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A.M.O

-... Razza d'idiota! Hai preso l'uomo sbagliato!
-No no, è proprio lui! Ne sono certo! Era insieme a quella ragazzina, quella che abbiamo quasi preso nel vicolo!
John si riprese a fatica, stordito, gli occhi ancora chiusi, un ronzio nelle orecchie e sentì, seppur a malapena, due uomini discutere aspramente a poca distanza da lui. Percepì, poi, di essere legato ad una sedia, e di non poter muovere nè le mani, nè le caviglie. Aveva infatti anche i polsi legati dietro lo schienale, con una corda ruvida così stretta da segargli la pelle.
Socchiuse gli occhi, e riuscì a scorgere delle rastrelliere con sopra bottiglie scure, casse e diversi utensili. L'aria era umida e fredda, e la stanza, anche se illuminata da alcune candele, piuttosto buia, come se fosse sotterranea. Ricordava vagamente, in effetti, di esser stato trascinato giù per delle scale, poco prima di svenire.
Una cantina...
I due uomini- ancora così intenti a discutere da non essersi accorti che stava rinvenendo-erano corpulenti, seppur il secondo paresse, almeno per la faccia e l'atteggiamento, un po' più giovane, ma altrettanto robusto. Quest'ultimo gli parve altresì di riconoscerlo: era uno di quelli incontrati nel vicolo, che avevano cercato di rapire Rosie e Cordelia. E a quanto pare era stato proprio lui ad aggredirlo nel corridoio...
Entrambi gli stavano di fronte, discutendo proprio a pochi passi da lui. Si affrettò dunque a chiudere gli occhi, facendogli credere di essere ancora svenuto.

-... Sei un emerito imbecille! La figlia non è di Sherlock Holmes!! È del suo amico, John Watson. Cioè quello che tu hai appena portato qui. IDIOTA!
Seguì un breve silenzio, inframmezzato da alcuni passi: uno di loro gli stava girando intorno.
-Mmmh... Ma forse, tutto sommato, non è stato un male...-fece di nuovo la prima voce, in tono meditabondo.-Il piano era rapire direttamente Sherlock Holmes... E se invece uccidessimo il suo migliore amico, e poi rapissimo la ragazzina per attirarlo ancora di più fino dal capo?
John si irrigidì, gli occhi ancora ermeticamente chiusi, mentre la voce del secondo uomo protestava, quasi con esitazione.
-Ma... Perché uccidere anche l'amico? Non potremmo usare anche lui, come ostaggio? Se il piano è quello di attirarlo...
-I piani cambiano-replicò l'altro, però,  innervosito.-Vuoi forse che venga a cercarlo ora, e qui? In questo modo semplifichiamo anche la vita del capo. Gli faremo capire che con lui non si scherza. Ha avuto persino la faccia tosta di presentarsi qui. Del resto, se non riuscissimo a prendere la ragazzina, possiamo sempre far rapire la donna che era con lui... Credo fosse la moglie. Era un bel bocconcino...

John si sentì quasi soffocato dalla rabbia e dal disgusto, ma si impose di rimanere immobile.
Sta' calmo. Non far capire che li senti.
Non devi muoverti...
Si ripetè mentalmente quelle frasi più e più volte, ma era difficile mantenere la calma e, soprattutto, il sangue freddo.
-Allora è deciso... È tutto risolto-disse la seconda, parendo quasi sollevata.-Ma chi lo farà?
-Tu. Mi sembra ovvio.
Il secondo uomo protestò subito, il sollievo sparito del tutto dalla sua voce, rimpiazzato dalla paura.
-Cosa?? E perché proprio io??
-Perchè tu hai preso la persona sbagliata. Quindi tocca a te, rimediare al tuo errore-ribattè il primo uomo, categorico. Questi, poi, senza alcun preavviso, afferrò John per i capelli, con violenza, portandogli la testa all'indietro: quest'ultimo dovette trattenersi dal genere e dall'opporre resistenza.-Come diavolo hai fatto a scambiarlo per Sherlock Holmes?? Non gli assomiglia per niente! Sei proprio un imbecille...
-Ma... Quello con cui è venuto si è presentato con un nome falso!
-Ti aspettavi che si presentasse con quello vero?? Allora sei anche un idiota, non solo un imbecille!-lo derise l'altro di nuovo, mollando la presa: il biondo, seppur a fatica, lasciò che il capo gli si afflosciasse sul petto.
-Uccidilo. Basterá tagliargli la gola. È pure ancora svenuto! Sarà un lavoretto facile e pulito. Be', più o meno...-sogghignò.-Poi sbarazzati del corpo. La fogna sotto le cucine andrà bene. Ma prima prendi qualcosa di suo. Lo manderemo al suo amico per posta.
-E cosa? Una ciocca di capelli, magari?
L'altro emise uno sbuffo di disprezzo.
-... Un dito, magari?-replicò, in tono sadico.

