lieve ghigno.
-... Te la sei presa comoda, eh?
-Prego, non c'è di che...-ribatté John, ironico, rinfoderando la pistola.-Devi sempre fare le cose da solo, eh??
-No, stavo solo prendendo tempo. Ti aspettavo.
-Sei un idiota.
-Me l'hai già detto una volta, tanto tempo fa. Sei ripetitivo-ribattè il corvino, sollevando appena un angolo della bocca, mentre il biondo ridacchiava, scuotendo la testa.
John gettò poi uno sguardo preoccupato al piccolo, che sembrava essere diventato d'improvviso più pallido di poco prima.
-Dobbiamo portarlo alla Baker. Devo visitarlo-fece, incupendosi, posandogli una mano sulla fronte. Si era improvvisamente imperlata di sudore, e anche il respiro sembrava essere più affannoso di poco prima. Sherlock si irrigidì.- Non ho idea di cosa gli abbiano fatto inalare... Spero di avere qualcosa per contrastarne gli effetti.
Il capitano annuì, stringendo il bambino ancor più a sé, mentre si dirigevano verso l'uscita del magazzino.
-Almeno hai trovato qualcosa di utile per la missione?-domandò poi il biondo, la pistola stretta di nuovo in pugno in caso di necessità.
Sherlock sollevò le labbra in un sorriso furbo.
-Oh, sì, John... Eccome, se l'ho trovato...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro