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#.13 il pedone


𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 TREDICI
" il pedone "
— 𝒂𝒄𝒕 𝒐𝒏𝒆

IN QUEL POSTO IL GIORNO forse nemmeno esisteva. Una fitta nebbia, infatti, avvolgeva il bosco come in un gelido abbraccio e così valeva anche per i ragazzi che ancora avanzavano verso casa Wheeler.

Sam e Allison procedevano al centro di quella fila non troppo ordinata. Entrambi assorti nei loro pensieri, nessuno dei due ancora aveva detto nulla. Poi, la ragazza con un gesto afferrò la mano dell'amico. Era un po' che lo osservava: sembrava giù di morale.

"Hai sempre la mano così fredda?" domandò, cercando di smorzare quella tensione.
"Non lo so" ammise lui, distrattamente.

Allison allungò una mano e batté due colpi sul petto del ragazzo.
"Ehi, che c'è?" esclamò quello, non aspettandosi quel gesto.
"Controllavo. Meglio essere sicuri"
"E di cosa?"
"Che tu non sia un fantasma, hai una faccia..."

Sam rimase in silenzio ed abbozzò un lieve sorriso. Sapeva bene che quella era una battuta, ma non era dell'umore giusto per scherzare. I pensieri gli frullavano nella testa da un po': non aveva detto nessuno delle visioni su suo padre, non volendo distrarli dalle loro ricerche. Così, per tutto quel tempo, non aveva fatto altro che crogiolarsi tra quelle immagini che, forse, nemmeno erano vere.

"Sam, ehi, che hai?" disse schiettamente Allison, non riuscendo a capire.
"Nulla"
"Oh, no" scosse la testa lei, "Ti stai isabellizzando, su, dimmi che hai?"
"Isabellizzando?" domandò lui, cercando di sviare il discorso.
"Non è questo il punto"
"Tutto ok, davvero, sono solo... sovrappensiero" ammise con un po' di esitazione.
"E per cosa?"

Rimase in silenzio: forse era arrivato il momento di aprirsi, almeno con lei. Inspirò e decise di parlare: "L'altra volta, a casa Creel, in quella visione lui... Vecna mi ha fatto vedere tutto, Allison. I miei genitori, il laboratorio, quella notte nel bosco. Tutto. Io non so se crederci, insomma, era tutto nella mia testa, ma..."
"Ma?"
"Ma era così reale"
"E perchè non dovrebbe essere vero, Sam?" domandò lei, facendosi stranamente seria, "insomma, quello che ci succede nella testa è reale, solo si trova in un posto che è tutto nostro. E' per questo che la gente a volte non ci crede, solo perché non lo può vedere. Ma esiste, esiste davvero ed è più vicino di quanto sembri" pronunciò di getto, ma sempre con un'ottima dizione, "io la penso così; se la pensassi in maniera diversa, beh, sarebbe impossibile fare spettacoli così belli"

Entrambi risero, ma quelle parole avevano colpito Sam più di quanto potesse sembrare. Allison non aveva tutti i torti.

"Solo, Allison" ammise lui, dopo qualche riflessione, "vorrei esserne certo. C'era una persona in quel sogno, un vecchio amico di mio padre, si chiamava Simon. Ero andato da lui qualche mese fa, ma nemmeno aveva aperto la porta. Lui ha una lettera, qualcosa che mio padre gli ha dato quella notte per me. Io devo sapere"

"Ehi, ehi" disse, poi, Allison. Ricordava bene quel signore, quel pazzo che aveva sparato contro lei e Isabel, procurandole la sua ferita alla gamba. Trattenne ogni parolaccia e cercò di dire qualcosa di utile per l'amico; non voleva ferirlo, ma sarebbe stato difficile ottenere qualcosa da quel tizio, "non ti preoccupare. Usciti da qui andremo da lui e avremo quella lettera. Il team granmisfatto non può fallire, dico bene?"

Lui sorrise: era bello sapere di poter contare su qualcuno, su degli amici. Non era solo, anche se la vita spesso aveva cercato di farglielo credere. Si voltò indietro: Isabel camminava ancora da sola. Chissà se avrebbero mai chiarito? Chissà cosa le frullava nella testa?