Dei passi che si allontavano poi il cigolio della porta annunciò l'uscita di quell'uomo dalla stanza. E John, suo malgrado, con gli occhi ancora chiusi, iniziò a tremare.

---

Le coppie volteggiavano sul lucido pavimento sulle note di una nuova melodia, mentre le chiacchiere dei gentiluomini proseguivano. Chiacchiere, risate e musica eccheggiavano.
Ma Rosie a malapena le sentiva, né tantomeno guardava le coppie danzare: aveva infatti lo sguardo fisso sull'elegante orologio a muro della parete nord. Era passata almeno mezz'ora, da quando suo padre e suo zio si erano allontanati.
-... Rosie, non pensi che Sherlock Holmes e tuo padre siano via da troppo tempo?-le domandò all'improvviso Cordelia, alzando anche lei, preoccupata, lo sguardo sull'orologio.
-Sì, Cordelia. Ci stavo giusto pensando...-replicò lei, non riuscendo a nascondere l'ansia crescente, e chiedendosi cosa fare.
-Non pensi che dovremmo... fare qualcosa?
Rosie si mordicchiò il labbro inferiore, incerta.
Lo zio ha detto di non allontanarci da qui... Ma... e se fosse successo qualcosa??

Si girò: Molly e sua madre erano impegnate in una conversazione apparentemente tranquilla con alcuni invitati, per capire informazioni come lo zio aveva chiesto. Di sicuro non avrebbero approvato.
Prese, però, una decisione repentina. Meglio chiedere il perdono che il permesso.
-Vieni con me.
Afferrò la mano di Cordelia, trascinandola verso la scalinata che portava al piano superiore di Baskerville Manor.

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So che nascondi qualcos'altro, qui...
Deve esserci qualcosa...
DEVE!
Sherlock si trattenne a malapena dall'emettere un urlo di pura frustrazione. Aveva esaminato ogni angolo di quel dannato studio, senza trovare assolutamente nulla.
In quella, l'occhio gli cadde su un piccolo busto marmoreo di Luigi XIV posato su uno scaffale, con il capo inclinato bizzarramente verso destra.
Aggrottò la fronte.

I busti di marmo non possono ruotare il collo...
Non quelli veri...

Le labbra di Sherlock si curvarono in un sorriso, mentre con una mano raddrizzava il capo della statuetta.
Immediatamente, una sezione della libreria si spostò, rivelando uno scomparto nascosto.

Furbo, Lord Baskerville... molto furbo...
Ma hai incrociato la mia strada...
E non sei più così furbo...

Immediatamente, si fiondò nel piccolo vano, che era colmo di pergamene e lettere. Vi erano mappe raffiguranti tratte commerciali - di certo le rotte erano studiate per evitare di incrociare navi della Marina- elenchi di merce, registri di contrabbando...
Una pergamena, però, gli saltò agli occhi: un elenco di opere d'arte trafugate.
Ma fu la firma, a colpirlo.

"AMO"

Era la parola che Peter aveva sentito pronunciare dai suoi sequestratori.
Sherlock aveva pensato fosse il nome in codice di qualche affiliato di quella rete... ma se non fosse stato così semplice?
Chiuse un momento gli occhi, concentrandosi. I due nomi presero forma nella sua mente, quasi galleggiassero davanti ai suoi occhi.

Aline Chang...

Oswald Baskerville...

Riaprì gli occhi, come folgorato.
E se "Amo" non fosse una parola, ma solo delle lettere puntate???
Nella sua mente, la parola assunse una nuova forma:

"A.M.O"

Un acronimo...
Ora sappiamo chi sono "A" ed "O".

... Ma chi è "M"?

