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1.7 "Operazione padron Frodo"

Isabel lo sapeva: li avevano appena scoperti. La porta per l'uscita era davanti a loro, una spinta e sarebbero stati liberi. Peccato, però, che era chiusa a chiave, come ogni cosa in quel dannato posto.
"Isabel, che-"
"Lasciami fare" rispose prontamente, guardandosi intorno in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa per fermare quell'avanzata. Cinque ragazzini contro un'armata di russi in un covo segreto con una macchina nucleare per aprire portali interdimensioli. Era davvero difficile da credere, ma era la verità in quel momento.
Aprì lo zaino, cercando di non pensare alle mani che le tremavano.
"Isabel, Dio!" esclamò Steve, raggiungendola immediatamente e facendo per fermare quell'operazione, "che stai-"
"Steve, silenzio!" gridò lei, rovistando nello zaino e afferrando quello di cui aveva bisogno.
"Oh, di questa me ne ricorderò..." disse lui, cercando di capire cosa volesse fare, "correte voi, cazzo!" si girò verso gli altri ragazzi che si erano fermati. Lui sarebbe rimasto con Isabel, anche se quello che stava facendo era pura pazzia, non l'avrebbe mai abbandonata.
"Trovato!" esclamò la ragazza con un entusiasmo folle, come se stesse scartando dei regali di compleanno, "no, scherzavo"
"Stai scherzando, Isabel! Dobbiamo andare, adesso!"
"Steve, non adesso, non adesso" disse, continuando a tirare fuor roba.
"Gesù" il ragazzo si passò le mani sul viso, esasperato da quella situazione. Non solo doveva fare da babysitter, ma doveva pure seguire piani da "scienziato pazzo". Ma in realtà era proprio per quello che amava Isabel: non aveva nessun potere, forza fisica, nulla di nulla; solo tante celluline grigie in grado di sopportare e ragionare al momento giusto.
"Prendi qualcosa, tutto"
"C'è un po' di differenza..."
"Steve, predi e basta!"
Isabel era nel panico più totale, ma cercava di tirarsene fuori con tutta se stessa. Odiava deludere e deludersi, ma ciò che ancora di più le dava la forza per ragionare era pensare agli altri. Era strano, ma già in passato lo aveva provato.
Annaspò con le mani nel suo zaino, mentre Steve afferrava tra le dita altre cose, non capendo e sicuro che presto non avrebbe più potuto far nulla per salvarli.
"Sì, sì, sì!", Isabel tirò fuori velocemente una lunga provetta verde, che aveva preso poco prima.
"Ma quella quan-"
"Nessuna domanda" esclamò lei, avvicinandosi alla porta, combattendo contro le sue mani tremanti. Si mise di lato e chiuse gli occhi; con un dondolio quasi dolce, l'oggetto si infranse sulla serratura della porta, rompendosi. Il liquido verde scivolò giù, dentro le viscere di quell'oggetto, infrangendo la serratura. La porta era aperta.
"Dio non sa quanto ti amo, Isabel!" esclamò Steve, non appena notò quello che aveva fatto la ragazza. Non era riuscito a trattenersi, ma non c'era tempo per i commenti.
Robin spinse la porta e tutti la seguirono, entrando nella stanza. I russi, però, erano vicini, solo a pochi passi. Si fiondarono sulla porta, ammassandosi per aprirla. Isabel, Steve e Robin si attaccarono all'anta, cercando di resistere oltre le loro forze.
"Andate, cazzo! Andate" esclamò Steve, notando che Erica e Dustin stavano esitando, sul ciglio della grata che li avrebbe portati alla salvezza.
"Ma voi? Isabel?" borbottò Dustin, cercando un piano B per uscire da quello schifo.
"Dusty, non c'è un piano B" sembrò avergli letto nella mente la sorella, "va', adesso" strinse gli occhi per la fatica.
"No, no, no, vai anche tu, Isabel, vai anche tu" rispose di getto Steve, "vai anche tu, è chiaro?!"
Isabel sbuffò e non lo ascoltò, non se ne sarebbe andata nemmeno con una pistola puntata alla tempia.
"Isabel, mi hai sentito!? Vai!" se solo avesse potuto, Steve l'avrebbe presa di forza e spinta insieme agli altri.
"Ho..." cercò di resistere lei, ma le spinte dall'altra parte erano più forti, "ho detto... insieme"
Ed insieme fu. Tutti e tre caddero all'unisono sul pavimento, la porta sbattè con un tonfo di paura, lo scricchiolio si palesò davanti a loro. Erano stati presi.
Quasi d'istinto, Isabel si voltò indietro e si sollevò, notando che Dustin era fuori pericolo. Quasi d'istinto, Steve prese la sua mano, lei quella del ragazzo e non se ne accorsero, fino a quando Isabel non fu fatta alzare.
"Che cazzo volte farle?!" gridò Robin verso quelle persone, che subito puntarono un fucile verso di lei.
Steve fece per alzarsi, per correre da lei, ma fu spinto indietro.
Due uomini le sfilarono lo zaino dalle spalle, mentre altri le stringevano le spalle. La ragazza non si mosse, sarebbe stato solo un passo falso tentare di opporre resistenza.
Ogni cosa ricadde a terra: registratori, fogli di ogni genere, una cassetta, libri. Una cosa, però, sembrò attirare l'attenzione di quei soldati: era un articolo, una delle sue tante ricerche, che portava sempre con sé, riguardava il laboratorio, riguardava il Sottosopra.
Improvvisamente fu chiaro: quella americana sapeva qualcosa riguardo a ciò che loro stavano studiando. Una spia, forse? Una scienziata?
Si scambiarono alcune parole nella loro lingua, per Isabel incomprensibili. Qualche sguardo d'intesa e si mossero, si mossero con la ragazza, solo con lei. Raccolsero lo zaino e Steve si allungò verso quello, liberandosi e infilando una mano nella tasca e tirando fuori qualcosa. Poi, fu preso un'altra volta.
"No, no, no, ehi, dove va'?" cercò di liberarsi Steve, "dove la state portando, ehi, ehi, DOVE CAZZO STA ANDANDO?! ISABEL!"
"Steve" si sentì poi riecheggiare lontano, "STEVE!" si percepì come un eco straziante.
Quei nomi straziarono l'aria ripetutamente, non riuscivano a gridare, a pregare altro.