"Non penso Isabel verrà" ammise successivamente, riportando lo sguardo sull'altra amica.
"Ah no?"
"No... prima-"
"Avete litigato? Andiamo, Sam, pensi davvero che una piccola litigata rovini la vostra amicizia? Dovresti vedere me e Eddie nei momenti migliori" rise leggermente a quel pensiero.
"Lo spero" sospirò leggermente il ragazzo, "ecco, io credevo le servisse parlare, l'ho vista così giù. Ma... ho rovinato tutto"
"Sam, ascoltami" si fece di nuovo seria Allison – era incredibile come riuscisse a cambiare stato d'animo così rapidamente – "non hai rovinato un bel niente! Lasciale un po' di tempo e vedrai che farà la mossa giusta. Dovremmo essere a buon punto con il piano" si voltò a guardare Eddie, intento a parlare con Steve. Ormai era un po' di tempo che andava avanti quella missione volta a far sì che Isabel e Steve – finalmente –  arrivassero a qualcosa di concreto. 

"Che piano?" chiese Sam, ignaro di tutto ciò.
"Shhh, tu non hai sentito nulla, intesi?"
"Mi devo preoccupare?"
"Assolutamente no!" mentì Allison, in effetti, iniziava a non essere poi più così sicura che tutto sarebbe filato liscio, "tu pensa solo a stare bene, Sam" ammise, facendosi più seria, "vedrai che si sistemerà tutto. Insomma, io non so nulla di questa storia, di questi mostri e cose varie. Mi ha sempre raccontato tutto Isabel e secondo te ci credevo? Certo che no! So che è pericoloso e, cavolo, se ho paura. Così ho indossato il mio costume migliore e ora recito la mia parte, come sempre. Fingo, niente di più facile. Ma la verità è che se non ho paura davvero, non è perché sono un'attrice ed è tutta una finzione. La verità è che non ho paura perché so che qui ci siete voi. Tu, Eddie, Isabel.  Non potrei essere più al sicuro in un posto del genere" disse di getto, senza rendersi conto di aver parlato senza indossare alcuna maschera— come invece era abituata a fare — "E nemmeno tu sei solo, Sam. Vedrai che si aggiusterà tutto"

Sam non proferì parola: Allison ci sapeva proprio fare con i discorsi. 
"Grazie" borbottò poi.
Lei sorrise ed involontariamente strinse di più la sua mano. Forse era solo una sua impressione, ma lo vedeva più tranquillo e un po' meno fantasma.

Improvvisamente la voce di Isabel si fece sentire sopra le altre: "Ragazzi" disse con un leggero timore, "dobbiamo andare e in fretta" aggiunse, guardando fisso verso il gruppo di ragazzi, appena voltatosi verso di lei.

"Che succede?" domandò prontamente Nancy, corrugando la fronte.

"Ho sentito qualcosa" ammise l'altra ragazza, puntando la sua torcia verso la boscaglia, "dobbiamo sbrigarci" aggiunse. Non aveva un bel presentimento e a confermarlo era il dolore più intenso alla gamba e al braccio.

"Allora? Che aspettiamo? L'avete sentita, muoviamoci!" non perse tempo Eddie. Se davvero aveva sentito qualcosa, lui voleva solo filarsela a gambe levate.

"Ne sei sicura, Isabel?" domandò ancora Nancy. Magari era solo la tensione a giocarle brutti scherzi. Isabel non era poi così coraggiosa, almeno così credeva.

L'altra ragazza, però, non rispose, concentrata su quella fitta macchia di alberi. La sua pelle d'oca accarezzava l'aria pronta a cogliere anche il più lieve rumore.

"Isabel" le si avvicinò Steve, poggiandole una mano sulla spalla, "ne sei sicura?" chiese lui con meno dubbi.

Lei portò lo sguardo su di lui: "Sì" disse convinta, "ne sono sicura"

"Bene! Ora che avete la conferma, muoviamo il culo, grazie" riprese Eddie, iniziando già ad avanzare per la tensione.

Nancy e gli altri non se lo fecero ripetere un'altra volta e proseguirono a passo svelto. Anche Isabel si adattò presto a quell'andatura, nonostante il dolore crescente.

Una serie di versi sinistri si diffusero intorno a loro. Qualsiasi creatura fosse, non era sola.

"Più veloci!" esclamò Nancy, accelerando il passo.

Nessuno esitò, mentre quel presentimento si faceva sempre più reale.

Anche le tempie di Sam non facevano che mandargli brutti segnali. Un forte mal di testa aveva iniziato a pulsare ininterrottamente. Che cosa voleva ora?

