Nightmare and love potions
Salvami, ti prego...
Mi trovavo in una grande stanza circolare. Tutto era nero, pavimento e soffitto compresi; nelle pareti nere si susseguivano a intervalli regolari porte nere tutte uguali, prive di contrassegni e maniglie, e fra l'una e l'altra ardevano grappoli di candele dalle fiammelle azzurrine; la fredda luce tremolante riflessa nel lucido pavimento di marmo dava l'impressione di camminare su una pozza di acqua scura. L'unico rumore echeggiante nell'aria umida era quello del mio respiro, dalla mia bocca di tanto in tanto fuoriuscivano sbuffi di quello che sembrava fumo, e la mia pelle era leggermente arrossata per il freddo.
Osservai la dozzina di porte di fronte a me, cercando qualcosa di ignoto, intanto quella voce disperata continuava a risuonare nella mia testa, l'eco delle sue grida era talmente forte e chiaro che era come se si trovasse proprio lì, affianco a me. Non sarei riuscita a mantenere la mente fredda ancora a lungo, non con quell'entità misteriosa che mi urlava di liberarla dalla sua prigione misteriosa.
Mentre tentavo di decidere quale fosse la porta giusta udii un forte rombo e le candele cominciarono a muoversi: la stanza circolare stava ruotando. Cercai immediatamente qualcosa a cui aggrapparmi, come temendo che anche il pavimento si mettesse a girare; invece non fu così. Per qualche istante, mentre il moto accelerava, le fiammelle azzurre attorno a me si confusero fino a somigliare a lunghi tubi al neon, finché, di colpo com'era iniziato, il rombo si spense e la stanza si fermò. Avevo ragione di ritenere che tutto ciò servisse a non farmi ritrovare la porta da dov'ero entrata, ormai riconoscerla era impossibile quando scorgere una formica sul pavimento nero; per di più quella che avrei dovuto varcare poteva essere una qualunque delle tante intorno a me.
Sbattei le palpebre nel tentativo di cancellare le striature azzurrine e strinsi con più forza la bacchetta: avanzai verso la porta che avevo di fronte, poggiai la mano contro la fredda superficie levigata e la spinsi, tenendo la mia arma levata, pronta a colpire.
Il battente girò silenzioso sui cardini.
Dopo il buio pesto dell'altra stanza, le lampade appese a catene dorate fissate al soffitto facevano sembrare la lunga camera rettangolare molto più luminosa, però non c'erano le luci guizzanti e mobili che chissà per quale ignoto motivo mi aspettavo di vedere. La stanza era vuota, a parte qualche scrivania e un'enorme vasca di cristallo al centro, piena di un liquido verde scuro, abbastanza grande perché potessi comodamente nuotarci dentro; vi galleggiavano pigramente diversi oggetti di un bianco perlaceo. Mi feci avanti per scrutare nella vasca attraverso la fiancata, e scoprire così di cosa si trattasse.
Cervelli.
Luccicavano sinistri, fluttuando nel liquido verde, vagamente simili a cavolfiori viscidi; mi ritrassi immediatamente, rabbrividendo per l'orrore, e feci dietro front verso l'uscita, sentendo che non era quello il posto giusto. Rientrai in fretta nella camera circolare: adesso, invece delle fiammelle azzurre, nei miei occhi erano stampate le forme spettrali di quei cervelli. Quel posto era enorme, quali altre mostruosità avrei dovuto trovare ancora?
Prima di chiudermi la porta alle spalle, fui colta da un'idea.
«Flagramus!»
Agitai la bacchetta, e sul battente si impresse una 'X' fiammeggiante. Appena la porta fu sbarrata, si levò di nuovo il boato e di nuovo la parete cominciò a ruotare... Ma fra le strie azzurrine ora spiccava una chiazza rosso-oro, e quando la stanza si fermò, la croce sfavillante ardeva ancora, indicando la porta che avevo già tentato. Soddisfatta, raggiunsi nuovamente la soglia che avevo di fronte e la spinsi, la bacchetta sfoderata e i nervi a pezzi.
Quella stanza, illuminata da una luce fioca, era più grande dell'altra e anch'essa rettangolare, però il centro era concavo e formava una cavità rocciosa profonda poco più di sei metri.
Mi trovavo sulla fila superiore di una serie di panche di pietra che correvano tutt'attorno alle pareti e scendevano sino in fondo alla cavità, ripide come i gradini di un anfiteatro o dell'aula di tribunale del Wizengamot. Invece della tipica sedia con le catene, però, al centro si trovava una piattaforma di roccia sulla quale si ergeva un arco di pietra così antico, rovinato e pieno di crepe che mi meravigliai che fosse ancora in piedi. Privo di pareti che lo reggessero, l'arco era chiuso da una logora tenda nera, una specie di velo che, nonostante l'assoluta immobilità dell'aria fredda tutto intorno, fluttuava come se qualcuno l'avesse appena toccato.
«Chi è là?» domandai a voce alta, scendendo con un salto sulla panca di sotto. Non ottenni risposta, ma il velo continuò a ondeggiare. Saltando da una panca all'altra, proseguii la mia discesa finché non ebbi raggiunto il fondo della cavità e avanzai piano verso la piattaforma, il suono dei miei passi che rimbombava nella stanza. Visto da là sotto, l'arco ogivale sembrava molto più imponente. Avevo la stranissima sensazione che dietro il velo ci fosse qualcuno: stringendo la bacchetta, girai attorno alla piattaforma, ma non c'era nessuno; vidi soltanto l'altro lato del logoro velo nero. Quell'arco, pur vecchio com'era, possedeva una sua bellezza, e quel velo che continuava ad incresparsi mi incuriosiva: provavo l'impulso sempre più forte di salire sulla piattaforma e attraversarlo. All'improvviso, percepii qualcosa: dall'altra parte del velo provenivano sussurri fiochi, mormorii sommessi.
Arretrai di colpo, distogliendo a fatica lo sguardo, mi diressi verso la panca più bassa e mi arrampicai su fino alla porta, chiedendomi se lo strano oggetto che avevo appena visto fosse effettivamente pericoloso e affascinante come sembrava.
Rientrai per la terza volta nella stanza circolare, tracciando un'altra croce scarlatta sulla porta che avevo appena attraversato: di nuovo le pareti ruotarono e si fermarono.
Mi avvicinai a un'altra porta a caso e la spinsi. Non si mosse.
Dev'essere chiusa a chiave...
Feci pressione con tutte le mie forze, invano; puntai la bacchetta contro il punto dove sarebbe dovuta esserci la serratura e mormorai: «Alohomora!»
Niente.
Cominciavo a spazientirmi.
Tracciai l'ennesima 'X' e attesi che la stanza si fermasse: con un senso di disperazione crescente, spinsi un'altra porta.
È questa.
Riconobbi subito la bella luce danzante che brillava diamantina. Mentre i miei occhi si abituavano allo sfavillio, vidi orologi luccicare da ogni parte, grandi e piccoli, pendole e sveglie, appesi fra le librerie o posati sui tavoli allineati. Un ticchettio costante, ritmico, riempiva la stanza, come il suono di migliaia di piccoli piedi in marcia. La luce danzante, simile a uno scintillio di pietre preziose, proveniva da una gigantesca campana di vetro posta su un tavolo al capo opposto della stanza. Con il cuore in gola, sicura d'essere sulla pista giusta, proseguii lungo lo stretto corridoio fra i tavoli e puntai verso la sorgente della luce: la campana di vetro, alta quasi quanto me, che sembrava piena di un turbinoso vento luccicante. Al centro di essa, un uovo minuscolo, luminoso come una gemma, era sospinto in alto dal vortice di luce. Salendo, si dischiuse e ne emerse un colibrì che fu trascinato fino all'imboccatura del vaso, e quando ridiscese con la corrente le piume tornarono rade e fradicie, e una volta che ebbe raggiunto il fondo della campana, era ancora un uovo.
Affascinata, mi fermai ad assistere al ripetersi di quel ciclo infinito per un paio di minuti, ma poi rammentai che ero lì in missione di salvataggio e che non avevo altro tempo da perdere. Qualcuno aveva bisogno di me, e quel qualcuno era molto vicino e molto in pericolo. Mi spostai di fronte alla porta dietro la campana di vetro, e improvvisamente la riconobbi, pur non avendola mai vista prima.
«È questa, è lei.» sussurrai, il cuore che mi batteva così forte e rapido da impedirmi quasi di respirare; fissai quel pannello di vetro ancora per qualche secondo, poi lo spinsi.
Si spalancò.
Ero arrivata, avevo trovato il posto giusto: una stanza alta come una cattedrale, piena di enormi scaffali zeppi di piccole, polverose sfere di vetro che luccicavano scialbe nella luce diffusa dai candelieri fissati in testa agli scaffali. Come quelle della stanza circolare, anche queste fiammelle ardevano azzurrine. Faceva molto freddo.
Mossi qualche passo e sbirciai nel corridoio buio che separava due file di scaffali. Non sentii alcun rumore, e nemmeno scorsi la minima traccia di movimento.
Novantasette. Fila novantasette.
Alzai lo sguardo all'inizio della fila più vicina. Sotto le fiammelle azzurre di un braccio carico di candele scintillava un numero argenteo: cinquantatré. Strizzai gli occhi verso quello successivo, a destra: cinquantaquattro, segno che era quella la direzione da prendere.
Avanzai cauta, guardandomi alle spalle, superando una dopo l'altra file di scaffali le cui estremità lontane svanivano nell'oscurità quasi totale. Piccole etichette ingiallite erano fissate sotto ogni sfera di vetro. Alcune sfere emanavano uno strano bagliore liquido; altre erano opache e scure come lampadine fulminate. Superai la fila ottantaquattro... ottantacinque... Avevo le orecchie tese, pronto a cogliere il minimo movimento, ma la persona che stavo cercando e di cui ignoravo l'identità poteva essere imbavagliata, svenuta... o, disse una voce non richiesta dentro la mia mente, già morta...
L'avrei sentito, replicai in silenzio, il cuore che pulsava contro la gola.
Lo saprei già.
Sollevai lo sguardo, imponendomi di rivolgere l'attenzione sulla mia missione e su dove mi trovavo per evitare di crollare: eccola, fila novantasette. Doveva essere lì in fondo, probabilmente era impossibile vederlo dall'inizio del corridoio, con tutto il buio che c'era... Con la bocca arida e il cuore in gola iniziai a camminare spedita fra le file torreggianti di sfere di vetro; alcune brillarono fioche al mio passaggio.
«Dovrebbe essere qui vicino...» continuavo a ripetere a bassa voce, certa che da un momento all'altro l'avrei visto accasciato sul pavimento oscuro.
«Qui... molto vicino...»
Arrivai in fondo al corridoio ed emersi nella luce velata di altre candele. Non c'era nessuno.
Solo polveroso, echeggiante silenzio.
«Potrebbe essere...» bisbigliai con voce roca, scrutando il corridoio accanto. «O forse...» Controllai quello ancora dopo. Niente.
Avevo la nausea. Non capivo perché lui non era lì. Doveva esserci. Era lì che la sua voce mi aveva condotto... Percorsi in fretta lo spazio in fondo alle file, controllandole una dopo l'altra, superando un corridoio vuoto dopo l'altro. Rifeci la strada di corsa in senso inverso, fino a raggiungere nuovamente la fila novantasette, sperando che nel frattempo si fosse materializzato lì per magia: nessun segno di lui, e nemmeno tracce di lotta.
Sentii gli occhi farsi subito lucidi, la vista annebbiarsi pericolosamente, il corpo cedere al suo stesso peso: all'improvviso quella stanza che prima avevo tanto ammirato diventava soffocante, le decine di migliaia di sfere posizionate una accanto all'altra sembravano stringersi attorno a me, creando un vortice infinito e ipnotizzante. C'era qualcosa di tremendamente sbagliato, qualcosa che stonava: lui non era lì.
Possibile che avessi sognato tutto, che quelle grida tanto disperate fossero solo frutto della mia immaginazione?
Hermione...
Una voce.
Non era la stessa che percepivo nella mia mente e che invocava aiuto, questa voce era più sottile, quasi come un sussurro; ma il silenzio era talmente pulito che avrei potuto sentire rumori a distanza di metri, e quel sospiro proveniva da molto vicino. Mi guardai intorno, cercando la persona che doveva aver pronunciato il mio nome, ma intorno a me continuava a non esserci anima viva. Colta da un'improvvisa intuizione, mi avvicinai alla fila novantasette, passando in rassegna le piccole sfere di cristallo luccicanti: non appena vi fui di fronte, una di esse, che emanava una luce smorzata, anche se era coperta di polvere e non sembrava fosse stata toccata da anni, si illuminò all'improvviso. Sullo scaffale di legno c'era una targhetta dorata, l'unica a non essere arrugginita, come se fosse stata fissata da poco.
«Lumos.»
Avvicinai la bacchetta per poter leggere meglio, e dovetti allungare il collo dal momento che la mia statura era sempre stata piuttosto minuta.
Una calligrafia spigolosa aveva inciso sull'etichetta una data di più o meno sedici anni prima, e subito sotto:
S.P.C.a A.P.W.B.S
Draco Malfoy
e Hermione Granger
La fissai perplessa: che roba era? Per cosa stavano quelle iniziali? E cosa c'entrava Malfoy in tutta quella faccenda?