***

Isabel si guardò intorno, più precisamente tentò di farlo. La sua vista era offuscata da una patina leggera di sudore, sentiva la memoria e i pensieri cigolare nella sua testa. Mise a fuoco il luogo in cui si trovava: una stanza angusta, grigia, illuminata da forti luci. Il suo tatto si risvegliò, capendo di essere legata ad una sedia. Cercò di liberarsi con un piccolo strattone, ma già sapeva quale sarebbe stato l'esito.
Sentì qualcuno bofonchiare qualcosa; all'improvviso nella sua mente la attraverso un fulmine di dolore e di ricordi: quella era la base russa, quelli i comunisti e...
"Steve!" fu la prima cosa che fuoriuscì dalle sue labbra, dopo una dozzina di minuti di incoscienza.
"Il tuo amichetto non è qui, Judy" disse uno di quegli uomini, prendendo il faccino di Isabel tra le sue dita.
Lei si mosse, cercando di liberarsi da quella mano sudicia, ignorando il motivo di quel soprannome: "Che cosa gli state facendo? Dov'è? Cosa volete da lui? Ditemelo!"
"Ehi, Judy, una domanda alla volta... il tuo amichetto sta bene, ti sta..." guardò i suoi compagni, con una risata divertita, "ti sta pensando molto, chiede di te anche lui. Sembra, mhm, come lo chiamate? Un disco rotto"
"Sta bene?"
"Bene? Diciamo che si divertirà, molto presto lo aiuteremo a divertirsi"
"Cosa gli volete fare?" la voce di Isabel si faceva sempre più incalzante, veloce, impaziente.
"Finito tempo delle domande, Judy cara, ora passiamo noi alle domande..."
"No, no, voglio sapere, ditemi, ditemi dov'è? Cosa volete fargli? Io lo-"
Il suo viso si rivoltò dall'altra parte, colpito dritto su una guancia.
"Non vorrai farci arrabbiare, Judy, e rovinare il tuo bel faccino?" ridacchiò sempre quell'uomo dalla bassa statura, che sembrava dirigere le operazioni.
"Ditemi cosa volte fargli" si voltò verso di loro Isabel, ferma e sicura di quello che stava dicendo, "non parlerò, mai, fino a quando non lo saprò. Ho bisogno di saperlo, poi risponderò a tutto, lo giuro, a qualsiasi cosa e sarà tutta la verità"
Tutti la guardarono, mostrandosi seri per qualche attimo; ma uno scoppiò in una sonora risata e tutti lo seguirono.
"Spiritosa! Judy, sei uno spasso! Ma no"
"Cosa no?"
"No" ripetè l'uomo serio, con uno sguardo penetrante; non le avrebbero detto nulla sui suoi amici americani. Quella ragazzina spia prima avrebbe dovuto sputare il rospo su tutto quello che sapeva, a qualsiasi costo.
"Non parlerò!" esclamò Isabel, capendo quello che stava succedendo ed iniziando a collegare ciò che avevano trovato nel suo zaino a quella situazione. Loro avevano visto i fogli del laboratorio, quindi, credevano che lei sapesse qualcosa. Non disse nulla, non si difese.
Si susseguirono una serie di parole in russo: uscita da lì la ragazza giurò a se stessa che l'avrebbe imparato, per non sentirsi tanto fuori posto come in quel momento. Perché sarebbe uscita di lì, vero?
Presero la sua gamba, quella ferita; la distesero su uno sgabello in metallo e la legarono. Isabel cercava di capire, ma tutto fu più chiaro quando in aria sollevarono un piccolo sacchetto con una polverina bianca: sale.
"No, no" iniziò a borbottare sottovoce, cercando di muoversi, "no, no, no, no!"
"Ti vogliamo sentir cantare come un uccellino, cara Judy Garland"

