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Il Loto Nero

-... Sherlock, credo che si stia svegliando!
Era la mattina seguente alla loro intrusione nel magazzino, e lui e Sherlock si trovavano alla Baker, in attesa che il bambino, sdraiato sul divano nella stanza 221B, sotto una coperta leggera, riprendesse conoscenza. Rosie e Cordelia, nel frattempo, erano scese nella cucina della locanda, insieme ad Henry, a conversare con la signora Hudson, anche per non spaventare il bambino con troppa gente estranea, una volta che avesse ripreso conoscenza.
John, dopo averlo visitato, gli aveva somministrato un farmaco generico per contrastare la sostanza usata dai criminali per narcotizzarlo. Non si era fidato a usare qualcosa di più specifico, non conoscendola esattamente. Per fortuna, a giudicare dal suo respiro di nuovo regolare e dalla temperatura corporea, aveva avuto successo. A parte quello, il bambino pareva in salute, e non riportava altri danni, tranne il pallore- che pareva però, dopo l'iniezione, essere anch'esso diminuito-e l'eccessiva magrezza, dovuta di certo ad una vita di stenti e malnutrizione.
Finalmente, il piccolo aprì gli occhi, sussultando e sbattendo più volte le palpebre, guardandosi intorno spaventato e confuso.
John si affrettò a tranquillizzarlo, appoggiando una mano sulla sua spalla.
-Hey... tranquillo, va tutto bene. Sei al sicuro, adesso-gli disse piano, parlando in un tono basso e rassicurante.
Il bambino si girò a guardarlo, poi a guardare Sherlock, gli occhi verdi sgranati.
-... D-dove sono?? E voi chi siete?-mormorò, la voce tremante.
-Mi chiamo John Watson, e sono un medico. Non devi aver paura- ripetè lui, accarezzandogli con delicatezza il capo biondo.-Come ti chiami?
-... Peter-rispose il bambino, esitante ma più tranquillo, forse grazie anche al tono di John, che gli sorrise.
-Bene, Peter. Qual è l'ultima cosa che ti ricordi?

Lui si tirò su dal divano, lentamente, strizzando gli occhi.
-Mi ricordo che... ero in un vicolo dietro ad una taverna, di notte. Stavo cercando qualcosa da mangiare... Mia madre è morta tre anni fa, e io non volevo finire in un orfanotrofio, così sono... scappato. È da allora che vivo per strada... Cioè, anche prima io e mamma vivevamo per strada, ma stavolta ero tutto solo... -spiegò, con tristezza. Poi deglutì, gli occhi pieni ancora di paura, ma stavolta per quello che stava per raccontare.- Ad un tratto ho sentito un rumore di passi e un uomo altissimo mi ha afferrato. Credevo che fosse il proprietario della taverna e che volesse picchiarmi per poi mandarmi via da lì, non sarebbe stata la prima volta... Ma non era lui, era molto più grosso e forte... mi ha messo una mano sulla bocca e non mi lasciava andare. Anzi, mi diceva di smetterla di agitarmi tanto, mi stringeva fortissimo e cercava di trascinarmi via. C'era anche un altro uomo, con lui, che rideva. Io ho cominciato a dimenarmi ancora di più, e ho cercato di dargli un calcio. Ma quell'uomo mi teneva sempre più forte, mi faceva male. Allora gli ho morso la mano più forte che potevo! Lui finalmente l'ha tolta e io mi sono messo subito a gridare aiuto, però non è arrivato nessuno... e poi ho potuto gridare solo una volta, perché l'altro uomo mi ha premuto in faccia qualcosa che aveva in mano... Anche sul naso... Non so cosa fosse. Sembrava stoffa, forse un fazzoletto... ma aveva un odore davvero fortissimo... Ho provato a gridare di nuovo, ma non ci sono riuscito... mi girava la testa... Non riuscivo a respirare... Soffocavo... e poi è diventato... tutto nero...
Fece una pausa, emettendo un sospiro tremulo e un singhiozzo
John soffocò, a fatica, la rabbia che che lo invadeva, pensando a cosa quei maledetti avevano osato fare a quel povero bambino indifeso. Gli accarezzò pian piano la schiena, tremante anch'essa.
-Sei stato davvero molto coraggioso, Peter-lo rincuoró, continuando a carezzarlo con dolcezza.- Stai tranquillo, quegli uomini cattivi non ti faranno mai più del male. Te lo prometto. Se non te la senti, puoi raccontarci dopo cos'altro ti ricordi...
Il bambino però, dopo un altro sospiro, scosse la testa e riprese, parendo più calmo, addirittura determinato.
-Dopo in realtà... Non so... Ricordo che dormivo, ma... a volte, mi pareva di sentire delle voci, intorno a me... Non so se stessi sognando, o se invece fossero reali...
-Che cosa hai sentito?-chiese improvvisamente Sherlock, seduto sulla sua poltrona, lo sguardo intento rivolto verso il bambino.

Peter si voltò di scatto verso di lui, guardandolo bene per la prima volta da quando si era svegliato. Aggrottò di nuovo la fronte, poi sgranò gli occhi.
-Tu...-disse piano, indicandolo, gli occhi verdi ancor più sgranati e increduli.-... Eri anche tu nel mio sogno!
John si voltò verso Sherlock, confuso.
-Che vuoi dire, Peter?
-In uno dei miei ultimi sogni, ho sentito dei rumori, delle voci, e poi... qualcuno che mi prendeva in braccio-spiegò lui, a voce bassa, senza smettere di fissare Sherlock, come se fosse incantato da lui.- Credevo fossero di nuovo quegli uomini cattivi. Volevo svegliarmi, ma non riuscivo. Alla fine, sono riuscito ad aprire gli occhi, solo per un attimo... e ho visto qualcuno che portava un cappello proprio uguale al tuo.
Indicò il cappello che il riccio ancora portava sulla testa, e guardandolo con evidente ammirazione.
-Credevo fosse anche quello solo un sogno... Però, poi... ho sentito una mano che mi accarezzava una guancia...
John si voltò di nuovo verso il capitano-i cui zigomi, tra l'altro, avevano assunto una leggera ma inequivocabile sfumatura di rosso-abbozzando un sorrisino.
-Sì, probabilmente era solo un sogno...-borbottò il corvino con tono in apparenza noncurante, abbassando gli occhi e togliendo con la mano della polvere inesistente dalla manica della sua giacca.
-Non credo proprio...-commentò il primo ufficiale, sempre con lo stesso sorriso sulle labbra.
-Nei miei sogni, ho sentito altre cose-continuò all'improvviso il piccolo, la fronte aggrottata nello sforzo di ricordare.-Un nome... Chang...
Sherlock alzò la testa di scatto, gli occhi socchiusi.
-E poi... dicevano qualcosa su una rete sotterranea... E anche una parola... "amo".
John lo guardò dubbioso.
-"Amo" ? Sei sicuro, Peter?
-Sì. Me lo ricordo benissimo. Lo ripetevano di continuo-rispose lui, annuendo con convinzione.

-Ti dice qualcosa, capitano?-gli domandò il biondo, pensieroso.
Sherlock si portò le mani unite sotto al mento, gli occhi chiusi, riflettendo.
-Non lo so. La parola "amo" potrebbe significare qualsiasi cosa. Potrebbe essere una parola in codice. È troppo presto per saltare alle conclusioni. Tuttavia...-aggiunse, alzandosi dalla poltrona con uno scatto.-Quel nome, Chang...
-Sai chi è?
-Certo che lo so, John. Nessuno sa se sia un uomo o una donna: ma è cosa certa che sia a capo di un'organizzazione criminale con base a Singapore, chiamata "Loto Nero".-Si alzò di scatto, e prese a camminare avanti e indietro per la stanza.-La cosa strana è che si è sempre occupata solo e soltanto di traffico d'opere d'arte... e questo, unito all'accenno della "rete sotterranea", mi fa supporre che ci sia un qualche tipo di alleanza.
-... Tra chi?
-Per questo, devo aspettare che Lestrade torni con le informazioni-rispose il corvino, sbuffando.-È così dannatamente lento. E dobbiamo prepararci per la missione sotto copertura.
-Sherlock, è già la seconda volta che accenni a questa benedetta missione!-esclamò il biondo, esasperato.-Vuoi spiegarmi, una buona volta, in cosa consiste??
Il corvino si voltò verso di lui: ma prima che potesse dire una sola parola, un improvviso bussare li interruppe. E, a giudicare dalla violenza dei colpi alla porta, non era di certo la signora Hudson...

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