Hermione...
Mossa dalla curiosità, allungai titubante una mano verso la sfera, nonostante in altre circostanze avrei impedito a chiunque di toccarla, perché avrebbe potuto essere pericoloso, ma c'era il mio nome, e volevo scoprire di cosa si trattasse. Cedendo a un impulso avventato, chiusi le dita sulla superficie polverosa della sfera. Immaginavo che fosse fredda: invece no. Anzi, sembrava che fosse rimasta al sole per ore, come se la tenue luce interna la riscaldasse. Aspettandomi, quasi sperando che succedesse qualcosa di drammatico, qualcosa di eccitante che dopotutto giustificasse il mio lungo, pericoloso viaggio, tolsi la sfera di vetro dallo scaffale e la fissai.
Dapprima non accadde niente di niente. Strofinai nervosamente il vetro per liberarlo dalla polvere, e in quel momento udii nuovamente quel sussurro: proveniva dalla sfera.
La avvicinai all'orecchio per ascoltare meglio quello che all'inizio sembrava solo un mormorio indistinto, e che poi si trasformò in parole udibili, pronunciate niente meno che dalla voce strozzata e agghiacciante della professoressa Cooman.
«Non funzionerà. Purosangue lui, Mezzosangue lei, il loro odio si tramuterà in una passione senza confini, da nemici ad amanti saranno convertiti. Ma neppure la potenza del loro amore potrà sconfiggere il veleno del serpente, uno dei due verrà sacrificato, il suo sangue innocente sarà versato. Non manca... molto... alla... fine...»
«No!»
Spalancai gli occhi, e subito mi accorsi di essere incapace di eseguire qualsiasi tipo di movimento: sentivo le membra intorpidite, ancora addormentate, impreparate ad un risveglio del genere. Spesso mi capitava di avere degli incubi, ma se frugavo tra i miei innumerevoli frammenti di memoria non ero in grado di riconoscere nulla che somigliasse anche solo lontanamente alle reazioni di quel momento. Affondai la testa nel cuscino già zuppo di sudore, cercando inutilmente di arrestare il flusso di lacrime che mi rigavano il viso e di soffocare i singhiozzi sommessi che scuotevano il mio corpo. Perché piangevo, perché avevo urlato? Non riuscivo proprio a ricordare nulla, la mia mente era un enorme buco nero senza fondo, eppure percepivo ancora la paura, la sensazione costante di essere in pericolo mortale.
La certezza assoluta che qualcuno era già morto a causa mia. Non era come quando mi svegliavo dopo un brutto sogno e mi accorgevo che si era trattato solo di immaginazione, stavolta era tutto vero, ne ero sicura. Come lo sapessi, rimaneva un mistero. Qualcuno di importante, di essenziale per me e per la mia stessa sopravvivenza se n'era andato ed io avevo lasciato che accadesse, che mi abbandonasse... Io avevo abbandonato lui. O lei.
Sì, avrebbe anche potuto essere una lei...
«Hermione! Hermione, cos'hai?»
Mi sentii scuotere per un braccio, mentre suoni indistinti mi giungevano ovattati; chissà per quale strano motivo, mi sembrava di aver perso qualsiasi facoltà di parola e di movimento, e a chiunque appartenesse quella voce preoccupata che mi chiamava senza ottenere risposta, io non ero in grado di identificarla. Era tutto così terribile, così vero.
«Hermione parlami, per favore! Perché stai piangendo?»
Sbattei freneticamente le ciglia, cercando un appiglio in quella tempesta di emozioni, qualcosa a cui aggrapparmi e che mi impedisse di finire completamente alla deriva, e tra le lacrime spontanee cercai di distinguere qualcosa.
Rosso fuoco. Fu il primo colore che riuscii a vedere, un colore che sapeva di affetto, di profonda amicizia, di casa.
Rosso come i capelli di Ron.
Solo che di fronte a me non c'era lui.
C'era sua sorella Ginny.
Non capii perché in quel momento mi fosse venuto in mente proprio lui, il mio migliore amico, era avvenuto spontaneamente ed era stato strano, quasi destabilizzante.
«Per Godric, stai male? Devo andare a chiamare Madama Chips...»
Le afferrai con mano tremante un polso sottile proprio mentre si voltava in fretta per uscire di corsa dal dormitorio femminile, i capelli che si muovevano in perfetta armonia con lei, quasi come in una danza.
«No, aspetta...» mormorai con voce roca e spezzata dal pianto: pronunciare quelle due parole mi parve l'impresa più ardua che avessi mai dovuto affrontare, sentivo la gola chiusa e arida, e non avevo idea di cosa dire per tranquillizzare Ginny.
Tranquillizzarla.
Come se fosse stata lei quella ad avere più bisogno di conforto tra le due.
«Sto... Sto bene, sul serio.»
«Ma...» attaccò subito, con il busto ancora mezzo ruotato in direzione della porta: evidentemente stava valutando se darmi retta oppure infischiarsene delle mie giustificazioni e correre subito in Infermeria.
«Aspetta un minuto.»
Feci comparire dal nulla un calice dorato, simile a quelli che utilizzavamo durante i banchetti in Sala Grande, e grazie ad un Aguamenti Non Verbale questo si riempì di Succo di Zucca ghiacciato; tracannai la bibita come se ne andasse della mia sopravvivenza, e ripetei l'operazione un altro paio di volte sotto lo sguardo critico di Ginny, finché il senso di arsura non fu scomparso definitivamente.
«Ah... Va meglio...» dichiarai in un sussurro, più per convincere me stessa che la mia amica, la quale aveva nel frattempo sostituito la sua espressione preoccupata con un classico cipiglio alla Molly Weasley.
«Perfetto, ora che hai bevuto vuoi dirmi che diavolo ti è preso? Merlino, mi sono spaventata a morte!» sbottò, con le mani sui fianchi e lo sguardo corrucciato.
E adesso che le racconto...
«Ho avuto un incubo, ma così reale...»
Mi bloccai nuovamente, senza sapere come proseguire e avvertendo per l'ennesima volta un panico crescente nel ripensare alla perdita devastante che avevo appena subito.
O immaginato.
«E cos'hai sognato?»
Non l'ho sognato, era vero...
Incrociai le gambe, mordendomi furiosamente il labbro inferiore e torcendomi le mani: non potevo spiegarle come stavano le cose, perché non lo sapevo neppure io, e qualsiasi tentativo non avrebbe reso giustizia a quel che realmente provavo...
«Non lo so. Non me lo ricordo.»
Le sopracciglia di Ginny si incresparono ancora di più: o non mi credeva, o più probabilmente non mi capiva.
