CAPITOLO 3
Tornai a casa con il pulmino della scuola. Mi lasciò a cinque minuti da casa, nella strada principale. Scesi e imboccai uno stretto vicolo. Lo percorsi fini in fondo e arrivai a casa mia. Era una casa singola abbastanza vicina al centro.
Appena entrata chiusi la porta e dissi.
-Mamma, sono tornata.-
Dalla cucina si affacciò una donna con una molletta che raccoglieva i capelli bruni e un grembiule sporco, con la scritta: "Mamme, le schiave della cucina" e con un disegno stupido che ritraeva una donna con una palla al piede in cucina in modo stilizzato.
-Bentornata tesoro! Com'è andato il primo giorno di scuola?- il suo volto si accese di gioia.
-Bene, ma devo dirti...- incominciai
-Non adesso, cara! Porta le tue robe nella tua stanza e vieni, che ho le padelle sul fuoco!-
Sbuffai leggermente, mi tolsi le scarpe e la giacca, infilai le mie pantofole morbidose a forma di coniglio e salii le scale.
La mia camera si trovava in cima alle scale, la prima porta a destra.
Misi lo zaino sulla sedia della scrivania e scesi a mangiare. La cucina si trovava al piano terra, vicino alle scale. Non appena vi entrai, un profumo di salsiccia e purè mi invase i polmoni e mi venne l'acquolina in bocca. Mi sedetti a tavola, di fianco a mio padre intento a leggere il giornale. Mi schiarii la gola.
-Ehm, ehm...-
-Mmmm?- mugugnò lui, leggendo ancora il giornale.
-Papà, sono tornata!- dissi a denti stretti, cercando di fargli capire.
Lui non staccò gli occhi dal giornale. -Bene.- disse con poco interesse.
La mamma mise in tavola i piatti e si sedette davanti a me. -Buon appetito!- disse radiosa, e cominciammo a mangiare. Cioè, io e mamma mangiammo, mentre mio padre continuò a leggere il giornale.
-David, è pronto in tavola.- ripeté Clare.
Lui chiuse il giornale, lo piegò e lo mise su una sedia. -Uff, questi politici che non sanno fare la loro parte! Stanno sulle poltrone solo per i soldi! Bah!- Si lamentò e cominciò a mangiare.
-Dunque, cosa mi stavi dicendo in ingresso, tesoro?-
Mandai giù un boccone si salsiccia.
-La maestra di matematica vi vole parlare.-
-Hai già preso una nota?- mi chiese mio padre.
-No!- mi difesi. -È solo che durante l'ora di matematica la maestra ha chiesto chi sapeva contare fino ad un certo numero, ha chiamato me e sono andata avanti fino a che non mi ha fermata, ha detto che ero qualcosa di fenomenale e di voler parlare con voi, così mi ha scritto sul diario.- guardai mia madre. -Vi aspetta giovedì alle dieci.-
Mio padre brontolò. -Ecco ora dobbiamo anche andare a parlare con la maestra!-
-David, se vuoi vado io, se tu devi lavorare...-
-Meglio... giovedì ho molto lavoro. Tu a che ora cominci il turno?-
-Alle tre.- rispose mia madre.
I miei genitori sono entrambi dentisti, e la cosa è peggio di quel che sembra. Tutti pensano: "Bene, ho due genitori dentisti, prendono tanti soldi e mi aiutano a tenere i denti puliti." Ecco, appunto. Avere due dentisti come genitori (non bastava solo mia madre o solo mio padre, no!, tutti e due!) significa:
1. Non esistono Epifania ne Halloween.
2. Zero torte di compleanno (al massimo una crostata con tanta frutta)
3. Ogni volta che si mangia, via a lavare i denti!
4. Sei pieno di apparecchi per denti dalla testa ai piedi (io porto l'apparecchio fisso sopra e sotto, ed è uno strazio!)
Dunque, chi vuole ancora avere dei dentisti come genitori?
