The fortune teller
«Benvenuti, benvenuti, miei cari. Sono lieta di apprendere che esistono ancora studenti abbastanza cauti da non ignorare i nefasti presagi che ci compaiono di fronte ogni giorno. Molti in questo castello si mostrano scettici riguardo la nobile arte della Divinazione, ma quello che non sanno è che saranno i primi a lasciarci...»
È solo una materia senza capo né coda, avrebbe detto la Gran...
La Mezzosangue.
Non farlo Draco, non addentrarti nel territorio nemico...
Me ne stavo stravaccato su una poltroncina imbottita verde, nell'angolo più remoto dell'aula della professoressa Cooman, storcendo di tanto in tanto il naso a causa del nauseante odore di incenso, sempre categoricamente acceso, misto ad una sfumatura di sherry scandente, e interrogandomi su cosa mai avessi fatto di male nella vita da meritare una simile condanna.
Avevo sempre odiato Divinazione, la consideravo una materia inutile e priva di fondamenta, una branca assai imprecisa del mondo della magia, e detestavo ancora di più l'insegnante occhialuta che teneva le lezioni: tutto di lei mi infastidiva, dalla sua ossessiva abitudine di fiutare orribili disgrazie ovunque, al tintinnio irritante di braccialetti e collane di perline di vetro che la accompagnava ogni volta che si muoveva.
Per non parlare dell'aula in cima alla Torre Nord... Già dall'ingresso si poteva intuire che non era affatto ordinaria come tutte le altre: al posto di una tradizionale porta figurava una botola stretta sul soffitto, alla quale si poteva accedere tramite una scala a pioli che compariva solo se chiamata; all'interno, la stanza ospitava almeno venti tavolini rotondi, tutti circondati da poltroncine foderate di chintz e piccoli, grassi sgabelli. Il tutto era illuminato da una bassa luce scarlatta; le tende alle finestre erano tirate, e le numerose lampade erano drappeggiate con sciarpe rosso scuro. C'era un caldo soffocante e il fuoco che ardeva nel camino lambendo un grosso bollitore di rame emanava un profumo intenso, quasi malsano. Gli scaffali che correvano tutto attorno ai muri circolari erano stipati di piume impolverate, mozziconi di candele, scatole di vecchie carte da gioco, innumerevoli sfere di cristallo argentate e una gran varietà di tazze da tè. La parola d'ordine per descrivere il tutto era senza dubbio stravaganza. Per due anni avevo dovuto frequentare le lezioni della Cooman per obbligo scolastico, dal momento che gli studenti avevano la possibilità di abbandonarla solo una volta conseguito l'esame G.U.F.O. Arrivato al sesto anno, in teoria avrei avuto tutto il diritto di dire addio a quel mondo pacchiano e insopportabile, ma purtroppo il famoso destino al quale la professoressa Cooman era tanto devota e a cui io non credevo minimamente si era dimostrato piuttosto crudele nei miei confronti.
Un'altra delle tante imposizioni che avevo ricevuto non appena ero stato Marchiato riguardava proprio la Divinazione: Voldemort era ancora molto adirato con mio padre a causa del suo fallimento all'Ufficio Misteri, la Profezia che parlava di Lui e dello Sfregiato si era rotta e non aveva fatto in tempo ad ascoltarla prima che andasse perduta. L'importanza vitale che quella piccola sfera di vetro doveva possedere era percettibile, a giudicare dalla rabbia e dalla preoccupazione malcelata che l'Oscuro Signore aveva mostrato quando era venuto a conoscenza dell'enorme insuccesso dei suoi Mangiamorte... L'unico modo possibile per venire a conoscenza di quanto detto nella Profezia sembrava scomparso per sempre, ma a quel punto Piton aveva rivelato di sapere per certo chi fosse l'autrice della Profezia, l'unica in grado di fornire informazioni precise al riguardo. Allora tutto era diventato chiaro, riuscivo addirittura a giustificare la presenza altrimenti inutile della Cooman ad Hogwarts: Silente cercava di proteggerla, e allo stesso tempo di ottenere da lei garanzie sul suo pupillo, probabilmente si era accorto che, nonostante i tre quarti di quello che usciva dalla sua bocca fossero vere e proprie fandonie, quella donna possedeva in casi eccezionali un minimo di preveggenza. Serviva quindi qualcuno, un infiltrato, che riuscisse ad interrogare la Cooman e scoprire qualcosa di più su quella Profezia senza dare troppo nell'occhio, e chi meglio del figlio di Lucius Malfoy, che guarda caso studiava ad Hogwarts? Ovviamente non avevo potuto oppormi, a meno che non volessi ritrovarmi sotto l'effetto di una Maledizione Cruciatus, nel migliore dei casi, ed ero stato costretto ad aggiungere Divinazione al mio orario, come se non avessi avuto niente di meglio da fare...
