La misura del sole freddo
Sembravamo scampati al crollo di un quartiere. Camminavamo in silenzio, l'uno accanto all'altro, con le teste chine e lo sguardo confuso, ammirando quel sole di febbraio che inumidiva tutto di una luce fredda, capace di strappare l'anima insieme all'allegria.
Eravamo finalmente consapevoli della distanza che correva tra noi e questa realtà, di come questi scenari, questi parchi pubblici, queste finestre, queste strade, questi cassonetti dell'immondizia, non ci appartenessero. Era una lezione vecchia, già imparata troppe volte, ma che sempre più spesso tendevamo a dimenticare. Esiliati da tutti i mondi, profughi nella propria terra natale, noi, come nessun altro, sapevamo quanto era doloroso il peso della solitudine.
- Andiamo dall'Arconte. – Disse all'improvviso Rio.
Il Nero si fermò. - Non ci piace, quel posto. – Dispose. - Perché ci vuoi andare?
Rio si limitò a scrollare la testa in segno di diniego.
- Va bene. – Disse il Nero, massaggiandosi gli occhi. - A voi crea qualche problema?
Avevo sentito parlare a lungo dell'Arconte e non vedevo l'ora di conoscerlo personalmente. - Per me non c'è nessun problema. – Risposi.
Biancospino sembrò titubante. - Anche per me. – Esitò.
Il Nero lanciò un lungo sguardo a Rio. - D'accordo– Sospirò. - Andiamoci, allora.
L'Arconte affittava un appartamento in centro, distanza accettabile da percorrere a piedi.
Viveva al quinto piano di un'elegante palazzina ottocentesca dalle balconate in muratura e priva di ascensore. Almeno due quarti degli abitanti di quegli appartamenti, come ci avrebbe poi spiegato l'Arconte, erano prostitute. Lui ne gestiva solamente due, più per piacere personale che per guadagno. Furono loro a aprirci la porta. Eva, la bellissima russa bionda, e Ana, la spumeggiante brasiliana mora.
- Rio! Como estai? - lo abbracciò Ana.
- Voi siete suoi amici. Venite, l'Arconte vi accoglierà sicuramente. - Ci invitò Eva.
Eva ci accompagnò in un salotto scuro nel quale l'Arconte, avvolto in una vestaglia porpora e ocra, sedeva sul divano centrale. In cima a un basso tavolino scuro teneva aperta una scatolina in legno intarsiato delle dimensioni di un dizionario.
Vedendoci entrare posò il sigaro che stava fumando. - Ragazziiiiiii! - Esclamò. - Ma che piacere! È da molto che non ci si vede! - Si alzò in piedi. - Rio! Il mio piccolo profeta! Come stai? Tutto bene? Immagino che avrete fame. Eva! Ana! Fate qualcosa da mangiare per il piccolo Rio e per i suoi amici, fateli mettere comodi. – Poi si volse, quasi senza prendere fiato, e, rivolto a due uomini che notavo solo in quel momento, disse: - Mi dispiace, ragazzi, ora non posso occuparmi di voi, ho degli ospiti che non posso fare attendere. Comunicate comunque a Regina ciò che abbiamo stabilito, dubito che rifiuterà. Vi ringrazio per la cortese attenzione e arrivederci a presto.
I due uomini si alzarono e lasciarono la stanza tanto in fretta che non riuscii a guardarli in volto. Solo i loro vestiti mi rimasero impressi, due completi eleganti, probabilmente di sartoria, completamente neri.
- Sedetevi, sedetevi, volete qualcosa da bere? Ma certo, provvedo subito! Ditemi, ditemi, cosa vi spinge a venire a trovare il vostro amico Arconte? Spero sia solo una visita di cortesia, perché se è così sapete bene che nella mia casa per voi c'è tutto! Ogni cosa che è mia vi appartiene, a tutti voi amici del mio valevole amico. – Ammiccò, rivolto a Rio. - Tutto quello che volete!
Il Nero tentò di sollevare una mano, mentre l'Arconte gli porgeva un bicchiere. Aveva un'espressione truce, quasi comica. - Magari un po' di crack non guasterebbe.
