Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

2.1 Epilogo: "La fine di qualcosa"

Isabel non si era mai sentita tanto libera, tanto leggera.

"You are the dancing queen
Young and sweet
Only seventeen
Dancing queen"

Erano anni che non cantava, che non ballava — se quello si poteva chiamare ballare.
Nel piccolo garage di casa Wilkinson, Isabel vorticava per la stanza, stringendo tra le dita una scopa. Quello era il suo microfono o meglio la cosa più simile ad un microfono che aveva trovato. Sembrava fuori di sé in quel momento. Lo stesso valeva per Sam: muoveva i riccioli a ritmo di musica, tutti ormai bagnati dal sudore. Come insetti veloci, le sue dita vorticavano su e giù sulla sua chitarra, rendendo "Dancing Queen" più una hit rock che altro.

"You can dance
You can jive, dai, Sam, dai" continuò a cantare Isabel, indicando il ragazzo al suo fianco. Saltellò ancora a destra e a manca, senza preoccuparsi di un forte dolore ai polpacci.

"Dancing Queen" era la loro canzone preferita, — in realtà quella che mettevano più spesso in quei concerti improvvisati. Certo, nessuno dei due aveva 17 anni o poteva essere considerato la "regina danzante", ma, alla fine, era tutto così allegro. L'unica frase che forse li rispecchiava fu proprio quella che risuonò poco dopo: "Having the time of your life"
Perché si sentivano vivi, liberi ciascuno dai propri problemi. Isabel cantava, gridando al mondo; Sam suonava, rilasciando ogni stress nell'aria.

Quella era l'ultima strofa e, quindi, la canzone lentamente iniziò a farsi sempre più bassa. Isabel si avvicinò al riproduttore di cassette e lo fermò, prima che potesse partire un nuovo motivetto. Era esausta.

"Sei stato una vera regina danzante, Sam, non me lo aspettavo da te, ricciolino" ridacchiò lei, con il fiato corto.
"Oh, parla quella che ha saltellato per mezz'ora" scosse la testa lui divertito, riprendendo ad accordare la sua chitarra, "che si fa? Altro pezzo...?"
"Mhm" borbottò lei, sfilandosi un elastico dal polso ed iniziando a farsi una coda, "cazzo, c'è l'Oceano Atlantico del sudore qui sotto" borbottò, toccandosi distrattamente dietro al collo.
Sam rise e si sedette su una scricchiolante sedia in legno: "Allora?"
"Non so, che ore sono?"
"Sai che qui dentro sono vietati gli orologi"
"Regola stupida" roteò gli occhi Isabel, cercando con lo sguardo qualcuno di quelli. Ma lì dentro non ne avrebbe trovati, Sam non ne teneva nessuno lì. Il ragazzo, infatti, aveva la strana convinzione che in quel suo "regno" bisognasse perdere la cognizione del tempo. Nessun orologio.