Mi ero informato sull'argomento, avevo consultato diversi volumi della biblioteca di mio padre, e sapevo per certo che l'autore di una profezia non sarebbe mai stato in grado di ricordarla, neanche un secondo dopo averla pronunciata. Coloro che possedevano la Vista, quando la esercitavano, erano soliti cadere in uno stato di trance talmente profondo che, al risveglio, era impossibile conservare memoria di quanto accaduto; perciò la Cooman non mi sarebbe stata di nessun aiuto, e molto probabilmente il Signore Oscuro ne era al corrente... Le possibilità erano due: o quella profezia era talmente indispensabile da indurlo a tentare comunque, oppure, ed ero più proiettato verso quest'ipotesi, cercava solo l'ennesimo pretesto per costringermi a fallire miseramente di fronte al male.
Perché, perché proprio a me?
«Professoressa, cosa studieremo oggi d'interessante?»
Lo squittio acuto e improvviso di Calì Patil, seduta sul bordo di un pouf rosa molto vicino alla comoda poltrona della Cooman, mi fece trasalire e mi ricondusse bruscamente alla realtà, seppur per pochi minuti.
«Oh, mi piacerebbe moltissimo imparare la litomanzia, sarebbe magnifico!» trillò Lavanda Brown, contemplando con sguardo adorante quella vecchia impostora.
«In effetti è un'arte affascinante, e non mi stupisce che proprio tu, mia cara, sappia di cosa si tratta, ma non siete ancora arrivati ad un livello tale da poter predire il vostro incerto futuro tramite l'analisi delle pietre preziose...»
Idiozie, avrebbe detto la Grang...
La Mezzosangue.
Attento, Draco...
Dirottai ostinatamente l'attenzione sul primo rumore udibile, i grugniti assonnati di Tiger e Goyle appena dietro le mie spalle: ero stato io, a mia volta, a costringerli a frequentare quel corso, perché non avrei sopportato di ritrovarmi intrappolato lì per un'ora da solo...
Apparentemente, loro erano con me.
Effettivamente, proseguivo la mia lotta contro la morte come al solito.
Da solo.
«...Quest'oggi, miei cari, vi parlerò di un metodo di divinazione molto particolare, che si effettua tramite la consultazione dei tarocchi: la cartomanzia.»
«Ma professoressa,» l'interruppe Calì con gli occhi sbarrati. «Non sarà troppo complicato?»
«Lo è, certo, richiede un'apertura mentale che purtroppo non tutti possiedono... Ma tentar non nuoce, è sempre meglio essere pronti in questi tempi duri, la fine potrebbe essere più vicina a voi di quanto sospettiate... E ora, prima di passare alla pratica, lasciate che vi trasmetta alcune informazioni teoriche, essenziali per la buona riuscita della Lettura, che potete trovare anche a pagina 272 del vostro libro di testo, "Svelare il futuro".
Il principio base della cartomanzia si basa su un motto dell'alchimia: "Come sopra così sotto", intendendo il "sopra" come il grande universo metafisico, e il "sotto" come la realtà fisica del mondo intorno a noi...»
Non vorrete credere a queste sciocchezze, avrebbe detto la Granger...
La Mezzosangue.
No, Draco...
Tornai ad estraniarmi dal resto della classe, cercando di impedire alle mie orecchie di continuare a seguire quel dialogo privo di senso tra l'insegnante di Divinazione e le uniche due alunne che le erano devote, e al mio cuore di concentrarsi sul battito frenetico che ne prendeva possesso ogni volta che inconsciamente mi ritrovavo a pensare a lei.
Dannazione, non ci riuscivo! Non riuscivo a smettere di agganciarmi a quel filo illogico che conduceva inevitabilmente in un campo minato, proibito, sbagliato... A lei, al bacio.
Anzi, ai baci, ormai dovevo abituarmi a parlare al plurale, ce n'era stato più d'uno, e stavolta per colpa mia: non succederà mai più, mi ero detto, saprai controllarti, mi ero imposto.