Un urlo straziante inondò la stanza, Steve era appena stato punto, qualche stanza più in là. Aveva gridato tanto prima, chiamando Isabel, pregando di avere qualche informazione; ma aveva ottenuto solo uno stupido soprannome, Judy, e risate. Non aveva mai avuto tanta paura in vita sua, perché sentiva nelle viscere che qualcosa le stava accadendo e lui non era lì. Cazzo, aveva pensato molte volte; si era promesso di esserci e non c'era stato e ora non c'era di nuovo. Amava Isabel? L'unica sua risposta era "bella domanda", scherzosa come al solito. Teneva a Isabel? Qui non avrebbe nascosto nulla e avrebbe gridato mille sì. Ma era amore, era amicizia, era un bisogno morboso? Sapeva cos'era, ma ammetterlo era come sentire una nota nuova nella canzone della sua vita, era pronto ad ascoltarla?
La droga non fece subito effetto, tanto che ancora percepì le grida di Robin. Aveva parlato anche con lei, non solo con i russi e cosa aveva ottenuto? Beh, aveva confermato la teoria dello "Steve idiota", quello che anni prima aveva abbandonato dentro a un pezzo di carta.
Improvvisamente percepì un dolore lancinante alla testa e l'immagine di lui in macchina con un maglione rosso lo accecò come un raggio di sole.
"Ecco, sai, tu sai che, beh, significa molto per me e io, io ho pensato che potrebbe esserti utile..."
"Isabel!" chiamò ad alta voce, sentendo la sua voce nella sua testa, ma senza vederla.
"Sì, di restare dentro e bla-bla-bla... eri in pericolo, Steve"
La percepì di nuovo e riaprì gli occhi, cercandola con lo sguardo; ma non era lì, solo nella sua testa, nascosta dietro a qualche ricordo. Prima di chiudere di nuovo le palpebre, una lacrima silenziosa si abbandonò sulla sue guance.

Qualche stanza più in là, un grido soffocato annegò nell'aria, Isabel stava annegando. Per farla parlare, le avevano steso sul viso un telo ed ora alcune guardie continuavano a versarvici sopra acqua fredda. La gamba le bruciava da morire e, nonostante avesse detto tutto quello che sapeva, non era abbastanza.
Sentiva il respiro abbandonarla, la vita scorrerle via dalle vene. Non aveva voce per gridare e, se l'avesse fatto, altra acqua le sarebbe entrata nella bocca. Sarebbe morta nel silenzio di una stanza grigia, circondata da stranieri; lei, che tanto aveva sperato certe volte di morire, ora, non voleva lasciare quella terra, non voleva lasciare la sua famiglia, la persona che amava, i suoi amici, i giochi, le persone che odiava, le critiche e gli insulti. Voleva vivere.
L'acqua scivolò precipitosa sul suo viso e Isabel immaginò di essere al mare, non ci era mai stata; immaginò che quella fosse un'onda, che il cielo fosse tinto di rosso e che lei fosse sdraiata sulla sabbia calda.
Come una vera onda, il flusso iniziò a scemare, interrompendosi. La ragazza tossì, mentre l'aria le gonfiava i polmoni.
"Allora Judy, siamo disposti a parlare?" fu la prima cosa che percepì, mentre pensava solo a non voler più toccare nemmeno una bacinella d'acqua. La temeva, non avrebbe mai dimenticato quello che era successo.
"Io..." si fermò, tossendo: questa volta non sarebbe andata alla cieca; "io... io vi racconterò tutto, ogni cosa, ma"
"Ma?"
"Ho bisogno di un foglio e una penna... nera, grazie, blu è poco formale"
Avrebbe giocato il loro gioco, avrebbe giocato sporco.