Non c'era tempo per lamentarsi e continuò a muovere passi avanti. La vista si fece offuscata dal dolore e, senza accorgersene, cadde a terra.

"B... basta" sussurrò con fatica, prima che la vista si spegnesse del tutto, lasciando solo un intenso nero.

Dopo un tempo indefinito, riuscì a riaprire gli occhi. Lentamente, prese coscienza dell'ambiente intorno: quello non era il Sottosopra. Si trovava sotto un portico, sdraiato a terra proprio come quando aveva perso i sensi. La notte dipingeva il paesaggio di nero, mentre dalle finestra di quella casa una luce calda unita a voci di festa e di bambini avvolgeva tutto quel freddo invernale in un abbraccio.

Sam si alzò da terra, ancora stordito e si avvicinò alla porta principale. Doveva essere Natale a giudicare dalla ghirlanda appesa sull'anta. Poi, aguzzò la vista verso il campanello: Harrington, lesse.

Non capiva, ma appena la porta si aprì tutto si fece più chiaro. Isabel, avvolta nella sua vecchia sciarpa rossa, uscì dalla casa con in mano un vassoio ricoperto di alluminio. La guardò in viso: non era più così giovane e qualche ruga già le solcava il viso. Doveva essere il futuro — in qualche modo.

La ragazza fu a sua volta sotto il portico e con un sorriso tirato si voltò verso la porta.

"Allora ci vediamo domani, vengo a prenderli per le otto e mezza?"
"Sarebbe perfetto!" esclamò la voce di Nancy. Sam mise a fuoco anche lei: poggiata all'anta semiaperta, teneva una mano poggiata su una pancia fin troppo gonfia. Era incinta.

"Insomma penso che per le undici dovremmo aver finito. Le ultime volte, il medico è stato abbastanza veloce" proseguì ancora.

"Non preoccuparti" rispose Isabel, sempre con quel sorriso fin troppo finto, "a dom-"

Non fece in tempo a finire la frase che Steve comparve alle spalle di Nancy, poggiando una mano dietro alla schiena di questa.

"Dove pensi di andare senza salutare?" cercò di scherzare lui. Sam non ci mise molto a capire tutto: Nancy e Steve dovevano essere sposati, viste le loro fedi al dito. Isabel, invece, non aveva nessun anello.

La ragazza finse un altro sorriso, tanto gelido quanto la neve tutt'intorno.

"Buon Natale, ragazzi" pronunciò, stringendosi leggermente nelle spalle per il freddo.

"Buon Natale" rispose Nancy, mentre Steve rimase in silenzio, forse chiedendosi che cosa li avesse portarti ad essere così distanti. Sembravano respingersi a vicenda, l'uno nel polo opposto rispetto all'altro. Una soluzione necessaria, dove per non soffrire non restava che ignorarsi, fingere, mentire a se stessi.

La porta si chiuse e Isabel potè finalmente scacciare quel finto sorriso dal suo viso. Fece qualche passo, scese le scale e fu fuori dal porticato. La neve cadeva leggera, poggiandosi delicata sui suoi capelli raccolti. Sam seguì il suo sguardo amaro quando quello si voltò verso la casa. Poi, lei chiuse gli occhi, alzandoli verso il cielo.

"Buon Natale" sussurrò piano, mentre un lacrima gelida cadde sulle sue guance.

Sam non riusciva vederla così. Si slanciò verso di lei e l'abbracciò. Cos'era successo in tutto quel tempo? Dov'erano lui, Allison?

Lei non lo sentì: Sam Wilkinson era solo un fantasma.

All'improvviso, tutto iniziò a svanire, come fumo spazzato via da una folata di vento. Si trovò catapultato in un nuovo scenario. Un sole tenue filtrava dalle folte chiome di alcuni cipressi. Non impiegò molto a capire dove si trovasse: il cimitero di Hawkins. Fece vagare veloce lo sguardo, ma fu tutto più chiaro quando udì dei singhiozzi. Seguì quel rumore e, poco lontano, si presentò la sagoma di una ragazza inginocchiata davanti a una lapide.

Si avvicinò rapidamente e subito riconobbe Allison. Con gli occhi scavati da due nere occhiaie, stringeva forte le dita contro la pietra fredda: Edward Munson, questo era il nome inciso.

"No" borbottò Sam, cadendo in ginocchio al fianco dell'amica. Senza pensare, l'abbracciò stringendola forte, ma anche lì era solo un fantasma.