La vorrai come nessun'altra, avevo azzardato. E alla fine era stato l'istinto a prevalere.
Sbagliato, sbagliato! perché diavolo mi comportavo da vulnerabile? perché l'avevo fatto davanti a lei? Mi ero venduto, avevo barattato metà della mia Felix e la possibilità di schiavizzare la Mezzosangue con un bacio, un bacio...
Inutile cercare di convincermi che fosse tutto uno stratagemma, un meccanismo studiato e perfezionato in modo tale da rompere le barriere e arrivare alla soluzione, alla dissolvenza di tutti i miei problemi con l'Armadio Svanitore, sarei risultato poco credibile anche al più sprovveduto.
Il motivo reale era un altro, lo sapevo benissimo. Volevo libertà, volevo provare un'ultima volta la sensazione di essere onnipotente prima di accettare del tutto l'appartenenza ad una presenza più grande, più forte di me. La mia vita ormai era sospesa in una sorta di limbo fra l'ideale e il reale, ogni esperienza avrebbe potuto assumere le sembianze di un'enorme "ultima volta", e non avrei dovuto lasciarmi sfuggire neppure il minimo particolare.
Quest'intenzionalità, più che giustificabile, mi coglieva spesso impreparato, in modo tale da non concedermi neppure un secondo di tempo per innalzare una protezione, per nascondermi dietro al muro della superbia affinché non potesse trovarmi. Così era successo appena poche sere prima, quando lo stravagante fantasma di Mirtilla Malcontenta aveva iniziato a blaterare; era stato allora che avevo pensato alla Mezzosangue, a quando lei per prima aveva abbassato le difese e mi aveva permesso di penetrare per pochi istanti nel suo mondo. Ancora non concepivo il perché si fosse spinta a tanto, ancora non mi importava, da egoista riuscivo solo a ricordare il piacere assoluto che avevo provato, l'indipendenza che tanto agognavo... Ne avevo ancora un bisogno enorme, e mi ero ritrovato a contrattare miseramente con me stesso, a ripetere nella mia mente la parolaeccezione: mi sarei concesso uno strappo alla regola, una piccolissima trasgressione che però avrebbe portato solo maggiore fiducia e sicurezza.
L'ultima volta.
Mi sbagliavo.
Avevo percepito la sua presenza, in biblioteca, quel fresco aroma di violetta, e subito l'autocontrollo era andato a farsi fottere, il mio unico impulso era stato quello di prenderla, sbatterla contro la parete di carta e inchiostro, e poi...
Cosa?
Magari avessi potuto parlare di sesso come al solito, sarebbe stato tutto molto più semplice...
Non si tratta solo di sesso.
Il problema risiedeva proprio in quella prima volta, la prima volta che mi ritrovavo a desiderare altro: sentivo che la Mezzosangue possedeva qualcosa in più, un segreto gelosamente custodito che era restia ad elargirmi, ma che io pretendevo. Sì, lo pretendevo, e l'avrei avuto, ormai era una questione di puntiglio, di ostinazione. perché quella luce, quel fuoco di cui lei disponeva, non mi ero mai imbattuto in niente di lontanamente simile, e volevo che ardesse per me.
Potevo però affermare di conoscerla abbastanza da dominare la mia lussuria: sapevo, infatti, che se l'avessi subito assalita avrei ottenuto solo l'effetto contrario, magari mi avrebbe schiaffeggiato o insultato, e la voglia fisica sarebbe rimasta del tutto inappagata.
C'era voluta un'enorme forza di volontà che non speravo neppure di possedere per ostacolare quel fervore così travolgente, per padroneggiare quello stimolo proveniente da chissà dove, ma anche lei provava lo stesso, le scariche d'energia che trasmetteva il suo corpo erano palpabili nell'aria, quasi pari alle mie, e non avevo potuto fare a meno di chiedermi, a metà fra il preoccupato e l'impaziente, cosa sarebbe successo quando si sarebbero scontrate. Probabilmente, l'effetto sarebbe stato pressoché identico a quello causato da un incantesimo di Incendio: devastante, letale, asfissiante.
Passionale.
Giocando con il fuoco, ci si brucia.