"Non ne troverai" si alzò, avvicinandosi allo scaffale della cassette e dei vinili, cercandone uno che potesse soddisfare la sua voglia.
"Se il Bianconiglio ti conoscesse, ti condannerebbe a morte" rispose Isabel, afferrando il suo zaino e rovistando all'interno.
"Ah! Trovato!"
"OROLOGIO!" esclamò Isabel, alzandosi da terra e sperando che Sam ne avesse trovato uno, "no, un altro stupido vinile" borbottò, vedendo che ne stringeva uno tra le dita.
"Scusa?!" alzò entrambe le sopracciglia lui, "stupido a chi?"
"Al vinile, ricciolino" scosse la testa lei, riabbassando lo sguardo sul suo zaino. Doveva trovare un orologio, per quanto ne sapeva poteva essere anche in ritardo di due ore.
"Sai che questa me la paghi e cara, Frodo" esclamò il ragazzo, con un'aria che voleva sembrare minacciosa; ma qualsiasi cosa dicesse Sam non poteva esserlo, era un ragazzo troppo buono.
"E tu me la paghi, Samwise, per non avere un fottutissimo orologio" si voltò lei verso di lui, incrociando gli occhi neri dell'altro.
"Primo: niente parolacce qui, l'ho detto anche a tuo fratello; secondo, forse ho un orologio; terzo, ti dirò l'ora solo se ti rimangi quello che hai detto e prometti di non fare cazzate"
"Va bene per tutto, ma non per le cazzate" allungò il palmo della mano lei, per ricevere l'oggetto del suo desiderio.
"Isabel" si fece più serio Sam, "sono passati tre mesi e-"
"E non stiamo ancora insieme, già, so che è uno schifo Sam, ho già troppi post-it mentali che me lo ricordano. L'orologio"
Sam sospirò: non sapeva cosa fare con lei, cercava di darle una mano, ma le sfuggiva. Steve non gli stava simpatico, aveva strani presentimenti e sensazioni su di lui. Temeva che potesse ferirla. Ma vedeva anche che Isabel stava male; tutte le volte in cui era con quel ragazzo, sembrava che nascondessero entrambi qualcosa. Non era riuscito a scoprire cosa. Ma sapeva che quel qualcosa era la causa del male della sua amica, del fatto che si stesse allontanando dalla persona che amava.
"Tieni" cedette lui, sapendo che non ce l'avrebbe mai fatta quel giorno. Allungò verso la mano della ragazza un vecchio orologio da taschino ancora funzionante.
"Non pensavo fossi un amante dell'antiquariato..."
"Era di un amico di mio padre, almeno questo dice mamma" si allontanò da lei Sam, posizionando il vinile sul giradischi. Aveva bisogno di suonare.

"Beh, rest- OH CAZZO!"
Era in ritardo, era sempre fottutamente in ritardo. Con un gesto della mano veloce, afferrò il suo zaino, chiudendolo distrattamente, mentre Sam rideva. Isabel era davvero buffa certe volte.
"A domani, ricciolino" gridò lei, fiondandosi fuori e dalla sua bicicletta.
"A domani" si sentì in lontananza, ma la ragazza non lo percepì.

Corse dalla sua bici, imprecando contro se stessa ad ogni passo. Già, era proprio stramba. Arrivata, montò su, assicurandosi prima che la scatola di cartone fosse legata saldamente alla parte posteriore della bicicletta. Era a posto.

"Cinque minuti, cazzo, cazzo, voglio un fottuto y-wing, va bene anche un catorcio, ti prego, ne ho bisogno"
"Stai zitta" si sentì una voce da poco lontano. Era bassa, ma allo stesso tempo dura, come un rimprovero veloce.
Isabel si guardò intorno, cercando la persona che aveva pronunciato quelle parole.

"Cazzo, la coscienza, sta' zitta!" si tirò uno schiaffetto sulla nuca, "il Grillo Parlante, adesso pure lui ci si mette!"
All'improvviso, si sentì un rumore brusco di foglie. Isabel si voltò in quella direzione con uno scatto spaventato.

"Stop! Taglia, taglia" gridò di nuovo quella voce, assumendo un corpo e anche degli strani vestiti. Era una ragazza alta, dai lineamenti abbastanza duri; i capelli mori le ricadevano fluidi sulle spalle magre, aveva un'espressione provata, come se avesse lavorato per ore e ore e ancora lo stesse facendo. La cosa più strana in assoluto, però, era lo strano capello che portava sulla testa: era uno di quelli che si mettono a carnevale o in Irlanda per la festa di San Patrizio.

"UN FOLLETTO DELLA FORTUNA!" esclamò Isabel, vedendola sbucare in quel modo da un cespuglio verde e folto. Forse era stata un'esclamazione stupida, ma sperava davvero che lo fosse. Voleva un po' di fortuna.
"Un folletto che?! Stiamo registrando qui, ti sembra il modo questo, giovane!"
Isabel, però, non la stava più ascoltando, la guardava e basta. L'aveva già vista in passato, ne era sicura, ma non ricordava bene perché e dove.
"Registrando?"
"Sì, il mio capo vuole reclute per la sua band, è un ordine questo..."
"Capo?" continuò a domandare, era troppo curiosa per non farlo, "non credevo che i folletti avessero un capo..."
"È il mio ragazzo. Vuole vedere se questo tizio è abbastanza bravo a suonare. Quindi, devo registrare e... shhhh" esclamò, muovendo il dito come se fosse un serpente che scivola verso il basso.
"E come mai il tuo ragazzo non viene qui? Non ci sono abbastanza tram dalla fine dell'arcobaleno a Hawkins?"
"No, è solo impegnato a spacciare, ehm, spacciare pepite d'oro" borbottò la ragazza, forse fin troppo velocemente, tanto che si stava per condannare da sola.
"Beh, allora scommetto cinque, anzi diciassette pepite d'oro e un quadrifoglio con il tuo ragazzo che Sam suona meglio di lui" poggiò un piede sul pedale, pronta a partire, "ci vediamo il diciassette marzo" esclamò, ridendo e iniziando a pedalare a tutta velocità.

