1.4 "Segreto segretissimo"
"Più color melanzana o mora?"
"Che? Isabel stai delirando"
"Il collo... melanzana o mora?"
Isabel Henderson: già, sembrava non essere cambiata dalla volte in cui si erano incontrate per le prove della band della scuola. Sempre spiritosa e molto ingenua.
Robin Buckley: Isabel non poteva non ricordarla meglio. Non si erano mai parlate molto, ma per lei aveva sempre avuto qualcosa di speciale, unico forse. Si vedevano quando lei ancora frequentava le prove di quella "stupida" band; poi, aveva lasciato ogni cosa e si era allontanata anche da lei, veramente una mossa geniale!
"Se è necessario... ti direi color mora, anzi, mirtillo"
"Non era nelle opzioni questa!" rise la ragazza, come ormai non faceva da mesi, mentre l'altra alzava lo sguardo verso il suo.
"Eh, la tavola dei colori è grande, chiedilo a Monet"
"Credo sia complicato; però, se sai il numero dell'aldilà, allora..." disse Isabel, ridacchiando con la voce un po' roca, per via di quello che era successo. Le faceva ancora male il collo e sentire quel dolore le ricordava il viso di Jake, la paura.
"Quello di Steve tra pochi secondi, se non la finisce"
Steve non faceva che lamentarsi dietro a sottile finestrella di vetro; ma per lui non era sottile, era più simile ad una montagna invalicabile. Voleva entrare lì dentro, sapere come stava Isabel, vederla. Sì, sembrava assurdo, visto che sempre aveva cercato in quel mese di ignorarla. Il suo unico ostacolo erano sia Robin, sia Dustin; avevano deciso di tenerlo lontano: diciamo che alla ragazza ferita avrebbe fatto molto male discutere con la gola in quello stato. Già, erano sicuri che dall'incontro di quei due sarebbe solo che scaturita una nuova discussione.
"La finisci?!" aprì la piccola finestrella Robin, guardando verso il ragazzo con fare stufo, "o preferisci un biglietto di sola andata per l'altra parte...?"
Steve se la ritrovò davanti e si sorprese per la fretta di quell'apparizione: "Dio, ce n'è voluto?!"
"La domanda..."
"Se l'altra parte è questa" indicò la stanza dietro alla ragazza in divisa, "sì, grazie"
"Idiota"
"'Fatemi entrare', tanto difficile da capire?!"
"Tanto difficile da capire: no, Steve, no" scandì bene con le labbra la ragazza, mentre Dustin ispezionava i vari gusti di gelato, presenti nella teca. Si era preoccupato molto per quello che era successo a sua sorella, lo era ancora a dire il vero. Contava e ricontava nella sua testa, cercando di distrarsi e di non ascoltare i lamenti di Steve, che non facevano che aumentare la sua preoccupazione.
Isabel, invece, osservava ed ascoltava la scena qualche metro indietro, seduta su quel tavolo di metallo. Era stanca, stanca di quello che continuava ad accadere, sembra che il mondo se la fosse presa con lei, con loro, con un semplice gruppo di ragazzini dell'Indiana. Dio, quanta altra gente, quanti altri ragazzini esistevano al mondo, tra tutti proprio loro? Proprio Hawkins?
In quel momento, Notò l'alfabeto cirillico appeso al muro e si sorprese: Robin era una ragazza dalle mille risorse, se aveva pure il tempo per studiare russo o qualche altra lingua slava. Oppure... no, era impossibile, Steve non si sarebbe mai messo a studiare una nuova lingua, a malapena sapeva la sua. Rise leggermente a quel pensiero, abbassando poi il viso, quasi vergognandosi di pensare ancora a lui.
"Robin, dai... sono un bravo ragazzo, secondo te che posso fare?!"
"Litigare"
"Oh, andiamo! Dustin, ehi, diglielo" scosse la spalla del ragazzino, che distolse un po' stordito lo sguardo dai gelati.
"Dirle cosa, Steve?"
"Che sono un bravo ragazzo, dai, su" lo esortò con un cenno della mano nella direzione di Robin, sempre stufa di perdere tempo in un modo così "stupido".