Fuoco. Lo stesso fuoco di cui si erano imporporate le sue gote di porcellana non appena mi ero poggiato su di lei con lo sguardo. Chissà cosa pensava... Così forte, eppure così fragile da arrossire di fronte a me, al suo rivale d'infanzia; ma bambini non lo eravamo più.
«Non avevo altra scelta, se non avessi fatto ciò che mi chiedevi, tu avresti raccontato in giro che noi...»
«Che noi cosa?»
Noi.
L'uso di quel semplice pronome personale mi aveva spiazzato: possibile che la Mezzosangue fosse convinta che esistesse un "noi"? Se credeva che... aveva capito male...
C'eravamo solo io, lei, e quell'irrefrenabile, perversa attrazione che mi assaliva ogni dannata volta in cui mi immergevo nelle sue pozze d'ambra. Senza volerlo, mi ero ritrovato a patteggiare con lei, pur di affrettare le cose e arrivare presto al dunque avevo lasciato che accadesse: avevo ceduto. Mi ero arreso alla Granger senza neppure discutere, senza nemmeno provare a far pendere l'ago della bilancia dalla mia parte, ero stato orribilmente, disgustosamente equo, solo per un bacio. Non uno qualunque, però: il suo. Se avessi potuto, avrei scambiato tutta la Felix Felicis del mondo per...
Sei impazzito forse? Tu la odi, lei non...
Mi massaggiai metodicamente le tempie con gli indici, cercando inutilmente di alleviare il dolore lancinante che vibrava nella mia testa, colpa del tarlo fastidioso che vi si era insinuato e che aveva iniziato a scavare sempre più in profondità nella melma dei miei ragionamenti. Futili, tra l'altro. Serviva forse a qualcosa chiedermi quando e perché quel terribile incubo si era fatto strada dentro di me? Mi sarei sentito meno in colpa se avessi continuato a tirare fuori cazzate per giustificare ciò che avevo fatto? Le emozioni che avevo avvertito attimo dopo attimo, sarebbero scivolate via?
No.
Preferivo la nuda e cruda verità, preferivo ammettere di aver desiderato davvero la Mezzosangue in quel momento, di detestarla ora per il medesimo motivo, di essere in parte grato al lato folle di me stesso che mi aveva indotto a cercare un rifugio fra le sue braccia.
Quelle braccia, così forti, così sicure. perché la Mezzosangue non aveva esitato, perché non si era mostrata insicura? Per me sarebbe stato diverso, avrei ritrovato più facilmente la lucidità, e forse sarei riuscito anche ad umiliarla, a proteggere quel che rimaneva della mia ormai mutilata reputazione... Invece lei di dubbi non ne aveva, e neanch'io, in quel momento: volevo solo stringerla, respirarla come fosse aria pura, assaporarla come il più delizioso dei cibi, distruggerla solo per poterla poi ricomporre.
Perché ne ho bisogno. E ti voglio.
Fuoco.
Fuoco nei suoi occhi sinceri, nelle sue mani delicate, nelle sue labbra smaniose. Non avrei mai sospettato che potesse esserci tanto fuoco nell'algida, irritante, irraggiungibile Granger, totalmente differente dagli aliti di vento gelido che spiravano dentro di me...
Mi inumidii lievemente la bocca con la punta della lingua, nel tentativo di cancellare il sapore invitante della sua, e mi scontrai con il segno ancora fresco della minuscola ferita che mi aveva inferto con automatica foga. Quel gesto impulsivo, anziché inasprirmi come avrebbe dovuto, mi aveva scaldato ancora di più compiuto da lei, da quella leonessa che perfino in una situazione del genere sentiva la necessità di rimarcare la sua fierezza di Grifondoro; voleva mettere in chiaro che non si sarebbe lasciata sottomettere facilmente, ed io ero impaziente di domare quel puledro selvaggio, una combinazione azzardata.
Chi dei due avrebbe ceduto per primo?
La risposta era chiara.
Non saremo mai più pari.
Continueremo a restituirci il favore.
Vuoi?
Una parola, due lettere, una valanga di aspettative.
Sì.
«Non hai lezione adesso, signor Malfoy?»
Sì. Aveva detto sì.
«Signor Malfoy?»
Che cazzo ho combinato?
«Qualcosa non va, mio caro?»