«Calmati, Hermione, e cerca di ricordare qualcosa almeno.» suggerì, seppur con una nota d'incertezza mista a scetticismo. Era inutile, anche se avessi voluto non avrei potuto rammentare nulla, perché se ci fossi riuscita forse avrei anche allontanato il pericolo da lui, da quell'entità misteriosa che probabilmente era ancora salvabile...
Ma qualcosa non voleva che io lo salvassi, né ora né mai.
«È inutile.» sentenziai, alzandomi a fatica dal letto e avvertendo immediatamente un capogiro.
«È inutile Ginny, e comunque non ha importanza. In fondo si è trattato solo di uno stupido incubo, giusto?»
Cercai disperatamente nei suoi occhi una risposta affermativa, che sapevo comunque essere del tutto errata, ma che se non altro mi avrebbe impedito di guardare in faccia la realtà almeno per un po'.
«Certo, non devi preoccuparti.» mi assicurò Ginny, sorridendo.
«Ma se vuoi puoi sempre parlarne con Harry, tra noi è quello che potrebbe rassicurarti meglio di tutti, e farti capire la differenza fra sogno e... be', realtà.» aggiunse poi, pensierosa.
Harry.
In effetti, Ginny non aveva tutti i torti: il mio migliore amico era costantemente tormentato da incubi tremendi, che poi non erano altro che i pensieri dello stesso Voldemort, visioni orribili senza dubbio, ma se era riuscito a resistere fino a quel momento doveva pur possedere un metodo, un qualcosa che gli permettesse di non impazzire... Forse parlare con lui del mio strano sogno, o comunque di quel poco che ricordavo di esso, poteva essere la soluzione migliore.
«Grazie Ginny. Hai avuto un'ottima idea.» le dissi, riuscendo persino ad abbozzare una sorta di sorriso.
«Figurati. Puoi sempre contare su di me, ricordatelo.» rispose lei, sorridendo a sua volta e stringendomi una mano con dolcezza. Presa dall'istinto e dal bisogno di conforto fisico oltre che di sostegno morale abbracciai la mia amica, che senza un attimo d'esitazione ricambiò la stretta con la stessa intensità. Fu in quel momento che tutta la vicenda iniziò a sembrarmi meno catastrofica: insomma, era alquanto improbabile che avessi avuto una premonizione o qualcosa del genere, ed ero sicura che se mi fossi precipitata dai miei amici, o dai miei genitori, o comunque da una qualsiasi delle persone per cui nutrivo un minimo di affetto le avrei trovate tutte vive ed in perfetta salute. Ero stata una sciocca ad impensierirmi tanto per uno stupido incubo che neppure ricordavo...
Mentre ero ancora abbracciata a Ginny, lo sguardo mi cadde involontariamente sulle lancette della sveglia magica poggiata sul mio comodino.
«Accidenti, ma è tardissimo! Farò tardi a lezione!»
Mi alzai di scatto, afferrando oggetti alla rinfusa nel tentativo di mettere insieme i libri necessari nel più breve tempo possibile e cercando nel frattempo di rendermi presentabile; di solito preparavo la borsa di sera, ma il giorno precedente i miei pensieri erano stati virati altrove da una certa persona, e il senso del dovere non aveva avuto alcuna voce in capitolo contro la testa fra le nuvole...
«Dammi una mano, Ginny, ti prego, o non arriverò mai in tempo...»
«Hermione, datti una calmata!» mi disse lei, bloccandomi il braccio. La osservai con più attenzione: indossava un maglioncino di cotone sopra ad una gonna a fiori, niente uniforme, il che era decisamente strano, visto che il regolamento di Hogwarts la imponeva a tutti gli studenti. A meno che...
«Oggi è sabato, l'hai dimenticato?» domandò Ginny con un sorrisetto comprensivo.
«Ah, è vero... Che stupida, ho perso la cognizione del tempo.»
«Me ne sono accorta. Comunque vestiti, io faccio un salto da Harry e Ron, se ti va di accompagnarmi...»
Soppesai per un attimo la sua proposta, chiedendomi per quale motivo Ginny avesse tanta fretta di vedere Harry e... quell'altro al punto da andare addirittura nella loro camera anziché aspettarli nella Sala Comune... Soprattutto rimasi interdetta di fronte alla sua audacia, dal momento che sapeva perfettamente ciò che era successo fra me e suo fratello e pertanto nessuno meglio di lei sarebbe giunto da solo alla conclusione che mai e poi mai avrei trascorso volontariamente del tempo insieme a lui, anche se si trattava di pochi minuti.
Ero già costretta a conviverci durante la maggior parte delle lezioni, per di più in compagnia di quella piovra...
«Allora, cos'hai deciso di fare?»
Ginny interruppe le mie riflessioni ripetendomi la domanda, probabilmente nel dubbio che non l'avessi sentita o che stessi valutando se accettare oppure lanciarle un'Avada Kedavra seduta stante. Forse il suo era solo un tentativo di mettere pace fra me e Ronald, un tentativo semplice quanto inutile ed ingenuo: io non avevo la benché minima intenzione di rivolgergli ancora la parola.
«Perché stai andando da loro? E soprattutto, per quale motivo pensi che io possa aver voglia di accompagnarti?» replicai, leggermente stizzita.
«Niente, è solo che... Sai, oggi è il suo compleanno.» mormorò Ginny, abbassando gli occhi e torcendosi le mani.
«Il compleanno di chi?»
«Oh, Hermione, sei davvero su un altro pianeta questa mattina... È il compleanno di Ron, capisco che mio fratello si sia comportato da idiota e tutto il resto, ma possibile che tu l'abbia dimenticato?»
Il compleanno di Ron?
È possibile, Hermione?
Mentalmente cercai di ricordare la data esatta, e se per caso nei giorni precedenti mi era capitato di pensare almeno una volta al fatto che il ragazzo che mi aveva spezzato il cuore stava per compiere gli anni.
Sì, è possibile.
Non mi era neppure passato per l'anticamera del cervello, ad essere sincera, e non solo perché ce l'avevo a morte con lui; semplicemente, ero stata presa da... altro.
Come ha fatto Weasley a rinunciare a tutto questo? Come ha fatto a perdere te...
Da un altro.
«Per quale motivo sei arrossita?»
Portai imbarazzata una mano sulla guancia, per scoprirla bollente; inutile provare a nascondere il mio rossore, a Ginny non sfuggiva mai niente di questo tipo.
«Perché... perché... mi vergognavo di ammettere che mi ero dimenticata, ecco.» tentai.
Un po' debole, ma comunque...
Lei sollevò un sopracciglio, maliziosa.
«Sicura che si tratti di questo? Ultimamente ti vedo sempre un po' distante, come se avessi qualcosa per la testa... Non sembri più tanto presa dal mio stupido fratello, non è che c'è qualcun altro?»
«E di cosa mi vuoi parlare? Di quanto in questo momento mi desideri?»
