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#.04 ancora tu

𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 QUATTRO
" ancora tu "
— 𝒂𝒄𝒕 𝒐𝒏𝒆

               ISABEL ERA LA PIÙ NORMALE delle persone in una delle mattine più strane di Hawkins. Strano a dirsi.

Inclinando il viso all'indietro, bevve l'ultima goccia di latte. In modo deciso, poggiò poi la sua tazza sul ripiano della cucina. Guardando dritto davanti a sé come in una telecamera, l'inquadratura mise a fuoco la scritta su quell'oggetto: "La risposta è dopo". Quella mattina, però, era stata "prima"; si era svegliata prima, vestita prima, bevuto il suo latte prima rispetto alla routine del sabato.

"Si parte!" borbottò al suo riflesso scuro sul microonde. Poi, si slanciò giù dallo sgabello, provocando un po' di rumore. Tutti dormivano ancora, nonostante fossero già le nove passate. Anche lei avrebbe tanto voluto farlo.

Afferrò la giacca e prese lo zaino all'ultimo secondo. Infine, chiuse l'anta, tentando di essere delicata.

Era una bella giornata fuori, ma dentro Isabel le emozioni sembravano aver scatenato un temporale.

Vista la casa di Sam, poco distante dalla sua, provò subito sconforto. La sera prima era stata un fallimento: invece che aiutare il loro amico, lei ed Allison avevano rovinato tutto. Isabel Henderson aveva distrutto l'auto dello zio di Eddie, del ragazzo che da tempo la detestava.

Sospirò, mormorando un leggero "scusa" a testa bassa. Era un'amica di merda.

Accantonata l'idea di convincere quel vecchio, lasciata Allison ancora a dormire, Isabel aveva preferito seguire una nuova pista: il giorno prima era stato pieno di avvenimenti e non si era dimenticata dell'incontro con quel bambino. Le aveva parlato di "Nightmare" e di come il cattivo del film fosse simile al mostro del suo sogno. Era misterioso, ma anche affasciante. La soluzione, quindi, era vedere quel film, ma a casa non lo aveva. Sarebbe andata al Family Video e sicuramente avrebbe incontrato Steve.

Era strano come una parte di sé non vedesse l'ora di vederlo, mentre un'altra frenava tutto, ricordandole il passato.

Insomma, Isabel Henderson quella mattina non capiva se stessa.

***

              "ECCOLO QUI! "The breakfast club"" esclamò Steve, trovando nello scaffale giusto il film richiesto. Si voltò e lo porse alla ragazza che glielo aveva chiesto. Era carina, ma di certo non sembrava il tipo per quel genere di film. Per quel film.

"Grazie" rispose lei, prendendolo, con un sorriso più stupido che cordiale.

"Non c'è di che" sorrise Steve, restando in silenzio qualche secondo, "sai, l'avrò visto un centinaio di volte" ammise, senza precisare, "vederlo una centunesima non mi dispiacerebbe..." approcciò per la quinta volta in una mattinata.

"Ehm..." rispose lei, sorpresa, "ecco, è un regalo" ridacchiò, scioccamente, "scusa e... ho un ragazzo" aggiunse sulla difensiva.

"Oh..." voltò lo sguardo dall'altra parte Steve, "beh, allora... alla cassa!"

Isabel era appena arrivata fuori dal negozio e, come al solito, gettò la sua bici a lato della strada. Con passo veloce, arrivò davanti alla porta. Espirò pesantemente, sistemò i suoi vestiti e le spalline dello zaino.

"Si va in scena, Henderson" borbottò tra sé e sé, "azione"

Spinse la porta, sentendo già le mani tutte sudate. Il campanello risuonò nell'aria e tre figure si voltarono verso di lei. Steve, Robin e... una ragazza. La sua maschera crollò. "The breakfast club", teneva quel film in mano. Lo aveva visto insieme a Steve per la prima volta e da lì almeno un centinaio di altre insieme. Perché ci stava così male? Lui stava andando avanti, doveva essere felice di quello; ma l'amarezza di non riuscire a fare lo stesso non glielo permetteva.

