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1.0 "Basta Ragazzi"

Era una mattina particolarmente calda, che faceva sentire l'alito forte e umido dell'estate. Eppure si prevedeva pioggia nei giorni successivi, ma nessuno ci credeva alla vista di tutta quella luce. Una di quelle giornate che, a prescindere da tutto, riescono a svegliarti con un sorriso spontaneo sul volto.

La signora Henderson già era in piedi e le finestre di tutta la casa spalancate: bisognava cambiare l'aria e sia Dustin, sia Isabel odiavano questa pratica. Immaginatevi il freddo invernale e la casa alla mattina con all'interno la stessa temperatura che c'è fuori. Ecco perché i due Henderson detestavano questo "rituale".

Un odore di erba appena tagliata e gelso si diffondeva assieme a quello della colazione, che la donna aveva appena finito di preparare. In quel momento, scrisse qualcosa su un piccolo bigliettino, lasciandolo poi attaccato alla porta e abbandonò la scena.

Come al suo solito, Dustin si svegliò al suo "orario fisso", quasi avesse una sveglia incorporata nel cervello. Ancora assonnato, andò in sala e chiuse subito tutte le finestre, borbottando burbero mentre lo faceva.

Anche Isabel era sveglia, ma non in piedi. Sdraiata nel suo letto, fissava il soffitto bianco. Era strano pensare a tutte quelle volte in cui l'aveva osservato; sempre con occhi e problemi diversi, in mattini splendenti e altri senza alba. Era bianco, ma era uno specchio in cui scrutare i suoi pensieri, un tela in cui spargerli, per trovare un ordine.
In quel mare, ora vedeva solo la certezza che quel giorno sarebbe stato memorabile.

All'improvviso, il suono del campanello riecheggiò nella casa. Tutti e due i ragazzi sobbalzarono, chiedendosi chi potesse essere a quell'ora. Perciò, gli attimi che seguirono furono silenziosi, mentre solo Dustin trovò il coraggio e la voglia di aprire alla porta.

"Senti se sei venuto a cercare mia sor-"

Il ragazzo era convinto, anzi convintissimo che si trattasse di quel "rompipalle" di un vicino che si erano ritrovati. Infatti, andava spesso lì e chiedeva di Isabel in continuazione. Il fratello, dunque, avrebbe scommesso qualsiasi cosa che quel Sam si fosse preso una bella cotta per sua sorella. E non poteva sopportarlo.

Ma quello che si trovò davanti era fuori da qualsiasi immaginario.

"Tu...tu?!"

"Sì, proprio io... devo parlare con Isabel, adesso"

La voce di quel ragazzo era dura, tinta da un'arroganza che Dustin aveva conosciuto più volte. Tra le dita teneva una sigaretta ancora accesa, mentre con una mano restava poggiato allo stipite della porta. Quello era Jake.

"Isabel sta ancora dormendo, quindi smamma" esclamò secco il fratello, sentendo la rabbia ribollirgli nel sangue. Lo aveva sempre odiato e non capiva cosa sua sorella potesse trovarci in uno del genere. Vedeva in Jake quello che qualche anno prima aveva visto in Steve e sapeva che Isabel, tempo prima, non riusciva a sopportare comportamenti del genere. Perché ora, addirittura, li trovava degni di una frequentazione?
Anche Steve spesso gli aveva parlato di quel ragazzo con un tale disprezzo, che aumentava a dismisura anche quello di Dustin.
Jake era il contrario del "risveglio perfetto", che aveva desiderato.

"A me non sembra, piccolino..."

Detto ciò, il giovane dalla risata tagliente indicò con la sua cicca un punto dietro al piccolo "bugiardo". Isabel si era alzata ed era appena sbucata fuori dal buio corridoio: i suoi occhi blu erano stanchi, ma alla vista di Jake si spalancarono. Non era gioia, ma più sorpresa. Era così ridicola in quel momento, che per alcuni attimi sentì un forte imbarazzo; dopotutto quei calzoncini corti e quella maglietta bianca, fin troppo grande, erano imbarazzanti.

"Vattene lo stesso!" rispose duro Dustin, chiudendo leggermente la porta e coprendo quella visuale su sua sorella.

Ma Jake fu più rapido e bloccò l'anta con un piede: "Facciamo decidere a lei, signorino..." esclamò il ragazzo, con un sorrisetto che rese il viso del "piccolino" paonazzo.

Isabel non sapeva che fare e dire. Ma ragionando e lasciando che lo stupore diminuisse, comprese che forse quella era l'occasione che stava aspettando.

