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Crime in progress

Sherlock camminò a lungo assorto nelle piccole stradine di Tortuga, non badando ai rumorosi capannelli di gente che incrociava né alle solite donne che cercavano di attirare la sua attenzione ai vari angoli. Era completamente immerso nel suo Palazzo Mentale, che veniva bombardato da tutte le informazioni apprese sino a quel momento. Sebbene avesse parlato con molti dei suoi contatti non era venuto a capo di nulla. O meglio, nulla che non sapesse già...
Si appoggiò a un muro, portandosi le mani alle tempie, gli occhi chiusi. Se solo avesse capito chi fosse questo misterioso "M"... Certo, conoscere il nome non garantiva poi la risoluzione di tutto il mistero.
Eppure...
Ripensò a tutti gli enigmi e le imprese irrisolte che si era lasciato indietro negli ultimi anni. Tornò poi indietro ancora di più, all'epoca della sua finta morte, alle missioni affrontate proprio in quel periodo. Forse, per risolvere un nuovo enigma, era necessario, prima, risolverne uno vecch...
Spalancò improvvisamente gli occhi, in volto un'espressione di puro trionfo.
... Ma certo.
Deve essere lui!!
Colto dalla frenesia, iniziò a correre a rotta di collo verso il porto, facendo ritorno alla Perla.
-John!! John!! Ho capito!-esclamò, prima ancora di essere salito sulla nave, incapace di trattenersi oltre, preda dell'entusiasmo.-La "M" sta per...!!

Si interruppe bruscamente: la nave era immersa nel silenzio. Troppo silenzio.
E sul ponte non c'era anima viva.
Si fiondò nella sua cabina. E, come aveva temuto, proprio sulla sua scrivania trovò un oggetto che gli fece correre un brivido lungo tutta la schiena. Era un semplice e innocuo origami di carta nera.
Ma era a forma di fiore di loto...
Tentando invano di contenere il panico che stava per impadronirsi del suo cuore, scese precipitosamente le scale, sottocoperta. Ogni passo che faceva, si sentiva oppresso dall'angoscia per quello che poteva essere accaduto ai suoi uomini.
Fa' che non siano morti.
Fa' che non li abbiano uccisi.
Sentì un immenso sollievo pervaderlo, quando vide tutta la sua ciurma distesa nella stiva, immersa in quello che sembrava solo un sonno profondo. Non vide sangue da nessuna parte, e questo lo tranquillizzó, anche se solo in parte.
Infatti, come aveva temuto sin dal principio, non c'era traccia nè di Molly... nè di John...
Prese un profondo respiro: era vitale che rimasse lucido. Doveva studiare ciò che lo circondava e capire con esattezza cosa fosse successo: entrare nel panico sarebbe stato controproducente.

Posò dunque due dita sul collo di Angelo, sdraiato a terra lì vicino: il battito c'era, e il respiro anche. Proprio come aveva pensato non erano morti, solo addormentati. Ma, ovviamente, non di un sonno naturale; la sua supposizione venne confermata da un oggetto che trovò a terra: una fiala di vetro, ancora integra, seppur incrinata, e vuota, con solo un piccolo residuo sul fondo, di colore nero.
La annusò, circospetto, e si ritrasse subito, quando un odore pungente assalì le sue narici: era di certo un narcotico, ma non ne aveva mai sentito uno così potente: persino quel piccolo residuo bastò a fargli girare per un momento la testa.
All'improvviso, un gemito attirò la sua attenzione: a quanto pareva, qualcuno del suo equipaggio stava riprendendo i sensi... Si avvicinò alla direzione da cui aveva sentito provenire il suono: era Henry.
Si accucciò, e gli sollevò il capo con delicatatezza, chiamandolo piano: lui, dopo qualche secondo, aprì gli occhi a fatica, sbattendo le palpebre più e più volte. Al vedere il volto del suo capitano chino su di lui, mosse le labbra, senza però emettere un suono: quando finalmente ci riuscì, la sua voce era roca e rotta, prossima al pianto.
-... Sherlock... mi dispiace... Ho cercato di fermarli, te lo giuro. Ma erano in troppi... e poi mi hanno...
-Henry, sta' tranquillo. Non devi scusarti di nulla-lo interruppe lui, fermo ma pacato, senza mettergli fretta: era ancora provato, e si vedeva. - Dimmi solo cosa è successo. Riesci a ricordarlo?