"Ehi" borbottò, sfoggiando un saluto goffo con la mano.

"E-ehi, Isabel" rispose Steve, sorpreso e felice, "c-come mai qui?" domandò, aspettandosi chissà quale risposta.

"Un film..." rispose lei, notando una leggera delusione negli occhi del ragazzo, "solo un... film"

"Beh, io-io devo andare" borbottò la ragazza, sentendosi leggermente fuori posto in mezzo a tutti quegli sguardi.

"Ehm, ehm, prima i soldi" intervenne Robin, da dietro la cassa. Strano che Isabel fosse lì, ma almeno adesso Steve aveva la sua occasione per parlarle. Colpo special.

"Beh, che film, che film ti serve?" domandò Steve, di sicuro più nervoso che con le altre ragazze.

"Nightmare, horror credo" rispose la ragazza, senza guardarlo direttamente negli occhi.

"Serata con un ragazzo?" azzardò Steve, sperando in una risposta negativa.

"Se per ragazzo intendi il mio gatto, allora sì"

"Bene"

"Bene?"

"Ehm, sì, no, nel senso... ah eccolo qui il furbetto!" si salvò Steve, trovando il film.

"Grazie" rispose Isabel, prendendolo velocemente ed evitando qualsiasi tipo di contatto. In quella fretta, però, cadde a terra. Entrambi si abbassarono per raccoglierlo, afferrandolo all'unisono. Nello stesso tempo alzarono gli occhi, incatenandoli tra loro.

Restarono fermi per secondi fugaci e poi entrambi risero timidamente, abbassando il viso. Non era cambiato nulla.

Steve lasciò il film, tirandosi su assieme a lei.

"Beh, allora ci si vede, magari..." guardò Robin, cercando la forza per avanzare un invito; l'amica gli fece cenno di proseguire.

"Magari puoi farlo vedere anche alla tua ragazza, insomma se non si spaventa troppo"

"Cosa?"

"Sì, insomma, la bionda di prima, era carina"

"Oh, sì, ah, quella..."

"Non sai nemmeno il suo nome, fammi indovinare?"

"Io beh..."

"Immaginavo..." roteò gli occhi Isabel. Forse davvero "il lupo perde il pelo e non il vizio", forse frammenti di quel vecchio Steve erano ancora rimasti in lui. Sarebbe stato davvero un peccato, "il lupo perde il pelo, ma non il vizio, dico bene?"

"Già, e tu continuerai a interrompermi, Henderson, dico bene?"

"Uno a zero per te, Harrington, ma non per molto"

"Ah, davvero? E come farai a battermi se non ci vedremo più?"

"Speravo avessi una soluzione per questo" accennò un sorriso furbo e disinvolto lei.

"E tu accetteresti questa soluzione, Henderson?" sussurrò Steve, sentendosi meno timido, tanto da avanzare verso di lei.

"Io accetto sempre, Harrington" mantenne quella vicinanza per qualche secondo, poi si allontanò. Come una lieve scossa che dopo lascia sconcertati, allo stesso modo si sentivano Isabel e Steve, interrotti dall'improvviso suono della campanella. Qualcuno era appena entrato: Max e Dustin erano nel negozio.

***

               CASA WILKINSON non era mai stata tanto sottosopra.

Sam ormai non aveva più una casa. Tutti i giorni rimbalzava da un posto all'altro, evitando di stare da solo. Stanco, si coricava nella sua casa vuota e sola, in un mare di disordine.

Da quando sua madre era stata ricoverata al Pennhurst, era iniziato il declino. Prima la solitudine, la tristezza e poi tutti quegli incubi. Teneva ogni cosa dentro di sé, sperando di abituarsi. Ma andava sempre peggio e quella mattina ne fu la conferma.

Uscito di casa all'alba, era corso verso il suo garage. Doveva allenarsi, questa era la scusa. Da qualche mese era entrato a far parte di una certa band, i Corroden Coffin. Lo avevano iscritto di nascosto Isabel e Allison, per non farlo stare troppo da solo.

Entrò e si chiuse dietro la grande anta, collegando tutti i cavi alla chitarra.

Un altro incubo l'aveva tormentato quella notte. Non sembravano più casuali, se n'era reso conto dopo quello che era successo nel corridoio il giorno prima. C'era qualcosa di paranormale.

Abbassò il volume per non disturbare troppo il quartiere. Un primo accordo di "Friends will be friends" risuonò. Il mal di testa, invece, aumentò. Pulsava, spingeva, andava in profondità come una sonda nella sua testa.

Strinse gli occhi e fece scorrere le dita sulle corde della chitarra. Si calmò. Funzionava.

Ma appena la musica finì, il dolore si fece più forte, squarciando tra i suoi ricordi. Flash di immagini si proiettarono davanti ai suoi occhi. Sentì il corpo gelarsi, incollare i polpastrelli sulla sua chitarra. Era immobile.

Bum: un'ambulanza, sua madre, dolore.
Bum: un calcio, terra, fogli sparsi, dolore.
Bum: urla, sua madre in lacrime, dolore.

Solo dolore. Chiunque stesse cercando nella sua mente non riusciva a trovare altro. Era come una calamita per i brutti ricordi. Era quello il suo intento o un altro?

Continuò a scavare e Sam tentò di urlare, ma era schiavo del male.

Bum: un giornale, sua madre ancora in lacrime, dolore. Non ricordava quel giorno, quella parte della sua vita. Si sforzò di guardare meglio in quel ricordo: c'erano giochi a terra e la sua prima chitarra. Doveva avere sui tre anni, ne era certo.

Il parassita non si fermò e cambiò ricordo. Si insinuò più a fondo, riportando a galla ricordi che nemmeno Sam credeva di avere. Chi o cosa stava cercando?

Bum: un bosco.

La visione si fermò a quello e si fece più nitida. Il dolore diminuì e Sam rimase imprigionato in quel luogo. Fece uno sforzo e tentò di muoversi, ma nulla accadde nella realtà. Fece un passo, ma solo nel pensiero. Era forse una visione? No, era un suo ricordo.

Curioso, avanzò barcollando. Era notte, la luna piena brillava alta nel cielo. Sentì delle voci.

"Ehi, c'è-c'è qualcuno?" domando alla foresta. Altri sospiri risposero, ma non alla sua domanda.

Avanzò ancora, seguendo quei rumori lontani. Il suono aumentò, sempre più chiaro.

Un raggio di luna squarciava le fronte degli alberi, tingendo di candido latte un piccolo arbusto. Era quello la fonte del suono.

Non poteva essere reale. Sam si avvicinò, chinandosi. Bacche bianche, simili a more, si trovavano su quella pianta.

Allungò la mano e ne afferrò una. Riaprì il palmo della mano, ma divenne rossa. Rosso sangue. Ne prese velocemente un'altra e anche quella cambiò colore. Continuò così, fino a quando non scelse di strappare un ramo. Sentì qualcosa bagnare i suoi pantaloni: sangue.
Quell'albero non aveva nessuna linfa al suo interno: solo sangue umano.

"Ehi, tesoro, papà... papà è qui, ok, ci sarò, non... non- ANDATE!"

Sentì chiaramente. Quella era la voce di suo padre, ricordò. Si alzò da terra, spaventato, sorpreso.

"Papà" chiamò, sperando di ricevere risposta.

"Papà" urlò.

Nessuno rispose.

"Ti prego, ricorda, cazzo, SAM, CAZZO, RICORDA!" gridò a se stesso, schiaffeggiandosi il viso. Cercava risposte da sempre, voleva sapere cosa fosse a successo a suo padre. Voleva la verità, voleva le sue lettere. Voleva ricordarlo.

"Per favore! Per... per favore" si accasciò, distrutto a terra. Pianse.

"Non guardare, tesoro"

Sentì la voce di sua madre uscire da quel ramo. Faceva tutto parte di un ricordo, qualcosa accaduto in quel posto.

Ragionò: forse non doveva guardare, lui doveva ascoltare. Quel ramo era solo un frammento del passato, la pianta era tutto il ricordo. La voce di quel ricordo.

Si avvicino in fretta, iniziando a staccare ogni ramo. Ad uno ad uno, le voci presero a mescolarsi. Solo quando tutti i rami furono staccati e tutto il sangue fuoriuscì dalla corteccia, la visione apparve chiara.

Agosto 1972, notte di luna piena

"Mamma dove stiamo andando?"
"Da papà?"
"Nel bosco, mamma?"
"Non ti preoccupare, tesoro"

La signora Wilkinson, avanzava, tenendo in braccio il figlio. Camminavano ormai da molto e si era stancato. Lei e suo marito avevano scelto un posto ben nascosto per incontrarsi. Non si poteva rischiare.

Avanzò ancora, fino ad arrivare al punto prestabilito. Lì vi era un piccolo arbusto: gelso.

Impaziente, si mise a cullare il piccolo Sam di soli sei anni. Non aveva potuto dirgli nulla. Non poteva fidarsi di nessuno, nemmeno di suo figlio.

Con una mano gli accarezzò la testa. Sam sorrise, ignaro.

"Ann!" esclamò una voce: era suo padre. Il bambino si voltò, cercandolo con lo sguardo.

"Papà?"
"Paul?"

"Sì, sì, sono io, ehi" disse l'uomo, comparendo dall'oscurità. Era affannato, sanguinava, ma il suo sorriso superava ogni dolore. Sapeva che quella sera non ce l'avrebbe fatta, ma Dio gli aveva concesso un ultimo attimo. Un ultimo addio.

"Co-cosa è successo?"
"Non c'è tempo per spiegare, amore, voi dovete andare, ok?" disse, accarezzando la guancia della donna.

"Dove, papà?" chiese Sam, innocente.
"Lontano, via, ma... guarda sempre avanti, ok, piccolo?" domandò, passando una mano per l'ultima volta tra quei riccioli neri.

"Paul..." sussurrò la signora Wilkinson, avendo compreso. Quella era l'ultima volta.
"Non provare a salvarmi, Ann. Corri e basta. I fogli... i fogli non sono riuscito, una lettera, ho messo una lettera. Ma tu corri e basta. Non girarti"

"No" disse lei, lasciando la torcia cadere ed afferrando il suo braccio, "io... io non ce la faccio"
"No, no, tu ce la fai" rispose l'uomo, sentendo le lacrime bagnare anche le sue guance, "devi" poggiò la fronte sulla sua.

"Perché tristi?" chiese Sam, non capendo.

Entrambi sorrisero, piangendo.

"Perché non ci vedremo per un po', piccolo" sussurrò il papà, accarezzandogli una guancia, "per... per un bel po'. Ma ehi, tesoro, papà... papà è qui, ok, io ci sarò, non... non" le voci aumentarono. Lo avevano trovato.

"ANDATE!" gridò.

Ann iniziò a correre via in lacrime. Non doveva andare così.
Sam rimase aggrappato a lei, ma si guardò indietro. Uno sparo attraversò l'aria, le bacche bianche di gelso si tinsero di rosso, il sangue di suo padre impregnò la terra circostante. Poi un altro sparo, un altro ancora.

"Non guardare, tesoro" sussurrò sua madre, flebilmente.

Il colpo fu così forte da rimbombare anche nel cuore del Sam presente. Scosse la sua anima, tanto da sbloccare anche il suo corpo.

La mano scivolò sulla chitarra e vi fu musica. Non si fermò e continuò a suonare. Basta. Voleva farlo uscire. Basta. Voleva solo dimenticare adesso che sapeva la verità.

𝒂𝒖𝒕𝒉𝒐𝒓'𝒔 𝒏𝒐𝒕𝒆 . . .
Ebbene sì, come promesso due aggiornamenti vicini.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Ne sto preparando un altro, che mi piacerebbe far uscire il giorno di Natale.
Un saluto e buona vigilia 💕

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