Una mano rugosa e ossuta dalle dita lunghe e affusolate ricoperte di anelli di poco valore si era poggiata cautamente sulla mia spalla destra, e ora tentava di risvegliarmi dalla confusione in cui ero capitolato. Per qualche secondo rimasi immobile, scrutando il vuoto e schiudendo di tanto in tanto le labbra, poi la vidi: a pochi centimetri di distanza da me c'era la professoressa Cooman, con uno sguardo sinceramente preoccupato e un'espressione che stava a dimostrare quanto sperasse che uno dei suoi studenti stesse per comunicare con l'Occhio Interiore. Mi guardai intorno confuso, ritrovando al proprio posto tutto quello che avevo momentaneamente abbandonato quando mi ero perso nei ricordi e nelle riflessioni, con l'unica differenza che i miei compagni si erano dileguati nel nulla.
«Che cosa... Dove sono tutti?» chiesi disorientato.
«Sono scesi, caro. La lezione è finita, non te ne sei accorto?»
Come, finita? Possibile che il tempo mi fosse sfuggito dalle mani con tanta rapidità? Solitamente l'ora di Divinazione sembrava durare sempre più del dovuto, invece era bastato concentrarsi su altro per far sì che scorresse più in fretta...
Rabbrividii nel ricordare la natura infida e straordinaria di quell'altro.
«Qualcosa ti turba, forse?»
Quelle parole mi risuonarono nel petto, distanti, eppure traumatizzanti, capaci di rievocare un'infinità di stimoli e di sensazioni.
«Io... No, assolutamente, va tutto...»
Male.
Prima che potessi proseguire con il mio arrancare scuse e bugie, la professoressa Cooman agitò la bacchetta con tanta frenesia che per poco non mi cavò un occhio: le luci della stanza, già soffuse e limitate, si abbassarono quasi fino a scomparire, l'odore ributtante di incenso si intensificò e sul tavolino di fronte a me apparve, affianco alla sfera di cristallo, un mazzo di carte polverose e rovinate.
«Ti sei perso?»
«Come, scusi?»
La follia di quella donna mi disorientava, le sue domande insensate riuscivano solo a risultare assillanti, e non avevo tempo da sprecare dietro a quei discorsi illogici, ero solo impaziente di uscire al più presto da quell'aula e dedicarmi a questioni più urgenti.
Per esempio, la Stanza delle Necessità.
Per esempio, la Profezia.
Per esempio...
No, quello no.
Per esempio trovare la Mezzosangue e riprendere da dove ci eravamo interrotti.
«Lascia che legga io le tue carte, talvolta è meglio affidarsi ad una cartomante più esperta per ritrovare la strada...»
«Sono in ritardo, io...»
«Oh, io non credo che la professoressa Sprite arriverà in orario, problemi con le sue Giunchiglie Strombazzanti. Siediti, per favore.»
Mi posizionai di fronte a lei senza controbattere, nonostante non credessi affatto alle scempiaggini di cui la Cooman mi stava riempiendo c'era qualcosa che mi imponeva di restare, di ascoltare ciò che aveva da dirmi per poi poterlo classificare come bugia con maggiore sicurezza. Forse era la disperazione, forse il panico crescente, che mi spingevano per la prima volta in assoluto ad addentrarmi nel mondo della Divinazione, fatto sta che la curiosità prese il sopravvento.
Nel frattempo notai che, con un nuovo e più lento movimento di bacchetta, Sibilla Cooman aveva fatto in modo che i tarocchi magici si mescolassero da soli e formassero una pila più ordinata; non l'avevo mai vista eseguire un incantesimo, e la cosa mi sorprese.
«Ti avverto, però: è sempre meglio essere cauti quando si tratta della cartomanzia, avrai la possibilità di conoscere vari aspetti del tuo futuro, ma allo stesso tempo potresti rimanere devastato nello scoprire che questi aspetti sono negativi. Sei comunque deciso a continuare?» mi domandò con una voce leggermente più velata del solito e uno sguardo ammonitore che mi agitò; si era calata piuttosto bene e in fretta nella parte della cartomante, dovevo ammetterlo.
«Gradirei che si sbrigasse, ho una lezione.» risposi subito, per dimostrarle che non avevo paura di lei né delle sue stupide carte logore e per sottolineare ancora una volta il mio scetticismo al riguardo, se mi trovavo lì non era certo per convinzione... La Cooman però non sembrò infastidita dal mio comportamento arrogante come avrebbe potuto esserlo la maggior parte dei professori, si limitò a sbattere più volte le ciglia contro le lenti spesse degli occhiali ingombranti e a scrutarmi più attentamente, quasi a voler scorgere un particolare misterioso che prima le era sfuggito.
«Bene. Iniziamo, allora. Segui le mie istruzioni: prendi una carta e mettila qui...»
Scelsi a caso una delle carte e la posizionai malamente sul punto che mi era stato indicato, dandomi dello stupido per essermi lasciato trascinare in un rito babbano e inutile.
«Ora prendine un'altra, e mettila qui...»
Dovetti ripetere l'operazione per quattro volte, finché non mi ritrovai di fronte uno schema a foggia di rombo: non avevo seguito neanche per un minuto la lezione, però ne sapevo abbastanza da intuire che era arrivato il momento della vera e propria lettura. Deglutii, sentendomi più nervoso e impaziente di quanto avrei dovuto.
«Mostrerò le carte una ad una, girandole in senso orario, e a seconda dell'immagine che apparirà saprò indicartene il significato esatto. Partiamo da questa...»
La Cooman ruotò la carta alla mia destra, inscenando un lieve tremore che le si addiceva perfettamente: rivelò la figura di un giovane ragazzo con le mani legate dietro la schiena, che si trovava ancorato al pavimento per la caviglia destra tramite una corda legata ad una trave.
«L'appeso.» decretò concentrata la professoressa Cooman. «Se rovesciata, indica un'inversione degli schemi, un sacrificio o un mutamento, la scelta per una vita alternativa, il confronto con un momento pieno di dubbi e di paure.»
Socchiusi le palpebre, mentre il ritmo del mio cuore accelerava autonomamente di un decimo, e mi mossi in maniera impercettibile sul bordo della poltroncina di vimini.
Inversione degli schemi.
Da quando ero stato Marchiato, la mia vita aveva assunto una piega completamente diversa rispetto a quella che conducevo prima, ogni equilibrio era stato sconvolto da quell'importante avvenimento, io ero cambiato.
Sacrificio.
Ero diventato un Mangiamorte. Mi ero immolato per la mia famiglia, ero stato costretto a farlo, o entrambi i miei genitori sarebbero stati spacciati, insieme a me; nessuno poteva tirarsi indietro di fronte alle richieste del Signore Oscuro, neppure il più abile dei suoi seguaci.
Dubbi e paure.
Non c'era neppure bisogno di interpretare quest'aspetto.
Dopo avermi concesso qualche minuto di riflessione, la Cooman si apprestò a mostrare la seconda carta, quella più in basso: al centro dominava una torre colpita da un fulmine, che doveva aver fatto cadere la corona che si trovava sulla sua sommità. La torre era in fiamme e lo si poteva notare anche dalle tre finestre. Due persone in primo piano precipitavano inesorabilmente, mentre cadeva anche una pioggia di scintille provocata dal fulmine.
La scena era inoltre circondata da uno sfondo scurissimo, quasi inquietante.
«La torre. Nei tarocchi prende il significato di un cambiamento davvero improvviso, sconvolgente e che per questo porterà ad una vera e propria distruzione di quello che c'era prima per portare a qualcosa di totalmente differente. Indica l'inizio di una vita nuova rispetto a quella condotta in precedenza.»
Sembrava semplicemente una conferma più dettagliata a quanto mostrato dalla prima carta, della quale avevo già dimenticato il nome, con un'unica, sottile parola di differenza.
Distruzione.
Era forse possibile riconoscerla come positiva?
Eravamo già alla penultima delle quattro carte, e il peso che portavo all'altezza del petto continuava ad intensificarsi minuto dopo minuto: forse si trattava di puro risentimento, visto che quella lettura non si stava dimostrando poi così errata, riuscivo a riconoscermi nelle spiegazioni secche e precise della Cooman.
Ma probabilmente si trattava solo di una casualità, di una coincidenza...
Impiegai qualche istante per rendermi conto che, alla mia sinistra, era comparsa una nuova immagine rovesciata: al centro si trovava un uomo, affiancato ad entrambi i lati da due donne, una bionda e una bruna.
«Gli amanti.»
Sussultai senza un apparente motivo, come se la poltrona avesse improvvisamente preso fuoco sotto di me: non avevo la necessità di conoscere il significato esatto di quella carta, il suo nome parlava da solo, ed inesplicabilmente mi sorpresi ancora una volta a pensare alla Mezzosangue-Granger, al suo tocco rovente, al suo profumo fatale...