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-Lo studio di sir Baskerville deve essere qui...
La voce di Rosie, un po' affannata dalla corsa, rimbombò nel lungo corridoio: Cordelia tirò su la gonna con una mano, in modo da non inciampare e cercando di stare al suo passo.
-Rosie, cammina più piano!-la ammonì però.-Non dobbiamo dare nell'occhio!!
-Già, hai ragione.- Rosie diminuì l'andatura, girando la testa da una parte all'altra, temendo l'arrivo di qualche guardia. Provò poi ad aprire una delle porte di legno bianco, ma era chiusa.
-Accidenti!-borbottò, esasperata,
avanzando verso la successiva.

-... Hey! Che fate, qui, voi due?-esclamò una voce alle loro spalle in tono rude.
Le due ragazze si voltarono di scatto: uno dei servitori si stava avvicinando a loro con un cipiglio severo.
-Ci siamo perse. Stavamo solo tornando al salone-rispose Cordelia, tranquilla, quasi altera: anche se Rosie la vide stringere nervosamente tra le dita un lembo della gonna.
-Allora lasciate che vi guidi io-rispose il servitore, in volto un falso sorriso di cortesia, avvicinandosi a loro, mentre Rosie si irrigidiva.
No.
Non possiamo andarcene.

-Oh... Mio Dio... Non mi sento molto bene...
Rosie si portò teatralmente una mano alla fronte e ondeggiò, accasciandosi addosso a Cordelia, che lesta la sorresse e la adagiò con delicatezza sul pavimento, trattenendo un sorriso, avendo subito inteso il suo piano.
-Non stia lì impalato! Vada a prendere dell'acqua, o dei sali!-ordinò infatti al servitore. Quest'ultimo, però, con sua sorpresa, non ubbidì, ma si accucciò con solerzia vicino a Rosie, in apparenza svenuta.
-Signorina, so come fare in queste circostanze. Dobbiamo levarle il corsetto-affermò, con inossidabile sicurezza.
Cordelia sgranò gli occhi, interdetta.
-È forse impazzito??
-Evidentemente, signorina, non è mai stata a Singapore-ribattè l'uomo, ridacchiando.-Mi creda, è molto più efficace di una boccetta di sali.
Rosie, stesa a terra, dovette sforzarsi di rimanere immobile, anche se tremava per l'indignazione.

Deve solo provarci, a togliermi il corsetto!
Cosa diamine faccio, ora??

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-Non credo sarà necessario. Posso occuparmi io, della signorina.
Un immenso sollievo percorse Rosie, quando udì quella voce e delle mani forti e salde, ma familiari, che la sollevavano da terra con delicatezza: suo zio, non si sa come, arrivava proprio sempre al momento giusto...
-Ma, signore, la signorina è...
-... La signorina ora sta molto meglio-replicò Rosie, aprendo finalmente gli occhi e scoccando un'occhiata di fuoco all'uomo, che fece qualche passo indietro, mentre lei si rimetteva in piedi.
-Bene... se non avete bisogno della mia assistenza... io... vado.
E, senza aspettare risposta, si allontanò rapido.

Rosie emise un piccolo sospiro, voltandosi finalmente verso lo zio,  che le fissava entrambe con severità, ma soprattutto lei, le braccia conserte al petto.
-Rosie! Vi avevo chiesto di non muovervi da...!
-Eravamo preoccupate, zio!-lo interruppe però lei con foga.- Era passata più di mezz'ora, e nessuno di voi due era tornato!
Sherlock sgranó gli occhi, costernato.
-Che significa "nessuno di voi due"??-ripetè.- Tuo padre non è sceso dieci minuti fa?
Rosie, stupita, scosse la testa; ma prima che potesse dire altro, si levarono delle voci nel corridoio dietro di loro.
-Svelte, di qua!-ordinò il capitano, facendole nascondere dietro una parete insieme a lui. Le due ragazze si appiattirono subito contro il muro, mentre le voci si facevano più chiare.
-... Allora?
-Se ne sta occupando Fletcher.
-Quindi non era Sherlock Holmes?
-No, era solo il suo stupido amico... quel Watson... Ma tranquillo, tra poco non sarà più un nostro problema...