***

"And everything I had to know
I heard it on my radio"

"Tocca a te adesso, Judy"
Isabel era seduta ad un piccolo tavolo in metallo, sola in quella stanza con quell'uomo. L'aveva accontentata ed ora aveva le mani slegate, una penna ed un foglio bianco davanti al viso. Si sarebbe inventata qualcosa, bastava un po' di fantasia.
"Sì" esclamò sicura, per non destare ulteriori sospetti, "questa è Hawkins" fece un grande cerchio, cercando di ragionare. Poi, si fermò: la guardia davanti alla porta se n'era andata, constatò, avendo sentito dei passi che si allontanavano. Tese l'orecchio e percepì una melodia: la conosceva e l'aveva sentita tante volte negli ultimi mesi.
"Ehi!" sbattè una mano sul tavolo il russo, facendo rimbalzare lo zaino e tutta la roba all'interno. Isabel scosse la testa: forse era solo un altro stupido ricordo.
"Vai avanti, Judy" esclamò freddo lui, sedendosi di nuovo sulla sua sedia e abbandonandosi su di essa.
"La prima porta era... era qui" fece un puntino sul Laboratorio di Hawkins, "mentre questa è qu-"
Qualcuno bussò alla porta, senza però fare troppo rumore. L'uomo borbottò qualcosa in russo e sbuffò, forse stufo di essere interrotto. Alzandosi, andò ad aprire, voltando le spalle alla ragazza.
Per un attimo il silenzio riempì quel posto, poi gli occhi di Isabel parlarono da soli.
Lui? Che ci faceva lì? E se... no, no, non poteva essere. Iniziò a pensare, mentre guardava quella troppo familiare guardia russa. Sam Wilikison era lì sotto, con addosso una larga tuta verde, proprio come il resto dei comunisti. Non la guardò, restando ritto davanti all'uomo, che sembrava essere un suo superiore.
Isabel lo aveva sempre trovato strano come ragazzo, ma non credeva fino a quel punto, fino a scoprire che lavorava in quel posto. Se ora anche gli amici si rivelavano essere nemici, allora, era davvero finita.
La musica giunse di nuovo alle sue orecchie: "You've yet to have your finest hour
Radio
All we hear is Radio ga ga"
Era Radio Ga Ga dei Queen ed era strano che arrivasse proprio quando Sam si era presentato alla porta. Coincidenze?
Lo guardò, ma non riuscì a percepire nulla dal suo sguardo; poi, all'improvviso si svegliò.
"Ragazzo" disse l'uomo in russo, perplesso da quella visita silenziosa, "ragazzo, mi stai ascoltando!" continuò a borbottare nella sua lingua.
Un luccichio si percepì negli occhi di Sam, che non aveva bisogno di traduzione. Il comandante si voltò: Isabel non era più seduta e anche la sedia era sparita. Cosa stava succedendo? La cercò con lo sguardo, ma appena capì quello che era successo, era troppo tardi.
La ragazza stringeva tra le dita la seggiola, tenendola sollevata. Guardò l'uomo dritto negli occhi: "Era elementare, Watson" esclamò. Lo colpì, prima che quello potesse anche solo reagire. Quello cadde a terra e lei rimase ferma, sorpresa di quello che aveva appena fatto.
Ma era ancora legata ai piedi e, per questo, dopo quel colpo, cadde a terra.
"Cazzo" borbottò, stringendo i denti per il dolore alla gamba.
Sam era rimasto a guardare la scena e subito dopo aveva chiuso la porta, sbarrandola, per evitare che si sentisse troppo rumore.
"Watson? Davvero?" disse, abbassandosi vicino a lei per darle una mano a rialzarsi.
Isabel lo guardò: "Mi chiamavano Judy, e non ho i capelli neri... se lo meritava" si tirò leggermente su, "perché sei qui?"
"Dobbiamo andare, la musica non durerà ancora per molto" cercò di darle una mano ad alzarsi, ma Isabel si liberò dalla sua presa.
"Perché sei qui?" domandò un'altra volta, "e... e come hai fatto ad arrivare?"
Sam non ascoltò, troppo preso dall'ansia di dover andar via da lì. Il suo sguardo cadde sullo zaino e in particolare sui vari fogli: per fortuna erano ancora lì.
Isabel si aggrappò al tavolo e cercò di tirarsi su, seguendo lo sguardo del ragazzo.
"Dobbiamo andare" ripetè lui, voltandosi poi verso di lei.
"Ok che sono brava a saltellare, ma... questo è eccessivo" indicò con gli occhi le sue gambe legate e in particolare quella rossa ferita pulsante.
Il ragazzo non disse nulla e si avvicinò alla borsa, rovistando e sperando di trovare qualcosa per tagliare le corde: "Forbici ne hai?" domandò veloce.
"No, non hanno nemmeno lasciato nulla di affilato qui... il loro uccellino poteva farsi la bua con oggetti del genere in giro"
Sam continuò a stare in silenzio e a muoversi velocemente: "Questo come lo chiami?"
"Come diavolo?! I russi sono davvero stupidi allora" ridacchiò Isabel al settimo cielo, guardando l'accendino luccicare nella mano del ragazzo. Era sicura di non averlo portato, anche perché non ne aveva più uno.
"No, mi sa che tu non sei stata stupida" rise Sam dalla felicità, accovacciandosi ed iniziando a bruciare le corde lentamente.
"No, no, no" iniziò a borbottare Isabel, sempre più al settimo cielo. Avrebbe riconosciuto quell'accendino tra un milione e non era suo, "STEVE!" esclamò, all'improvviso e le corde si spezzarono.
"Sta bene, lo hanno portato in salvo" si tirò su da terra Sam, mentre i suoi riccioli neri ricadevano all'indietro, "tuo fratello, sì, credo sia stato lui a portarlo via"
Isabel emise un sospiro e si alzò sulle sue gambe: "Ah!" esclamò a bassa voce per il dolore era penetrante.
"Ehi, ehi" disse Sam, avvicinandosi a lei, "non pensarci, so che fa male, ma ora dobbiamo andare, non devi pensarci, pensa a qualcosa di..."
"Di stupido" esclamò lei, stringendo i denti e con una risata faticosa, "penso che... alla fine mi salvano sempre dei fottuti accendini"
"Ok, questa era bella" ridacchiò un po' Sam; ma il sangue si raggelò nelle vene di entrambi, appena sentirono dei passi.
"Ho un'idea" borbottò veloce Isabel, sentendo un nuovo piano prendere possesso della sua testa. Si avventò sullo zaino ed estraesse un registratore, posizionandolo sul tavolo. Sam la guardò, senza intuire nulla; ma c'era qualcosa più importante della salvezza: quei fogli. Prese lo zaino della ragazza ed iniziò a riempirlo con la roba che era stata rovesciata.
"Apri il condotto, quello dell'aria, là" sussurrò velocemente la ragazza, non capendo perché lui sembrasse così interessato alla sua roba, "entra dentro, io ti, ti raggiungo. Su, muoviti, su, su"
Sam fece come le aveva detto e, cercando di far poco rumore, entrò nel condotto.
Isabel sentì altri passi: la guardia doveva essere tornata. Non restava che sperare in quel piano, proprio come nello sperimentare una teoria.
Accese il registratore e la sua voce inondò la stanza: "Giorno 366, questa mattina sono stata a trovare Jonathan. Lo so, può sembrare strano, ma mi sentivo in dovere di farlo, soprattutto per il favore che gli ho chiesto..."
In punta di piedi si avvicinò alla grata e Sam allungò le mani verso di lei, aiutandola a salire e ad entrare. La registrazione avrebbe dovuto far pensare ad un interrogatorio, almeno per il tempo necessario ad allontanarsi.
La ragazza allungò una mano verso la piastra di metallo che il ragazzo aveva rimosso e la rimise al suo posto, chiudendosi con lui in quel lungo condotto.
Isabel poggiò la schiena alla parete, inspirando e chiudendo gli occhi. Nonostante il dolore, nonostante il pensiero di poter morire, era ancora viva; ma soprattutto Steve era vivo.
Poi riaprì gli occhi e guardò il ragazzo: "Operazione salvare padron Frodo completata, Sam"

✾ ༻𑁍 ༻❁༺ 𑁍 ༺ ✾

Finalmente ho pubblicato questo capitolo! È venuto
davvero lungo, forse uno dei più lunghi, ahah. Spero possa piacervi e ancora grazie per i commenti e le stelline e le letture, davvero grazie ❤️

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