Non voleva restare lì un minuto di più; sapeva di essere stato un grandissimo coglione a non volerle parlare prima, a volerla evitare a tutti i costi. Ora, però, che l'aveva vista in quello stato, spaventato perché avrebbe potuto perderla per davvero e per sempre; aveva capito che stava sbagliato e non avrebbe sbagliato più. Sì, basta.
"Oh, sì, sì, mhm..." Dustin si passò una mano sulla bocca, fingendo di ragionare su quello che avrebbe dovuto dire, "Steve è..."
"Un idiota, grazie idioti" chiuse la finestrella Robin con un sorrisino veloce e tirato. Era una cosa seria quella che era successa, ma no, Steve doveva a tutti i costi fare di testa sua. Forse, la cosa migliore sarebbe stata portarla all'ospedale, ma Isabel si era opposta, quando ci avevano pensato.
"Vuole entrare?"
"Puoi dirlo forte!" esclamò Robin con un entusiasmo forzato e sarcastico: se c'era una persona che poteva portare all'esaurimento mentale era Steve Harrington.
"Pile un po' scariche?" chiese Isabel, notando che l'altra sembrava essere parecchio stanca.
"Già" borbottò quella, sedendosi al fianco della ragazza su quel tavolino scricchiolante, "le hai ancora quelle?"
"Quel-... ah, le rotelle?"
"Già, quelle che spacciavi durante le prove"
"Ehi, mica le spacciavo, solo... ne portavo troppe-"
"...e per questo avevi le tasche gonfie e ti davano fastidio e le spacciavi, lo so" disse Robin, finendo la frase al posto suo. Isabel la guardò, entrambe si guardarono: aveva sempre saputo di essere molto simile a lei, ma non credeva fino a quel punto.
"Come fai a ricordarlo?" domandò la ragazza, sempre con quell'aria sorpresa. Come faceva a ricordarsi di delle stupide rotelle di liquirizia, era solo... solo liquirizia.
"Bella domanda, però, sai, quando sei così... diversa o diverso, è difficile dimenticarsi certe cose, ecco, sono quelle che ti ricordi; credo per sempre"
"Per sempre? Per sempre perché sono strana?"
"Diversa" la corresse Robin, "e non sei l'unica" pronunciò, notando che gli occhi azzurri dell'altra si erano spenti leggermente. Non aveva mai capito Isabel, non aveva mai capito perché soffrisse sempre così tanto a sentire quel titolo; certo, non era carino, ma essere "strani" aveva anche i suoi lati positivi, bastava smettere di desiderare di essere qualcun altro.
"Perché... perché non ci siamo mai parlate?" domandò Isabel, sentendo una strana sensazione a quel "non sei l'unica". Sì, aveva sempre pensato di essere sola, ma forse il mondo era pieno di strani, ci aveva pensato davvero troppe poche volte.
"Perché... non lo so, me lo chiedo da anni" sospirò Robin, abbassando un po' il viso: era la verità.
"E sono anni che non ci parliamo..." aggiunse l'altra, mentre a sua volta il suo sguardo ricadde sulle loro mani, poggiate sul bordo del tavolo; erano così vicine, ma non si toccavano; proprio come loro: così simili, ma sempre state così lontane.
Isabel, però, rialzò il viso velocemente, catturando anche l'attenzione di Robin: "Sai, Robin, credo che tu sia stata una vera... idiota" glielo disse, guardandola e senza scherzare. Già, era quello che pensava, Robin su quello era stata una completa idiota e non glielo avrebbe nascosto. Non l'aveva detto con cattiveria, lei era solo fatta così.
La ragazza subito non capì: perché le stava dando dell'idiota? Insomma, non era per niente una cosa carina da dire!
Eppure ricambiò lo sguardo, forse intuendo qualcosa nel viso complice dell'altra: "Anche tu, Henderson, sei stata una completa idiota" le rispose, cercando di mantenersi seria, nonostante trovasse quel modo di "ripartire" così assurdo e strano.
Si guardarono per qualche altro secondo: sì, erano state entrambe delle idiote, sentirselo dire lo confermava e metteva anche una fine a tutto quello che erano stato.
