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Can Samarra be avoided?

Buio.
Sbarre.
Pavimento di pietra.
Freddo.

Furono queste le prime cose che Sherlock riuscì a vedere e a percepire, aprendo gli occhi a fatica, e guardandosi poi confusamente intorno.
"Si può sapere dove accidenti sono??"
"Sono finito all'inferno, per caso? "
"Sarebbe questo, l'Aldilá di cui tutti parlano?? Me l'ero immaginato un po' diverso..."
"Non che ci abbia mai creduto per davvero, a quelle cose..."
Si alzò a fatica, e un gemito gli sfuggì dalle labbra, avendo avvertito un dolore acuto all'altezza dello stomaco: lo tastò con le dita e, in quella poca luce, vide del sangue.
"La pallottola di Moran..."
La sua confusione crebbe: se era già morto, perché la sua ferita seguitava a sanguinare??

Tenendo la mano premuta su quel punto, al fine di alleviare, almeno in parte, quel dolore atroce, riuscì finalmente ad alzarsi in piedi, appoggiandosi poi contro una parete; tastandola con le dita, sentì delle pietre umide e fredde, come il pavimento. Si guardò di nuovo intorno, in quella quasi totale oscurità; solo una pallidissima luce filtrava da quelle che, come aveva giustamente dedotto, erano proprio sbarre.
Non c'erano più dubbi. Era proprio una cella. Ma perché si trovava lì?
Di sicuro era morto: il colpo di Moran era stato letale, ne era più che certo.
Allora perché...??

-Sei venuto a farmi una visitina, Sherly? Lo apprezzo molto...-esordì una voce crudele e sarcastica.
Il capitano, sentendosi all'istante attraversato da un brivido di terrore, si voltò a destra e, proprio vicino a lui, vide un uomo: aveva le braccia legate dietro la schiena per i polsi, i quali erano trattenuti alla parete attraverso una catena corta. Le sue vesti erano lacere, i capelli neri corti sporchi e scompigliati, lo sguardo folle, un ghigno malvagio sulle labbra.
-James...-sussurrò, gemendo, gli occhi colmi di paura, ritraendosi.-Tu sei morto, dannazione. Morto. Perchè continui a tormentarmi?!? PERCHÈ??
Gridò l'ultima parola, accasciandosi a terra, complice l'ennesima fitta.
Era forse questa, la sua punizione?
Convivere per l'eternità con l'uomo che gli aveva causato innumerevoli sofferenze?
Era morto lui stesso.
Non meritava un po' di pace??
-Oh, Sherly, sei così stupido... Non l'hai ancora capito?-sussurrò Moriarty al suo orecchio in tono maligno, avvicinandosi a lui per quanto le catene glielo consentivano.-Siamo nel tuo ridicolo Palazzo Mentale. Non sei ancora morto. Ma non temere... morirai tra poco...

Sherlock sgranò gli occhi, incredulo: come poteva non essere ancora morto? Aveva avvertito distintamente il proiettile trapassarlo. Aveva avvertito con estrema chiarezza il dolore... il sangue... la perdita di forze... la paura...
Sì, la paura. Il grande capitan Sherlock Holmes aveva paura. Paura di morire. Dell'ignoto.
Non sapeva cosa l'aspettava, oltre la vita terrena. E lui odiava non sapere le cose.
-Io non voglio morire...-si ritrovò a sussurrare, con voce spezzata, non sapendo se stava rivolgendo quelle parole a James o piuttosto a stesso.
Moriarty emise una risata colma di malvagità.
-... Ma non puoi opporti, mio caro. È il tuo destino. Ed è quello che accadrà.
Il corvino strinse le labbra.
Destino.
Quanto odiava quella parola.
"La morte ci aspetta tutti a Samarra"...

-Lo prova il fatto che io sia qui-continuò questi, in tono crudele.-Io rappresento la tua debolezza. Sono io, che ti tengo a terra! Ogni volta che cadi... ogni volta che fallisci... Quando sei debole... Io. Sono. Qui!
Disse quelle ultime parole urlando, in tono folle.
-Non sarò mai morto, nella tua mente-aggiunse, con malvagità.
Sherlock cercò disperatamente di alzarsi in piedi, ma un'ennesima fitta lo fece desistere e crollare di nuovo, emettendo un rauco singhiozzo.
-NO! Non opporti. Non cercare di lottare. Resta giù. E perdi!!
Il tono di James era sempre più acuto, sempre più folle...
Le parole della sua nemesi, più il dolore provato, portò il capitano a emettere un altro flebile gemito, mentre alcune lacrime gli scendevano lentamente dagli occhi.
-A nessuno importa se vivi o muori, Sherly...-gli sussurrò di nuovo Moriarty, la voce che grondvaa veleno.-Mi hai sentito? A nessuno...