«Qualcun altro? Ma no, Ginny, come ti viene in mente... No, no, sono solo molto impegnata con lo studio.»
«Lo studio, eh? Non so perché, ma ho la sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa di importante...» insistette la mia amica, curiosa più che arrabbiata.
«Ma figurati...»
«Va bene, ti credo. Allora, io vado a dare a Ron il mio regalo, tu vieni?»
Grata a Ginny per quell'improvviso cambio di argomento, soppesai per un istante le due opzioni che mi si presentavano: potevo scegliere di accompagnarla da quei due per fare gli auguri al ragazzo che mi aveva spezzato il cuore e infrangere così la tacita promessa che avevo stretto con me stessa di non rivolgergli mai più la parola se non in casi estremi, oppure potevo vestirmi, dirigermi subito in Biblioteca e dedicarmi al mio altro...
Cioè, dedicarmi alla punizione non ancora scontata della McGranitt.
Scelta difficile.
«Non posso, devo ancora finire di riordinare la sezione di Pozioni per la McGranitt.»
«Capisco. Be', allora ci vediamo dopo.»
Mentre osservavo la chioma fiammante di Ginny sparire oltre l'ingresso del dormitorio femminile, pensai che mi era andata più che bene: lei aveva mostrato di capire, sapeva quanto Ron mi avesse delusa, e quindi non aveva insistito più di tanto. Soprattutto, non si era intestardita a cercare di conoscere il motivo per cui ultimamente mi comportavo in modo strano, il che era decisamente insolito da parte sua... Forse anche lei aveva altro a cui pensare, e quasi sicuramente quell'altro si chiamava Harry, comunque a me non importava.
Pericolo scampato, almeno per il momento.
Il compleanno di Ron, pensai fra me e me mentre mi preparavo alla svelta: era assurdo che me ne fossi dimenticata, oppure no? Era semplice distrazione, o magari un chiaro segno che pian piano mi stessi liberando di lui? No, liberarsene non era il termine adatto.
Stavo rimuovendo. Ricominciando.
Non potevo certo trascorrere il resto della mia vita in solitudine solo perché il mio migliore amico mi aveva rifiutata, ero stanca di essere la prima della classe, la mente del trio, e l'unica ragazza della mia età a risultare ancora ignorante in materia di relazioni sentimentali... Avevo bisogno di qualcuno che fosse in grado di capire che Hermione Granger, oltre ad essere intelligente, sveglia, abile negli incantesimi, era prima di tutto una donna; certo, avevo Harry, ma lui mi voleva bene come ne avrebbe voluto a una sorella, avevo i miei genitori, ma loro provavano per me l'affetto naturale che si prova nei confronti della propria figlia...
Io volevo essere amata.
Amata sul serio, mente e corpo.
Fino a poco tempo prima ero stata convinta che Ron provasse per me quel tipo di sentimento, ci eravamo sempre dichiarati amici l'uno dell'altra e basta, ma con il tempo il nostro rapporto si era evoluto, i giorni trascorrevano veloci ed io avevo l'impressione che lui mi ricambiasse... Ero sicura che lui cercasse quel che cercavo io, e invece...
Invece era stata solo una mia fantasia, un modo come un altro per sfuggire alla realtà: nessuno mi avrebbe mai voluta, almeno non finché continuavo ad essere così... me.
Così Hermione.
Perché Hermione è questa.
Anonimi occhi castani, un cespuglio deforme al posto dei capelli, neanche l'ombra di piacevoli curve sul mio corpo, amabilità pari a quella di una Banshee infuriata, un caratteraccio indomabile.
Io sono questa.
E nessuno mi amerà mai.
Quella giornata era partita con il piede sbagliato, e a quanto pareva era destinata a proseguire anche peggio, l'ultima cosa di cui avevo bisogno era la solita depressione che inevitabilmente mi prendeva quando formulavo pensieri del genere.
Il che accadeva piuttosto spesso, prima.
«Dimmi che non hai visto nei miei occhi quello che io ho visto nei tuoi.»
Prima, quando l'idea di trascorrere il sabato mattina a scontare una punizione chiusa in Biblioteca non mi avrebbe mai esaltata particolarmente.
Prima, quando quella notte nel corridoio del settimo piano la mia vita non era ancora stata accolta nelle spire velenose del Re delle Serpi.
Prima, quando Malfoy era solo il mio nemico.
Adesso, che cos'era? Non lo sapevo. Non avevo la minima idea di quali fossero le sue intenzioni, ma prima di preoccuparmene dovevo chiarire obbligatoriamente le mie.
Mi sentivo come prigioniera in uno strano limbo, in una sottilissima linea fra odio puro e passione sfrenata, e mi sembrava di oscillare continuamente fra i due, senza trovare un equilibrio. La stabilità non faceva parte di quel nuovo rapporto, se così lo si poteva chiamare, e forse era proprio questa consapevolezza ad intrigarmi e a spingermi ancora oltre: la vita della vecchia Hermione, seppur intensa dal punto di vista "professionale", era sempre stata troppo monotona, persino le continue avventure in compagnia di Ron e del Prescelto alla lunga avevano acquisito una loro ripetitività. Ma Hermione, sempre troppo occupata a pensare al benessere degli altri e a tenersi in disparte, poco a poco aveva dimenticato cosa fosse l'inaspettato, probabilmente non lo aveva mai scoperto davvero...
Malfoy aveva introdotto un'immensa quantità di mistero nella mia quotidianità, e quel mistero cominciava a piacermi: stavolta non si trattava dello scoprire quale mostruosa creatura si aggirasse nelle tubature di Hogwarts, né di aiutare Harry ad uscire indenne da un torneo che nei secoli era stata la causa di innumerevoli decessi...
No, stavolta era un brivido era diverso, di tutt'altro genere, un brivido che viaggiava su e giù per la mia schiena ogni volta che Malfoy mi toccava, facendomi venire la pelle d'oca.
Mi piaceva, e non avevo intenzione di rinunciarvi solo per dare ascolto alla mia razionalità, a quella parte della vecchia me di cui ancora non riuscivo a liberarmi.
Del resto, che cosa avevo da perdere? Per una volta sarei stata io quella impulsiva, io quella avventata, e se mai i miei amici fossero venuti a conoscenza di qualcosa sarebbero stati loro a lambiccarsi il cervello per cercare di capire cosa mai mi fosse saltato in mente.
Ovviamente sapevo anche che avrei dovuto proseguire con cautela in quell'enorme follia, in fondo si trattava sempre di Malfoy, e non potevo essere sicura che non stesse progettando qualcosa di meschino solo perché per pochi attimi lo avevo visto vulnerabile...