"NON TI CONVIENE!" gridò quella ragazza, ma Isabel era troppo avanti e già una nuova canzone stava iniziando a risuonare nella via.

"Eddie non la prenderà bene" borbottò sempre quella, riaccendendo velocemente il suo registratore. Sam aveva iniziato il suo concerto.

Allison_Buckley

***

"Slow ride, take it easy
Slow ride, take it easy
Slow ride, take it easy
Slow ride, take it easy"

Isabel canticchiava ancora, nonostante non ci fosse musica intorno. Le sue ruote bruciavano sull'asfalto ancora caldo, mentre una leggera brezza di fine estate asciugava in parte il suo sudore. Fortunatamente, aveva deciso di vestirsi più leggera quel giorno. Era tutto normale, se non fosse stato per la canottiera bianca che indossava. Abbastanza attillata e anche un po' scollata, le stava bene, ma sapevano tutti che la vecchia Isabel Henderson non avrebbe mai messo qualcosa del genere. La cosa, però, ancora più strana era che lei stava era in pace con se stessa anche vestita così. Era arrivato il momento di smetterla con il passato, anche con i vestiti passati.

"I'm in the mood
The rhythm is right"

Cantò ancora, alzando il viso davanti a sé: era quasi arrivata. Con gli occhi semichiusi per il sole, continuò a pedalare senza più sudore addosso. Se solo avesse avuto più tempo, si sarebbe fatta una doccia. Stava andando da Steve e, di sicuro, non aveva una bella cera.

Steve. Erano passati mesi da quel bacio, ma non passava un giorno in cui non ci pensasse. Sentiva ancora le sue labbra calde sulle sue, le braccia del ragazzo avvolgerle la vita, stringerla a sé. Le era sembrata una promessa che diceva che non l'avrebbe mai lasciata andare. Invece le cose erano andate diversamente.

Il giorno dopo le vicende dello Starcourt si erano visti e Isabel si era aspettata qualche gesto da parte sua. Un bacio, una carezza, una parola. Lei aveva fatto il primo passo e credeva che il turno adesso fosse del ragazzo. Ma non era arrivato nulla, nulla di nulla.
Così, per Isabel era stato inevitabile pensare che Steve volesse solo dimenticare. Forse quel bacio non gli era piaciuto, forse si era reso conto che non era quello che voleva. Non glielo aveva mai chiesto, stupido vero? Beh, per Isabel no. Non voleva domandargli nulla, perché temeva la risposta. Temeva un rifiuto secco, un addio.

Ora che ci pensava erano passati precisamente tre mesi da quel giorno, un anniversario. Sì certo, l'anniversario del giorno in cui aveva eliminato anche solo la minima speranza che ci fosse qualcosa di più tra loro.

Pedalata dopo pedalata, arrivò presto nel parcheggio davanti al "Family Video", un negozio che affittava ogni genere di cassetta contente un film. Robin aveva scoperto quel posto e aveva trascinato lei e Steve lì, spedendo i loro "curriculum". Isabel non era molto convinta di trovare impiego per lei lì; certo, conosceva molti film da nerd, ma per il resto era una capra.
Gettò la bicicletta a lato del marciapiede come faceva sempre; solo dopo si ricordò di aver sopra quella scatola di cartone piena di cassette.

"Cazzo!" esclamò, tornando sui suoi passi e tirando su da terra tutto quanto. Per fortuna la scatola era rimasta chiusa. "Però" pensò, "quel folletto mi ha portato davvero fortuna".
Ma non c'era tempo per perdersi in pensieri vani e così corse all'entrata del negozio.