Sherlock però, a quelle parole provò un istintivo moto di rabbia.
-No! Non è vero!-sibilò, tentando di alzarsi, se non altro per sfuggire a quelle parole terribili e dolorose: ma, ancora una volta, invano.
-Ah, no? Vedi forse qualcuno a cui importa, qui? Lei, forse, laggiù?-James si guardò intorno con sussiego, fingendo di rivolgersi a qualcuno nella cella vuota, la voce carica di crudele sarcasmo. La catena sferragliò. -Forse ti piangeranno per un po'... Specie quel patetico John Watson... ma poi, torneranno alla loro vita, e si dimenticheranno di te... Pensi forse di contare così tanto, per loro? Di essere speciale? Quanta ingenuità...
Sherlock, ormai, era in preda a un dolore tale che ogni respiro gli costava uno sforzo titanico, mentre altre lacrime andavano a solcargli il volto.

"Forse lui ha ragione..." si ritrovò a pensare, all'improvviso.
"Hanno la loro vita... la mia morte, in fondo, non sarà così importante..."
"La mia presenza li ha solo messi in pericolo... Ogni volta."
"Dopotutto, cosa ho mai fatto di buono, per loro??"
"Anche Molly potrà finalmente trovare un uomo più degno di lei..."
"Forse dovrei davvero smetterla di oppormi all'inevitabile..."
Mentre quegli oscuri pensieri si facevano largo nella sua mente, il capitano sentiva il dolore della ferita aumentare a dismisura, il cuore come stretto in una morsa.
James seguitava a sussurrargli all'orecchio parole maligne; ma, ormai, non era più necessario: Sherlock si stava già arrendendo... Sentiva già l'oscurità incombere sopra di lui, ghermirlo e portarlo via con sé.
Con un ultimo sospiro carico di dolore, rammarico e sofferenza, chiuse gli occhi e si lasciò andare.

... Ma fu allora, che le sentì.
Voci.
Delle voci si erano all'improvviso levate, nell'oscurità di quella cella: voci che conosceva benissimo, e che Moriarty, al contrario, pareva incapace di udire, perché infatti non reagì in alcun modo.
-Mycroft... Rosie...-si ritrovò invece a sussurrare Sherlock stupefatto, man mano che le riconosceva, sgranando gli occhi.-Molly...
Sentì poi quella di John.
Il suo primo ufficiale. Il suo migliore amico.
Non appena pose attenzione alle parole pronunciate da esse, altre lacrime sgorgarono dai suoi occhi chiari, fin sulle guance. Ma queste non erano di dolore, bensì di commozione.
Erano parole stupende, piene di affetto e di amore... verso di lui. Il loro amore era tale che gli parve di essere avvolto in un caldo abbraccio. Ma non del tutto. Perché non c'era solo amore, in esse. Ma anche... sofferenza, sì. Quel gelo lo conosceva fin troppo bene.
Soffrivano per la sua perdita.
Sherlock, ascoltando con tutto se stesso, percepì con estrema chiarezza il dolore, nelle loro voci spezzate: li sentì piangere.
Le persone che amava... stavano soffrendo. Per lui.
E questo non poteva permetterlo!

"A nessuno importa se vivi o muori.
A nessuno."

