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1.1 "Undici"

Velocemente, Isabel chiuse la porta alle sue spalle e una voce, particolarmente allegra, prese a inondare il freddo salotto.
"Ciao cara, come è andata la giornata?" disse la madre, mentre un rumore sconnesso di utensili accompagnava le sue parole.
Isabel non rispose: la giornata non era andata bene, non voleva mentire.
Così, posò lo zaino, quasi lanciandolo, e s'inccamminò verso camera sua, senza dire una parola.
"Ehi, ehi signorina! Fermati un secondo!"
Ora la madre, proprio di fronte a lei, le stava barrando la strada; un passo, forse due, e sarebbe potuta scomparire nella sua stanza e, invece, ancora una volta, doveva affrontare la realtà.
"Bene, è andata bene!" disse mentendo.
L'espressione della madre non pareva convinta, nonostante ciò rimase impassibile e sempre con quelo strano sorriso dipinto sul volto.
"Cosa c'é?" non potè fare a meno di chiedere Isabel.
"Nulla" disse ridendo e voltandole le spalle.
La ragazza rimase ferma, continuava a non capire. Ormai non capiva più nulla.
"Beh, forse ti starai chiedendo, il perché di questa felicità?" continuò la donna,  riprendendo a cucinare.
"Beh, insomma, Karen mi ha chiamata questa mattina, anche lei era felice, lo sai che..."
"Vai al punto, mamma" disse seccamente la ragazza.
"Dustin questa sera va dai Wheeler e Karen ha invitato pure te; dopo tutto questo tempo, ci credi!" concluse con una risata sonora.
No, non ci credeva e ancora non capiva questa felicità, lei sapeva, fin troppo bene, che non sarebbe andata.
"Non capisco?" disse, ancora, Isabel con una nota di pura freddezza.
"Vuol dire che tu andrai. Vuol dire che, forse, la smetterai con questa sciocchezza di voler evitare Nancy!"esclamò la madre, improvvisamente diventata seria ed impassibile.
La ragazza sentì il mondo crollarle addosso: sua madre la stava costringendo; sua madre credeva che fosse colpa sua, pensava  che ciò che era successo fosse solamente dovuto alla sua ingenuità.
"No!" riuscì a pronunciare lievemente.
"No!" ripetè più forte di prima, tentando di penetrare quella decisione.
"Isabel, tu andrai, devi capire... dannazione, le persone cambiano..."
"No, no, no... Nancy non è cambiata e non cambierà mai. Io-io non posso, non posso, capisci. Non posso fare lo stesso errore"
"Isabel, tu non hai sbagliato e non hai fatto nessun errore" disse più dolcemente, ma ormai la ragazza era un treno in corsa, nessuno poteva fermarla. Ormai, non discuteva più con sua madre, ma con sé stessa, da sola.
"Non posso fidarmi, l'ho già fatto e non intendo rifarlo. Con nessuno, con nessuna dannatissima persona di questo mondo. Siete tutti uguali, identici, dannazione..."
Rabbia, tristezza, delusione, stanchezza; adesso pesavano sulle sue spalle e anche nelle sue lacrime, che a breve sarebbero sgorgate fuori dai suoi occhi.
Con una corsa veloce, uscì dall'edificio, chiudendosi la porta alle spalle. Nessuno la seguì e si sedette sui gradini del cortile, ad attendere che quelle sensazioni svanissero, reprimendole nel silenzio di un normale pomeriggio.
Un fruscio, alcune risate e una lieve folata di vento; la distrassero.
Dei ragazzi su delle bici, una bici, la sua bici. 
Si ricordò di quello che era accaduto la mattina e riprese a cercare la bicicletta.
Ora, un'altra domanda risiedeva al centro dei suoi pensieri: "Dov'era finito quel dannatissimo rottame?"

Colori rossastri lentamente presero a diffondersi nel cielo, divenendo, ogni minuto, sempre più scuri. Il giorno si preparava a svanire nel buio della notte, ancora una volta. Macchine, su macchine si riversavano nelle strade di Hawkins; la gente tornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro, stanca ma felice di ritrovare riposo nelle ore successive. Non poco lontano, però, una pattuglia della polizia, unita ad alcuni volontari, si preparava ad affrontare una lunga ricerca del ragazzo scomparso: Will Byers.
Isabel, senza sosta, aveva sprecato tutto il suo pomeriggio a scostare, rovesciare e alzare ogni sorta di oggetto, aveva cercato ovunque e della sua bici non c'era traccia. Pareva, davvero, svanita nel nulla.
Non c'era più niente da fare, doveva dimenticarsene. Così, si sedette: era distrutta.
Ad un tratto, un lieve cigolio comparì alle sue spalle. Senza attendere, si voltò: la figura di sua madre, illuminata da una calda luce arancione, stava, calma ed impassibile, sul ciglio della porta; mentre in mano teneva un piccolo pacchetto d'alluminio. Prese ad osservare il pacchetto.
"Ho fatto dei waffle, ma non è importante" disse, sedendosi accanto alla figlia e poggiando il dolce.
"Ascoltami, Isabel.
So perfettamente, quello che è successo tra te e Nancy, ma devi capire che è passato molto tempo, troppo.
Adesso, io non ti voglio obbligare, voglio solo farti capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Per questo non ti chiedo di andare là, di parlarle e di stare con lei facendo finta di niente. E' impossibile.
Ti chiedo di provare.
Vai là e porta questi stupidi waffle e poi torna qui. Ma almeno vacci, fai un piccolo passo, per adesso.
Ho sbagliato, questo pomeriggio, lo so. Sono stata, ehm... ecco, troppo precipitosa.
Ma ora... direi di procedere lentamente, piccoli passi, ci stai?"
Isabel non sapeva cosa dire, era incredula di fronte a quella scena. Rimase in silenzio, impassibile ed immobile.
Poi, con veloce gesto, afferrò i waffle avvolti nell'alluminio; era pronta a compiere il suo nuovo piccolo passo.