"Ehi, ehi, terra chiama Keith! Le ragazze entreranno solo per vedere lui, le ragazze entreranno a frotte. A frotte, Keith! Abbiamo venduto così tanto gelato che hanno spedito un secondo carico dal Michigan! Dal maledetto Michigan, Keith! E quella ragazze, quelle ragazze sono sexy, sono tanto, tanto, tanto sexy e sono davvero troppe per Steve, gli serve aiuto, gli serve il tuo aiuto, Keith"

In quel momento Isabel entrò nel locale, senza lasciar iniziare o finire la frase a Keith.
Tutti e tre i ragazzi si voltarono verso di lei, che sospirò, soddisfatta di essere arrivata. La verità, però, era che vestita così, con quel sorriso, quel portamento, Isabel Henderson era davvero una bella ragazza, perlomeno desiderabile.

"Visto" sussurrò Robin a Keith, che talmente incantato, aveva perfino fatto cadere delle patatine a terra, non trovando la sua stessa bocca.
"Wow" borbottò a bassa voce, senza fiato.

Steve sentì la porta aprirsi e, come magnetizzati, i suoi occhi si catapultarono sull'entrata. "Fa che sia Isabel" non faceva che ripetere la sua testa e quella volta qualcuno lo aveva ascoltato.
"Wow" pensò, senza però pronunciarlo da quanto Isabel gli aveva mozzato il fiato. Aveva bloccato i suoi pensieri, tutto vorticava attorno a lei. Sole, Luna, pianeti avevano adesso un nuovo centro e per Steve era Isabel Henderson, la ragazza più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita.
Forse troppo accecato dalla donna dei suoi sogni, inciampò in un cartello poco davanti a lui.
In un baleno gli occhi furono su di lui, mentre il ragazzo cercava di sistemare tutto imbarazzatissimo.

"Dannazione" borbottò, notando poi con sorpresa e piacere di essersi scontrato con una sagoma non male, "'Fuori di testa', 'Fuori di testa', uno dei miei preferiti!"

Isabel scosse la testa, ridendo: "Se Dustin fosse qui si chiederebbe come mai cadi sempre sopra delle ragazze"
"Io non cado sopra di loro, sono loro che si mettono sotto di me" borbottò a testa alta, con un tono a metà tra lo scherzo e la serietà.
"Sei vomitevole, Steve" lo avvertì Robin, sapendo che quel colloquio di lavoro adesso aveva davvero toccato il fondo.

"L'ultima volta in cui una donna era sotto di te è stato quando hai calpestato il ritratto della mia prozia Isabel" borbottò, alzando un sopracciglio divertita Isabel, sistemando meglio la sagoma.
"Ehi, era per terra, non l'ho fatto apposta!"
"Quante dita sono queste?" domandò lei, guardando verso di lui.
"Due, perché?"
"Visto, ci vedi, potevi vederlo, no?" scosse la testa, sempre divertendosi da morire.
"Oh, andiamo! E poi tu e la tua prozia avete lo stesso nome, quindi..." la osservò con una malizia scherzosa, attirando la sua attenzione.
Isabel capì: "era come se sotto ci fossi tu" era la conclusione della frase.
"Robin ha ragione, ho bisogno di un sacchettino"
"Ah, secondo me invece ti è piaciuta questa" arricciò lui il naso, toccandole con un dito la guancia. Alla fine era stata una battuta, ma se fosse stato reale, beh, a lui sarebbe piaciuto da morire.

Robin li guardò e distolse lo sguardo con un sorriso furbo. Steve cambiava quanto era con Isabel, all'improvviso lo vedeva più leggero e spensierato, come se fosse tornato un dolce e innamorato bambino. Isabel lo rendeva più vivo di quando già fosse.

"Avete finito i vostri litigi matrimoniali o dobbiamo aspettare ancora un po'?" domandò poi la ragazza, facendo voltare i due.
"Non stavamo litigando"
"Già, finito. Steve diceva le bugie, ops" si coprì la bocca Isabel come se avesse detto una parolaccia e avanzò verso il bancone. In conclusione, era andata lì per essere assunta non per divertirsi con Steve — purtroppo.