Le lacrime iniziarono a solcare il suo viso, ma subito le asciugò. Si alzò da terra, rivolgendo lo sguardo intorno a sé.

"Cos'ha vuoi? Cosa vuoi da me?" esclamò, stringendo pugni e denti. Ne aveva abbastanza di tutte quelle illusioni. "Fatti vedere" gridò più forte.

"Come desideri" risuonò una voce bassa e viscida, facendo vibrare ogni cosa. Un'altra folata spazzò via tutto e Sam si ritrovò in un posto più familiare dei precedenti: il suo garage.

La serranda era tirata giù e l'unica luce proveniva da una piccola finestrella sul lato destro. Era assurdo come Vecna l'avesse intrappolato dove lui si era sempre sentito al sicuro.

"Finalmente ci vediamo, Sam" ruppe il silenzio una voce più umana.

Lui si voltò, trovandosi di fronte quello che, all'apparenza, era un ragazzo normale. Indossava pantaloni e camicia bianchi, mentre un mucchio di riccioli biondi gli incorniciavano il viso. Non un mostro, non il diavolo, ma un bellissimo angelo.

"Sorpreso?" fece un passo verso di lui, scorgendo poi la sua immagine su un piccolo specchio, "in effetti meglio di quanto pensassi" affermò, distraendosi.

"Che vuoi?" ringhiò Sam, già stufo di tutte quelle perdite di tempo.

"Sai, mi stai simpatico, Sam" ammise lui, accarezzando con le dita alcuni dei vinili del ragazzo, "proprio come tuo padre. Un uomo gentile, davvero"

"Non parlare di lui!" quasi sputò dalla rabbia.

"Non posso? Eppure" si voltò verso quello, "mi sembra di conoscerlo bene, meglio di te. Altrimenti dove pensi che abbia preso tutte quelle informazioni?"

Sam rimase in silenzio: che voleva dire? Come faceva a conoscere suo padre?

"James Wilkinson, tuo padre lavorava al laboratorio e io vivevo al laboratorio. Visita il martedì, test il venerdì. Era questo che faceva. Mi divertivo a frugare nella sua testa, c'era tanto amore. Patetico" pronunciò con disprezzo, girovagando nel disordine del garage ed avvicinandosi a Sam, "Ma vedevo anche tutto il suo pentimento, ogni volta che ci guardava. Poi, non l'abbiamo più visto. Così ho iniziato a frugare nella mente di altri. Ho scoperto la verità: l'avevano ucciso. Illuso, proprio come te" rivolse il suo sguardo verso il ragazzo, "amore, famiglia, amicizia, nobili ideali. Solo stupide invenzioni per rendere la medicina della vita meno amara. Tutto per non riconoscere che è solo un fuga dalla morte. Un ritardare quel momento" continuò, arrivando a qualche passo da Sam, "Ma non vivrai abbastanza per capirlo, Sam. La tua corsa finisce  qui"

Il ragazzo rabbrividì, ma rimase composto: "Vuoi uccidermi" affermò.

"Io non voglio, devo. Filo dopo filo ho costruito questa ragnatela e la tua morte è il prossimo passo. Vedi, Sam, la solitudine, al contrario di come pensi, non è un male. Ho passato tutti questi anni a pensare, pianificare tutto. Così, sono arrivato alla conclusione che mi servisse un soldato, un servo. Anni fa" si fermò, come se qualcosa lo disturbasse, "ho fatto un tentativo, ma... ho capito che avrei dovuto scegliere un debole. Uno della vostra specie da forgiare a mio piacimento. Avevo scelto te, ma eri fragile, troppo. Mi sono permesso di scavare un po' tra i tuoi ricordi e sono arrivato a lei: Isabel Henderson"

"Brutto figlio di-"

"Ah, ah" con un gesto della mano, chiuse la bocca al ragazzo, "è troppo tardi, Sam. Mi sono connesso a te, ti ho indebolito mostrandoti il tuo passato. La tua amica ha iniziato a preoccuparsi per te, la sua barriera si è sgretolata e sono entrato nella sua mente. Eppure non era abbastanza. La sua testa era più forte di quanto avevo immaginato" iniziò a girare attorno al ragazzo con una spaventosa calma, "Ma avevo scelto lei e lei avrei preso. Ho continuato a logorarti, per logorare lei e connettermi sempre di più. E ora è il momento. Farò cadere tutte le sue difese grazie a te. Grazie alla tua fine" sussurrò, accarezzandogli il viso.