Scoppiarono entrambe a ridere: Robin abbassando il capo e scuotendo la testa, Isabel arricciando il naso e più sonoramente.
Si sentì poi un colpo, un altro bussare a quella finestrella. Entrambe smisero di ridere e Robin sospirò, stufa di essere interrotta.
"Fallo entrare" sussurrò Isabel, guardando la ragazza, sicura di quello che aveva appena detto.
"C-cosa?"
"Fallo entrare, sentiamo cos'ha da dire"
"Quello che dice da tutta l'estate, penso"
Isabel si stava per alzare, ma a quelle parole fece una smorfia perplessa: "Tutta l'estate, cosa?"
"Oh, tu... in tutti i coni, i gusti, le porzioni, in tutti i posti, giorno, notte-"
"Ok, ok, ho capito... ma io?"
"Già, a meno che non esista un'altra Isabel Henderson, allora..."
"Io" ripetè la ragazza, sempre con quel fare confuso, non credeva che a Steve importasse più di tanto di lei; insomma, quando aveva provato a parlargli era finita davvero di merda.
"Dai, faccio entrare l'id-"
Robin si avvicinò alla porta e, appena l'aprí, Steve perse l'equilibrio, facendo due passi in avanti dentro alla stanza per non cadere. Si era poggiato a quell'anta, cercando di origliare ed ora tutte e due sapevano che cosa aveva provato a fare.
"Ahoy, ladies" si drizzò, lasciando che i suoi capelli spettinati, finissero morbidi dietro alla sua testa, mentre poggiava le mani sui suoi fianchi.
"Ahoy e ciao ciao, idiota" sbuffò Robin, "ci vediamo, se hai bisogno di dritte....volantino pronto soccorso" indicò il biglietto attaccato alla bacheca, in cui erano presenti tutte le manovre per soccorrere una persona. Poi, uscì dalla porta per prendere il posto di Steve al bancone e fare anche un po' di compagnia a Dustin. Non voleva essere d'intralcio, era una questione delicata. Si chiuse l'anta alle spalle e li lasciò da soli: Steve e Isabel, era tempo che non succedeva.
Il ragazzo si schiarì la voce, portandosi un pugno davanti alla bocca: "Bene" pronunciò, non sapendo cosa dire con precisione, lanciando un'occhiata veloce verso Isabel.
"Bene" alzò leggermente le sopracciglia lei, annuendo un po' con la testa. Era strano trovarsi di nuovo così con lui, lo aveva sognato tante volte in quel mese, ma non era mai successo. Anche quello sembrava un sogno, la sua testa, che giocava un altro brutto scherzo.
Poi, il silenzio calò tra loro: già, era difficile parlarsi normalmente, dopo quello che era successo.
"Dai, su... Steve, siediti qui" Isabel si fece coraggio, invitandolo a sedersi al suo fianco, senza parole dure o rimpianto. Gli occhi del ragazzo ebbero un leggero luccichio e, cercando di non mostrare troppo entusiasmo, si posizionò al fianco della ragazza.
Era tempo che non l'aveva così vicina e un brivido leggero attraversò entrambi, mentre cercavano di far finta di niente, guardandosi intorno. Tutti e due troppo orgoglioso, tutti e due troppo pieni di sensi di colpa.
"Mi piace la tua divisa..."
"Tu scherzi?" rise Steve, guardandola e non abbassando lo sguardo come poco prima, invece, aveva fatto. Non credeva che quella sarebbe stata la sua prima parola, si sarebbe aspettato subito qualche "miccia" per litigare; ma quella era Isabel, sì, lei.
Anche la ragazza allora si voltò nella sua direzione, incontrando i suoi occhi: "Nah, non scherzo... ad Halloween me la presti?"
"E da cosa vorresti travestirti con questo, sentiamo?"
"Mhm, da marinaio gelataio babysitter mamma unica al mondo" gli prese il capellino e se lo mise in testa, ridendo, "piacere: Steve Harrington" esclamò, facendo una finta voce da uomo e porgendogli una mano. Non aveva voglia di tristezza, non aveva voglia di litigi, solo di stare con lui come stavano un tempo.
"Piacere... e poi sarei io l'idiota" rise il ragazzo, scherzosamente, scuotendo la testa: Isabel gli era davvero mancata.