"Allora, cosa devo sapere, non sapere, dire, non dire...?" chiese, rivolgendosi a Keith, che ancora la fissava rapito.
"Oh, beh... non credo che con te un colloquio così, mhm, veloce basterà. Ho bisogno di ricavare più informazioni possibili, quindi, insomma, ho bisogno di un colloquio più lungo, Isabel"
"E io non ho tempo, come la mettiamo, Keith?"
"Un appuntamento...?"
"No, no, no, non se ne parla proprio" intervenne prontamente Steve. Provava ancora moltissimo per Isabel, nonostante cercasse di nasconderlo. Certe volte — in realtà quasi sempre — era impossibile per lui reprimere i suoi istinti.
"Sto parlando con lei, bamboccione" si difese Keith, non volendo farsi soffiare anche questa ragazza dal famoso "King Steve".
"E io non verrò a nessun appuntamento con te,  Keith, sono qui per diventare una tua possibile collega, non tua moglie!"
"Saresti una moglie molto sexy..." si infilò lui una patina in bocca, squadrando la ragazza.
"Che?!" esclamarono all'unisono Steve e Isabel.
"Ascolta io-" si sporse sul bancone il ragazzo con la voce sempre più minacciosa.
"No, no, ascolta me" Isabel interruppe Steve, "ho solo bisogno di un posto di lavoro. Visto che sto già perdendo troppo tempo, verrò qui un altro giorno, ma qui. Nessun appuntamento, Keith. Ci si vede" sbuffò, allontanandosi da lì. Era in ritardo, di nuovo.
"A dopo" borbottò veloce, guardando di sfuggita sia Robin sia Steve. Così uscì fuori dall'edificio, abbastanza scocciata dopo quella buffa discussione.

"Ehi, Isabel" la chiamò la voce di Steve da dietro. Lei si voltò di scatto: ogni volta che erano soli la pervadeva uno strano imbarazzo, il desiderio che lui finalmente ricambiasse i suoi sentimenti. Un'illusione.
"Stasera... insomma, ti andrebbe? Nel senso, ti vengo a prendere e poi, sai, andiamo, ecco, sì" Steve si fece stranamente imbarazzato. Non sapeva cosa fosse: la paura di un rifiuto, quegli splendidi occhi azzurri puntati su di lui?
"Va bene" sorrise con tenerezza la ragazza, "va bene, alle sette?"
"Sei e mezza? Sei?" anticipò l'orario, le sette era troppo tardi per lui, non poteva aspettare così tanto.
"Alle sei, andata?"
"Andata"

***

Casa Byers non era mai stata tanto vuota. Isabel vagava con lo sguardo, senza che quelle stanze le sembrassero realmente svuotate. Certo, non c'era più nulla dentro, se non polvere; ma lei le vedeva piene. Piene di vita e di ricordi.
La porta, socchiusa, sbattè leggermente, sospinta da un alito di vento. Questo bastò a destarla da quel dolce torpore.
Anche a lei sembrava di lasciare casa, perché alla fine in quella quattro mura ne erano successe tante. Casa Byers era stata un rifugio per lei, un ritrovo. Era difficile accettare il fatto che presto sarebbe stata vuota, un fantasma nel mezzo di quella boscaglia.

"Oh, e qui possiamo notare un esemplare della specie degli Henderson, intendo a girare in tondo"
"Mi trovo in una specie di safari adesso?"
"Vedete, vedete, potete ascoltarlo in uno dei suoi richiami, delle sue domande"
"E qui potete notare un esemplare di Henderson intento a non rispondermi"
Dustin era entrato nella sala, stringendo tra le braccia un'altra scatola di cartone. Dietro di lui, c'erano Lucas e Max, felici e sereni.
"Quindi?" domandò lei, sistemando meglio anche lei la scatola che stringeva tra le braccia. Portare pesi non faceva per lei.
"Sì, questo è l'ultimo giro turistico in casa Byers" le rispose il fratello, guardandola.
"Si vuole unire a noi, signorina?" aggiunse Lucas, mentre Max lo squadrava con fare sospetto.
Isabel, però, si era persa nei suoi pensieri. Osservava la scatola di Dustin e, con suo grande piacere, notò che era quello che cercava. Quel pacco era destinato ad Erica e conteneva tutti oggetti legati a D&D.
"In realtà, avrei qualcosa da lasciarvi" borbottò, poggiando a terra il suo scatolone e sfilandosi dalle spalle lo zaino. Dopo aver cercato un po' all'interno di questo trovò il suo vecchio vestito da elfo, quello che aveva creato per la lontana "Campagna dell'Albero di Sambuco". Lo aveva custodito nel suo armadio egoisticamente, lasciandolo lì a prender polvere, piuttosto che darlo a qualcuno che lo avrebbe usato davvero. Egoista nostalgica.
"Per Erica" sussurrò e lo poggiò sul cartone rovinato di quella scatola.
Dustin la guardò sorpreso: sua sorella lo stava davvero facendo o un alieno aveva preso il controllo di lei?
"Sei, sei davvero sicura, Isabel?" infatti le domandò, leggermente preoccupato.
"Mai stata più sicura e sobria, niente vodka o Applejack" rise lei, notando in quel momento come quell'ultimo nome fosse anche quello di uno dei pony del cartone che Erica guardava. Coincidenze.
"Ah" si ricordò poi, "magica guida, potrebbe indicarmi dove si trova quella donzella di nome Undici?" domandò ancora lei, mentre Dustin la osservava ancora stupito. Sua sorella stava davvero crescendo.
"Di là" indicò una stanza Max, sorridendo. Ma Isabel colse qualcosa in quello sguardo, qualcosa di rotto. Forse era solo una sua espressione, ma per un momento si sentì davanti ad uno specchio. Non vedeva più Max Mayfield, ma se stessa qualche anno prima. La se stessa che imitava le emozioni, recitando una vita falsa. Poi, le avrebbe parlato. Ad inizio estate aveva chiesto un favore a Jonathan: sviluppare la buffa foto di Billy, che gli aveva scattato l'hanno prima durante il suo scherzo dello shampoo. Glielo aveva chiesto per tenere l'immagine come ricordo e per qualche risata, ma ora che Billy non c'era più, non faceva più ridere. Faceva sorridere. Per questo, aveva ritenuto che il posto migliore per fotografia non fosse tra le sue dita, ma tra quelle di Max. Quel giorno gliel'avrebbe data.
"O-oh, grazie" borbottò poi, rendendosi conto di averla fissata troppo a lungo.
Doveva vedere Undici per un semplice motivo: un regalo. Trovava assurdo che le persone si scambino le parole più dolci e i doni più sinceri solo nel momento dell'addio, quando in realtà il tempo per dire e per fare c'è stato. Ma Isabel Henderson era pur sempre una persona normale e, come tale, avrebbe fatto lo stesso.
Fare quel regalo era come regalare parte di sé. La sua voce, i suoi pensieri, i suoi ricordi. Era pronta a farlo.

***

Una luce fioca illuminava il cielo ed un vento leggero muoveva le fronde degli alberi. Uno scosciare piacevole, unito al muoversi lontano di qualche macchina sull'asfalto. Era una sera come tutte le altre, un appuntamento come tutti gli altri.
Steve restava disteso sull'erba ancora calda, non guardava il cielo e lo spettacolo di luci calde che vi si dipingeva sopra. Steve aveva gli occhi rivolti al panorama migliore che avesse mai visto in vita sua: Isabel. La tiepida luce del sole le incorniciava il viso, rendendo i suoi capelli simili a sottili fili d'oro; anche le labbra splendevano di un rosso intenso, tentatore. Non si era truccata e questo la rendeva ancora più bella.
"Ho qualcosa sul viso?" domandò poi lei, con voce leggera, melodiosa.
Steve si destò da quel sogno ad occhi aperti: forse l'aveva fissata troppo intensamente.
"No" sussurrò piano, "mi ero incantato"
"Incantato?"
"Sì" ammise di nuovo, "sei diversa" proseguì, trasportato più dall'istinto.
"Diversa in positivo o negativo?"
"Positivo. Sei ancora tu, ma sei di più, migliore. È difficile da spiegare"
"Ho sempre gli stessi vestiti, non sono truccata come sempre, ho la stessa voce... l'unica cosa diversa è che ho deciso che non andrò a quel colloquio con Keith"
"E perché? Ti avrei accompagnato con o senza il tuo permesso, sappilo. Quel tizio sembra un maniaco certe volte"
"No, no, non è per questo, Steve" proseguì lei, felice di sapere che cosa lui aveva avuto in mente di fare, "è che lavorare lì non penso sia fatto per me. Farei più danni che altro, soprattutto con tutte quella cassette in giro... sai che non sono ordinata" lo guardò, aspettando che dicesse qualcosa.
"Beh, allora hai qualche altra idea? Lavoro?"
"Mhm, forse una sì, però... in realtà è più un sogno" si fermò. Non gli avrebbe nascosto questo piccolo segreto; certamente le cose tra loro erano complicate, tutto perché nessuno dei due ancora aveva ammesso la verità. Isabel stava fraintendendo Steve, credendo che lui volesse solo dimenticare quello che era stato; mentre Steve fraintendeva Isabel: sì, all'inizio si era mostrato incerto, ma solo perché aveva paura di perderla dopo una possibile relazione con lei. Allo stesso tempo, però, la desiderava ogni minuto di più; eppure, notava in Isabel un comportamento sempre più schivo, quasi imbarazzato. Era tutta colpa della loro paura nel chiedere la verità. Perché avevano entrambi imparato dalla vita che essere sinceri fa male e temevano sarebbe stato così anche questa volta.

