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#.02 la nuova babysitter

𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝐃𝐔𝐄
" la nuova babysitter "
— 𝒂𝒄𝒕 𝒐𝒏𝒆

              MENTRE CLOTO FILAVA senza sosta, Lachesi fissava la sorte. Atropo, invece, attendeva solo il momento di dare un taglio a tutto. Così i capelli di Isabel erano intrecciati e riempiti di fiori da due bambine. Lei, seduta su uno dei tavoli in legno del parco, non aspettava che la fine di quel trattamento.

"Ragazze, a che punto siete?" chiese alle due bimbe, mentre tratteneva un "ahia". Tiravano con forza e creavano più nodi che veri intrecci.

"Abbiamo quasi finito" rispose una, infilando una margherita tra quelle ciocche.

"Poi a casa ti possiamo truccare?" domandò l'altra.

Gli occhi della ragazza si spalancarono: un solo segno della croce qui non sarebbe bastato.

"Sì, sì, certo, va bene" rispose, tirando le sue labbra in un sorriso. Fare la babysitter aveva i suoi pro, ma anche molti contro. Ovviamente era incluso il tornare a casa conciata come il vomito di un unicorno, sperando che nessuno potesse vederla nel tragitto. Eppure, nonostante questi buffi teatrini, Isabel si divertiva a stare in mezzo ai bambini. Anche in quel parco, circondata da mamme indaffarate o nonni troppo anziani, si sentiva a suo agio. Per quelle poche ore, non si vedeva come uno scarto della società, si rendeva conto di essere utile per la felicità di qualcun altro — e anche per la sua.

Vagò con lo sguardo, senza curarsi se fosse il momento di tornare a casa o no — anche perché non aveva un orologio. C'erano bambini da tutte le parti, che con la vista sfocata come la sua assumevano più la forma di linee veloci e colorate.

Continuò a passare in rassegna quel posto, fino a quando qualcosa non catturò la sua attenzione: era un bambino, solo. Seduto sul ciglio del marciapiede, guardava a terra, vestito con un'inusuale camicia a quadri e dei pantaloni marrone chiaro. Isabel non distingueva altri particolari.

"Finito ragazze?" domandò con un velo di impazienza, sentendo l'impulso di alzarsi.

"Sì!" esclamarono in coro le due sorelline, guardando il loro lavoro soddisfatte.

"Due rotelle di liquirizia se fate le brave, ci state?" si voltò Isabel, porgendo loro le mani per fare un accordo.

"Mhm..."

"Non mi piace la liquirizia"

"Allora... due 'caramelle del destino' a testa, va bene?" ripropose lei, ricordandosi di aver portato con sé anche quelle.

"Va bene!"

"Sì!"

Le due le strinsero la mano e subito dopo la ragazza si alzò dalla panca, guardando un'altra volta nella direzione di quel bambino. Espirò: stava facendo la cosa giusta.

Il piccolo sembrò non notarla né per tutto il tragitto, né quando Isabel gli si sedette accanto.
La ragazza lo guardò con più attenzione: era strano, aveva qualcosa di già visto. Non ci fece caso più di tanto; Hawkins era piena di persone già viste, ma senza un nome.

"Ehi" borbottò, mettendo nella sua voce tutta l'energia positiva possibile.

Ma quel bambino non le rispose: era troppo impegnato a seguire una scia di formiche, deviandone con qualche bastoncino il corso, mentre teneva vicino un sasso abbastanza grande.

"Mhm, hai mai sentito parlare del cimitero delle formiche? Dicono che seppelliscano le compagne o fuori o dentro il formicaio, lo sapevi?" domandò Isabel, cercando di rompere il ghiaccio.

"Sì" borbottò quel bambino, restando concentrato sul suo "sadico" lavoro.

Lei lo guardò in silenzio: forse non voleva essere disturbato, forse nella sua testa stava solo sperando che lei lo lasciasse stare. Sospirò.

"Sta' a guardare" proruppe improvvisamente il ragazzino, risvegliando un po' di speranza in lei.

Lentamente abbandonò il bastoncino a terra, afferrando poi con entrambe le mani il masso che aveva custodito. Impassibile, lo poggiò proprio sopra l'apertura del formicaio, bloccandone l'entrata. Così, tutte le formiche iniziarono a disperdersi: il panico.

"Non trovi una certa somiglianza?" domandò, questa volta guardando Isabel, rimasta a bocca aperta per quello che aveva fatto.

"C-che?"

"Tra le formiche e... loro" volse i suoi occhi azzurri verso tutte le persone presenti in quel parco, Isabel esclusa; "vanno dritte per la loro strada e poi... qualcuno la blocca e cade il loro castello di carte. Non si rendono conto che sono solo formiche. Anche schiacciarle è molto facile, ma credo che questo sia più... affascinante"

"Lasciale stare" disse Isabel, togliendo quel sasso e gettandolo lontano, "come ti chiami?" chiese poi, mentre il bambino non batteva ciglio per quello che aveva appena fatto. Si era aspettata qualche capriccio e, invece, sembrava un adulto intrappolato in un corpo troppo piccolo.

"Mamma dice che non devo dire il mio nome agli sconosciuti"

"Ma io non sono una sconosciuta, sono Isabel!" cercò di sembrare simpatica, fallendo miseramente davanti agli occhi di ghiaccio di lui, "ok, ok, prossima domanda: che ci fai qui tutto solo?"

"Nulla..." abbassò lo sguardo lui, sembrando improvvisamente più umano, "è solo che..."

"Che?"

"Che... ho paura" disegnò una linea sulla terra, senza guardare Isabel. Forse si vergognava di quello che le stava dicendo, ma allora perché gliene stava per parlare?

"Di chi? Dei ragazzi? Dei bulletti? Sono solo degli scemi, lasciali perdere"

"No, no, non loro... peggio"

"Peggio? Di me?"

"No" ridacchiò lievemente il bambino, alzando di poco gli occhi verso di lei. La trovava buffa.
"Di lui" tolse il bastoncino dalla terra, mostrando una figura tetra e abbozzata. Isabel inclinò il viso, cercando di capire: sembrava un uomo e l'unica cosa particolare era che non aveva il naso.

"Un mostro...?" domandò per esserne sicura.

"Una sorta, lo vedo e mi parla. È cattivo e... brutto"

"E tu mandalo via" disse lei, guardando di nuovo il bambino, cercando di mettersi nei suoi panni.  Anche lei da piccola aveva paura dei mostri contro cui muoveva le sue campagne di D&D. Li sognava spesso. "Se arriva, caccialo e pensa a qualcosa che ti fa stare bene, come... le formiche!"

"Io non posso mandarlo via"

"E perché no? So che è difficile, ma credimi... se ne andrà o cacciato da te oppure da solo"

"Io non posso. È più forte di me. Mi parla, nella testa"

Isabel non rispose, percependo che il bambino aveva ancora molte cose da rivelarle su quella storia.

"È un po' come... Freddy Krueger, quello di Nightmare"

"Lo sapevo!" esclamò la mente della ragazza; sapeva che i genitori facevano vedere ai bambini film non adatti e poi quelli facevano brutti sogni. Aveva sentito parlare di quello che il ragazzino aveva citato, ma non l'aveva mai visto.

"A volte, per casa, vedo dei ragni. Mi piacciono, come le formiche, anzi di più. E li guardo, solo che... che lo sento arrivare. È come se fosse connesso a me, come se volesse entrare nella mia testa e fare cose... brutte"

Isabel rimase in silenzio, acquisendo un'espressione confusa, ma intenta a capire: "Conosci Shelob?"

"Che?"

"Ah, i giovani d'oggi!" esclamò, mentre il ragazzo emise una risatina spontanea a quell'affermazione. Era strano, ma mai più di lei.
"Beh, Shelob è una sorta di ragno del Signore degli Anelli, sai. Il suo trucco è iniettare un veleno nelle sue vittime per paralizzarle. Un po' inquietante, ma lo è ancora di più il libro, si trova ne-"

"Isabel! Lia non mi lascia il posto sull'altalena!" arrivò una delle due gemelle, avvicinandosi a mani incrociate, guardando solo la babysitter senza notare il bambino. Non si poteva mai stare in pace.

"Adesso arrivo..." sospirò lei, voltandosi di nuovo verso il piccolo ragazzino, ma... era sparito! Vide solo una sagoma allontanarsi: doveva essere tornato da sua madre.

"Come si chiama?" domandò la bambina, facendo attenzione poi alla smorfia sorpresa di Isabel.

"Chi?"

"Il tuo amico, anch'io ne ho uno, si chiama Piglet, è gentile e mi sta sempre vicino"

"Beh io" sussurrò la ragazza, non capendo ancora quella domanda, "io non lo so"

***

Rimbalzare di qua e di là non è solo questione di tempo e voglia, ma è un'arte. Riuscire a cavarsela e ad arrivare in orario, nonostante minuti su minuti di ritardo, richiede una certa pratica: conoscere bene le strade, le scorciatoie e, soprattutto, avere molto fiato.

Per fortuna, quella sarebbe stata la sua ultima visita quel giorno. Avrebbe dato ripetizioni ad un ragazzo, Dave Brown, probabilmente di matematica, almeno così la madre le aveva detto per telefono. Era stato tutto confuso, frettoloso. La signora Enola doveva essere una donna di carriera, probabilmente troppo presa dal suo lavoro per star dietro ai suoi due figli, così le era sembrato. Non era riuscita a captare altro da quella conversazione, se non l'indirizzo della casa e l'orario della visita.

In quell'istante, una fila di case in legno dalle grandi verande iniziò a scorrere sia sulla destra sia sulla sinistra della strada. Non si era mai fermata in quel quartiere, era sempre stata solo di passaggio. Insomma, la maggior parte di persone lì erano anziane. Si trattava di un posto tranquillo, più vicino al bosco che al centro di Hawkins. Una piccola oasi pacifica, dove passare la pensione. Peccato, però, le voci che giravano. Isabel, per sua esperienza, dava loro il giusto peso, ma, messo piede lì, una leggera ansia le prese lo stomaco. Molti di tutti quei sereni anziani sulle verande erano ex-dipendenti del laboratorio, molti avevano collaborato a progetti crudeli, alcuni li avevano pure ideati o messi in pratica.

Avrebbe tanto voluto che Sam potesse essere lì, al suo fianco. Lui era stato in quel posto tante volte per svelare il mistero di suo padre. Conosceva quel posto e quelle persone. Ma, dopo quello che era successo quella mattina, non aveva avuto il coraggio di chiederglielo. Eddie e Allison lo avevano accompagnato a casa, restando un po' con lui. Finita quella giornata, Isabel non vedeva l'ora di andare da lui, tenergli compagnia, parlando di una delle sue solite stupidaggini.

Come era solita, scese dalla sua bicicletta, gettandola a lato della strada, sicura che nessuno avrebbe rubato un catorcio del genere.
A grandi, ma soffici passi, giunse davanti alla porticina in legno. L'atmosfera pareva allegra, forse grazie al ritornello di "9 to 5" di Dolly Parton che risuonava da dentro la casa. Sorrise, sentendo quella canzone: era anche nella sua cassetta, quella che Steve le aveva regalato. Steve...

Come se una forza soprannaturale avesse bloccato il suo corpo, Isabel non mosse più un arto o un pensiero a quel nome. Sapeva che nella vita non tutto dura, non tutte le amicizie o gli amori sono destinati a sopravvive. Ma si chiedeva perché proprio con lui? Perché la vita aveva dovuto proprio allontanare Steve da lei?

"Oh, Isabella, finalmente!"

La porta si era aperta bruscamente, rivelando una luce calda all'interno. Una donna di mezza età, dai capelli arruffati e il trucco sparso sul viso come su una bambola vecchio stile, si era sporta da quel passaggio. Aveva aperto bocca, sbagliando il nome di Isabel, ma risvegliando la ragazza da quei violenti pensieri.

"Isabel" la corresse lei, "sì, sono io, signora Gray"

"Solo Enola e su, dai, entra" rientrò dentro la donna, senza prestare attenzione a quella correzione e né tanto meno aspettandola.

Non esistando, Isabel la seguì, mentre nella testa le risuonava il nome Enola Gray. Aveva già sentito qualcosa di simile, forse in una canzone.

Avanzò nella casa: non era immensa e presentava solo un piano terra, abbastanza articolato da poter ospitare una famiglia numerosa. Non era per niente ordinato e gli oggetti che si trovavano in giro rivelavano che le età lì erano molto varie: giocattoli, chiodi, panni, macchinine, libri antichi, riviste, orologi e vecchie foto.

Isabel, nonostante la sua curiosità, cercò di non rallentare nel seguire la donna. Era particolarmente affascinata da tutte quelle fotografie, per la maggior parte in bianco e nero.

Arrivarono in sala, dove due bambini erano forzatamente seduti composti sul divano.

"Bambini, questa è Isabella"

"Isabel" la corresse di nuovo la ragazza, senza che la donna prestasse attenzione.

Uno dei due sorrise grandemente, non appena la vide: tra i due era il più piccolo, probabilmente sui quattro o cinque anni. La ragazza se ne accorse e gli rivolse un sorriso altrettanto felice.

"Bene. Loro sono Dave" indicò il ragazzo più grande, che era rimasto parecchio sulle sue, nascondendo una forte curiosità, visibile solo nei suoi occhi, "lui è James e ama..."

La donna non fece in tempo a finire la frase, che il bambino si alzò, abbracciando le gambe di Isabel.

"...gli abbracci" concluse la madre, cercando di staccare il figlio dalle gambe della ragazza.

"No, no, lo lasci" sorrise Isabel, mentre lui allentava abbastanza la presa da permetterle di abbassarsi alla sua altezza, "così è meglio" disse, aprendo le braccia. James si sorprese positivamente e l'abbracciò: nessuna babysitter lo aveva fatto prima. Tutti rimasero a bocca aperta: di solito, la maggior parte di quelle ragazze considerava James particolarmente fastidioso. La verità era che aveva particolarmente bisogno di affetto e di qualcuno con cui stare. Papà non c'era, li aveva abbandonati; mamma lavorava tutto il giorno; Dave non aveva mai voglia di giocare e nonno lo allontanava sempre.

Isabel si sollevò da terra, tenendo il bambino in braccio.

"Bene, allora io vado!" esclamò la donna, "diamine sono in ritardo. Ah, Isabella, non far caso a mio padre... a volte ha dei modi un po' strani e bruschi. A dopo!"

Come un uragano che arriva e dopo pochi secondi se ne va, così la signora Gray lasciò l'abitazione senza nemmeno salutare i suoi ragazzi. Era l'abitudine.

"Ah, ora ricordo!" proruppe poi Isabel, ragionando ancora sul nome della donna, "la bomba atomica, il bombardiere!"

"Che?" domandò Dave, alzandosi con noia dal divano e infilando le mani nelle tasche.

"Enola Gay, you should have stayed at home yesterday" canticchiò Isabel, guardando il tredicenne, "nulla? Non ti dice nulla?"

"Nah" rispose quello con un'alzata di spalle, andandosene.

"Tuo fratello fa sempre così?" chiese Isabel, sospirando, al piccolo James.

"È cattivo!" esclamò lui, mettendo un piccolo broncio, "ha rotto la mia bambola, diceva che era da femminucce"

"Femminucce? Le bambole sono delle gran belle ragazze per tutti, non solo per le femminucce!" esclamò lei, "quindi, la porteremo all'ospedale delle bambole e sarà curata, promesso!"

A quelle parole un sorriso genuino spuntò sulle labbra del piccolo bambino.

Senza chiedere il permesso, Isabel iniziò a girare per la casa, spostandosi nel corridoio con le varie foto. Fece vagare lo sguardo velocemente, attenendo che una catturasse la sua attenzione: una matrimonio, un compleanno, ma tutte molto vecchie, almeno di vent'anni prima. Dave e James sembravano inesistenti. Come sperato, i suoi occhi si calamitarono su una in particolare: non c'era granché, solo un uomo giovane, affiancato da un altro. Le ricordava qualcosa, forse proprio Sam, ma solo per quei riccioli neri, nulla di più. Sospirò, continuando ad osservarla. "Simon Brown e..." lesse sulle targhetta in basso.

"Nonno!" esclamò James, tirandosi su con la testolina.

"Questo è tuo nonno?"

"Io sono suo nonno"

Isabel perse un battito, voltandosi bruscamente verso quella voce profonda e minacciosa alle sue spalle. In fondo al corridoio, si mostrò una figura china, poggiata con difficoltà ad un bastone. I lineamenti del viso delineavano durezza e grande frustrazione.

"Stavi curiosando, ragazza, eh?! Non ti hanno insegnato l'educazione!"

Era più veloce di quanto potesse sembrare e la raggiunse in qualche secondo.

"Io... io-"

"Cos'hai visto?! Cosa vuoi da me?! Cosa volete tutti da me?!"

"Io... io sono, sono solo la nuova babysitter"

A quelle parole l'uomo sembrò calmarsi un po'. Era stato spaventoso e solo ora Isabel riprese a respirare. Era come se volesse nascondere qualcosa, ma non solo a lei, a quanto parte qualcun altro era già stato lì.
Simon Brown, Simon Brown, Simon Brown. Ripeté più volte quel nome: sapeva di averlo già sentito ed era anche qualcosa di importante.

"Beh, allora..." riprese l'uomo, "farai meglio a restare solo la nuova babysitter"


𝒂𝒖𝒕𝒉𝒐𝒓'𝒔 𝒏𝒐𝒕𝒆 . . .
prima di tutto, mi scuso tantissimo per il ritardo, ma la scuola ha già iniziato a farsi sentire, purtroppo.
capitolo un po' diverso; si tratta più che altro dell'introduzione a due trame che si svilupperanno come sfondo nella storia. ovviamente la principale sarà quella con Steve, che andrà avanti nel resto dei capitoli, ma ce ne saranno molte altre meno importanti. spero vi possano piacere e che queste due introduzioni vi abbiano incuriosito.
fatemi sapere, un grande saluto <3

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