"Non giudico quelli della mia stessa specie" rispose la ragazza, sistemandosi un po' quel capellino.
"Ah, spiritosa, come sempre" scherzò lui, notando che stava cercando di metterselo meglio, "lascia fare a me, il maestro" si pavoneggiò con aria divertita.
"Scusi, non volevo insultare il suo talento" alzò le mani in segno di resa lei, continuando a lasciarsi andare a quelle risate.
"Brava, si fidi di-" Steve sistemò meglio quel capellino, ma poi si fermò, tenendo ancora le mani su quell'oggetto. Isabel aveva iniziato a guardarlo, seguendo ogni suo movimento con le sue iridi: era strano scherzare così con lui, ma era bello. Eppure sia lui sia lei, sentivano di star lasciando in sospeso qualcosa, sia lui sia lei non volevano parlare di questo qualcosa.
"Si fidi di me" sussurrò, poi, il ragazzo, accennando un sorriso con un punta di amarezza.
Isabel notò quell'espressione, notò quell'amarezza e la capiva. Avevano perso troppo tempo e forse ancora ne stavano perdendo, non volendo ammettere di aver sbagliato.
Ma in quegli attimi furono gli occhi di Steve a vagare, poggiandosi con leggerezza silenziosa sul collo violaceo della ragazza.
"Mi dispiace... Isabel, mi dispiace da morire" sussurrò flebilmente; sì, perché aveva promesso tempo prima a Nancy di proteggere i ragazzi, Isabel non rientrava in quella promessa, ma aveva promesso di proteggere anche lei, lo aveva promesso a se stesso e sentiva di aver fallito. Non c'era stato, era un mese che non c'era stato.
"Steve..." sussurrò lei, non aspettandosi quelle scuse, per qualcosa che in realtà non dipendeva da lui, "sono qui, sto bene"
"Potevi stare peggio, cazzo... e io, io"
"Tu non potevi nulla, Steve, io non ho potuto nulla"
"Io potevo esserci... esserci, Isabel"
"Io potevo esserci, qui, con voi... tutta l'estate, tutto il tempo, e-e invece..." gli occhi di lei si fecero specchi lucidi, trasparenti. Si vedeva tutto il dispiacere per quello che aveva fatto con l'orgoglio distrutto.
Steve li vide, capì e restò senza parole. Senza barriere, senza muri era strano vederla così; Isabel era difficile da capire, ma a lui era sempre sembrato più semplice di come tanti dicevano. Era così limpida, pura, ingenua; una piccola bambina che lui avrebbe dovuto proteggere e prendere per mano. Sì, ma anche lui era un bambino, piccolo quanto lei, solo più bravo a fingersi grande.
E si sarebbero presi per mano, per mano fino alla fine e così fu. Le loro dita si sfiorarono, come la polvere del deserto si alza dopo tempo, quando una brezza leggera ne accarezza la superficie. Si alza dalla terra, si risolleva con un lieve tocco, vortica nell'aria, cade a terra, ma quella brezza tornerà sempre. Saranno anni, saranno mesi, ma ci sarà.
Le loro mani vorticarono insieme, le loro dita scivolarono le une sulle mani dell'altro e dell'altra. Si annodarono, si mossero come quando le code di due serpenti si intrecciano tra loro. Solo dopo, si strinsero assieme saldamente ed entrambi non smisero di guardarsi per tutto quel tempo.
"È arrivata!"
La porta si spalancò all'improvviso, spinta da Robin, con un certo entusiasmo. Entrambi i ragazzi sobbalzarono per quell'apparizione; si allontanarono, portando le mani tra i loro capelli con un leggero imbarazzo. Non si sarebbero dimenticati di quello che era appena successo.
***
"Non puoi dire America, senza Erica"
"Sì, giusto, giusto..."
"Dustin, non credo s-"
"Shhh, Isabel, lascia fare"
Isabel roteò gli occhi, alzando le mani in segno di resa. Conosceva bene Erica, fin troppo forse, e sapeva che i discorsi moralisti non era il meglio con lei. Era piccola, certo, ma aveva le idee ben chiare, più di ognuno di loro.