Lui alzò di poco il capo, a fatica, e tossì un paio di volte. Solo allora, riuscì a parlare di nuovo.
-Certo che mi ricordo... erano almeno in quattro, con delle bandane che gli coprivano quasi del tutto il viso. Eravamo tutti sottocoperta, non li abbiamo nemmeno sentiti arrivare... Come se fossero apparsi dal nulla. E hanno buttato a terra delle fiale... Come quella. - Indicò la fiala che il capitano teneva ancora tra le dita.- Si è sparso un fumo nero e denso dappertutto, e tutti sono svenuti quasi subito. Tranne me. Quei tizi a quanto pare non sapevano che ho una forte resistenza ai narcotici... Dopo aver fumato oppio per più di dieci anni, acquisisci una certa immunità, a quanto pare...
Ridacchiò, con amaro sarcasmo, scuotendo la testa, e tossì di nuovo.
-Allora... ho cercato di respingerli. Ho duellato con loro. Erano dei colossi, rispetto a me, ma sono riuscito a resistere abbastanza a lungo... Questo finché uno di loro non mi ha preso alle spalle e mi ha premuto uno straccio puzzolente in faccia... Deve aver usato qualcosa di molto più forte, però, perché sono svenuto quasi subito. Ho fatto in tempo solo a vedere che afferravano John e Molly e che li portavano via... Anche loro erano privi di sensi. Mi dispiace, Shezza-ripetè, con voce spezzata, e colma di rammarico, chiamandolo, senza volere, con il nome che il pirata usava quando era un assiduo frequentatore delle fumerie d'oppio, e con il quale si erano conosciuti. -Avrei dovuto fermarli... perdonami.

Ad ogni parola del ragazzo, Sherlock si era sentito invaso sempre più da un'ira furibonda: quando questi, però, finì di raccontare, gli fece un lieve sorriso orgoglioso e sincero.
-Non c'è nulla da perdonare, Henry. Hai dimostrato un grande coraggio. Sono fiero di te. Ho fatto proprio bene, tanti anni fa, ad arruolarti sulla mia nave-affermò, aiutandolo ad alzarsi da terra con calma, e conducendolo verso uno sgabello.
Lui guardò il suo capitano con uno sguardo colmo di gratitudine, gli occhi lucidi.
-Devo andare a cercarli... capire dove li hanno portati. Tu resta qui, d'accordo? E assicurati che tutti si risveglino. Pensi di farcela?-aggiunse poi, dopo averlo aiutato a sedersi.
Henry annuì, seppur a fatica, ma con sicurezza.

Ma prima che il capitano potesse allontanarsi, lui lo richiamò.
-Sherlock, aspetta! Prima di svenire, ho sentito quegli uomini dire qualcos'altro!
Il capitano si voltò di scatto, l'espressione intenta.
-Hanno detto qualcosa circa una rete sotterranea... hanno nominato anche Port Royal, credo... E poi...-socchiuse gli occhi, sforzando la memoria.-Ho sentito la frase: "Frank si occuperà delle ragazzine alla Baker..."
Gli occhi del capitano si riempirono di un terrore che non avrebbe mai creduto di poter provare. Senza replicare a ciò che Henry gli aveva riferito, scese dalla nave, e prese a correre a perdifiato per le vie del porto, il cuore che gli batteva nel petto all'impazzata.

Se hanno osato fare del male a Rosie... o a Mary... io...
Li ammazzo...
Giuro davvero che stavolta...

D'istinto, strinse la mano intorno all'elsa della spada, l'espressione furibonda, continuando a correre verso la Baker. La sua espressione era il ritratto della più nera furia, al punto che i pochi pirati o passanti che incrociava non osavano neppure mettersi sulla sua strada: anzi, si scostavano per farlo passare.
Quando finalmente giunse alla Baker, la prima cosa che notò fu il cartello di "Chiuso". E già quello bastò a fargli correre un brivido lungo la spina dorsale. La signora Hudson non chiudeva mai la taverna. Mai.
Soprattutto non in piena mattina, anche se di solito a quell'ora i clienti erano rarissimi.
Ignorando il cartello, diede una spallata alla porta, pensando di trovarla chiusa: essa, invece, si aprì senza alcun problema. Ma non non perse tempo a domandarsi il motivo.
Estrasse la sua pistola dalla fondina, pronto a usarla, e varcò la soglia.

---

Si guardò intorno nella taverna deserta, circospetto. Era evidente che lì ci fosse stata una lotta: c'erano cocci di bottiglie a terra, almeno due tavoli ribaltati, e una sedia di legno fracassata.
Avanzò cauto nel più assoluto silenzio: l'unico rumore udibile era quello dei cocci di vetro, che crocchiavano, calpestati dai suoi stessi stivali. Salì lentamente le scale, la pistola sempre in pugno, quando un dettaglio gli fece aggrottare la fronte: le impronte sugli scalini... erano strane. Davano quasi l'idea di un corpo trascinato al piano superiore... O forse più di uno. Era difficile dirlo.
Strinse ancor di più la mano intorno all'impugnatura dell'arma, lo sguardo che si impietriva sempre di più.

Arrivò infine di fronte alla stanza 221B, pensando di doverla scassinare, dato che non aveva pensato di prendere la chiave al piano di sotto: ma la porta, invece, era socchiusa.
Tese l'orecchio, ma non riuscì a sentire nulla. Forse Rosie e le altre erano state legate e imbavagliate, e tenute d'occhio da qualcuno. Si rifiutava di contemplare anche solo l'ipotesi che fossero state uccise.
Era più probabile che fossero state prese come ostaggi, e che magari la persona che le aveva prese lo stesse aspettando.
Fece dunque per sbirciare dalla fessura, ma un dettaglio ulteriore sulla porta lo lasciò quanto mai interdetto: un pezzo di carta con sopra una scritta era stato infilato di sbieco su una delle cifre.
Lo prese... e aggrottò di nuovo la fronte, confuso.

"Crimine in corso.
Prego disturbare."

Che cosa diamine significava?? Era forse un messaggio da parte dell'uomo che stava dietro a tutto questo? Era quindi già lì, in sua attesa?? Forse aveva portato lì anche John e Molly? La cosa non lo convinceva del tutto.
Comunque, c'era un unico modo per saperlo.
Prese dunque un respiro profondo, e posò finalmente una mano sulla maniglia, spingendola piano, e temendo cosa avrebbe trovato al di là di quella soglia...

---

-... Era ora che arrivasse, Sherlock, caro! Devo ancora riordinare la confusione che questo bellimbusto ha causato al piano di sotto!-esclamò la signora Hudson, in tono gioviale, non appena il capitano entrò nella stanza.-Sapevo che lasciando quel biglietto l'avrei incuriosita!
Dire che Sherlock rimase sbalordito è un eufemismo. E la scena che si trovò davanti non fece altro che acuire il suo sconcerto e la sua sorpresa, tanto che, dopo aver abbassato la pistola, rimase a bocca aperta per un minuto buono, incapace di profferire parola.
Rosie, Mary e la signora Hudson stavano, in piedi, di fronte ad una sedia dove era legato un uomo corpulento, dai capelli corti biondicci e svenuto, che Sherlock non riconobbe: doveva essere sicuramente quel Frank che aveva nominato Henry. Questi era legato alla sedia con delle corde, i polsi ammanettati dietro la schiena, un bernoccolo sulla sua testa, un fazzoletto di stoffa a imbavagliarlo.
Ma non era quello il dettaglio più assurdo di tutta la faccenda.

Sebbene il prigioniero fosse privo di sensi, infatti, Mary e Rosie gli tenevano le loro spade puntate contro; persino il piccolo Peter, che brandiva una fionda rozza, ma in un modo e con uno sguardo talmente minaccioso da far sembrare letale anche quella semplice arma; Cordelia gli puntava invece contro un coltello da cucina. E la signora Hudson...
-Signora Hudson... si può sapere dove accidenti ha preso quella pistola??-esclamò Sherlock, al colmo dello stupore, quando riuscì ad aprir bocca.
Lei gli scoccó uno sguardo sarcastico.
-Non sia così sorpreso, capitan Sherlock Holmes! Crede forse che con una taverna piena di pirati dal mattino alla sera io non abbia mai preso delle precauzioni?? Questa era di mio marito, buonanima-sottolineò, sorridendo, ma tenendo con sicurezza entrambe le mani sull'impugnatura, lo sguardo ancora minaccioso fisso sul prigioniero.-Credeva di trovarsi davanti delle signorine indifese. Ma ha trovato invece pane per i suoi denti.
-... E le manette???
Lei gli scoccò un ennesimo sguardo sarcastico.
-Non sia ridicolo, caro. Ho sempre saputo che ne aveva nascosto un paio nella mia credenza-replicò, con una risatina.

Finalmente, Sherlock riprese a respirare, e proruppe, nonostante tutto, in una incredula ma fragorosa risata, che era soprattutto di sollievo.
Nessuno di loro pareva aver riportato nemmeno un graffio, al contrario del prigioniero che, a parte il bernoccolo, aveva anche sul volto quelli che sembravano essere graffi di unghie decisamente femminili...
-... Siete... incredibili. Tutte voi-esclamò, mentre un moto d'orgoglio gli attraversava il cuore.-Delle vere e proprie Valchirie.
Le donne sorrisero, fiere.
- E anche tu, Peter!-aggiunse, sfiorandogli il capo in una carezza leggera.-Qualcosa mi dice che tu abbia usato al meglio, quella fionda...
Il piccolo sorrise, orgoglioso: in effetti, un occhio del malvivente presentava un livido violaceo...
-Ah, quasi dimenticavo!-esclamò la signora Hudson, all'improvviso.-Un uomo ha portato stamattina presto una lettera per lei. Da parte di suo fratello. E ha detto che era urgente. Rosie, ti dispiace dargliela? Io preferisco continuare a tenere sotto tiro questo gentiluomo...-spiegò, calcando l'ultima parola con un lieve ghigno.
Rosie eseguì prontamente, porgendogli una lettera che fino a quel momento aveva tenuto nella tasca della sua giacca. Il capitano la prese e, dopo averla scorsa rapidamente, in principio reagì con un moto di frustrazione: era una notizia vecchia, e del tutto priva di...
E poi, all'improvviso, l'illuminazione. Quella definitiva.
"..."
"..."
... MA CERTO!!!
Sono un idiota.
Un COMPLETO idiota!!
Così semplice... eppure così geniale...

Le sue labbra si tesero in un cupo sorriso soddisfatto. Ora aveva ben chiaro un piano, nella sua mente.
Doveva solo attendere che il loro... ospite si svegliasse.
E poi, lo spettacolo sarebbe cominciato...

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