Gli occhi di Rosie si colmarono di terrore: volse lo sguardo verso lo zio, e vide nei suoi occhi il medesimo sentimento che stava provando lei.
La afferrò poi per le spalle, risoluto.
-Tornate immediatamente al salone! -ordinò alle ragazze.-Me ne occupo io.
-Ma...!!
-Rosie, devi fidarti di me. Tornate al salone. Adesso-ripetè, con veemenza. Lei scorse nei suoi occhi un vero panico, che mai ricordava di aver visto in lui. Dunque annuì, stringendogli però la mano con forza.
-Sta' attento. Per favore.
Il capitano, nonostante tutto, si ritrovò a sorridere.
-Te lo prometto. Ora andate!-le incalzò, spingendole verso il corridoio: Rosie, con un ultimo sguardo, ubbidì, seguita da Cordelia.

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Freddie, tranquillizzato dalle parole del suo amico-che si era diretto  al salone- prese un'altra strada, dirigendosi alle cucine: era proprio l'ora di farsi un meritato cicchetto...
All'improvviso, sentì una mano stringergli il collo e sbatterlo contro il muro, torcendogli poi il braccio dietro la schiena, immobilizzandolo in una frazione di secondo: prima che potesse anche solo provare a emettere un fiato, avvertì qualcosa di freddo e metallico premuto sulla sua nuca. La canna di una pistola.

-Hai due possibilità-ringhiò una voce in tono basso e glaciale, che gli fece correre dei brividi lungo la schiena.-O mi dici immediatamente dove avete portato John Watson, o diventi cibo per gli squali. Quale scegli?
Seguì un momento di silenzio, mentre il braccio iniziava a dolergli, stretto com'era in quella morsa.
-In... c-c-cantina... Corridoio a destra, prima scala a sinistra...-balbettò.
La presa, però, non si allentò ancora.
-Scelta saggia...
Il capitano lo colpì alla nuca con il suo piccolo cannocchiale-diventato, per un attimo, un'eccellente canna di pistola- facendolo svenire. Trascinò poi il suo corpo privo di sensi in uno sgabuzzino, e si diresse ai piani sotterranei della villa, mentre un'espressione carica di gelida furia si faceva largo sul suo volto.

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-I lavori difficili sempre a me. Però... Tanto è già svenuto... farlo fuori sarà un giochetto...
Mentre Fletcher si ripeteva quel monologo, come a convincersi, e dandogli le spalle, John, gli occhi socchiusi, tentava disperatamente di liberarsi dalle corde, sperando che non se ne accorgesse.
Ma, purtroppo, non ebbe questa fortuna. Il cigolio della sedia lo tradì, facendo voltare l'uomo.
-Oh, no... Ti sei già svegliato...-sbuffò lui, con una smorfia delusa.-Credevo che quell'oppiaceo avesse più effetto... Ma avrei dovuto aspettarmelo, visto quanto mi hai fatto sudare prima. Sei più forte di quanto pensassi.  Comunque... sarebbe stato meglio per te se fossi stato ancora drogato. Mi dispiace, ma devo farlo comunque. Niente di personale.
John digrignò i denti, fissandolo con odio.
-Che cosa volete da me?? Perchè volevate Sherlock Holmes??
L'altro sogghignò, suo malgrado.
-Non lo so con esattezza, ma credo che il tuo amico abbia pestato i piedi alle persone sbagliate...
Il biondo aggrottò la fronte: di che diavolo stava parlando??
-Chi c'è dietro? Dimmelo, dannazione!-ringhiò, dando un ennesimo e inutile strattone alle corde. Fletcher sogghignò di nuovo.
-Ooh, non ci penso proprio a dirtelo, anche se stai per morire... C'è un nome che nessuno pronuncia...-Si interruppe, lo sguardo perso nel vuoto, preda quasi di un timore reverenziale.-... E non sarò certo io a farlo. Ma ora basta con le chiacchiere.
Estrasse un lungo coltello dalla tasca, e il biondo si pietrificò.
-Farà male solo per un momento. Un taglio rapido, e via-lo rassicurò il criminale, passando il pollice sulla lama affilata.-Fossi in te, starei fermo. Peggiorerai solo le cose, se ti agiti. E poi, non vorrei trovarmi a dover pulire il sangue dappertutto...
John rimase perfettamente immobile, ma non per le parole del suo carceriere: la fronte era imperlata di sudore, il cuore gli batteva all'impazzata, ma strinse le labbra.
Giurò a sé stesso che non avrebbe emesso neppure un fiato o un lamento, nonostante la paura, o il dolore. Se proprio doveva morire, sarebbe morto con dignità, fissando negli occhi il suo assassino fino all'ultimo respiro.
Fletcher fece un passo avanti... e i suoi occhi d'improvviso si rovesciarono all'indietro, mentre si afflosciava a terra, emettendo un quasi inudibile gemito, il coltello ancora stretto in mano.