Poteva aver semplicemente finto, o trovarsi sotto l'effetto di qualche pozione a lunga durata, le ipotesi erano infinite e tutte probabili, non mi sarei mai permessa di escluderne automaticamente qualcuna. Lui stesso era un mistero profondo, ma io per chissà quale ragione ero determinata a scoprire quali segreti custodisse, e soprattutto quale fosse il mio ruolo in relazione ad essi.
Si comportava in modo così strano, alla festa di Lumacorno, nell'aula di Incantesimi...
Ogni volta ripetevo a me stessa di fare attenzione a quel Serpeverde, di stargli alla larga il più possibile per evitare nuovi guai, ma puntualmente dimenticavo la regola più importante. Non guardarlo mai negli occhi.
Purtroppo le raccomandazioni erano sempre inutili, e perdermi nell'oceano delle sue iridi era sempre fin troppo facile: Malfoy sapeva come farmi sua prigioniera, e mi spaventava non poco accorgermi che mi sarei fatta rinchiudere volentieri ad Azkaban per il resto della vita se il mio carceriere fosse stato lui.
Mi risvegliai improvvisamente da quelle riflessioni e mi accorsi che nel frattempo il mio corpo, guidato dalla forza dell'abitudine, aveva provveduto da solo a conferirsi un aspetto quantomeno presentabile: indossavo un paio di jeans scoloriti e una maglia bianca di lana
leggera, e con le dita stavo intrecciando a fatica la mia chioma ribelle in una sorta di treccia.
Mi avviai giù per le scale del dormitorio, affrettandomi in modo da non fare incontri indesiderati, e giunta in Sala Comune non degnai di un solo sguardo la folla di studenti miei compagni di Casa. Solo per un attimo mi chiesi per quale motivo di sabato mattina ci fosse così tanto movimento, quando di solito a quell'ora l'intera scuola era deserta, ma poi decisi che non mi riguardava. Teoricamente io sarei dovuta rimanere nella Torre di Grifondoro a studiare, considerato che ero al sesto anno e che il carico di compiti assegnati era più o meno il triplo rispetto al solito, ma d'altra parte stavo andando a scontare una punizione, non certo a divertirmi...
Certo, come no.
Il mio cuore ebbe una sorta di fremito improvviso nel realizzare quel che entro pochi minuti
sarebbe successo quel che aspettavo da parecchie ore: ci saremmo rivisti in Biblioteca, e là avremmo potuto riprendere da dove ci eravamo interrotti il giorno prima.
Piton.
Che cosa ci faceva l'odioso insegnante di Pozioni dietro la porta? Harry al mio posto avrebbe sicuramente esclamato «Stava origliando, non c'è dubbio!», ed io per una volta sarei stata d'accordo con lui. Malfoy, grazie alla sua predisposizione per l'Occlumanzia, aveva avvertito la sua presenza, immobile al di là della soglia dell'aula di Incantesimi, e non c'era assolutamente nulla che potesse giustificare ciò.
Ma quale interesse poteva avere Severus Piton verso di noi e verso quel che stavamo facendo in quella stanza? E soprattutto, quanto aveva scoperto?
Queste erano alcune delle infinite domande che mi ronzavano nella mente mentre mi apprestavo ad entrare in Biblioteca, troppo nervosa ed impaziente per fare colazione, ma fu proprio in quel momento che sentii una voce conosciuta chiamare il mio nome.
«Hermione! Hermione, fermati, è successa una cosa terribile!»
Della Ginny tranquilla e dall'aspetto curatissimo che avevo salutato appena pochi minuti prima era rimasto ben poco: i suoi capelli erano arruffati quasi come i miei mentre mi correva incontro, il viso pallido e le pupille dilatate per la paura. Conoscevo bene la mia amica, e sapevo che non piangeva mai, se non in rarissimi casi, ma vederla in quello stato non preannunciava niente di buono.
«Cosa c'è, Ginny? Qualcuno ti ha fatto del male, forse?»
«No, no, non a me. È Ron. L'hanno appena portato in Infermeria.»
Fu come piombare nuovamente in quel sogno maledetto, come se tutta la sofferenza provata si riversasse di colpo su di me, travolgendomi, privando i miei polmoni dell'aria necessaria per respirare.
«In Infermeria?! Perché?»
Non è vero.
Non può essere vero.
«Non so di preciso come sia andata, so solo che è stato avvelenato. La McGranitt mi ha appena convocata in Infermeria e mi ha detto di avvisare anche te, lì ci spiegheranno tutto...»
Avvelenato.
Fu l'unica parola che riuscii a cogliere in tutta quella confusione, ma perlomeno mi resi conto che dovevo muovermi. Mentre correvo dietro a Ginny, iniziai a capire per quale motivo la Sala Comune fosse così affollata, probabilmente la voce si era già sparsa in giro e tutti ora stavano cercando ulteriori notizie sullo scandalo del momento; ma se neppure la sorella di Ron sapeva niente, dubitavo che nei corridoi potessero circolare informazioni veritiere.
Non mi interessava.
Dovevo vederlo, saperne di più sulle sue condizioni, insomma, era fuori pericolo? Che cosa gli era successo? E soprattutto chi...?
Fortunatamente l'Infermeria si trovava al piano terra, e quando arrivammo trafelate di fronte alla porta chiusa trovammo già i due gemelli Weasley insieme ad Harry, che nel frattempo spiegava agitato qualcosa alla McGranitt e a Silente: questo annuiva ad ogni parola, mantenendo comunque la sua espressione pacata, mentre l'insegnante di Trasfigurazione sembrava ancora preoccupata.
«Harry, siamo qui!»
«Ginny, Hermione! Finalmente siete arrivate...»
«Si può sapere cos'è successo? Ron sta bene? Possiamo vederlo?»
Harry appariva stremato, e subito compresi che il suo ruolo in quella vicenda era stato come sempre determinante; lasciando alla più piccola della famiglia Weasley il compito di tartassarlo di domande, preferii rimanere in disparte ed aspettare con ansia che lui si decidesse a parlare e a darci finalmente una spiegazione.
«Sì, sta bene, ma adesso sta...»
«Minerva, accompagna dentro questi ragazzi.» lo interruppe il Preside con un sorriso, dando ancora una volta prova di grande sensibilità.
«Ma Albus, credo che sia ancora presto per...» obiettò la McGranitt, evidentemente stupita.
«Non preoccuparti, di' a Madama Chips che hanno il mio permesso, e poi raggiungimi nel mio ufficio, i signori Weasley ci aspettano.»
Silente si allontanò lentamente, e nel frattempo la McGranitt, ancora contrariata, ci permise di entrare: l'Infermeria era tranquilla, le tende tirate, le lampade accese; il letto di Ron era il solo occupato. Lui era profondamente addormentato, il suo viso era ancora più pallido di quello di Ginny, le labbra quasi cerulee, tanto che per un attimo ebbi l'impressione che fosse morto.