Un fiotto di pura rabbia lo percorse e, stranamente, gli parve che il dolore allo stomaco si fosse all'improvviso attenuato.
Si alzò comunque a fatica, facendo leva col braccio, ringhiando per lo sforzo, i denti digrignati.
-Sherly... che cosa fai??? NON TI SENTIRAI MICA MEGLIO, EH??-esclamò Moriarty, stranito.-È per qualcosa che ho detto??? EH?!???
Sherlock lo ignorò.
Con una fatica immane, guadagnò la porta della cella, che era certo che non ci fosse, fino a un attimo prima: poi, dopo aver lanciato a James uno sguardo carico d'odio, la spalancò, e uscì.
-SHERLOOOCK!!!
L'urlo folle e rabbioso di James Moriarty fu l'ultima cosa che udì, prima che la porta si chiudesse con fragore alle sue spalle.
Di fronte, invece, immersa in una luce accecante, tanto da fargli male agli occhi, c'era una rampa di scale circondata da una ringhiera di ferro battuto, e che andava verso l'alto, apparentemente infinita. Per quanto ci provasse, infatti, non riusciva in alcun modo a vedere oltre un certo punto di essa.
Sebbene la luce lo accecasse e ancora avvertisse un dolore acuto al fianco, Sherlock iniziò quella scalata, ignaro di dove l'avrebbe condotto.
A tratti, la ferita tornava a farsi sentire, strappandogli un gemito. Ma continuò, imperterrito, a denti stretti, la sua avanzata, aggrappandosi al corrimano scuro e usandolo come sostegno. Perché c'era qualcosa che lo attraeva, sulla sommità di quella scalinata, e che si faceva sempre più forte man mano che procedeva.
Una voce. Una voce più forte di quel dolore, e così diversa da quella malevola di Moriarty.
L'aveva già udita anche mentre era in quella stanza buia; ma mentre le altre si erano zittite, questa aveva ripreso, ma più... fragorosa. Anzi... assordante.
Era come se il suo possessore gli stesse gridando proprio nell'orecchio...
Avvertì anche qualcos'altro... Ma,  stavolta, sul proprio corpo.
Sentì dell'aria, arrivata da chissà dove, riempirgli all'improvviso i polmoni, e dargli più forza.
Ma, insieme ad essa, anche qualcos'altro. Dei colpi. Ripetuti.
Non con eccessiva violenza, ma continui, come se qualcuno gli stesse comprimendo il petto.
... Anzi, no. Erano tutti concentrati in un punto preciso di quest'ultimo.
Il cuore...

---

Nulla era cambiato.
Sherlock era ancora a terra immobile, pallido e senza vita.
Neppure la magia della dea del mare aveva funzionato. Neppure le loro parole erano servite a riportarlo indietro.
A quel punto, un altro sentimento prevalse sul dolore di John.
La rabbia.
-SHERLOCK!!! Accidenti a te!! Lo so che puoi sentirmi, in quel tuo dannato Palazzo Mentale!!-gli urlò, a pochi centimetri dalla faccia, i denti digrignati.-Perciò, adesso devi svegliarti, è chiaro!!?? RISVEGLIATI, DANNAZIONE!!
D'impulso, iniziò a praticare sul suo capitano un massaggio cardiaco, seppur perfettamente consapevole dell'inutilità di quel gesto.
-So che puoi sentirmi, EGOISTA BASTARDO!!-urlò di nuovo, imperterrito.-Non permetterò che te la cavi così!! MI HAI SENTITO???
Pur non ottenendo alcun risultato, ricominciò quel massaggio cardiaco, soffiando ripetutamente aria nei suoi polmoni, deciso a far ripartire il cuore del suo capitano, che lui lo volesse o no!
E, mentre lo faceva, seguitava a gridargli contro, la voce carica di rabbia e di dolore, enfatizzando ogni frase con una compressione più vigorosa.
-Tu e le tue stupide deduzioni del cavolo!! E i tuoi commenti ironici inopportuni!!! E il tuo resuscitare all'improvviso!! E quella dannata giacca!!! Quando tiri su il bavero per fare il misterioso, pur sapendo quanto mi dà sui nervi!!! Tu e la tua maledetta arroganza!!! E la tua dannata aria da SO-TUTTO-IO!!! Tu che arrivi sempre a salvarmi la vita, con quello sguardo negli occhi!! Quel dannato sorrisetto che fai ogni santa volta!! RISVEGLIATI,
ACCIDENTI A TE!!-ripetè di nuovo; ma stavolta, alle urla si mischiarono delle lacrime, e la voce si faceva sempre più spezzata.

Improvvisamente, avvertì delle mani delicate che si posavano sulle sue, fermandolo. Alzò lo sguardo.
Rosie, pur avendo gli occhi pieni di lacrime, scosse piano la testa, senza parlare, ma continuando a stringergli le mani. Lo stava esortando a smetterla... a desistere... Perchè era inutile.
Fu solo a quel punto che John, finalmente, realizzò. Sherlock se ne era andato. E non sarebbe tornato mai più. Non stavolta. E loro non potevano farci nulla.
Era tutto inutile...
Emettendo un gemito strozzato, si arrese e affondò, privo di forze e tremante, il volto sulla spalla della figlia, che lo strinse tra le braccia, cullandolo, scossi entrambi da interminabili singhiozzi
Mycroft chinò il capo sul petto, mentre altre lacrime silenziose scendevano sul suo volto, e anche dalle sue labbra sfuggì un singhiozzo strozzato: e così anche Molly, ancora tra le braccia di Mary.
E quei singhiozzi, nel silenzio di quel sotterraneo, sembrarono amplificarsi sempre di più, esprimendo un profondo e inconsolabile dolore.
Dietro di loro, persino gli ufficiali avevano chinato tristemente il capo, avendo inteso che capitan Sherlock Holmes era davvero morto. E, sebbene molti di essi l'avessero solo sentito nominare, e non conosciuto di persona, si sentirono partecipi di quel dolore.
Era come se tutti i presenti in qualche modo avvertissero che, con la morte di quel pirata, il mondo avesse appena perso un po' della sua luce.