Le aveva fatto tante domande su quel collo così viola e non si era mostrata dispiaciuta o preoccupata, ma Isabel sapeva che in realtà lo era.Voleva solo dimostrarsi grande, come quella volta che aveva detto a sua madre di non voler più una babysitter. Così, Isabel aveva smesso di andare a casa sua, di andarla a prendere a scuola; ricordava il dispiacere di quei mesi e ricordava anche di aver visto Erica passare in bici davanti a casa sua, qualche volta. Ricordava i giochi con le barbie e quando la piccola bambina si arrabbiava perché Isabel non faceva altro che inventare cose assurde, personaggi che sembravano di un altro pianeta, spesso ispirati alle campagne di D&D. Erica brontolava tanto, ma, alla fine, da ogni nuova storia che Isabel inventava ne restava sempre più affascinata. Affascinata da quel mondo che vedeva in suo fratello, ma che rinnegava. Sapeva del perché Isabel era detta "stramba" e, per questo, non voleva essere chiamata allo stesso modo, non voleva essere una nerd.
"Te l'ho detto, Dusty-Bun" disse Isabel, notando che anche quel tentativo era fallito miseramente.
"Non mi chiamare così" borbottò subito il fratello, visto che quello era un soprannome di Suzie e Suzie soltanto.
"Ma come? Al campo ti piaceva tanto, Dusty" gli tirò una leggera spallata, ridendo un pochino.
"Isabel!" esclamò lui, diventando abbastanza rosso in viso e cercando di nasconderlo, mentre si portava le mani sulla faccia in segno di disperazione. Conosceva sua sorella e, a volte, aveva questi momenti di "show della stupidità".
"Va bene, va bene" disse lei, alzando ancora una volta le mani in segno di resa, "la smetto, però lasciami provare" sussurrò le ultime parole, per non farsi sentire da Erica.
"E va bene, va bene"
Così Dustin si spostò un posto più in là, lasciando lo spazio per sedersi vicino alla ragazzina a Isabel. Avevano provato di tutto per convincerla: gelato, proposte, rassicurazioni, tanto che Steve si era perfino mobilitato per aggiungere del caramello ad una porzione. Pensare che qualcuno avrebbe dovuto pagare tutta quella roba sembrava un po' un film dell'orrore.
"Bene" disse Isabel, sospirando e poggiandosi allo schienale del divanetto con disinvoltura. Sia Robin che Dustin rimasero perplessi: se il suo modo per convincere Erica era non fare assolutamente nulla, allora aveva già fallito.
"Se sei qui per convincermi: punto primo non lo farò, punto secondo voglio altro gelato..." esclamò la Erica, muovendo la cannuccia dentro al suo frappè.
"Io non ho detto nulla, Erica"
"Ma stavi per dirlo..." tirò su quel poco frullato che era rimasto sul fondo del bicchiere, facendo un po' di rumore.
"Mhm, beh, in realtà una cosa stavo per dirla..." disse l'altra ragazza, lanciandole una veloce occhiata.
"Cosa?"
"Sai... se non vuoi venire con noi, darci una mano, fa nulla, però" esitò, lasciando la frase a metà; era tutto calcolato, anche quello.
"Però...?"
"Però, qualcosa potrebbe sfuggirmi dalle... labbra" le toccò, rendendo la sua voce più acuta.
Erica fece una smorfia un po' stranita e semi disgustata, anche se in realtà si stava solo un po' preoccupando.
"Bel tentativo, ma... no, non funziona, nerd"
"Ah no? Beh, potrebbe sfuggirmi un segreto"
"Un segreto?" dissero in coro sia Dustin che Erica. Che diamine di trovata era quella!
"Ops, scusate, scusate" esclamò subito il ragazzino, vista l'occhiata fugace della sorella, che non voleva essere interrotta.
"Sì, un segreto..."
"E che segreto sapresti, mirtillo so tutto io?"
"L'avevo detto che era mirtillo..." borbottò Robin, abbassando per pochi secondi la planimetria dello Starcourt e guardando Isabel.
Quella roteò gli occhi con fare stufo, nascondendo però una risata, e riprese, poi, a guardare Erica: "Diciamo, mhm, vediamo se così ti viene in mente... potrebbe sfuggirmi dalle labbra il tuo Segreto Segretissimo" abbassò di più la voce, con tono grave.
Tutti i ragazzi fecero una smorfia perplessa, Erica, invece, sembrava aver capito e ricordava fin troppo bene.
"Ah, è una vecchia storia..." alzò le spalle, fingendosi disinteressata.
"Davvero, allora... Signori e-"
"No, no, vecchia... ma non troppo" la interruppe la ragazzina; non credeva che Isabel facesse sul serio, "che vuoi in cambio, mirtillo?" disse poi con aria più grave.
"Primo che tu ci dia una mano e secondo basta con il mirtillo e così... nessuno saprà mai il tuo Segreto Segretissimo"
"Mhm, la prima ok, la seconda... no e il gelato, lo voglio gratis... per sempre"
"No quest-"
"Va bene, ci stiamo" disse Robin entusiasta, quelle condizioni andavano più che bene, l'importante era sbrigarsi.
"Ma mi chiamerà mirtillo?!" disse Isabel, guardando la ragazza.
"Ci farai l'abitudine"
"Mhm, quindi... affare fatto, mirtillo?" chiese Erica, soddisfatta di quello che aveva ottenuto, allungando la mano verso la sua ex-babysitter.
"Eh, va bene... affare fatto" strinse quella manina la ragazza, guardandola negli occhi, "regina dei Pony". Già, quello era il vecchio soprannome di Erica, imbarazzante, ma era quello.
"Non mi chiamare così" ritrasse subito la mano, come se si fosse bruciata.
"E tu non mi chiamare mirtillo!"
"E tu regina dei poni"
Le due iniziarono a dirsi questo in continuazione, mentre sia Dustin che Robin cercavano, con degli 'ehi' svolazzanti, di farle smettere.
Steve in quel momento tornò, sbuffando, visto che il caramello era finito e aveva dovuto fare mille giri per trovarlo. Lasciò cadere mollemente la coppa sul tavolo e guardò nella direzione delle due, poggiando le mani sui fianchi.
"Oi" disse, guardandole e notando quell'accesa litigata, "oi, oi" iniziò a sventolare il panno che aveva attaccato al grembiule, davanti ai loro visi, "ragazzina, non si parla così" disse, sentendo una parolaccia partire dalla bocca di Erica.
"E chi sei? Mia madre, marinaio fallito?"
"Già, già tua madre, sí, e fino a prova contraria lei è tuo padre" indicò Isabel, "se vuoi entrare in questa squadra... queste sono le regole?"
"Steve... questa è uscita male" esclamò Dustin, cercando di sussurrarglielo, visto il silenzio imbarazzante che era calato subito dopo quell'affermazione.
"Oh, andiamo, non la pensate così?" guardò Robin, "no?" osservò Isabel, "Dustin?"
Non ricevette risposta, solo altro silenzio; forse non era stata proprio un'uscita molto intelligente.
"Steve, sei..." iniziò a dire Isabel, guardandolo, con una certa espressione sorpresa, ma parecchio misteriosa.
"Un idiota, posso dirlo" borbottò Robin, abbassando le carte che aveva in mano e gettando lo sguardo sul ragazzo, con un sospiro veloce.
"Gelataio sfigato" disse poi Erica, riprendendo a bere il suo frappé.
"Qualcun altro, dai..." sbuffò lui, guardando i due Henderson, sapendo che si sarebbe beccato qualche altra stupida etichetta.
"Un po'... fuori luogo, però ci possiamo lavorare, Steve" disse Dustin, battendogli una pacca sulla spalla, dopo essersi alzato. Alla fine, sì, era stato un po' imbarazzante, ma si poteva risolvere.
Poi, tutti guardarono Isabel, che aveva iniziato quel discorso, ma che ancora non aveva detto nulla.
"Steve... sei sublime" ridacchiò, arricciando il naso; ma una risata divertita, leggera, non di rimprovero. Conosceva Steve e le piacevano quelle battute fuori luogo, quelle uscite un po' stupide, le trovava carine.
Quello che aveva detto era stato parecchio imprevedibile.
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