«Che cosa ci fate voi qui?»
Madama Chips avanzò minacciosa verso di noi, lanciandoci occhiate di fuoco, senza preoccuparsi minimamente del fatto che fossimo accompagnati da un'insegnante.
«Hanno l'autorizzazione del Preside, Madama Chips. Ora, se volete scusarmi, abbiamo molte questioni da risolvere.» replicò secca la McGranitt, voltandosi subito per raggiungere Silente nel suo studio. Anche la scorbutica infermiera della scuola tornò nella sua stanzetta, dopo aver borbottato una serie di "Assurdo..." e di "Roba da matti...".
«Non era così che avevamo immaginato di darti il nostro regalo» disse George cupo, posando un grosso pacco sul comodino di Ron e sedendosi vicino a Ginny.
«Sì, quando ci figuravamo la scena lui non era svenuto.» aggiunse Fred.
«E noi arrivavamo da Hogsmeade, per fargli una sorpresa...» proseguì George.
«Eravate a Hogsmeade?» chiese Ginny, alzando lo sguardo.
«Stavamo pensando di comprare Zonko.» spiegò Fred malinconico. «Una filiale a Hogsmeade, capisci... Comunque adesso non importa.»
Spostò una sedia vicino a Harry e guardò il volto pallido del fratello.
«Com'è andata esattamente, Harry?»
Lui riprese a parlare e ci informò su come si erano svolti i fatti quella mattina, ripetendo di nuovo la storia che aveva già riferito almeno cento volte a Silente, alla McGranitt, a Madama Chips e agli stessi gemelli, anche se mi fu piuttosto difficile concentrarmi sul suo racconto piuttosto che sulla figura inanime che mi stava di fronte...
Nello scartare i suoi regali di compleanno, Ron aveva ingerito per sbaglio un Filtro d'Amore scaduto che era stato indirizzato ad Harry, e si era perdutamente innamorato di quella sanguisuga di Romilda Vane. A quel punto Harry, per evitare che combinasse guai, lo aveva portato da Lumacorno, il quale dopo avergli somministrato un antidoto aveva offerto ad entrambi un po' del suo Idromele Barricato per festeggiare. Ron era stato il primo a berlo e ad "accorgersi" che era avvelenato, e se non fosse stato per l'intervento immediato di Harry... Non volevo neppure pensarci.
«... e poi gli ho ficcato in gola il bezoar e ha cominciato a respirare un po' meglio, Lumacorno è corso a cercare aiuto, Madama Chips è venuta subito e ha portato Ron quassù. Dice che si rimetterà, che dovrà stare qui una settimana... continuare a prendere l'essenza di Ruta...»
«Accidenti, meno male che hai pensato a un bezoar.» mormorò George.
«Meno male che ce n'era uno nella stanza.» ribatté Harry, pensieroso.
Tirai su con il naso, in modo quasi impercettibile, continuando a rimanere in silenzio e rifiutandomi di prendere parte alla discussione ossessiva fra Harry e i fratelli Weasley su come Ron era stato avvelenato.
Avevo ben altro ormai a cui pensare.
Era il suo compleanno, ed io non mi ero neppure degnata di rivolgergli la parola...
Come avevo potuto essere così fredda ed egoista? E se gli fosse successo qualcosa di davvero grave? Non me lo sarei mai perdonato.
«Mamma e papà lo sanno?» chiese Ginny a Fred.
«L'hanno già visto, sono arrivati poco prima di voi... Adesso sono nell'ufficio di Silente, credo, ma torneranno presto...»
Ci fu una pausa e tutti guardammo Ron che borbottava qualcosa nel sonno.
«Quindi il veleno era nel vino?» domandò Fred piano.
«Sì.» rispose subito Harry, che sicuramente non riusciva a pensare ad altro e fu lieto di ricominciare a parlarne. «Lumacorno l'ha versato...»
«Avrebbe potuto mettere qualcosa nel bicchiere di Ron senza che tu lo vedessi?»
«Probabilmente.» convenne Harry. «Ma perché Lumacorno dovrebbe voler avvelenare Ron?»
«Non ne ho idea.» ribatté Fred accigliato. «Non credi che potrebbe aver confuso i bicchieri per errore? Con l'intenzione di avvelenare te?»
«Perché Lumacorno dovrebbe voler avvelenare Harry?» domandò Ginny.
«Non lo so. Ma ci dev'essere un mucchio di gente che vorrebbe avvelenare Harry, no? Il 'Prescelto' e tutto il resto.»
«Quindi tu pensi che Lumacorno sia un Mangiamorte?»
«Tutto è possibile.»
«Potrebbe essere sotto la Maledizione Imperius.» suggerì George.
«O potrebbe essere innocente.» aggiunse Ginny.
«Il veleno avrebbe potuto trovarsi nella bottiglia: in quel caso probabilmente era destinato allo stesso Lumacorno.»
«Chi può voler uccidere Lumacorno?»
«Silente pensa che Voldemort lo volesse dalla sua parte.» spiegò Harry. «Lumacorno si è nascosto per un anno prima di venire a Hogwarts. E forse Voldemort vuole toglierlo di mezzo, forse crede che possa essere prezioso per Silente.»
«Ma tu hai detto che Lumacorno voleva regalare quella bottiglia a Silente per Natale.» gli rammentò Ginny. «Quindi magari il colpevole voleva uccidere Silente.»
«Allora non conosce Lumacorno.» replicò il Prescelto, con sicurezza. «Chiunque conosca Lumacorno avrebbe saputo che c'erano buone probabilità che si tenesse una cosa così ghiotta per sé.»
In quel momento la porta dell'Infermeria si spalancò, e in un attimo Lavanda Brown si fiondò verso di noi, con l'aria di una che aveva appena pianto tutte le sue lacrime.
«Possibile che nessuno abbia pensato di avvisarmi?» domandò isterica, mentre tutti si scambiavano occhiate comprensive; socchiuse minacciosa le palpebre e soffermò il suo sguardo da pazza su di me.
«Si può sapere cosa ci fa lei qui?»
«Potrei farti la stessa domanda.» risposi distante, le sue chiacchiere noiose non mi interessavano e non mi interessava la sua opinione.
«Si dà il caso che io sia la sua ragazza.» ribadì con ovvietà, come se non avesse sottolineato abbastanza quel concetto nelle ultime settimane.
«E si dà il caso che io sia la sua...»
Mi bloccai, non avendo idea di come proseguire.
«... amica.»
«Amici, non farmi ridere. Non gli hai rivolto la parola da quando lui ha cominciato a uscire con me! Ma immagino che tu voglia fare la pace, adesso che è così interessante...»
Ho sentito bene?