John, incredulo, abbassò lo sguardo, e rimase sbalordito: uno strano dardo  piumato sporgeva dalla nuca del suo quasi aguzzino. Prima che potesse riaversi del tutto, una sagoma fuoriuscì lentamente dall'oscurità.
-... Come mi descriveresti, John? Pieno di risorse? Dinamico? Enigmatico?
Al suono di quell'ironica voce, il biondo sentì un immenso sollievo pervaderlo, mentre il suo battito, finalmente, si tranquillizzava.
-Direi "Ritardatario", Sherlock!!-esclamò, a fatica, la voce vibrante di sollievo, mentre il suo capitano raccoglieva il coltello e tagliava le corde che lo imprigionavano.
-Stai bene??-chiese lui, di nuovo, la voce stavolta venata di preoccupazione. Il biondo si alzò, gemendo, mentre il capitano lo sorreggeva per un braccio.
-Sì, Sherlock, tranquillo. Sto bene-lo rassicurò: poi, però, si ritrovò a sorridere.-I ruoli si sono invertiti... Se ben ricordo, ti ho salvato da una situazione simile, tanto tempo fa.
Il corvino fece un piccolo sorriso.
-È stata solo una delle tante volte in cui mi hai salvato la vita, John Watson. Me l'hai salvata anche in tantissimi altri modi... Devo pur, ogni tanto, restituire il favore...
Gli occhi dell'altro, a quella parole, si inumidirono.

D'impulso- solitamente, non era incline a gesti del genere -Sherlock strinse a sè per un momento, ma con forza, il suo primo ufficiale, come a volersi sincerarsi di essere arrivato in tempo per salvarlo: grazie al cielo, era così.
E John ricambiò la stretta, sorpreso ma anche commosso dal gesto del suo capitano: rivolse poi di nuovo la sua attenzione al corpo dell'uomo riverso a terra... e aggrottò la fronte.
-Sherlock... cos'è quello?-gli chiese, indicando il dardo.
Lui fece un sorriso furbo, affrettandosi poi a recuperarlo.
-Ricordi la nostra piccola avventura sull'isola di Norbury?
-... E come dimenticarla?
Il sorriso del corvino si allargò, mentre glielo mostrava, tenendolo sul palmo della mano.
-Ho fatto prelevare da uno dei nostri uomini questi dardi da una delle capanne degli indigeni, prima della ritirata. Sono gli stessi che hanno usato contro di noi anni fa, imbevuti di sonnifero. Dormirà per un bel pezzo-aggiunse, con una smorfia ancora rabbiosa, indicando l'uomo a terra con un cenno del capo.-Ma sarà meglio legarlo. Non si sa mai.
John spalancò la bocca, incredulo, mentre il capitano riponeva i dardi nella tasca interna, la più nascosta e quasi invisibile, della giacca, in cui era riposta anche una piccola cerbottana.
- Te li sei portati dietro??? Sia quelli che la cerbottana?? A un ballo di società??
Sherlock si strinse nelle spalle, mentre sollevava Fletcher con l'aiuto dell'amico e lo legava stretto alla sedia con una corda trovata su uno scaffale. Su un altro, trovò anche uno straccio e, per sicurezza, lo imbavagliò. Non era escluso che qualcuno scendesse comunque a controllare il prigioniero; ma almeno, se fosse rinvenuto troppo presto, non avrebbe potuto avvisare nessuno.
-... E perché no? Non sarebbe certo la prima volta...
Mente si dirigevano fuori dalla cantina, John cercò di trattenere, a fatica, le incontenibili risate. Anche Sherlock non riuscì a reprimere un sorrisetto.

Ma la loro pericolosa missione ancora non era finita.
Dovevano lasciare Baskerville Manor il più velocemente possibile...

 

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