Sam cercò di aprire la bocca, ma era impossibile. Vagò con lo sguardo per la stanza: scaffali di vinili avvolgevano le pareti, i cavi nascondevano il pavimento e la sua chitarra con un piccola radiolina erano poggiate alle sue spalle. Dove si trovavano davvero? Nella sua testa. Di chi era la testa? Sua. Era sua, era lui il padrone e lui avrebbe deciso le regole del gioco. Chiuse gli occhi e iniziò a canticchiare tra i suoi pensieri, sempre più forte e più distintamente.

Vecna emise un verso gutturale e la presa invisibile sulle sue labbra si ruppe.

"No" esclamò Sam, riprendendo fiato, "ti sbagli" iniziò a dire con coraggio, "tu non sai niente e non l'avrai mai, bastardo!"

"Bastardo? Ti credevo più educato, Sam" esclamò, massaggiandosi un polso. Il ragazzo ne approfitto e corse indietro, verso la sua chitarra. Avrebbe spaccato i timpani a quel figlio di puttana, l'avrebbe rimandato nell'inferno da cui era venuto.

"Non così in fretta" disse Vecna che, accompagnato da una folata di vento, lo sorprese alle spalle. Lo fece voltare, portano stretta una mano al suo collo e schiacciando l'esile corpo del ragazzo alla parete.

Sam portò istintivamente le mani al collo, cercando di allentare quella presa mortale, sentendo l'aria e la vita abbandonare il suo corpo.

"Mai giocato a scacchi, Sam?" esclamò l'altro, godendo con un leggero sorriso nel vederlo così debole, "A volte il pedone deve sacrificarsi per lasciare spazio alla regina, tutto per proteggere il re. Solo così si può vincere la partita. Piani"

"L-lasciami" cercò di dire con la poca voce ancora rimasta.

Vecna aumentò la stretta: "Le tue ultime parole, Sam?"

Con le poche forze rimase, il ragazzo allungò una mano. Un gesto rapido ed accese la radio, poggiata sul mobile a fianco. "The Final Countdown" iniziò a risuonare nel garage. Vecna lasciò la presa, indietreggiando, stordito da quelle note.

Sam cadde in ginocchio, riprendendo aria per qualche secondo. Nel frattempo, la saracinesca iniziò ad alzarsi, rivelando l'immagine del Sottosopra. Isabel e Allison erano accovacciate sul suo corpo sdraiato a terra, privo di sensi e così anche tutti i ragazzi gli stavano attorno. Alle sue orecchie avevano messo le cuffie del walkman con la canzone che ora sentiva lì, in quel garage.

Si alzò in fretta e barcollando per la fatica si diresse verso l'uscita. Arrivò lì davanti: un passo e sarebbe stato libero.

Libero? Davvero? Vecna sarebbe sicuramente tornato e, costi quel che costi, avrebbe concluso il suo piano, avrebbe preso Isabel.

Sì, aveva ragione: Sam Wilkinson era sempre stato un pedone. La prima difesa per i suoi amici, una pedina sacrificabile. Ma ora era arrivato alla fine della scacchiera e questo voleva dire solo una cosa: sarebbe diventato ciò che voleva come negli scacchi. Così, scelse di essere un alfiere, di combattere per i suoi amici e tentare il suo scacco matto.

Rapido, si voltò e corse indietro. Afferrò la sua chitarra e, con un colpo deciso, si abbattè su Vecna, facendolo crollare a terra.

Con quell'arma ancora in mano lo guardò rannicchiato ai suoi: "Le mie ultime parole? Non ci avrai mai, brutto figlio di puttana" esclamò, colpendolo con ancora più forza.

Tirò fuori tutto il suo coraggio, che mai avrebbe creduto di  avere. Poteva ucciderlo, sì, poteva. Sapeva che quello era il solo modo per salvare Isabel e i suoi amici, per salvare l'unica famiglia che gli era rimasta. E avrebbe tentato.



𝒂𝒖𝒕𝒉𝒐𝒓'𝒔 𝒏𝒐𝒕𝒆 . . .
ciao a tutti,
con questo capitolo si conclude il primo atto della storia!
spero vi stia piacendo e, come sempre, sarei felicissima se riusciste a lasciarmi qualche opinione sia su questo capitolo sia su tutto questo primo atto.
presto arriverà l'introduzione alla seconda parte ed i nuovi capitoli.
un bacione 💕

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