La notte ormai incombeva su ogni centimetro della cittadina, le luci dei lampioni non bastavano a penetrare tutta quell'oscurità e, in mezzo ad esse, un esile e chiusa figura percorreva attentamente una delle tante viuzze. Era Isabel ed era agitata, come non mai. Si muoveva velocemente, rabbrividendo per il freddo e per l'ansia ad ogni passo. Allo stesso tempo, tentava di stare attenta a ciò che portava in mano: i waffle di sua madre; un semplice dolce, nonché il motivo della sua visita. Sembrava così stupida come scusa: nessuno, nemmeno lei, ci credeva; eppure continuava a camminare, sempre avanti.

Si fermò, era arrivata: molte luci illuminavano l'edificio dall'interno, pareva tutto così vivo e così distante dall'oscurità attorno. Un ricordo le attraversò la mente: la sua vecchia visita, se così poteva essere definita. Erano passati solo pochi giorni, eppure si sentiva cambiata, il mondo intorno a lei stava cambiando. Will era scomparso; Jonathan stava sparendo anche lui; Dustin era ormai svanito; Nancy era cambiata ed ora lei stava per fare un piccolo passo a favore della loro vecchia amicizia. Era difficile da credere, sembrava impossibile.

Si avvicinò all'edificio, cercando di trovare la forza necessaria per affrontare tutto. Avanzava e pensava, ogni secondo di più. Tremava da cima a fondo di ansia, di paura, di agitazione, di freddo.
Si guardò intorno; poi, si arrestò a pochi passi dalla casa. Non era stata la paura, come nell'incontro con Steve, e nemmeno la sua insicurezza. La colpa era della sua bicicletta. Quel rottame, illuminato da una debole luce, giaceva in mezzo alle bici degli altri ragazzi, davanti alla porta della cantina. Senza pensarci un secondo di più, si fiondò sul quel mezzo.
Ad un passo da esso, comprese la sua posizione: un movimento in più e sarebbe stata proprio davanti alla porta della cantina, lì dentro poteva esserci chiunque, il che significava domande e risposte da parte sua.
Così, si accovacciò e, cercando di fare più silenzio possibile, si avvicinò alla bici. Quando fu abbastanza vicina l'afferrò, posando a terra il pacchetto di waffle, mentre le voci di tre ragazzi si fecero chiare nell'aria. Erano Mike, Lucas e Dustin, nascosti dietro una sottile tenda.
Si alzò, tirando su con sé la bici. Improvvisamente, anche gli altri mezzi si mossero. Stava per essere scoperta, domande su domande si sarebbero presto riversate su di lei. Chiuse gli occhi, aspettando. Ma nulla, il vociferare continuava ininterrotto. Via libera. Lentamente, prese a montare sulla bicicletta. Alzò la gamba destra e si appoggiò al manubrio, poi bloccò. Non volontariamente, non era stata lei, non era il suo corpo a decidere ciò, eppure concretamente lo era. Tentò nuovamente, con tutte le sue forze, ma era bloccata in quella posizione. Si guardò intorno: buio, buio, buio, un viso, un piccolo volto davanti alle tenda, una ragazza, seria e con del sangue alle narici.
La fissò intensamente: la stava sfidando e lei l'avrebbe sfidata, non si sarebbe lasciata scappare la sua bici un'altra volta.
Ritentò ancora, questa volta guardandola dritta negli occhi, ma sbagliò. Quella forza che la rendeva impotente si fece maggiore, in un battito di ciglia si ritrovò in aria e poi per terra a faccia in giù. La forza pareva svanita completamente, mentre un forte dolore al naso e delle voci di ragazzi volteggiavano sul suo viso e nelle sue orecchie.
Ma, qualcosa pareva averla sconvolta maggiormente. Così, con il naso completamente insanguinato e blu, si alzò; scostò le figure dei tre ragazzini, ora fuori dalla casa, e si diresse nella cantina.
Vagò con lo sguardo, impassibile.
Poi la vide: la ragazza. Si avvicinò a lei, quanto bastava per osservarla dritto negli occhi.
I tre ragazzi velocemente entrarono nella stanza, erano stati scoperti per la prima volta. 
Isabel non disse nulla, osservava in silenzio.

Poi, la sua bocca si mosse velocemente: "O io sono veramente stramba o tu sei un vero Jedi!"

Dopo, la realtà le crollo veramente sulle spalle e precipitò  sul legno della stanza. Il dolore, anche questa volta, aveva giocato la sua parte, ma era stato battuto della curiosità.

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