-Ho fatto un sogno stranissimo...
Tutti, nessuno escluso, trattennero di botto il respiro e sussultarono, al levarsi di quella voce sottile ma inconfondibile.
John, ancora tra le braccia della figlia, sbarrò gli occhi: incredulo, sollevò lo sguardo bagnato di lacrime, e si voltò con estrema lentezza, temendo di averlo solo sognato.
Capitan Sherlock Holmes aveva gli occhi aperti- APERTI- e gli stava restituendo lo sguardo.
-... Qualcuno mi colpiva... Più volte... e mi insultava. Credo di aver sentito addirittura le parole "Egoista bastardo"... e la sua voce assomigliava incredibilmente alla tua, John...-sussurrò ancora il capitano, abbozzando un lieve sorriso.-... Sebbene consideri tale definizione abbastanza coerente a...
Non potè aggiungere altro, perchè in una frazione di secondo le persone che lo circondavano uscirono dalla loro iniziale immobilità e gli si lanciarono addosso tutte insieme, urlando di gioia-tra queste c'era pure suo fratello... orrore... -e lo strinsero, piangendo e ridendo allo stesso tempo.
Sherlock, ancora stordito e confuso, avvertì diverse sensazioni tutte insieme. Le labbra di Molly sulle sue... Le braccia tremanti di John intorno al collo... La mano di Rosie che teneva ancor più stretta la sua, sfiorandola appena con le labbra... Mycroft che lo stringeva, il volto affondato nel suo petto... e che... piangeva???
Forse fu quello a sconvolgerlo più di ogni altra cosa, e che lo spinse ad aprir di nuovo bocca, sopraffatto.
-Ehm... non vorrei spezzare
l'idillio, ma rischio di morire di nuovo, se mi soffocate...-mormorò infatti, con la consueta ironia, ma senza riuscire del tutto a celare la sua commozione.
Tutti loro allentarono subito la presa, ridacchiando e ancora piangendo... ma stavolta per la gioia.
Mentre gli ufficiali emettevano versi di sollievo e di giubilo, John e Mycroft, con calma, lo aiutarono ad alzarsi da terra: Sherlock emise un leggero gemito e, d'istinto, si portò una mano allo stomaco, dove la pallottola di Moran l'aveva trapassato.
Ma, abbassando lo sguardo dove avrebbe dovuto esserci la ferita, non vide nulla: la sua pelle era immacolata, e vi erano solo delle large  tracce di sangue sulla sua camicia bianca, a testimoniare ciò che davvero era accaduto.
-Io... non capisco...-mormorò, attonito, sfiorando più volte quel particolare punto con le dita.
-C'è sempre una prima volta, capitano-osservò John, con affetto, soffocando una risatina.
-... La pallottola. Mi ha trapassato. Ero morto. Non capisco-ribadì peró lui.
-È stata Cordelia-intervenne Rosie, con un sorriso, mentre quest'ultima si faceva timidamente avanti, mostrandogli una piccola borraccia.-Lei ti ha salvato.
Sherlock fissò sorpreso la ragazza, che abbassò gli occhi.
-Non è solo mio il merito. Ma di mia madre. E vostro-ci tenne a precisare, risollevando lo sguardo su ognuno di loro.-Sono le parole che avete detto, a salvarlo. Senza di esse, l'acqua non sarebbe stata sufficiente, e la Morte avrebbe trionfato.
Sherlock, sorretto da John e da Mycroft- si sentiva ancora pervaso da una forte debolezza-fece qualche passo avanti, e strinse piano la mano della ragazza, sorridendole con calore.
-In ogni caso, che sia in parte o meno, le devo la vita. Grazie-le disse, e dal suo tono trasparì una profonda e sincera gratitudine.
Cordelia ricambiò quella stretta, sorridendogli con dolcezza.

-Che scena patetica...
Si levò improvvisamente l'odiata voce di Sebastian Moran, che lanciò al capitano uno sguardo colmo di disprezzo, l'espressione carica di  disgusto.
-Tutti quei sentimenti... Aveva ragione Moriarty. Sherlock Holmes è una persona ordinaria... una persona ordinaria dalla parte degli angeli...
John, che teneva saldamente per un braccio il suo migliore amico, emise un ringhio gutturale. Ma prima ancora che potesse agire, accadde qualcos'altro. Qualcosa di così assurdo che neppure Irene Adler, coi suoi straordinari poteri, avrebbe mai potuto prevedere.
E quella scena non fu mai dimenticata, ma raccontata per generazioni.
Ooh, Sherlock adora farlo...