"Cosa vuoi Jake?" domandò con durezza, ignorando la lieve risata di quello alla vista dei suoi capelli arruffati. Era davvero sempre così carino e gentile...

"Buongiorno non si dice, cara...?"

"Non è il momento..."

"Che c'è? Sei arrabbiata con me... non credi, beh, che dovrei esserlo io... sai, mi hai dato buca"

"Ehi, modera i toni, brutto figlio d-"

"Dustin, stanne fuori" disse Isabel velocemente, prima che il fratello tentasse invano di difenderla, forse facendo anche peggio.

"Ascolta tua sorella, piccino..." infierì Jake, soddisfatto di poter dimostrare la sua superiorità, dovuta solo al fatto di essere più grande.

"Non parlargli così! Piuttosto, dimmi perché sei qui..." intervenne la giovane, mentre la rabbia di suo fratello era sempre più percepibile nell'aria e sul suo viso di un rossore intenso.

"Devo parlarti... ma da soli" accentuò particolarmente quelle parole, posando ancora una volta lo sguardo sul ragazzino.

"No, voglio stare qui, voglio-"

"Dustin, ti prego..." sussurrò Isabel, concentrandosi solo sul fratello. Voleva chiudere con Jake il prima possibile, togliersi quel peso e sbattete quella porta, proprio come aveva detto Max: le avrebbe fatto bene.

"Allora?!" esclamò con impazienza Jake, dopo aver fatto, sprezzante, un altro tiro con la sua sigaretta.

"Stiamo fuori..." rispose la ragazza, tossendo per il fumo.

Odiava quell'odore, le ricordava la scuola; in particolare Tommy H. e Carol nei momenti in cui se la prendevano con lei e sì, anche Steve era in quel gruppo. Finite le lezioni, capitava che, passando nel parcheggio, li incrociasse. Fumavano continuamente e gettavano sempre tutto a terra, ma, in quei casi, il terreno su cui lasciare cadere le loro cicche di sigaretta diventava lei, la stramba Henderson. Così, le cadevano addosso da ogni parte, i suoi vestiti si bucavano, la cenere si infilava dappertutto e puzzava di fumo.

Ma in quel momento, scacciò tutto via con un gesto e uscì fuori sulla veranda. Si dimenticò del suo aspetto, insomma, aveva altro a cui pensare; sarebbe stata forse la prima volta in cui avrebbe cercato di mostrare un po' di coraggio da sola.

Jake chiuse la porta con il solito sorrisetto beffardo, mentre guardava Dustin arrabbiato: aveva ottenuto anche quella piccola vittoria.

"Ah, finalmente..." sospirò, rilassando le spalle e gettando la sigaretta a terra, schiacciandola. Faceva così anche con le persone: le consumava fino all'ultima tirata e poi le gettava via, comprimendole nell'ombra della sua immagine.

"Sbrigati, Jake, anch'io devo parlarti..." disse secca la ragazza, poggiandosi con la schiena ad una colonna del loggiato.

"Oh, giusto, giusto" la raggiunse lui, posizionandosi a pochissimi centimetri da lei. Ma quella vicinanza era ormai abitudine per Isabel, era stata "obbligata" a farsela piacere per stare con lui.

"Sono qui per parlare della nostra relazione"

"Noi non abbiamo una relazione..."

"Oh, mio Dio, Isabel! Sei pesante... smettila di negarlo, non puoi dire, dai, che non ci sia qualcosa" le afferrò una mano e la ragazza non si mosse, catturata da occhi lunghi che li stavano osservando. Non era Jake, non era Dustin, era Sam, il nuovo vicino. Si trovava in cortile e "fingeva" di star sistemando diversi scatoloni pieni di vinili nel suo garage. Ma guardava loro, lei. Era tempo che Isabel si era accorta di essere tenuta d'occhio da quel ragazzo, incontrava spesso quegli occhietti verdi così curiosi, forse fin troppo.

"Oh, ma che cazzo!" si accorse di quell'intruso anche Jake, "mai un po' di pace qui, che due coglioni! Hai finito, bello?!" gridò contro quel mingherlino ragazzo, che, imbarazzatissimo, si fece piccino piccino. Nascose il viso tra quei riccioli neri e si voltò da un'altra parte, mentre le sue dita lunghe, come zampe di ragni, presero a muoversi di nuovo tra quelle scatole. Era stato beccato.

"Senti Jake... smettila tu, ok?"

"Oh, ma che stai facendo?! Ora difendi pure gli sfigati?! Siamo messi bene..."

"Si dia il caso che anche io lo sia... una sfigata, intendo, lo sono sempre stata"

"E adesso?"

"'Adesso' cosa?"

"Sei ancora una sfigata oppure no?" chiese quasi retoricamente il ragazzo, fissando dritto in quelle pozze blu.

"Io..." la sicurezza, che fino a quel momento Isabel aveva mantenuto, si incrinò, "io non, non, io..."

La verità era proprio questa: frequentare Jake le aveva dato una notorietà diversa. Ma non credeva che il passato potesse essere dimenticato tanto velocemente; e, soprattutto, lei voleva dimenticare?

"No, non lo sei più, ok. Smettila di crederti come quelli là, non sei più una sfigata" 'grazie a me' avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne. Era difficile per lui non seguire l'istinto, ma in quel momento si sentì in dovere di farlo per non mandare a rotoli tutto.

"Perché..." abbassò lo sguardo di Isabel, "ti interessa tanto di me, Jake? Voglio sapere la verità... non più belle parole, ti prego, dimmi perché"

"Isabel..." sussurrò lui, mentre la sua voce inaspettatamente si addolcì, "io te l'ho detta tante volte la verità, sono quelle dolci parole la verità... perché non mi credi?"

'Perché non mi fido di te' fu quello che avrebbe voluto gridargli contro Isabel, la vera verità. Cercava sempre di evitare quel pensiero, ma alla fine sapeva che stare con lui era solo egoismo. Lo faceva per se stessa, per sentirsi diversa. Era sbagliato e, quindi, provava a non pensarci il più delle volte.

"Io ti credo, Jake..." esclamò con un filo di voce, mentendo, "almeno posso dire di provarci"

"Beh, allora qual è il problema? Perché sei così... così rigida sempre e comunque; mi eviti, soprattutto da quando sei tornata. Prima eri più... più tranquilla" la guardò lui, mentre cercava di mostrarsi il più sensibile possibile, fingendo.

Isabel sospirò: era davvero arrivato il momento, ma aveva paura. Non era per se stessa, ma per la reazione che quelle parole avrebbero avuto su Jake. Era capitato che a volte avesse scatti d'ira e, in quei casi, per fortuna era sempre riuscita ad allontanarsi.

"Senti Jake..." deglutì con forza, facendosi coraggio e alzando il viso verso il suo. Se doveva porre fine a quella "storia", l'avrebbe fatto con dignità, "io... io ci ho pensato molto tempo e sono arrivata ad una conclusione. So che non ti piacerà, ma credo sia il meglio per entrambi" continuò a dire senza fermarsi, senza voler essere interrotta, "siamo troppo diversi, io...io ho provato a fare come te, ma è difficile per me. Non è la mia natura. Mi sento sbagliata e-e sento... sento che, che tu sia... Jake tu per me sei un problema in più"

"Ah" rise lui istericamente, abbassando lo sguardo verso i suoi piedi. Si morse il labbro con forza, frenando tutti quegli insulti che stavano per uscire dalla sua bocca, "quindi mi stai lasciando, Isabel? Dillo chiaramente, odio i rigiri di parole"

"No, io non ti sto lasciando..."

"A me sembra proprio di sì, invece..."

"No" ripetè lei, acquisendo una sicurezza nuova, senza temere per il momento la reazione del ragazzo, "no, perché noi due non siamo mai stati insieme"

"Che stronza..." borbottò lui ancora con animo tranquillo; ma era solo la quiete prima della tempesta, Jake non era un tipo calmo, era l'Inferno.
In un attimo, alzò il viso e fissò quegli occhi pieni di odio e fuoco in quelli blu della ragazza. Bastò uno sguardo per farla rabbrividire, pentire di ciò che aveva detto. E la paura la bloccò, come sempre.

"Considerati finita, stramba del cazzo" esclamò duro, mostrando quello che davvero provava per lei: indifferenza. Le strinse il polso con forza, aumentando la stretta sempre di più, mentre i suoi occhi divennero ancora più divampanti.

"Billy mi ha fatto mettere con te, Billy mi ha detto che eri innocua, Billy mi ha detto che saresti stata un giocattolo, che non c'erano fortuitissimi problemi nell'usarti. Sono bravo, sai, ad usare le persone. E sarebbe stato così anche con te, stronza"

"Ti prego, Jake, mi-mi fai male..."

"Stai zitta, cazzo!" gridò tra i denti, avvicinando quell'alito di fumo al viso della ragazza, "capisci cosa mi stai facendo ora... mi stai umiliando. Perché io dovevo lasciarti, io dovevo usare fino all'ultima briciola del tuo stupido affetto, farti credere amata e ferirti. Farti tanto, ma tanto di quel male che... che te ne saresti ricordata per tutta la vita, capisci?! E ora, vieni qui e dici che vuoi finire tutto perché sono un problema in più... ingrata! Pensi che sia stato facile per me farti accettare dagli a altri, da quelli che se la sarebbero presa con te senza problemi?! E ora credi che sarà facile per me dire 'oh, guardate una fortuitissima sfigata mi ha appena lasciato', lo trovi semplice, rispondi cazzo, parla!"

La ragazza stringeva gli occhi dal dolore e le lacrime ormai le rigavano le guance. Aveva fatto una stupidaggine, lo aveva saputo ancora prima di parlare: "Mi... mi dispiace, t-ti prego, Jake" sussurrò con la voce spezzata dal male fisico, ma non solo.

Nonostante ragionasse poco lucidamente, in quel momento una cosa era riuscita a capirla: Jake l'aveva usata. Non si fidava di lui, forse perché il suo inconscio si era accorto di qualcosa di sbagliato. Perché la verità era che per anni e anni aveva avuto a che fare con persone del genere, così la sua esperienza aveva visto tutto, prima che lo facessero i suoi occhi.
Ma con Jake probabilmente la voglia di libertà, di sentirsi diversa, ma accettata l'avevano spinta verso le braccia del ragazzo. Eppure inconsciamente aveva sempre saputo di star sbagliando.
Anche Steve l'aveva capito e lei, forse per non ammettere i suoi errori, l'aveva allontanato, come se lui fosse un egoista. Ma l'egoista era lei e solo lei.

"Ti dispiace, a te dispiace?! A te dispiace... ascoltami bene" sussurrò tagliente il ragazzo, mentre avvicinava il viso alla ragazza, con occhi di fuoco, colpiti nell'orgoglio, "tu la pagherai... non so come, non so quando, ma vedi di non farmi incazzare, ok?! OK?!"

Isabel stava per annuire, per far crollare quel coraggio che mai aveva avuto.

In quell'instante, però, qualcosa ruppe quella tensione: uno scatolone ricolmo di vinili si rovesciò sul terreno del marciapiede con un grande tonfo; tutto quello che vi era contenuto si sparse su quella grigia superficie, senza logica, senza motivo.

"Ops" borbottò Sam tra sé e sé, chinandosi verso il pasticcio che aveva appena creato per via della sua sbadataggine. Ma in verità lui non era mai stato goffo, ogni sua azione aveva un motivo, anche quella.

"Oh, ma cazzo!" si distrasse Jake, lasciando il polso della povera ragazza, che con le lacrime agli occhi guardò il giovane "sbadato". Quando i suoi occhi si posarono su quella alta e minuta figura, due pozze verdi incontrarono il suo sguardo. Erano complici, furbi e fieri di quello che era accaduto. Isabel capì: l'aveva fatto apposta solo per lei.

Così, non perse tempo e si fiondò verso la porta ancora socchiusa. Senza che Jake potesse fermarla, essendo preso alla sprovvista. E la ragazza si chiuse dentro. Le mani volteggiarono veloci su tutte le serratura e i passi la portarono ad indietreggiare.

"Brutta... brutta puttana!" si sentirono queste parole, prima di un sordo pugno battuto sull'anta in legno.

Era salva, eppure non si sentiva così. Percepiva che prima o poi avrebbe dovuto rifare i conti con Jake; sapeva che l'avrebbe seguita sempre e ovunque e non ci sarebbe stato nessun vicino a darle quella possibilità di fuga. Presto sarebbe stata sola contro la paura.

***

Il sole era ancora alto in cielo, la luna spenta nelle acque di quella grande pozza, proprio come una candela, consumata dopo una notte. La luce calda vorticava per tutte le vie di Hawkins, ma nessuno a quell'ora stava fuori. Tutti, chiusi nelle loro case, cercavano ancora un po' di frescura.

Jake non aveva di certo nell'animo quell'uggia che dappertutto si diffondeva; Jake era sempre Jake.

La strada era desolata, gli alberi vicini e insieme muovevano le loro fronde al passaggio di quella lunga auto rossa. Era perfetta, una scheggia; a lui piaceva chiamarla "baby", l'unica donna che amasse davvero.