L'Arconte lo squadrò, mutando per un istante espressione, poi inforcò il medesimo sorriso e riprese a parlare. Era un fiume ininterrotto di parole, ammiccava continuamente a Rio, in maniera spasmodica e esasperata. Rio doveva essere in imbarazzo, di fronte a quella creatura esagitata, eppure mascherava ogni emozione dietro un pallido sorriso, mentre la sua testa tentava disperatamente di seguire i gesti che l'Arconte faceva ogni tre parole.
Sopportammo quella tortura finché non fu Rio a sollevare il braccio e a domandare silenzio. A quel punto l'Arconte ammutolì.
- Tra poco avrò bisogno di parlare con lei. – Disse Rio alzandosi dal divano.
- Va bene, spero... - Iniziò, l'Arconte.
- Non so. – Lo zittì Rio, dirigendosi in cucina.
L'Arconte rimase qualche istante immobile, con un'espressione pensierosa, poi sorrise. - Ragazze! - urlò. - Ciò che è mio è vostro. – Disse, allungando il suo bicchiere. - Fatene buon uso.
Il Nero mi guardò. Stava caricando la pipa con il crack dell'Arconte. - A me non interessa. - Disse.
Guardai gli occhi castani di Ana e fui tentato dalle sue labbra carnose. La desiderai ardentemente e mi lasciai invitare dai suoi fianchi fino a una delle stanze da letto.
L'Arconte mi sorrise, mentre chiudevo la porta. Un sinistro "divertiti" era dipinto sulle sue labbra.
Mi avvicinai al corpo formoso di Ana, lentamente, sentendo il profumo della sua pelle attraverso i vestiti. Feci per toccarla, per sfiorarle i fianchi morbidi, ma quando la guardai negli occhi vi trovai un profondo imbarazzo. Mi guardava attraverso, come se cercasse di nascondersi da qualcosa o da qualcuno, forse proprio da quel Biancospino seduto sul divano, con i pugni serrati e lo sguardo basso. Compresi.
- Mi sa che vuole te, là dentro... - Dissi, uscendo dalla stanza.
Biancospino abbozzò un mezzo sorriso e si alzò.
- Grazie. – Sussurrò, passandomi accanto.
"Prego" avrei voluto rispondergli.
Rimasi in silenzio. Il Nero era immobile come un mistico, la pipa ancora stretta tra le mani e la testa all'indietro, in meditazione. Conoscevo quel tipo di stasi, quel sogno chimico, quel piacere surreale che parte dal crack e arriva all'infinito, mescolandosi con l'universo.
- Dov'è Rio? - domandai, mentre Biancospino si chiudeva la porta alle spalle.
- È di là, a parlare con l'Arconte. – Biascicò il Nero.
Guardai la porta chiusa della camera da letto dell'Arconte, poi fissai il Nero. Non era difficile capire cosa mi turbasse.
- Stai tranquillo, non è come stai pensando. – Rispose il Nero, intercettando i miei pensieri.
Eva comparve sulla porta della sua camera da letto e mi ammiccò sorridendo.
- E cosa starei pensando?
- Probabilmente qualcosa tipo pedofilia o simili.
Feci cenno a Eva di attendere. Nonostante tutto non avevo ancora rinunciato ai miei istinti.
- Hai indovinato, cosa dovrei pensare?
Il Nero caricò un'altra volta la pipa. - Probabilmente dovresti lasciare che quella bionda faccia il suo dovere e smettere di preoccuparti per cose che non ti riguardano.
- Stai parlando di tuo fratello! - Lo accusai.
- Lo so anch'io di chi sto parlando! - Tuonò. - Ed è per questo che ti dico che non ti devi preoccupare.
Eva mi corse accanto e mi prese per le spalle. - Non è bene continuare discussione – sussurrò.
Guardai un'ultima volta il Nero negli occhi. Vedevo in lui rabbia, ma anche tristezza e malinconia. Qualunque cosa stesse succedendo, di là, non piaceva nemmeno a lui.
- Cosa preferisci, normale o pecorina?
Riflettei un attimo.
- Pecorina no. – Risposi, mentre si spogliava. - Mi sembra un po' impersonale. Preferisco guardarti negli occhi, mentre lo facciamo.
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