Mycroft Holmes, infatti, in piedi al fianco del fratello minore, volse lo sguardo verso l'uomo, con un'espressione indecifrabile sul volto.
Si assicurò che John riuscisse a sostenere, da solo, il peso di Sherlock, che ancora faticava a reggersi in piedi. Poi, con tutta la sua flemma, caratteristica che da sempre lo distingueva, si approssimò al criminale, fino ad arrivargli proprio di fronte, ma senza modificare di un millimetro la sua espressione granitica, mentre quest'ultimo lo guardava di rimando, quasi sprezzante, e tutti i presenti restavano in un profondo ma teso silenzio, come aspettando che accadesse qualcosa: anche se ancora non sapevano cosa, esattamente.
Fu in quel preciso momento che Mycroft Holmes- l'uomo sempre flemmatico, impassibile, serio e compassato- senza alcun preavviso, lo colpì forte in testa col suo amato bastone, facendolo istantaneamente svenire tra le braccia dei due ufficiali che, increduli, si ritrovarono a dover sostenere tutto il suo peso.
-Questo è per aver tentato di uccidere mio fratello!-ringhiò, con un tono basso e terrificante, ma chiaramente udibile.
Raggiunse poi di nuovo Sherlock e gli altri, in tutta tranquillità, come se non fosse accaduto nulla.

Tutti, però, ufficiali compresi-ma soprattutto Sherlock-lo fissavano allibiti, e completamente senza parole.
-Mycroft... Te l'ho già detto una volta... la dieta ha dei pessimi effetti, su di te...-borbottò alla fine il corvino, ironico, ma con lo sguardo fisso su di lui, incredulo di fronte al gesto del fratello maggiore.
L'uomo si strinse nelle spalle, con apparente noncuranza, le mani però ancora strette con forza intorno all'impugnatura del bastone.
-... Posso accettare qualsiasi cosa dai criminali, Sherlock. Rapimenti, omicidi, intrighi contro la Corona... qualunque cosa. Ma nessuno... nessuno...-ripetè, e nei suoi occhi scuri balenò chiaramente un lampo di collera-si deve permettere di fare del male al mio fratellino.

Sherlock, stavolta, si trovò a dover tossire con forza, per evitare che altre lacrime commosse gli scendessero sul volto, a quelle parole. Ma il sorriso, no: quello non potè proprio trattenerlo.
Anche Mycroft fece un mezzo sorriso: si avvicinò poi a lui, mettendogli un braccio intorno alla vita, aiutando così John a reggerlo.
- Suggerisco ora di lasciare quest'orribile posto-disse, tornando ai suoi soliti modi freddi e compassati, ma il braccio saldamente stretto intorno alla vita del fratello.-Ho altre faccende di cui occuparmi...-aggiunse poi, con sussiego.
Sherlock emise una leggera e sarcastica risatina, appoggiando però un braccio sulle spalle del maggiore.
-... Ah sì? E quali? La regina ha forse perso gli orecchini?
Non fu uno dei commenti più sagaci e divertenti che Sherlock avesse mai fatto: tuttavia, si trovarono tutti a scoppiare a ridere-Mycroft incluso-mentre uscivano infine da quel maledetto sotterraneo, seguiti da Lestrade e dagli ufficiali.

-... Non posso credere di aver finalmente visto di persona capitan Sherlock Holmes!
Lestrade si voltò verso l'ufficiale che aveva parlato.
-Lo conosci?
-Sta scherzando, signore??-replicò l'altro, sbalordito.-Non personalmente, è ovvio. Ma girano voci su di lui da anni. È una vera leggenda, quel pirata. Un grand'uomo, se mi concede di esprimere il mio parere...
Lestrade non commentò; stava osservando le persone che circondavano Sherlock: avevano tutte il sorriso sulle labbra, e non smettevano di sostenerlo e di stringerlo, come se avessero paura che svanisse sotto ai loro occhi.
L'amore e l'affetto che provavano verso di lui erano talmente palesi che se ne poteva avvertire il calore persino da quella distanza, solo guardandoli in volto. E lui era stato disposto a dare la sua vita, in nome di quei sentimenti.
Era stato pronto a morire per loro.
-No. Sherlock Holmes è molto più di questo-replicò alle parole dell'ufficiale, mentre anche le sue, di labbra, si curvavano in un sorriso, il cappello di nuovo a nascondere i capelli brizzolati.-Non è solo un grand'uomo. È un brav'uomo...

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