«Preannuncia una scelta che può portare a risultati opposti fra loro; invita le persone a fare una profonda riflessione per capire bene quale strada intraprendere e quale decisione portare avanti con coraggio. Solitamente queste scelte riguardano la sfera amorosa, ma se estratta a rovescio allora non presagisce niente di buono per i due amanti...»
La voce della Cooman continuava a vibrare apatica per tutta la stanza, ma non aveva idea di quanto mi stesse turbando con quelle predizioni negative e pessimiste.
È solo una coincidenza, solo una coincidenza...
Rimaneva un'ultima carta, quella più in alto: esitando, l'insegnante di Divinazione la mostrò:
uno scheletro indossava un'armatura e si trovava sopra di un cavallo bianco. Con una mano tratteneva uno stendardo nero dove veniva raffigurato un fiore bianco a cinque petali.
Di fronte a lui si trovava un sacerdote insieme a due bambini mentre sotto il cavallo si poteva scorgere il corpo senza vita di un re senza corona. La sola vista di quell'immagine mi tolse il respiro, come un brutto presentimento.
La Cooman invece lanciò un gridolino strozzato, portandosi le mani alla bocca e fissandomi come se al mio posto avesse trovato un cadavere. D'improvviso, capii che quella era forse la carta peggiore che avrei potuto pescare dal mazzo, e sentii una morsa ferrea allo stomaco quando la professoressa mosse cautamente le labbra per pronunciare il terribile verdetto, la conclusione tremenda di un futuro pessimo.
È solo una coincidenza, solo...
«La Morte.»
La verità.
Non riuscii a sentire più niente. né l'odore soffocante di incenso bruciato, né le parole funeste della cartomante, neppure la percezione del respiro della Granger sulla mia pelle.
Niente.
Solo il vuoto.
Perché ci credevo, perché davo ascolto a quelle cazzate? Tutti all'interno del castello sapevano che la Cooman amava particolarmente le catastrofi, e che era sua abitudine predire la morte di uno studente almeno due volte al giorno, quindi avrebbe benissimo potuto decidere che quel giorno era il mio turno e falsificare le carte in modo che uscisse un quadro disastroso...
«Caro...»
Per la seconda volta mi poggiò una mano sulla spalla, forse credendo di essere d'aiuto e non accorgendosi di provocare solo l'effetto contrario. Mi alzai di scatto, desideroso di lasciare quell'aula il più presto possibile e cancellare così la sensazione di vuoto e di paura che mi opprimeva.
«Io ti avevo avvertito, ti avevo detto che avrebbe potuto farti del male...»
«Stia zitta!» gridai, in preda al terrore e alla nausea. «Voglio che sappia che non ci credo, non mi importa niente di lei né delle sue carte, mi lasci in pace!»
Quasi correndo, mi diressi verso la botola chiusa che conduceva all'uscita, ma proprio quando stavo per spalancarla dal fondo della stanza provenne un gemito straziante, anormale e spaventoso, che non poteva che appartenere alla Cooman.
Una voce alta e dura parlò alle mie spalle.
«Non funzionerà.»
Mi voltai: la professoressa Cooman si era irrigidita, con lo sguardo perso e la bocca tremante.
«Come ha detto?»
Ma lei parve non sentirmi. I suoi occhi si rovesciarono, sembrava che stesse per avere una specie di attacco; esitai, pensando di correre fino all'infermeria. Poi la professoressa Cooman parlò di nuovo con quella voce dura, così diversa dal solito.
«Non funzionerà. Purosangue lui, Mezzosangue lei, il loro odio si tramuterà in una passione senza confini, da nemici ad amanti saranno convertiti. Ma neppure la potenza del loro amore potrà sconfiggere il veleno del serpente, uno dei due verrà sacrificato, il suo sangue innocente sarà versato. Non manca... molto... alla... fine...»
La testa le ricadde sul petto. La Cooman emise una sorta di grugnito, poi, all'improvviso, la sua testa si rialzò.
«Mi dispiace tanto, caro ragazzo. La sorte non è stata molto benevola, con te...»
Continuai a guardarla con sgomento, mentre lei si guardava intorno come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno.
Come se non ricordasse nulla di ciò che aveva appena detto.
«C'è qualcosa che non va, mio caro?»
«Lei... lei mi ha appena parlato di... due amanti. Ha detto qualcosa su un serpente, del sangue, e poi...»
La professoressa Cooman parve decisamente stupita.
«Amanti? Sangue? Sicuro di non esserti assopito? Magari eri sconvolto, o stanco, non so... Comunque la professoressa Sprite ti sta aspettando, meglio che tu vada.»
Scesi per la scaletta. Stupefatto: se non mi sbagliavo di grosso, avevo appena ascoltato la professoressa Cooman formulare una vera profezia, a meno che non avesse solo pensato di concludere la Lettura con una scena impressionante... Peccato che non avessi minimamente compreso il significato di quelle brevi frasi sconclusionate e scollegate fra loro...
«Draco!»
Alzai gli occhi al cielo, riconoscendo immediatamente quella voce stridula e fastidiosa: Pansy Parkinson, una delle rare persone che riusciva ad irritarmi anche solo pronunciando il mio nome, aspettava ai piedi dell'ultimo gradino, con una pergamena arrotolata in mano e un'espressione raggiante. Non mi interessava ciò che aveva da dirmi, né il motivo per cui era tanto esaltata, volevo stare solo, ma evidentemente lei non era di questo avviso.
«Ho incontrato il professor Lumacorno, che mi ha chiesto di consegnarti questo. È un invito alla festa privata che si terrà il primo di Ottobre nel suo ufficio.» anticipò, prima che potessi leggere il contenuto del messaggio.
«Accidenti, Pansy! Non sopporto che qualcuno apra la mia posta prima di me, fallo ancora e te ne pentirai.» sbottai, mentre nei suoi occhi si intravedeva uno spiraglio di delusione misto a risentimento.
«Tutta la scuola ne parla, ovviamente, ed ero curiosa di sapere se Lumacorno ti avrebbe invitato...»
«Certo che mi ha invitato, sono un Malfoy.» ribattei con convinzione, anche se in quel momento avevo ben altro a cui pensare che alla festa di quel vecchio...
«Dicono che sarà davvero bello. Peccato che non possa andarci... Tu chi porterai con te?» mi chiese, fingendo indifferenza senza troppi sforzi per risultare convincente; sapevo benissimo che il suo intento era sempre stato quello di ricevere da me la proposta di accompagnarmi, ma io non ero intenzionato a concedergliela, né a lei, né a nessun'altra.
«Io non andrò alla festa. Ho cose più importanti a cui pensare.»
Pansy si adombrò, e sfoggiò in ogni modo la sua delusione, proseguendo con chiacchiere alle quali non prestai minimamente attenzione.
«Non puoi non andarci! Perfino la Mezzosangue è stata invitata, si vocifera che abbia invitato McLaggen e...»
«Chi, scusa?» chiesi, improvvisamente interessato agli sproloqui della mia invadente compagna di casa.
«Cormac McLaggen, il Grifondoro che è arrivato secondo alle selezioni di Quidditch e che tutti adulano in maniera spudorata.» ripeté, fornendomi ulteriori particolari.
«Non capisco come un ragazzo tanto popolare e attraente possa interessarsi a quella Sanguesporco...» aggiunse poi, sperando di guadagnare il mio appoggio e non notando i miei pugni stringersi con forza.
Cormac McLaggen, eh?
Perché provavo il desiderio irrefrenabile di correre a cercarlo e farlo fuori con un'Avada Kedavra?
È bello e popolare.
Non si tratta di questo...
È stato invitato alla festa prima di te.
Nemmeno...
Ci va con la Mezzosangue.
Ecco.
L'idea di uccidere non mi faceva più tanto ribrezzo, ora... Mentre passavo in rassegna i modi migliori per torturare quella sottospecie di Doxy senza essere notato, un'altra idea folgorante mi attraversò la mente.
«Ho cambiato idea. Vieni alla festa con me, Pansy?»
«Come? Oh... Sì, certo!»
Pansy scambiò il mio ghigno soddisfatto per compiacimento, non poteva immaginare di essere solo uno dei tanti strumenti dei quali mi sarei presto servito; il solo pensiero di sapere la Granger insieme a qualcun altro senza poterla controllare a vista risvegliava i miei istinti omicidi, perciò comprendevo che sarebbe stato meglio per tutti intervenire.
Nessuno doveva avere una tale influenza su di me.
Pagherai la tua attrattività, Mezzosangue.
♥
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro