Il capitan Sherlock Holmes e il dottor Watson
Fu con una certa apprensione che Rosie Watson scese lentamente le scale insieme allo zio per raggiungere il piano inferiore della Baker, tra le mani il suo nuovo violino.
Si fermò, d'improvviso, su uno degli scalini, incapace di fare solo un altro passo, il cuore che le batteva per l'agitazione, una mano stretta con forza intorno al corrimano di legno scuro.
-Zio... io non credo che...-mormorò, con un leggero tremito nervoso nella voce che non riuscì a trattenere.
Sherlock si voltò a guardarla con un sorrisetto, avendo subito inteso, e le strinse piano una spalla.
-... Davvero, Rosie? Hai affrontato da sola James Moriarty, a soli quattordici anni, e ora hai paura di... questo??
C'era nella sua voce un pizzico di incredulità, ma anche di divertimento e affetto.
-Credo che preferirei duellare di nuovo con lui...-borbottò la ragazza, anche se il tono scherzoso dello zio aveva di molto mitigato il suo nervosismo. Prendendo coraggio, scese gli ultimi scalini col cuore decisamente più leggero, seguita da Molly e dai suoi genitori. Varie grida di giubilo accolsero il loro ingresso, e anche un certo numero di fischi lusinghieri.
-Holmes, non sapevo che avessi una così bella...!
-Attento a quel che dirai, Pit!-lo ammonì Sherlock, a metà tra lo scherzoso e l'intimidatorio.-O il padre di questa bella signorina potrebbe alterarsi...
Lanciò un'occhiata a John, che rivolse al pirata un sorrisetto divertito ma anche un pelo minaccioso; quest'ultimo alzò subito le mani in segno di resa, ridacchiando nervosamente, e tacque.
Rosie e Sherlock si accomodarono in un angolo della locanda, mentre tutti gli avventori si sedevano al bancone, o sulle sedie, in silenzio, in trepidante attesa.
John, sedendosi al bancone, provò un'immediata sensazione di deja-vu, che lo portò a distendere le labbra in un sorriso. Più di vent'anni prima, lui si trovava proprio su quello stesso sgabello, in quella stessa locanda, il morale a terra, senza più speranze per il futuro, del tutto inconsapevole che da lì a poco un pirata dagli occhi di ghiaccio gli avrebbe completamente stravolto l'esistenza.
Rosie scambiò con lo zio un cenno d'intesa: sapeva benissimo che melodia avrebbero suonato. Sherlock gliela aveva insegnata tempo addietro; era però la prima volta che la eseguiva davanti a un pubblico che non fossero i suoi genitori o la ciurma della Perla, e l'agitazione non si era ancora del tutto sopita.
Ma, una volta che iniziò a far danzare l'archetto, facendo diffondere le prime note della melodia nella taverna silenziosa, sparì tutto. La tensione, il nervosismo, la timidezza... tutto. Perfino le persone di fronte a lei. Rimase solo quel suono dolce e melodioso che via via si diffondeva, perfettamente in sincronia con quello dello zio, tanto che chiuse gli occhi, lasciando che la melodia fluisse da quel movimento, isolando tutto il resto e pervadendola.
La melodia stessa, era speciale: partì lenta, malinconica, per poi salire in crescendo, assumendo un carattere più allegro e veloce, mantenendo però quel sottofondo di dolce malinconia. Era stato Sherlock stesso, a comporla. In ogni nota, in ogni movimento, aveva trasfuso una parte di sè: tutti i suoi dolori, ciò che lo aveva segnato, ma anche tutto ciò che l'aveva reso felice. Tutti i sentimenti e le emozioni che aveva vissuto, e che lo avevano reso l'uomo che era oggi.
Quella, dunque, non era solo una melodia.
Era lui stesso.
Finalmente, l'ultima nota risuonò nella Baker, ponendo fine a quell'esibizione, seguita dall'applauso più fragoroso mai udito, a cui entrambi i violinisti replicarono con un piccolo inchino e un leggero sorriso.
Sherlock accarezzò appena la spalla di Rosie, orgoglioso oltre ogni limite. John, dal canto suo, aveva gli occhi colmi di lacrime.
La ragazza lo raggiunse, le guance rosee per l'entusiasmo.
-Allora, papà, come sono and-...?
Lui non le fece finire la frase, e non disse una sola parola: si limitò ad abbracciarla di slancio e con tutta la forza che aveva, sorridendo tra le lacrime.
Si riunirono infine intorno a un tavolo: mentre Rosie, sua madre e Molly avevano optato per una tazza di tè- insieme ai celebri biscotti della signora Hudson-Sherlock e John sorseggiavano, con evidente soddisfazione, due pinte di rhum.
L'atmosfera nella taverna era tornata ad essere chiassosa e spregiudicata, come sempre. Ma per John, ormai, non esisteva, a parte la Perla Nera, luogo più bello di quello.
Mentre conversavano in tutta tranquillità, John vide il suo capitano drizzare improvvisamente la testa verso l'entrata della Baker, la fronte aggrottata, lo sguardo intento.
Si voltò anche lui, e rimase sorpreso di vedere una figura incappucciata entrare con passo lento e misurato, il volto del tutto in ombra, nascosto dall'ampio cappuccio.
Un certo timore, ma anche rabbia, di fronte a quella figura-misteriosa e minacciosa al tempo stesso-lo portarono a irrigidirsi.
Eh no, eh...
Oggi no!
D'istinto, la sua mano si strinse intorno all'elsa della spada, sotto al tavolo, mentre la figura si avvicinava. Sherlock, al contrario, rimase tranquillo, in attesa, continuando a scrutarla.
Anche Rosie e le altre si avvidero di essa, e si irrigidirono.
Il misterioso individuo era ormai a pochissimi passi dal loro tavolo, quando il capitano, incredibilmente, sbuffò.
-... Davvero, Gus? È il travestimento migliore che sei riuscito a trovare??
-È G-R-E-G!!!-ringhiò il misterioso individuo, con una voce però a tutti loro nota.
John spalancò gli occhi, riconoscendo solo allora l'ufficiale Lestrade.
Rosie e le altre, subito, si rilassarono, scambiandosi sorrisi quasi imbarazzati-a causa di tutta quella tensione scaturita da una minaccia inesistente-mentre l'ufficiale si accomodava, lanciando uno sguardo torvo al pirata. Da sotto il cappuccio, il suo volto era appena visibile persino ora che era seduto insieme a loro.
-Comunque come diavolo hai capito che...??
-Gli stivali...-Sherlock alzò gli occhi al cielo e John, abbassando lo sguardo, notò in effetti la punta di lucidi stivali neri sporgere da sotto la veste.-Solo voi ufficiali portate questo modello... lo avrebbe capito chiunque.
Lestrade scostò di poco il cappuccio, corrucciato.
-Comunque, potevi anche evitare questa mascherata. Sanno tutti qui alla Baker che ogni tanto do... assistenza... alla Marina Inglese.
-Meglio non correre rischi-ribattè però lui, coprendosi di nuovo il volto.-Qui a Tortuga gli ufficiali non sono comunque ben visti.
Il capitano sbuffò, annoiato.
-Va bene, Lestrade, sputa il rospo. Che cosa c'è? Anzi, deduco che tu prima desideri qualcosa da bere.
Lui lo guardò allucinato.
-Come acc... Be'...-tentò, poco convinto.-Potrei solo essere venuto per farvi gli auguri di Nata–...
Sherlock inarcó ironico un sopracciglio.
-... Come non detto... E hai pure dedotto bene la faccenda del "qualcosa da bere"...
-Era lampante, considerate le occhiate che continuavi a lanciare al mio boccale da ancor prima di sederti.
Molly, con solerzia, si diresse al bancone, portando poco dopo la bevanda all'ufficiale, che la bevve tutta d'un fiato.
John aggrottò la fronte.
-Sherlock, credo che la tua deduzione non sia del tutto esatta.
Il capitano lo guardò con un sorrisetto sorpreso e sornione sulle labbra.
-... Ah, no? Correggimi, allora-lo invitò, con una punta si sfida nel tono.
-Lui non voleva bere... Doveva bere-ribattè lui, gettando di nuovo un'occhiata a Lestrade, intento ad asciugarsi la bocca con la mano, e poi la fronte madida di sudore.-È esausto. Probabilmente è da stamattina che non si è fermato: forse perché chiamato di continuo in vari angoli dell'isola.
Mentre l'uomo della Marina lo guardava sbalordito, capitan Holmes gli rivolse un lieve sorriso e un'occhiata colma di orgoglio.
-Il mio primo ufficiale sta imparando, a quel che vedo...
John si limitò a fulminarlo con un'occhiataccia, anche se non potè evitare di sentirsi intimamente lusingato da quel complimento.
Sherlock si rivolse di nuovo a Lestrade.
-Allora? Chi. Cosa. Come. Dove. Quando. Perché-lo incalzò.
Lui, finalmente dissetato-la deduzione di John si era rivelata esatta-rispose in tono serio e conciso.
-Quattro suicidi, nell'ultima settimana. O almeno, così credevamo... ma qualcosa non torna. Tutti qui a Tortuga. L'ultimo proprio un'ora fa. E, a differenza degli altri, ha lasciato uno strano messaggio prima di morire. Sembra esserci un filo che li unisce, ma non riusciamo a...
Non aveva ancora finito di parlare, che Sherlock era già balzato in piedi, e infilato la giacca con un solo rapido movimento, gli occhi brillanti.
-Non ci credo! Quattro suicidi uguali, e un messaggio! Sembra Natale!!
Il biondo si stropicciò il viso, sospirando esasperato.
-Sherlock... oggi è Natale...
-Ah, già...-ammise lui, divertito, stringendosi nelle spalle.- Ma, John, sai bene quanto me che ai criminali non importa delle feste comandate.
L'amico lo fissò stranito.
-... Sul serio?? Vuoi che andiamo ad indagare?? ORA?
-Ovviamente!-Il pirata si legò in vita il cinturone delle armi, lanciandogli un'occhiata furba.-Non voglio certo che ufficiali incompetenti contaminino la scena più di quanto non abbiano già fatto!
-Grazie, eh...-borbottò Lestrade, contrariato; ma Sherlock ignorò del tutto il suo commento.
Il primo ufficiale fece per protestare di nuovo-È Natale, santo cielo!-ma poi vide sua moglie e sua figlia sorridergli e annuire col capo.
-Caro, è meglio che tu lo segua-lo spronò Mary, ridacchiando.-Chissà in che guai potrebbe ficcarsi, senza di te...
Il capitano, sentendola, le lanciò un'occhiataccia, ma aveva anche un angolo della bocca sollevato; perchè aveva assolutamente ragione.
John, con un piccolo sbuffo esasperato-ma senza riuscire a trattenere un leggero sorriso, già preda della familiare e piacevole adrenalina-si alzò e, dopo una carezza a Rosie e un bacio alla moglie, affiancò il suo capitano.
Anche Molly non potè esimersi dal premere le labbra su quelle di Sherlock, prima che scappasse via.
-Sii prudente... o almeno, provaci!-borbottò, con un sorrisetto.
Lui ridacchiò, ricambiando il bacio, per poi correre fuori insieme a John e Lestrade, colmo del suo caratteristico entusiasmo di quando gli si profilava di fronte un enigma da risolvere.
Fu in quel momento, proprio in quell'esatto momento, mentre guardava il padre e lo zio allontanarsi, che Rosie prese una importante decisione. Era un'idea che accarezzava già da qualche giorno, in verità.
Ma fu solo in quel preciso istante che ne fu del tutto convinta.
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Di nuovo nella stanza 221B, Rosie tirò fuori dalla borsa il regalo di Natale di sua madre, rimirandolo per un momento: un meraviglioso diario rilegato di pelle rossa, e dalle pagine completamente bianche. Quando l'aveva ricevuto, si era inizialmente trovata a disagio: non aveva mai avuto l'abitudine di trascrivere i suoi pensieri, o altro.
Ma poi il caso volle che suo padre, qualche giorno prima, le avesse mostrato e poi donato delle sue trascrizioni: erano quelle delle missioni vissute insieme a Sherlock, anche se trascritte in fretta e furia.
-Non ho mai avuto il tempo... o la pazienza... di ricopiarle per intero-le aveva spiegato, rileggendole con uno sguardo affettuoso e nostalgico.-E poi, a chi mai potrebbero interessare?
Ma Rosie non era d'accordo: sentiva che tutte le avventure che suo padre e suo zio avevano vissuto meritavano di essere divulgate. Meritavano di essere conosciute. Soprattutto quelle che avevano vissuto in quegli ultimi vent'anni.
La caduta dalla Punta del Diavolo.
Moriarty. Eurus, il Vento dell'Est.
Come suo padre era stato liberato dalla Maledizione. Come capitan Holmes era scampato, più di una volta, alla morte.
Perché non erano solo racconti delle straordinarie avventure di un pirata.
Erano le avventure di un pirata e del suo fedele primo ufficiale.
Era la storia di un'amicizia così profonda da aver superato qualsiasi avversità.
Era il viaggio che il leggendario pirata Sherlock Holmes aveva fatto alla scoperta di sè stesso, durante il quale aveva capito di non essere un uomo privo di sentimenti, come sempre aveva creduto e affermato di essere.
E che c'erano persone che lo amavano e che tenevano a lui, al punto che il loro affetto e il loro amore lo avevano riportato in vita...
Sorrise, mentre sfiorava il diario, aprendolo poi sulla prima pagina, ancora intonsa, in attesa di essere riempita di parole.
E, quel giorno, si erano buttati in un'ennesima missione; perchè, come Sherlock amava ripetere: "Il gioco non finisce mai!". Era giusto, perciò, che venissero narrate anche quelle future. E ce ne sarebbero state altre, innumerevoli, ne era più che certa.
Finalmente, si decise.
Sedette allo scrittoio dello zio, dove aveva lasciato, quella mattina, penna e calamaio. Mentre l'ennesimo sorriso le increspava le labbra, Rosie Watson intinse la penna nella boccetta, e iniziò a scrivere, tracciando con inchiostro nero quelle prime parole che, anche se ancora non lo sapeva, sarebbero passate alla storia:
Le avventure di
Capitan Sherlock Holmes
e del
Dottor Watson
~THE END~
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