*tutti che abbassano le mani più giù possibile*
Appunto, lo sapevo.
Mio padre si chiama David George Granger, ha 38 anni e, come ho detto prima, fa il dentista. Non è sempre burbero come quel giorno. Evidentemente si era svegliato con il piede sbagliato. Solitamente è un tipo simpatico e pigro, mooolto pigro. È alto e un po' muscoloso, i capelli scuri che teneva sempre corti insieme alla barba per via della mascherina che doveva indossare.
Mia madre era gentile e simpatica. Era magra e un po' più bassa di papà. Si chiama Clare Isabel Granger ed è una donna fantastica: sapeva lavorare bene con i bambini, cosa pressoché fondamentale in uno studio dentistico per bambini. Aveva i capelli color cioccolato lisci e lunghi fino a metà schiena circa. Era una donna esile, sembrava quasi fatta di porcellana.
-Allora...- mia madre cercò di assumere un tono vago nella voce. -... c'è qualcosa che vorresti ricevere o vorresti fare per il tuo compleanno?-
Lo sapevo. Ogni anno mia madre cerca di indagare verso l'inizio della scuola. Il mio compleanno è il 19 settembre e non mancano molti giorni. La risposta era sempre uguale tutti gli anni. E mia madre lo sapeva, solo che sperava in un cambiamento.
-Un libro di Percy Jackson, per favore. Oppure uno di Hunger Games. O anche uno di Shadowhunters, ...-
-Altro?- mi interruppe mio padre. -Che non sia un libro?-
-Sì, c'è.- risposi. -Se non volete prendermi un libro...-
-... che ne hai già troppi...-
-... allora un e-rider. Costa un po' di più di un libro, ma poi posso scaricarmeli in internet senza pagare.-
Mamma e papà si scambiarono uno sguardo preoccupato.
-E... niente bambole... vestiti... giocattoli... niente di tutto ciò?- chiese mia madre con un misto di gentilezza e preoccupazione.
-No, grazie.- risposi. L'anno scorso avevano provato a regalarmi un paio di bambole che ora sono sopra la cassettiera a prendere polvere. Mi annoiavano, erano giochi da bambine piccole, dell'asilo. Io ero grande, avevo compiuto quel passaggio dalla scuola dell'infanzia a quella elementare, dove tutto non è più un gioco, ma è serietà e comportamento. L'età infantile era terminata. Ora si fanno i grandi.
-E vuoi fare una festa o startene rintanata in biblioteca tutto il giorno?-
-La biblioteca va bene.-
Mia madre rimase zitta un attimo. -Era uno scherzo, Jean.- mia madre mi chiama sempre con il mio secondo nome, perché l'ha scelto lei. A mio padre invece piaceva il femminile di Ermes, il messaggero degli dei, perché secondo lui io sono la loro buona notizia, il loro annuncio più bello.
-Mamma, mi basta una festa in casa con voi e Violet, nient'altro!-
Lei mi guardò sospettosa. -Chi è Violet?-
-La mia migliore amica. L'ho conosciuta oggi, adora leggere anche lei ed è simpatica.-
Mia madre e mio padre si scambiarono un altro sguardo preoccupato. -Ok, Herm, vedremo di fare qualcosa per festeggiarti. Vedrai ti piacerà.- disse mio papà.
Io annuii, poi finii il pranzo e andai in camera. Ma arrivata sul pianerottolo delle scale sentii i miei parlare fitto fitto dalla cucina. Vidi le loro ombre vicine.
-Cosa dobbiamo fare?-
-Non lo so Clare. Certo che da una bambina di sei anni non me lo sarei mai aspettato.-
-Il fatto è che lei non è normale...- disse mia madre con voce tremolante, segno che si stava per mettere a piangere. Infatti poco dopo cominciò a singhiozzare. Vidi mio padre metterle le mani sulle spalle.
-Io non so come comportarmi capisci?- riprese mia madre. -E' la mia prima figlia, non so cosa fare. Credevo che fosse facile crescere dei figli, come fanno le mie amiche, ma loro non hanno avuto questa!- fece una pausa. Avevo capito che "questa" si riferiva a me, e mi fece molto dispiacere sentire mia madre chiamarmi così. Non lo aveva mai fatto, e mi sembrava come se fossi solo un impiccio per loro... Non li biasimo. Sono diventati genitori da pochi anni, sono alle prime armi, è ovvio che non sanno bene come reagire. Soprattutto con un tipo come me, appassionato di lettura e non di bambole, che passa le sue giornate a leggere e non a guardare la tv, che già dopo il primo giorno di scuola la maestra di matematica voleva parlare con i genitori perché avevano una figlia prodigio.
-Non so come comportarmi con lei...- disse mia madre in un filo di voce. Mio padre l'abbracciò.
-Penso che dovremmo adattarci...- rispose lui.
-E come?!? Dobbiamo stare qui fermi con le mani in mano a guardare lei che legge e legge e legge libri? E non buoni libri come i classici, Andersen e i fratelli Grimm, ma cavolate su streghe, creature inesistenti e... e... come si chiama? Quel Jackson là... cavolate di questo genere. Almeno che legga libri istruttivi, che le permettano di avere un futuro! Che legga "Le Mille e Una Notte", quello sì che è un bel libro!- Al sentire quel nome strizzai gli occhi e feci una linguaccia; avevo provato a leggerlo, ma è più noioso della morte! (se si può dire che la morte è noiosa).
-Vieni, continuiamo a discuterne sul divano.- disse mio padre, e si sciolsero dall'abbraccio. Io sgattaiolai in camera il più veloce e silenzioso possibile, perché il salotto era nell'atrio, di fianco alle scale dove ero io, quindi se mi avessero scoperto ad origliare... morte certa. Chiusi la porta della mia camera senza fare rumore e mi buttai sul letto superiore. Il mio letto era a castello: nel letto in basso ci dormivo, mentre quello in alto era più un divanetto dove leggevo o mi mettevo a giocare raramente. Mi stesi a pancia in su a guardare il soffitto.
Dopo un po' mia madre entrò in camera mia. Aveva gli occhi gonfi e un po' arrossati, segno che aveva pianto. Si schiarì la gola.
-Jean, ho qui la tua divisa.- solo allora mi accorsi che aveva in una mano in appendiabiti con un vestito scuro e nell'altra delle scarpe nere. -E' appena arrivata, ce la manda la scuola. Devi indossarla da domani. Te la proveresti?- Io annuii in silenzio. Scesi dal letto e mi tolsi i vestiti che avevo mentre mia madre toglieva il vestito dall'appendiabiti. Lo indossai e mi guardai allo specchio. la divisa consisteva in una camicia bianca a maniche lunghe con una cravatta finta (nel senso che sulla camicia c'era disegnata una cravatta) e sopra un vestito sempre a maniche lunghe di colore blu scuro. Era stretto fino in vita e la gonna arrivava circa alle ginocchia. Sul davanti aveva dei bottoni bianchi, mentre ai piedi portavo dei calzini fin sopra le caviglie e un paio di ballerine nere. Mamma mi appuntò un grande fiocco rosso dietro la testa per raccogliere i capelli che mi andavano negli occhi. Poi si allontanò di qualche passo e mi guardò.
-Sei bellissima, Jean.- io non risposi, ma mi limitai a guardare il mio riflesso sullo specchio. Non sembravo più io. -E' molto bella.- dissi. Lei mi sorrise, poi mi aiutò a sfilarla e la mise sullo schienale della sedia.
-Va bene, ho capito che non sei di molte parole. Ti lascio sola.- disse Clare. Mentre apriva la porta per andarsene avrei voluto dirle qualcosa riguardo a quello che avevo sentito sulla conversazione tra lei e papà, ma esitai. Era meglio non toccare quell'argomento, almeno per oggi, per evitare altri fiotti di lacrime.
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