«È stato avvelenato, asina giuliva!» sbottai furiosa, mentre tutti i presenti mi fissavano stupiti. «E per la cronaca io l'ho sempre trovato interessante.» aggiunsi d'impulso, senza pensare neppure per un istante che oltre a me in quella stanza c'erano altre cinque persone, più l'oggetto della conversazione, e che sbandierare in quel modo i miei sentimenti non era proprio opportuno...
Fu allora che Ron ricominciò ad agitarsi e a mormorare parole senza senso; Lavanda mi ignorò e corse affianco a lui.
«Visto? Avverte la mia presenza! Non temere Ron-Ron, io sono qui.»
«Er-mo-ne...» gracchiò lui inaspettatamente.
Silenzio tombale.
Dopo circa tre secondi, Lavanda scoppiò in lacrime e si precipitò fuori dall'Infermeria, singhiozzando, mentre Ron aveva ripreso tranquillamente a russare.
Il mio nome. Aveva chiamato il mio nome.
«Ehm...» esordì dopo qualche istante Harry, tossicchiando nervosamente. «Ragazzi, che ne dite se ora noi...»
Si interruppe e guardò disperato Ginny, in una muta richiesta di aiuto che lei accolse subito.
«Andiamo a cercare mamma e papà, così non si preoccupano troppo, sicuramente vorranno sapere da Harry com'è andata... Fred, George, venite con noi?» domandò lei, spalancando gli occhi in maniera eloquente.
«Ma veramente noi... Ahi!» si lamentò Fred, dal momento che il suo gemello gli aveva sferrato un calcio poco sotto il ginocchio.
«Tanto resti tu con lui, vero Hermione?»
«Oh... Sì, certo, andate pure.»
Mentre si allontanavano di tutta fretta, riuscii a percepire la voce di Fred che domandava «Ma cos'ho detto di male?», e quella di Ginny che gli rispondeva «Fred, sei un idiota.», dopodiché di nuovo il silenzio. Mi venne quasi da ridere nell'assistere a quella scena, avevo capito benissimo che il reale motivo per cui improvvisamente si erano dileguati era permettermi di stare un po' da sola con Ron, e lo apprezzavo molto, soprattutto dopo quanto era appena successo.
Lui aveva chiamato me, non Lavanda.
Gli presi una mano fra le mie, incerta, e mi resi conto di quanto mi fosse mancato in quel periodo, anche se avevo sempre finto, con gli altri e con me stessa, che non fosse così.
«Sei il solito combina guai, Ronald. Ti lascio un attimo da solo e guarda i risultati...» sussurrai, certa che potesse sentirmi. Provavo un senso di colpa indescrivibile, ma ero anche confusa e spaventata, non mi rendevo veramente conto di quello che stessi dicendo, ma sapevo in cuor mio che era la cosa giusta da fare.
«Mi dispiace, Ron. Davvero. Non avrei dovuto comportarmi in questo modo. In fondo tu non hai fatto niente di sbagliato, non potevo certo obbligarti ad amarmi... Era una tua scelta, ed io non l'ho capito subito. Ma ora non mi importa, voglio che torniamo ad essere amici come prima, anche se io... penso di essere ancora innamorata di te.»
Sospirai, sollevata al pensiero che al suo risveglio Ron non avrebbe ricordato assolutamente nulla, e che era meglio così; le parole mi erano uscite di getto, non ci avevo riflettuto su nemmeno per un secondo, l'istinto aveva prevalso ed improvvisamente non ero più stata in grado di tenermi dentro quel groviglio di emozioni differenti. Non ero mai stata sicura fino in fondo dei miei sentimenti per Ron, e non lo ero neppure in quel momento, ma ero certa di non volerlo perdere, e di avere bisogno della sua presenza nella mia vita.
Rimasi qualche minuto in silenzio ad osservarlo e a riflettere, poi i miei pensieri furono dirottati in un'altra direzione dall'arrivo dei signori Weasley, che avanzarono lungo la corsia.
«Hermione, cara! Come sta il nostro Ron?»
Molly Weasley sembrava piuttosto tranquilla, forse era stato il colloquio con Silente a calmarla, di sicuro lui le aveva assicurato che suo figlio ormai non correva più alcun pericolo, e le aveva raccontato in che modo Harry l'avesse salvato.
«Mi sembra che stia meglio: ha già preso un po' di colore rispetto a prima, e ha... ha provato a dire qualche parola.»
«Oh, ringraziando Merlino...»
«Ringraziando Harry Potter, piuttosto.» la corresse suo marito Arthur. «Metà della nostra famiglia gli deve la vita, adesso che ci penso. Be', posso dire solo che è stato un giorno fortunato per i Weasley quando Ron ha deciso di sedersi nel suo scompartimento sull'Espresso per Hogwarts.» aggiunse, con la voce soffocata dall'emozione.
Non esagerava, affatto.
«Hai ragione, che ragazzo d'oro...»
A quel punto ritenni opportuno farmi da parte e lasciare Ron con i suoi genitori, nel frattempo io avrei raggiunto i miei amici: ora che ero un po' più calma, volevo unirmi alla discussione che sicuramente stavano continuando, e scoprire chi fosse il responsabile di quel quasi-omicidio.
«Vi lascio soli con lui.» soggiunsi, alzandomi. «Tornerò con gli altri a fargli visita più tardi, a presto, signori Weasley.»
«Grazie cara, a dopo.»
Mi allontanai lentamente, mentre Molly prendeva il mio posto affianco a Ron: mi sentivo come vuota, priva di un peso enorme, e tutto sommato ne ero felice. Aver ammesso ad alta voce che forse provavo qualcosa di più di un'amicizia mi aveva aiutata più di quanto immaginassi. Quando Ron avrebbe ripreso conoscenza, le cose sarebbero state sicuramente più facili, ed io avrei potuto recuperare la nostra amicizia, ripartendo da dove si era interrotta.
Varcai per la seconda volta in quella giornata le porte dell'Infermeria, al di là delle quali stranamente non c'era nessuno: di sicuro Silente aveva proibito a chiunque di aggirarsi nei dintorni, conoscendo la proverbiale indiscrezione degli studenti quando si trattava di avvenimenti del genere.
Ero talmente presa dai miei pensieri che non mi accorsi di aver calpestato qualcosa, appena fuori l'ingresso: mi chinai per raccogliere il misterioso oggetto, e me lo rigirai curiosa fra le mani, dimenticando imprudentemente quel che era successo non molto tempo prima a Katie Bell, la quale era ancora ricoverata al San Mungo. Stavolta, però, non si trattava di una collana maledetta.
Era una sciarpa, verde e argento, segno che doveva essere appartenuta ad un Serpeverde.
Il suo odore mi sembrava familiare, così la portai più vicina al viso e la annusai con circospezione.
Menta e dopobarba.
Quella era la sciarpa di Draco Malfoy.
♥
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