Sangue su quel cemento grigio, giunse presto al luogo in cui sapeva che l'avrebbe trovato.

Senza preoccuparsi troppo di regole e di rispetto, abbandonò l'auto sulla strada e scese. Con un tonfo la portiera fu chiusa, il ragazzo fu fuori e una luce splendente lo avvolse.

Sicuro e ancora infiammato da una rabbia intensa, avanzò senza voltarsi indietro. Passi lunghi, veloci, scanditi da fretta.

Il cancello scricchiolò, non appena cercò di aprirlo. Un rumore tetro oscuro, che non toccò la sicurezza di Jake. La solitudine non lo spaventava, Billy sì.

Un botta più forte e l'acciaio arrugginito gli permise di entrare in quel posto vuoto di vita, scuro nel profondo.

"Ehi, c'è qualcuno...?" chiese secco, alzando la voce per farsi sentire da qualcuno nelle vicinanze. Sapeva che Billy aveva il turno a quell'ora presto di mattina quel giorno e per questo era andato lì, a quell'orario così improbabile per una piscina, davvero troppo mattiniero.

Si sentirono dei tonfi in risposta, sordi e veloci. Sì, c'era qualcuno, ma ancora non sapeva chi.

A passi piccoli, meno sicuri di prima, il ragazzo si avvicinò alla porta che conduceva all'interno. L'acqua era abbagliante, uno specchio per quella giornata nera, dalla Luna oscurata, dalla paura incorporata.

"C-c'è qualcuno...?" sentì stranamente la sua voce incrinarsi, sotto quell'atmosfera raggelante.

Spinse la porta lentamente e con insicurezza, avanzando all'interno di quel silenzio. Di cosa c'era di aver paura? Era solo, era solamente solo.

E l'anta si chiuse alle sue spalle e il sangue si raggelò nelle sue vene e sentì il cuore correre, come presto avrebbero fatto le sue gambe.

"Chi-chi è stato?" domandò, ma non vedeva che buio, non sentiva che nulla, "che cazzo vuoi?!" si stufó della sua paura stessa, non aveva voglia di scherzi. Perché era uno scherzo, vero?

Si percepirono dei passi e una luce si accesse lungo lo stretto ed angosciante corridoio tutto buio: "Chiunque tu sia..." esclamò secco Jake, avanzando attraverso esso, "sappi che non fa ridere cazzo!"

Non si tirò indietro e arrivò davanti alla porta, dove dentro un caldo bagliore risplendeva. Alzò la mano e la poggiò sulla maniglia, aprendola.

"Ciao, Jake, ti stavamo aspettando"

Era la voce di Billy, ma non lo vide. La luce si spense e lui ricadde in un buio profondo. Cercò di gridare, ma era stato preso. Cercò aiuto, ma era solo. Cercò di farsi forza, invece pianse.

"Sta' tranquillo Jake, presto sarà tutto finito"

***

"Steve abbassa, ti prego... i miei timpani!"

"Baby, my heart is full of love... na-na, what you're gonna do"

Dustin allungò la mano velocemente e abbassò, guardando il ragazzo che ancora si ostinava a voler tenere il volume così alto.

"Oh, andiamo, amico..." esclamò Steve, alzando di nuovo la musica, "lasciati andare..."

"Ma è musica da femmine!"

"A me piace... " picchiettò il ragazzo, preso dal ritmo, sul volante lucido della sua auto. Fece vagare lo sguardo sulla strada: era stranamente vuota quella mattina, c'erano solo loro e una foschia nell'aria, probabilmente umidità.

In quell'istante, un punto rosso comparve all'orizzonte; Steve conosceva bene quell'auto e sapeva benissimo che fosse di Jake.

Sbuffò, ma quella stanchezza e disgusto nel pensare a quel ragazzo, si tramutarono in un brivido. Erano appena passati davanti alla piscina, che si sentì precipitare e la musica svanì.

"L'hai sentito anche tu...?" chiese, guardando di sfuggita Dustin, che nel mentre si era poggiato allo schienale del suo sedile.

"Cosa?"

"Il...il, l-lasciamo perdere" esclamò infine, spegnendo la musica e gettando uno sguardo sullo specchietto retrovisore: la macchina di Jake restava immobile, sembrava tutto troppo calmo.

"Allora posso parlare adesso?" chiese Dustin, che non era stato ascoltato fino a quel momento per via della musica. Non la sopportava, soprattutto se il volume era troppo alto; alla fine, era costretto a reggerne il pesto praticamente ogni giorno per colpa dei vicini.

Ma Steve ne aveva avuto bisogno; aveva dovuto soffocare tutto il mondo pesante e difficile che aveva sulle spalle con quelle poche note d'amore. Si sentiva già sollevato, ma era solo questione di tempo.

"Vai... bada a quello che dici, però, amico, eh? E niente russi, ok?"

"Bene" si ricompose il ragazzo, sistemando i vestiti, come se stesse per pronunciare un grande discorso, "allora, volevo di prendere il discorso di prima-"

"Quale discorso?" lo interruppe Steve, un po' perplesso, mentre con uno sguardo scrutò la vuota strada, diretto allo Starcourt.

"Quello sulle ragazze, quale se no?" esclamò il giovane, volendo a tutti i costi riprendere quello che si stavano dicendo poco prima al centro commerciale, prima di fare quel cambio di rotta fuori dall'edificio.

"Oh, dai, andiamo... basta, amico, ti ho detto tutto"

"Tu non mi hai detto proprio niente, sono io che ho parlato, tu hai solo negato"

"Cosa avrei negato?"

"Che ti piace Robin..."

"C-cosa non, non mi piace Robin!" esclamò subito di getto, perché era la verità, non riusciva a capire nulla dei suoi sentimenti. Affermare che gli "piacesse" Robin era troppo, provava un certa attrazione, ma leggera.

"Ah, no?" lo guardò Dustin, guardandolo con un viso da rimprovero, "sposta un pochino Nancy dai tuoi pensieri e lascia spazio anche ad altre, piccolo consiglio..."

"Io non ho Nancy nella testa" affermò sicuro di quello che stava dicendo, "ho altre cose..." sussurrò, cercando di non incontrare lo sguardo del ragazzino, sapeva che altrimenti avrebbe capito tutto.

"Tu hai un'altra in testa" constatò Dustin, notando quell'atteggiamento così schifo, quasi imbarazzato, "giuro che ti ammazzo, se è mia sorella, eh" aggiunse serio, continuando a scrutare Steve, per cogliere qualche segnale di cedimento.

Lui non rispose, odiava mentire sia lui sia a se stesso. E sarebbe stato così, se avesse risposto di "no", perché era vero, lui aveva Isabel in testa. Non sapeva il perché Isabel fosse per lui un pensiero ormai fisso, cercava di capirlo. Quando, però, arrivava alla conclusione, svoltava strada, proprio come fece in quel momento.

"Ehi, ehi" sentì le dita di Dustin essere schiocchiate proprio davanti al suo viso, "ehi, Tatooine chiama Steve, ripeto Tatooine chiama Steve!"

"Che cavolo è Tatooine?!" rispose lui, provando a sviare sempre quel discorso per lui così complicato.

"Star Wars... dovresti vederli, a Isabel" sottolineò quel nome, "piacciono davvero, ma davvero molto, ti interessa per caso?" domandò, in modo angelico, provando un po' ad incastrarlo.

"No, non mi interessano" provò a dire nel modo più disinvolto possibile, anche se all'improvviso sentì una voglia matta di guardare quella saga.

"Ah no?"

"No, assolutamente, no e no"

"Allora altra domanda... non ti interessano i film, ma ti interessa mia sorella, sbaglio?"

Anche qui Dustin non ottenne risposta, alla fine, Steve non voleva mentirgli, non ci sarebbe riuscito.

"Steve, aspetto una risposta... qui, a Tatooine"

"Smettila di dire questo nome?!" esclamò nervoso, iniziando a sudare freddo e sentendosi quasi in trappola.

"E tu smettila di non rispondere, cazzo!"

"Ok, vuoi sapere la verità, mhm, la vuoi sapere! Bene! Ti darò la verità, ma non ti incazzare con me, perché credimi, non è colpa mia" sbottò il ragazzo, stufo di quelle domande, stufo un po' di quella situazione, "tua sorella... t-tua sorella non mi piace" sussurrò, abbassando lo sguardo, la voce e forse anche la fiducia che aveva guadagnato da parte del ragazzino. Si sentì uno schifo, aveva fatto il contrario di quello che avrebbe voluto.

✾ ༻𑁍 ༻❁༺ 𑁍 ༺ ✾

Ecco il nuovo capitolo,
scusate tanto per il ritardo nella pubblicazione, ma questo è davvero un periodo difficile a livello scolastico.
Spero di essere più puntuale successivamente, fatemi sapere cosa ne pensate ^^

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