"Sai, ho sempre pensato che Hawkins sia un posto da vecchi. Non è una cattiveria, è solo che noi, ragazzi intendo, siamo... abbandonati, in un certo senso. Sì, possiamo andare a casa dell'amichetto, stare a scuola con il gruppo di amici, andare al cinema con lo stesso gruppo, vedersi qui. Ma solo a gruppetti... quelli in cui io, ecco, non sono mai riuscita ad entrare. Io penso che... è una cosa stupida, ma penso che sarebbe bello se ci fosse un posto, qui ad Hawkins, dove stare con i ragazzi, giocare con loro. Tutti insieme.
Sai il campo dove vado io d'estate? Lì ci vanno solo cervelloni che hanno voglia di stare con altri cervelloni, però, l'idea di base non è male. Ho conosciuto tante persone lì, ho tanti ricordi e, per certi versi, vedere persone con problemi simili ai miei mi ha aiutata. Non mi sentivo sola. È questa l'idea per la prossima estate  e poi magari anche durante l'anno si potrebbe fare qualcosa" concluse e si voltò di nuovo verso il ragazzo, ansiosa di conoscere il suo pensiero e forse anche un po' timorosa, "che ne pensi?"
"Io penso che, che sia un'idea geniale, Isabel" disse Steve con gli occhi che avevano preso a brillargli, "sul serio. Certo, sarebbe un posto con un concentrato insuperabile di marmocchi... ma direi che noi li gestiamo molto bene, tu li gestisci molto bene" le sorrise con ammirazione e amore. Era davvero una ragazza perfetta, perfetta per lui.
"Anche quando potremmo andare in ferie e non fare i genitori, ci toccherà recitare di nuovo la parte" ridacchiò lei, "però a me piace. Mi piace fare il genitore con te, fare l'uomo di casa"
"Ah, quindi io sarei la donna di casa?"
"Con il grembiule e l'aspirapolvere in mano! Puoi dirlo forte!"
"Allora, Isabel Henderson, tu sei il padre migliore che una donna come me possa avere al suo fianco" sussurrò; anche se era assurdo da dire, era tutto vero.
Il cuore di Isabel si sciolse come burro al sole, i suoi occhi per poco non traboccarono di lacrime: "E tu la madre migliore che un marito come me possa desiderare"
I loro sguardi si incrociarono, cercando di captare i loro desideri. Entrambi volevano baciarsi, ma entrambi temevano di andare contro i voleri dell'altro facendo quel passo.

"Ho, ho una cosa per te" ruppe poi quel silenzio imbarazzante Steve, tirandosi leggermente su da terra.
"Sarà sicuramente qualcosa che ho dimenticato a casa tua" disse Isabel, certa di questo.
"No, non proprio" si alzò, prendendo dal sedile posteriore dell'auto una cassetta. Era nuova, si poteva chiaramente capire dal nero lucente e dalla striscetta su cui scrivere che era ancora perfettamente bianca, "non ho avuto il tempo di impacchettarla e poi sai che-"
"Che sei una frana a fare i pacchetti? Sì, lo so questo" si tirò in piedi anche lei, andandogli incontro.
"Ecco qui, per il mio dolce maritino" le porse il regalo con una sorta di inchino.
Isabel roteò gli occhi e lo prese delicatamente tra le dita: "Non so come tu ci riesca sempre" sussurrò, mentre sulle sue labbra si delineava un sorriso sempre più grande e tinto da una felicità infantile.
"A fare cosa?"
"Questo, zuccone" sorrise lei, alzando il viso verso quello di lui e indicando se stessa.
"Allora dovrei farti la stessa domanda, zucchina" rispose Steve, indicando se stesso questa volta, "ho messo tutte le tue canzoni preferite, poi... anche un po' di quelle più sensuali, rock, piccanti, quelle che piacciono a me e, oh, anche quelle che piacciono al tuo amichetto"
"Sam?"
"Sì, quello e... e anche alcune che piacciono a..."
"A?"
"A noi, insomma, ho pensato che potrebbero servirti per quando sarai giù di morale e io sarò in una delle mie dure sessioni di lavoro, a vendere filmetti agli alligatori della zona"

"Ti amo" pensò Isabel senza però parlare ad alta voce. Se solo avesse avuto più coraggio.
Però, si slanciò verso di lui e lo abbracciò:
"Grazie" disse, affondando il viso nel suo petto che odorava leggermente di pesca.
Il sole era sempre più basso, non c'erano che loro due su quella collina. Stretti l'uno all'altra, la loro ombra era una cosa sola, loro una cosa sola. Steve e Isabel.

***

E quella era la Califorina, quella la sua nuova camera. Non era male. Agli occhi di Undici, però, lo era: non sapeva di casa, era solo vuota e anonima.
Sospirò, poggiando a terra lo scatolone che Isabel le aveva dato. Non aveva osato sbirciare e aveva atteso l'arrivo prima di aprirlo. Sembrava contenere qualcosa di importante, una di quelle cose che hanno bisogno di tempo e calma.
Con ancora il cuore pesante per tutti quegli addii, si sedette a terra. Distrattamente, iniziò a sollevare le due linguette di cartone che chiudevano la scatola. Il contenuto era pesante e anche rumoroso: erano tante, ma davvero tantissime cassette nere.
Undici si sorprese nel vederle e si fece sempre più curiosa. Cosa poteva esserci registrato dentro?
Ne afferrò una, leggendo sulla sua targhetta: "12 Marzo 1985" poi ne prese un'altra, "11 Dicembre 1984". Erano tutte così, con date diverse, nessuna in ordine, tutte sparse. Undici non capiva, ma in suo aiuto arrivò un piccolo foglio di carta. Lo raccolse e lo aprì lentamente: "So che ti potrà sembrare strano tutto ciò. Ogni cassetta raccoglie il ricordo di un giorno o di qualcosa, le ho fatte per non dimenticare. Ho voluto dartele perché ti potessi ricordare di tutti i bei momenti passati ad Hawkins anche lì, in California. L'unica cosa sgradevole, che dovrai sopportare, è la mia voce. Spero ti possa aver fatto piacere, un saluto, Isabel"
Chiuse il biglietto e sorrise: era davvero un'amica.
Poi, notò qualcos'altro: una targhetta, un piccolo adesivo da attaccare sulla mensola in cui avrebbe posato tutte le cassette. Era il titolo che Isabel aveva dato a quella raccolta: "Stranger Things - raccolta delle avventure ad Hawkins"

✾ ༻𑁍 ༻❁༺ 𑁍 ༺ ✾

Questo credo sia il capitolo più lungo che io abbia mai scritto in questa storia, ahah. Ho provato a tagliare qualche parte, ma erano tutte troppo importanti.
Fa stranissimo pensare di aver concluso anche questa terza stagione, sembra passata una vita da quando l'ho iniziata.
Presto arriverà il capitolo di saluti e poi... la quarta stagione!
Spero vi sia piaciuto questo capitolo e anche la spiegazione o, meglio, l'origine fantasiosa che ho voluto dare al titolo della serie.
Fatemi sapere, un grandissimo saluto 💕

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro